I disturbi del comportamento alimentare inserite tra le LEA: il Governo stanzia un fondo da 25 milioni

È stato approvato in Senato un emendamento volto ad istituire un fondo presso il Ministero della Salute nella lotta contro i Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione. Il Governo recependo il grave allarme di queste patologie, ha inserito all’interno della Legge di Bilancio lo stanziamento di 25 milioni di euro per il biennio 2022/2023.

Disturbi del Comportamento Alimentare -Fonte:ospedalemarialuigia.it

La Commissione Bilancio del Senato ha così stabilito, a seguito di anni di lotte, l’inserimento dei Disturbi del Comportamento Alimentare nei Livelli essenziali di assistenza (LEA). Il successo raggiunto nella notte tra il 21 e il 22 dicembre 2021 ha rappresentato un grandissimo risultato, per le associazioni, i familiari, i pazienti e per tutti coloro che si occupano di queste malattie. Il commento della dottoressa Laura Dalla Ragione, psichiatra e psicoterapeuta, responsabile scientifica dei “SOS Disturbi Alimentari” è volto con soddisfazione al passo in avanti compiuto, che permetterà un livello assistenziale maggiore per queste patologie che ogni anno vedono morire più di 4 mila persone.

L’istituzione del nuovo fondo del Governo

Si comprende come la complessità diagnostica dei Disturbi del Comportamento Alimentare necessita dunque di un intervento immediato. È essenziale una grande collaborazione tra figure professionali con differenti specializzazioni (medici specialisti in psichiatria, in pediatria, in scienza dell’alimentazione e in medicina interna, dietisti, psicologi e psicoterapeuti), ai fini di una tempestiva presa in carico all’interno di un percorso multidisciplinare e di un miglioramento dell’evoluzione a lungo termine.

La crisi pandemica ha fatto schizzare alle stelle la stima di giovani colpiti da un DCA che è aumentata in maniera vertiginosa. Tale incremento esponenziale ha evidenziato ancora di più un dato allarmante della Sanità italiana. Questa non è affatto pronta a fornire le cure essenziali per i pazienti, presentando invece alle famiglie un perenne percorso odisseico per accedere ai trattamenti.

L’altra epidemia, aumento di casi di anoressia e bulimia -Fonte:repubblica.it

Il passo in avanti compiuto dalla Commissione bilancio del Senato ha permesso l’inserimento dei DCA in una specifica area tra i Livelli essenziali di assistenza (LEA), cioè quelle prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale (SSN) è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket), con le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale (tasse). Distaccandoli così dall’area della Salute mentale in cui venivano catalogati.

L’istituzione dunque di un fondo Nazionale sarà fondamentale per aiutare le migliaia di famiglie costrette non solo ad affrontare la drammaticità di queste patologie, ma che spesso non conoscono il giusto percorso da intraprendere, intrecciandosi in servizi pubblici non all’altezza della problematicità a trattare.

Esempio principe è la mancanza, principalmente delle regioni del sud Italia, di ambulatori dedicati alla cura dei DCA e la totale assenza di strutture specifiche residenziali dove prevedere trattamenti riabilitativi.

Le parole dei promotori dell’iniziativa

Leonardo Mendolicchio -Fonte:varesenews.it

A commentare l’esito tanto atteso nella notte tra il 21 e il 22 dicembre è stato Leonardo Mendolicchio, responsabile della U.O. Riabilitazione dei Disturbi Alimentari e della Nutrizione presso Auxologico e del centro ambulatoriale di Piancavallo. Egli in un’intervista presso la testata Repubblica ha così commentato:

“Questo è stato veramente un bellissimo risveglio, abbiamo iniziato a raccogliere i primi frutti di quello che abbiamo cercato di fare in questi anni. Ognuno dalla propria prospettiva: le associazioni dei familiari, noi clinici, i ragazzi affetti dai disturbi del comportamento alimentare. Finalmente i disturbi alimentari hanno una loro dignità, in quanto verranno riconosciuti nei LEA. In una categoria assestante, non appartenente alla categoria della salute mentale. Questo amplierà le possibilità di erogare prestazioni gratuite, ma soprattutto pungolerà le regioni a dotarsi di quei servizi, che potranno erogare queste prestazioni.”

