Intervista a Marco Bellocchio: maestro del cinema italiano moderno

Dagli studi al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, alla sua attenzione sul vasto promontorio
della narratività intermediale. È una lunga storia quella del regista italiano Marco Bellocchio che lo scorso 7 dicembre ‘23 ha ricevuto, nell’Aula Magna del Rettorato dell’Università degli Studi di Messina, il Dottorato Honoris Causa in Scienze Cognitive, curriculum “Teorie e tecnologie sociali, territoriali, dei media e delle arti performative”. Durante la cerimonia, la laudatio tenuta dal professore di Storia del cinema, Federico Vitella, si è rivelata un ottimo modo per ripercorrere nel dettaglio la lunga ed affascinante carriera del regista:

“Abbiamo l’onore di consegnare il dottorato al più grande regista italiano vivente. Esponente del nuovo cinema italiano degli anni Sessanta ha saputo rinnovare l’arte cinematografica, svecchiandone la narrazione e spalancando le porte al cinema moderno”.

Sono state queste alcune delle parole pronunciate dal professore nel presentare minuziosamente la figura di Bellocchio. Difatti, per quanto il cinema moderno abbia provato a sottrarsi alla narratività, l’ha solamente resa più multiforme, ramificata e complessa. E la filmografia di Marco Bellocchio ne è la prova. Proprio lui che nel corso della sua carriera si è spesso trovato a fare i conti con la letteratura, in particolar modo con quella del ‘900, è stato capace di coniugare organicamente, nella sua cinematografia, i due modi del racconto scritturale: il mostrare e il raccontare. Un vero e proprio rinnovatore della forma, proprio come i suoi maestri. E noi di UniVersoMe non potevamo farci scappare l’occasione di conoscere un po’ più da vicino uno dei più grandi autori della storia del cinema italiano!

Bellocchio
Domenico Leonello intervista il regista italiano Marco Bellocchio. @ Ilaria Denaro


Dott. Marco Bellocchio, durante la sua Lectio Doctoralis ha citato autori che, come lei, hanno fatto la
storia del cinema. Ha parlato di espressionismo tedesco, di realismo francese. Ma da quale corrente cinematografica o, meglio, da quale autore lei sente di aver appreso di più?

È passato molto tempo. Io parlo della mia formazione. A quei tempi l’espressionismo tedesco o il grande
cinema sovietico avevano dei risultati straordinari. Naturalmente da quel momento ad oggi sono passati dei
grandissimi maestri. Si pensi ad Antonioni, a Fellini, a Rossellini o a Ferreri. Tutti grandi registi italiani che mi hanno condizionato. Si pensi anche al rapporto con Bernardo Bertolucci. Insomma, una lunga storia!

Immagino anche i principali autori della Nouvelle Vague: Godard e Truffaut. Come ricordava il professore di Storia del cinema, Federico Vitella, sono stati loro i primi a “tagliare i ponti” con il “cinéma de papa”, il “cinema di papà”.

La Nouvelle Vague è stata molto importante. Erano gli anni in cui io frequentavo il Centro Sperimentale di
Cinematografia di Roma. E loro, Godard, Truffaut, Chabrol e René, erano i grandi rinnovatori della forma!
In questo senso si, anche questi maestri sono stati sicuramente preziosi, utili, nel mio lavoro.

Nella sua laudatio, il professore di Storia del cinema, Federico Vitella, ha ricordato il modo in cui lei si è destreggiato nel mondo dell’intermedialità, della transmedialità e della virtualità. Restando, dunque, sempre nel campo delle “narrazioni espanse”, qual è la sua opinione sugli adattamenti cinematografici?

Sicuramente tutto quello che lei ha citato entra nel cinema e chiunque faccia cinema ne può essere
arricchito. Noi oggi usiamo tutte queste nuove tecniche che, in fondo, entrano naturalmente nella nostra
immaginazione e, di conseguenza, finiamo per ritrovarle anche nelle risposte che noi stessi diamo. In
passato, ad esempio, quando ho iniziato, non esisteva il discorso sul repertorio. Adesso invece i vari tipi di
immagini possono combinarsi, possono fondersi, e diventare un racconto del tutto nuovo.

Cosa consiglia ai giovani che desiderano intraprendere la sua stessa carriera o, comunque, entrare nel fantastico mondo del cinema?

(Sorride) Non so! È impossibile dare una risposta. Potrei farlo con qualcuno che conosco, di cui ho visto
qualcosa. Ma così, genericamente, io non posso dare una risposta poiché sarebbe del tutto superficiale.