Stefano Tavilla -Fonte:rainews.it

Anche Stefano Tavilla, Presidente dell’associazione Mi Nutro di Vita, e papà di Giulia morta a 17 anni per bulimia, in un video pubblicato sulla sua pagina Instagram ha così detto:

“Finalmente ci è stata data dignità. Oggi cambia la storia, oggi non siamo più invisibili.”

Proprio lui aveva dato vita alla firma della petizione volta ad includere i Disturbi del Comportamento Alimentare nei LEA con un budget specifico. L’eco della manifestazione tenutasi ad ottobre a Roma, con “un’onda viola” al fine di chiedere all’Esecutivo un potenziamento dei servizi di cura, ha aperto la strada all’inserimento strutturato nell’agenda politica del tema dei DCA e dei loro bisogni.

I Disturbi del Comportamento Alimentare: Cosa sono e come si suddividono

I Disturbi dell’alimentazione (DCA) sono patologie complesse caratterizzate da un disfunzionale comportamento alimentare e da un’eccessiva preoccupazione per il peso con alterata percezione dell’immagine corporea, spesso correlata a bassi livelli di autostima. Le tipologie in cui si articolano sono:

  • L’Anoressia Nervosa: perenne ricerca di magrezza, immagine distorta del corpo, paura estrema dell’obesità e limitazione del consumo di cibo, che portano a un peso significativamente basso. I soggetti limitano il consumo di cibo, ma possono anche sovralimentarsi e in seguito compensare mediante l’eliminazione (ad esempio procurandosi il vomito o usando lassativi);
Anoressia nervosa -Fonte:psicologafraccascia.it
  • La Bulimia: è caratterizzata da episodi ripetuti in cui in poco tempo i soggetti affetti mangiano grandi quantità di cibo, seguiti dal tentativo di rimediare all’eccesso ingerito, attraverso il vomito o assumendo lassativi;
Bulimia -Fonte:piusanipiubelli.it
  • Il Disturbo da Alimentazione incontrollata: porta al consumo di quantità di cibo eccezionalmente grandi, molto superiori a quelle che la maggior parte mangerebbe in situazioni e tempo analoghi. Durante e dopo questo consumo smodato, le persone hanno una sensazione di perdita di controllo e ne sono angosciate;
Disturbo da alimentazione incontrollata -Fonte:terzocentro.it
  • La Night Eating Syndrome: definisce un’alimentazione insufficiente durante il giorno, prevedendo altresì il consumo di una grande quantità di alimenti o calorie durante la sera e il risveglio notturno per ingerire altro cibo;
Night eating syndrome -Fonte:genpsych.com
  • Il Picacismo: nutrirsi regolarmente con cose non commestibili;
Picanismo -Fonte:sanioggi.it
  • Il Disturbo da Ruminazione: rigurgitare il cibo dopo il suo consumo.
Disturbo da Ruminazione -Fonte:giuseppesalzillo.it

Queste patologie possono presentarsi in associazione ad altri disturbi psichici come ad esempio disturbi d’ansia e dell’umore. Lo stato di salute fisica è dunque quasi sempre compromesso a causa delle alterate condotte alimentari che ne determinano il deterioramento nutrizionale. Si può passare da condotte di restrizione alimentare, ad un eccessivo consumo di cibo con perdita di controllo, oppure ad atteggiamenti di eliminazione e/o compensatori.

Considerare solo l’indice di massa corporea per identificare un soggetto affetto da DCA è estremamente errato. Questo valore infatti non si presenta come marcatore unico e specifico, quanto anche le condizioni di normopeso e sovrappeso, possono essere associate alla presenza di disturbi dell’alimentazione.

DCA -Fonte:lanazione.it

Una delle prime problematicità sta nell’individuazione precoce della prima sintomatologia di dispercezione corporea. I disturbi dell’alimentazione infatti se non trattati in tempi e con metodi adeguati, possono diventare una condizione permanente, tale da compromettere seriamente la salute di tutti gli organi e apparati del corpo, come quello cardiovascolare, gastrointestinale, endocrino, ematologico, scheletrico, sistema nervoso centrale e dermatologico, fino ad arrivare, nei casi gravi, alla morte.

Attualmente si vive un’elevata problematicità di salute pubblica dovuta ad un progressivo abbassamento dell’età di insorgenza di anoressia e bulimia.

Giovanna Sgarlata

Diabete Mellito e Covid-19: l’incontro di due pandemie

Il diabete mellito di tipo 2 e l’obesità rappresentano due entità cliniche spesso correlate, oggi dilaganti fra la popolazione mondiale, tanto da costituire una vera e propria pandemia.

Nel 2019 nel mondo erano 463 milioni le persone con diabete mellito tipo 1 e 2, di cui 59 milioni in Europa. Si prevede che nel 2045 si arriverà a 700 milioni di soggetti affetti.

Si tratta di dati allarmanti e dalla crescita esponenziale. Nonostante ciò, il diabete continua ad essere descritto come una “pandemia silenziosa” poiché, alla stregua di molte altre patologie croniche, non suscita la stessa preoccupazione delle malattie infettive acute. Queste ultime, per la loro celere modalità di trasmissione, accompagnata da un rapido impennarsi di contagi, vedono maggiore impatto nella visione collettiva. Questo è uno fra i tanti effetti che stiamo sperimentando a nostre spese in questo delicato periodo, con il crescere del numero di soggetti positivi al Covid-19.

Da un lato abbiamo una pandemia silenziosa, che per le sue caratteristiche ha tutto il tempo necessario per evolversi e condurre verso quadri clinici severi, dall’altro quella da Coronavirus, che per le sue implicazioni cliniche e socioeconomiche è tutt’altro che silente.

Pur essendo delle entità diverse, le due pandemie celano aspetti che le vedono co-protagoniste, scontrandosi clinicamente su più fronti.

Il diabete rappresenta non solo una tra le più frequenti comorbilità segnalate nei pazienti con COVID-19, ma anche un fattore di rischio per gli esiti più severi che la contrazione dell’infezione può avere nei pazienti diabetici.

 

                                                   Dati: International Diabetes Federation, IDF DIABETES ATLAS IX Edizione 2019

Globesità

L’obesità ha un ruolo chiave nell’insorgenza del diabete mellito di tipo 2.

A livello mondiale, negli ultimi 40 anni, il numero di soggetti obesi è quasi triplicato. Anche l’obesità si accompagna più frequentemente a forme critiche di COVID-19.

Un importante studio denominato CORONADO ha valutato specificatamente la relazione esistente tra le classi di Body Mass Index (BMI) e la prognosi di COVID-19 nei pazienti diabetici.

Sono state analizzate le caratteristiche cliniche dei pazienti diabetici e i risultati correlati al COVID-19, in termini di maggiore ricorso a intubazione attraverso ventilazione meccanica invasiva e aumentata mortalità, in base al BMI individuale.

Come atteso, è emerso che l’obesità conclamata si associa a una prognosi infausta nei pazienti con diabete ricoverati per COVID-19.

Aspetti nutrizionali

L’eccessivo consumo di alimenti ricchi in grassi saturi, zuccheri e carboidrati raffinati contribuisce ad incrementare la prevalenza di tali condizioni morbose.

Questo tipo di alimentazione, ipercalorica e disregolata, costituisce uno tra i principali fattori responsabili della compromissione del nostro sistema immunitario, in grado di alterare i meccanismi di difesa dell’ospite contro i virus.

Pertanto, in questo periodo più che mai risulta necessario migliorare il proprio stile di vita, ricercando cibi sani, ai fini di ridurre la suscettibilità e le complicazioni a lungo termine da COVID-19.

Glucovigilanza

Oltre alle misure preventive generali, è necessario monitorare regolarmente la glicemia. Si tratta di un parametro costituente un importante punto di snodo per l’iter terapeutico di tutti i pazienti diabetici.

Nei pazienti affetti da Covid non è di infrequente riscontro anche uno scarso controllo glicemico.

D’altra parte questi pazienti, anche se non sono affetti da Covid-19, sono a rischio di inadeguato controllo glicemico.  Ciò è dovuto alle misure restrittive che hanno compromesso, soprattutto nei mesi scorsi, una assidua assistenza sanitaria.

La pandemia da COVID-19 ha influenzato la gestione dei pazienti diabetici in modi senza precedenti, rendendola più difficoltosa di quanto non fosse già. Tuttavia, con il subentrare della nuova era digitale anche in campo medico, gli sviluppi della telemedicina offrono innovative possibilità nel monitoraggio dei pazienti.

Gli inibitori di DPP-4 come innovativa strategia terapeutica del Covid-19

Fonte: V. Stalin Raj et al Nature, “Il Recettore DPP4 essenziale per la replicazione dei Coronavirus Umani”

Tra le via d’ingresso del Coronavirus a livello cellulare, una tra le più peculiari è rappresentata da quella che sfrutta il recettore Dpp-4. Esso, presente su tutte le cellule dell’individuo ospite, costituisce una “serratura molecolare” che il virus usa per invaderle.

Si tratta della stessa via  su cui agiscono mirabilmente molti farmaci anti-diabete, noti come Inibitori di DPP-4. Ciò indica che gli stessi farmaci potrebbero essere usati contro il Covid-19, almeno nei casi più lievi.

L’osservazione ha aperto il campo a nuove strategie e ipotesi per il futuro, ma al momento si attendono ulteriori studi, affinchè si possa avvalorare il ruolo protettivo di tale possibilità terapeutica.

Prospettive future

Un messaggio positivo è quello emerso da uno studio condotto dai ricercatori dell’Ospedale San Raffaele. Alla luce dei risultati ottenuti, i pazienti diabetici sono in grado di produrre anticorpi con la stessa efficacia della popolazione sana.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Diabetologia, lascia uno spiraglio di fiducia: quando sarà disponibile un vaccino per il nuovo coronavirus, tra quelli attualmente in corso di sperimentazione, è plausibile che anche i pazienti diabetici potranno beneficiarne.

Pertanto, se da un lato i soggetti con DM2 hanno rappresentato e continuano a rappresentare una fascia di popolazione tra le più colpite da severe complicanze da Covid-19, dall’altro lasciano intendere possibilità terapeutiche che danno speranza.

                                                                                                                                                                                                                              Federica Tinè

 

Bibliografia:

  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32345579/

“Clinical characteristics and outcomes of patients with severe covid-19 with diabetes”

  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32369736/

“Association of Blood Glucose Control and Outcomes in Patients with COVID-19 and Pre-existing Type 2 Diabetes”

  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33062712/

Clinical Features of COVID-19 Patients with Diabetes and Secondary Hyperglycemia”

  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32413342/

COVID-19 in diabetic patients: Related risks and specifics of management”

  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33051976/

“Relationship between obesity and severe COVID-19 outcomes in patients with type 2 diabetes: results from the CORONADO study”

 

 

 

 

Troppo pigri? Dormire bene ci protegge

“Chi dorme non piglia pesci” recita un noto proverbio, eppure dormire è importantissimo per il nostro benessere fisico e mentale.

Le conseguenze della carenza di sonno sulla salute sono note da tempo e riguardano molteplici aspetti. Secondo alcuni studi dormire poco aumenterebbe il rischio di avere incidenti stradali, ridurrebbe la memoria e la capacità di concentrazione ed avrebbe anche ripercussioni comportamentali. Nello specifico, facendo dei confronti tra due gruppi di persone che dormivano rispettivamente sei ore e mezza e sette ore e mezza, nei secondi si avrebbe una riduzione dei processi infiammatori, dell’attivazione del sistema immunitario e dello stress.

Ma questo non sembrerebbe tutto, infatti, un riposo continuativo e della giusta durata ridurrebbe il rischio cardiovascolare e il rischio di andare in contro ad obesità ed alle relative conseguenze.

Una bella dormita aiuterebbe a regolare la produzione nel midollo osseo delle cellule infiammatorie e si occuperebbe anche di preservare la salute dei vasi sanguigni. Al contrario, l’interruzione del sonno bloccherebbe questi meccanismi portando a più infiammazioni e un aumento delle malattie cardiache.

I ricercatori del Massachusetts General Hospital (MGH) hanno confermato un aumento del rischio di infarto cardiaco e dello sviluppo di aterosclerosi (patologia caratterizzata dalla deposizione di colesterolo a livello delle pareti vasali con conseguente infiammazione della stessa e possibile occlusione del vaso) in soggetti con disturbi del sonno, scoprendo il pathway attraverso cui quest’ultimo ci proteggerebbe. A fare da protagonista sarebbe l’ipocretina, un importante neurotrasmettitore noto per correlare con la veglia, che controlla anche la produzione di CSF1, un fattore stimolante la produzione di monociti, importanti effettori del sistema immunitario e in condizioni particolari, parte attiva dei processi aterosclerotici. Quello che Swirski ed il suo team hanno visto è che i topi che presentavano una frammentazione del sonno, avevano una carenza di ipocretina ed una maggiore espressione di CSF1 con conseguente monocitosi (aumento dei monociti in circolo) presentando anche delle lesioni aterosclerotiche molto più grandi rispetto ai topi di controllo con un sonno regolare (vedi Figura 1). Se questo studio venisse confermato sull’uomo, l’ipocretina potrebbe addirittura essere utilizzata a scopo terapeutico.

Figura 1

I disturbi del sonno hanno un impatto negativo anche sulle scelte alimentari, sulla fame e sull’appetito, comportando conseguenze metaboliche deleterie, che se sopraggiungono in giovane età rischiano di essere portate agli estremi patologici nella vita adulta.

Normalmente è facile associare l’obesità all’idea di sedentarietà e se questo è vero, è anche vero che dormire poco, ma soprattutto dormire male, è uno dei nuovi fattori di rischio individuati per l’obesità. Milioni di persone nel mondo soffrono di insonnia o comunque non ottengono un riposo soddisfacente. Abitudini queste, che predispongono il soggetto ad una serie di patologie metaboliche a causa di un “disallineamento circadiano”. Per ritmo circadiano sonno-veglia “normale” si intende l’alternarsi di fasi diurne (luce) in cui si è svegli e fasi notturne (buio) in cui si dorme.Molti sono i motivi riconducibili a questo disallineamento di cui parlano gli americani McHill e Wright, come ad esempio l’avvento delle nuove tecnologie che permette di lavorare anche al di fuori degli orari diurni soliti, o disturbi ambientali, come rumore e temperatura.

A prescindere dall’eziologia, ciò che hanno riscontrato è che la media di ore di sonno notturne è intorno alle sei ore, quando se ne consigliano almeno sette. Eppure è spontaneo pensare che, essendo la veglia il momento più facile della giornata per consumare energie, dormire poco dovrebbe favorire la magrezza; ma così non è. L’organismo, per sostenere una corretta vigilanza e garantire prestazioni costanti durante la giornata, compenserebbe facendo aumentare l’assunzione di cibo; ed è proprio l’apporto calorico in positivo, oltre le quantità realmente necessarie, a favorire l’accumulo di massa grassa. Dati di laboratorio segnalano un riarrangiamento degli ormoni in circolo correlati rispettivamente con la fame e con la sazietà. In particolar modo si avrebbe un aumento dei primi ed una riduzione dei secondi.

E ancora alla Risonanza magnetica encefalica, un’indagine strumentale che mostra l’attività cerebrale a seconda degli stimoli in tempo reale, si è riscontrato un aumento dell’attivazione delle aree del cervello che controllano la fame.

Ma come si correla tutto questo con il rischio di andare incontro al diabete?

Come si legge nello studio di Spiegel e colleghi, pubblicato su Lancet, soggetti che dormivano 4 ore a notte per una settimana, hanno mostrato una riduzione della sensibilità all’insulina (ormone che favorisce la riduzione del glucosio in circolo, permettendone l’utilizzo da parte delle cellule dell’organismo) che non riuscirebbe più a mantenere la glicemia nei range normali, con il raggiungimento di valori molto simili a quelli dei soggetti con diabete conclamato.

Sicuramente sonno insufficiente e disallineamento circadiano sono dei nuovi fattori di rischio per l’obesità che devono essere attenzionati soprattutto nei soggetti già predisposti.

Simili studi devono essere ulteriormente sviluppati, in particolar modo per valutare come questi possano essere intrecciati con altri fattori come dieta ed attività fisica, e quali siano i meccanismi per la disregolazione metabolica. Nel frattempo…cosa ci fate ancora svegli? Correte a dormire!

Claudia Di Mento

 

Bibliografia:

https://www.nature.com/articles/s41586-019-0948-2

https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1111/obr.12503

https://www.physiology.org/doi/full/10.1152/japplphysiol.00660.2005

https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(99)01376-8/fulltext

Il “peso” del DNA nell’obesità

L’obesità è uno dei problemi più rilevanti del mondo occidentale, attribuibile allo stile di vita e non solo.

Basti pensare che in Italia, nel 2015, il 35% della popolazione è in sovrappeso, mentre il 9,8% è obesa. Si tratta di un fenomeno in continua crescita, che non risparmia nessuna fascia di età. I motivi sono vari, ma una scorretta dieta e una vita sedentaria sono i più importanti.

Sono soltanto fattori modificabili a favorire lo sviluppo di sovrappeso e obesità? In realtà altri protagonisti concorrono allo sviluppo di queste condizioni, anche se in passato veniva dato loro un ruolo marginale.

Si è visto, infatti, che molti geni regolano il metabolismo del tessuto adiposo e un corretto controllo del peso corporeo, tra cui FTO e IRX3.

Milioni di mutazioni possono influenzare in diversa misura l’obesità: può bastare soltanto un gene mutato ed è il caso di MC4R, ovvero il recettore della melanocortina. Un suo deficit potrebbe correlare con un’obesità monogenica, cioè dovuta alla mutazione di un solo gene.

Si tratta però di una patologia rara, e più comunemente l’obesità è causata dall’interazione di più geni e l’ambiente (fondamentalmente lo stile di vita).

Ma se i geni hanno un ruolo così importante, è possibile prevedere se un bambino diventerà obeso?

Uno studio pubblicato sulla rivista Cell, condotto dai ricercatori del Broad Institute del Massachusetts Institute of Technology e dell’ Università di Harvard, ha cercato di dimostrare proprio questo, studiando circa 2.1 milioni di variazioni poligeniche in più di 300.000 individui.

I dati sono stati ricavati dal più grande studio sull’obesità, pubblicato nel 2015 sulla rivista Nature. I soggetti sono stati stratificati in base al loro BMI (Body Mass Index) assegnando un punteggio definito GPS (Genome-wide Polygenic Score) che raggruppa tutti i possibili fattori di rischio ereditabili.

Lo score si basa sulla frequenza di determinate mutazioni genetiche: più sono presenti più il GPS aumenta, correlandosi ad un maggiore BMI.

Relazione tra GPS e BMI medio (A), peso espresso in kg (B), percentuale di obesità grave (C)

Si tratterebbe, quindi, di un vero e proprio test in grado di predire, già alla nascita, il rischio di diventare obesi.

Il Polygenic Score è direttamente collegato alla probabilità di sviluppare un’obesità grave (BMI>40).

Nonostante diversi valori nel GPS non correlino con significative differenze di peso nei primi mesi di vita, queste vengono a palesarsi durante l’infanzia. Infatti, ragazzi con un punteggio molto alto pesano mediamente 12 kg in più rispetto ad un soggetto con GPS basso.

Differenze nel peso in base all’età e rischio correlato.

È stato dimostrato anche che, soggetti con Polygenic Score elevato hanno una probabilità di diventare obesi molto simile a soggetti con mutazione del recettore della Melanocortina.

Se si parla di obesità, però, dobbiamo parlare anche di tutto ciò che circonda questa patologia. Infatti, sovrappeso e soprattutto obesità sono un fattore di rischio per numerose affezioni, tra cui eventi cardiovascolari e ipertensione arteriosa, insulinoresistenza e diabete, alterazioni nel metabolismo dei lipidi… che se presenti contemporaneamente caratterizzano quella che viene definita come sindrome metabolica.

Dato che questo test può predire la possibilità di diventare obesi, indirettamente potrebbe predire anche il rischio cardiometabolico e la mortalità. Infatti, un alto GPS è associato ad un rischio elevsdi sviluppare diabete mellito, patologie coronariche e scompenso cardiaco. La mortalità aumenta del 19%.

La grande novità dello studio sta nella possibilità di individuare precocemente soggetti con numerosi fattori di rischio ed optare per scelte terapeutiche mirate.

Nonostante si tratti di un test molto affidabile, è possibile che alcuni soggetti con uno score elevato abbiano un BMI ottimale. Come si spiega?

Ciò è causato da una proprietà dei geni in questione, ovvero la penetranza incompleta. Nonostante la presenza di più mutazioni, queste rimangono silenti e il soggetto, quindi, non manifesterà alcuna patologia.

Abbiamo ammesso, dunque, l’importanza che hanno dei fattori intrinseci come i geni nello sviluppo di obesità e sovrappeso; ma questo non deve di certo escludere una vita sana e una prevenzione adeguata nei soggetti a rischio. Infatti, adottando una dieta corretta e svolgendo una regolare attività fisica, è possibile tenere il rischio cardiometabolico pari a quello di un soggetto con un GPS basso.

Carlo Giuffrida

 

 

Bibliografia:

Polygenic Prediction of Weight and Obesity Trajectories from Birth to Adulthood. Khera et al., 2019, Cell.

https://doi.org/10.1016/j.cell.2019.03.028

Genetic studies of body mass index yield new insights for obesity biology. Locke et al., 2015 , Nature.

https://www.nature.com/articles/nature14177

Un semplice oggetto per passare gli esami

Schermata 2016-05-04 alle 13.12.38E’ giunto, dopo le varie scampagnate di pasquetta, festa della liberazione e dei lavoratori, è arrivato il momento di ritornare sui libri per cercare di superare al meglio gli esami. Ed è quindi arrivato il momento dei mal di schiena, dello stress dovuto alla lettura e dell’eccessivo nervosismo causato dal caffè, red-bull… e caffè mischiato con red-bull.

Ma se vi dicessi che esiste un oggetto che vi aiuterà non solo ad accelerare i ritmi dello studio, ma anche a ridurre tutti i problemi citati sopra? L’oggetto in questione è una semplice scrivania, già proprio così, ovviamente diversa da quelle tradizionali, poiché è una standing-desk, o se vogliamo tradurla in italiano, una scrivania rialzata.

Questa invenzione non poteva che essere principalmente usata dal popolo dei più famosi produttori di scrivanie, ossia gli svedesi (in primis), seguiti dai norvegesi e finlandesi.Come si è accennato precedentemente, questa scrivania permette di studiare in piedi, prevenendo dolori fisici ed eventuali rischi dovuti alla sedentarietà (come l’obesità o il diabete) e diminuendo lo stress e la fatica durante lo studio.

Inoltre, a differenza d
i quelle usuali, questa scrivania è portatile e non molto ingombrante, perciò può essere posizionata secondo le proprie preferenze.

Schermata 2016-05-04 alle 13.18.35Ma quanto costa una standing-desk ? (lo scrivo in inglese perché fa più figo). Beh come tutte le cose bisog
na  dare uno sguardo al rapporto qualità prezzo; infatti quelle migliori possono costare fino a 400 €, mentre quelle più economiche anche 25/30 € (ma ci sarà senza dubbio un motivo no?).C’è da notare però che il cambiamento che si effettua dalla posizione seduta e quella alzata, deve essere graduale, infatti proprio come afferma Josephine Chau, responsabile dello studio riguardo l’utilizzo della standig-desk, effettuato insieme ai ricercatori dell’Università di Sydney : “E’ come iniziare un nuovo programma di esercizi, il corpo si deve abituare, non si va dal correre zero chilometri a 42 chilometri da un giorno all’altro”.

Comunque vorrei farvi notare che già precedentemente personaggi illustri come Winston Churchill, Leonardo Da Vinci e Thomas Jefferson, utilizzavano scrivanie simili alla standing-desk “scandinava”, quindi perché non alzarsi in piedi e provare, male che vada diventi come loro.

Riccardo Figliozzi