Domenico Leonello

Caporedattore UniVersoMe


*Articolo pubblicato il 21/12/2023 sull’inserto Noi Magazine di Gazzetta del Sud

Ricordando Godard: il regista che ha influenzato Tarantino

Critico, cineasta e agitatore politico. È così che ricordiamo Jean-Luc Godard morto all’età di 91 anni, in Svizzera, facendo ricorso al suicidio assistito.

Non era malato, era soltanto esausto. (Da una fonte vicina al regista citata da Libération)

Nato a Parigi il 3 dicembre 1930, è stato tra i più significativi autori cinematografici della seconda metà del Novecento. Esponente di rilievo della Nouvelle Vague, dal suo primo lungometraggio, À bout de souffle (Fino all’ultimo respiro), è diventato un punto di riferimento per molti registi statunitensi della New Hollywood e, più recentemente, per autori come Quentin Tarantino. In particolare, sono stati due i film di Godard che hanno influenzato il regista nella realizzazione del suo cult, Pulp Fiction: Vivre sa vie e Bande à part. Quest’ultimo, una vera e propria esperienza cinefila, ha inoltre ispirato il regista statunitense nel dare il nome alla sua casa di produzione: A Band Apart.

Non va dimenticato nemmeno l’amore sconfinato e l’ammirazione che Bernardo Bertolucci provava nei confronti di Godard. La splendida sequenza del film sopracitato Bande à part girata al Louvre, dove tre ragazzi corrono come forsennati lungo gli immensi spazi del museo verrà ripresa molti anni dopo dal regista italiano nel suo film The Dreamers – I sognatori, dove i protagonisti Eva Green, Louis Garrel e Michael Pitt ripetono la corsa proprio al Louvre identificandosi in Franz, Arthur e Odile, tre giovani spensierati che girano per Parigi con una vecchia SIMCA decappottabile e passano le giornate tra un corso d’inglese e un bistrot dove bere qualcosa e fantasticare sul loro futuro.

E Godard, che girava due o tre film all’anno, era l’autore che ci rappresentava meglio, con la sua severità un po’ calvinista e la sua capacità di tenere il mondo e quel che scorreva intorno nell’incavo delle sue mani. (Il regista italiano Bernardo Bertolucci)

Da grande critico a grande regista

Ma prima di diventare il cineasta che oggi tutti conoscono, Godard fu un grande critico. Risale al 1950 il suo primo articolo sulla Gazette du Cinéma, intitolato Joseph Mankiewicz, a cui seguiranno molte recensioni. La più impegnata è quella su L’altro uomo di Alfred Hitchcock pubblicata per Cahiers du cinéma.

Solo dopo aver abbandonato l’attività di critico cinematografico e dopo una serie di cortometraggi, arriva il suo primo lungometraggio À bout de souffle (Fino all’ultimo respiro): che diverrà il vessillo della Nouvelle Vague francese. Il film, che è stato girato in sole quattro settimane e con un budget limitato, ottiene il premio Jean Vigo e dà inizio al primo periodo della filmografia godardiana. All’interno di questa sua prima opera sono già presenti quelle “trasgressioni” ai modelli narrativi tradizionali che la Nouvelle Vague utilizzerà per distanziarsi dal cosiddetto “cinema di papà” che per oltre sessant’anni anni Godard attaccò prima come critico e poi come regista: montaggio sconnesso, attori che si rivolgono direttamente al pubblico, sguardi in macchina. Evidente risulta anche la cinefilia di Godard, che cita ossessivamente i film statunitensi di genere degli anni Cinquanta.

Il cinema copia la vita. Sai cosa diceva Jean Renoir? Bisognerebbe dare onorificenze alla gente che fa i plagi.” (Godard durante un’intervista)

 Adieu Godard!

Il regista appartiene anche alla storia della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia dov’è stato più volte premiato. In particolare, nel 1982, ottenendo il Leone d’oro alla carriera. E nel 1983, quando la Giuria internazionale presieduta da Bernardo Bertolucci ha premiato col Leone d’oro il suo Prénom Carmen.

Oggi anche il presidente francese, Emmanuel Macron, ha espresso il suo rammarico per la morte del regista tramite un tweet:

Nel cinema francese, fu come un’apparizione. Poi, ne divenne un maestro. Jean-Luc Godard, il più iconoclasta fra i registi della Nouvelle Vague, aveva inventato un’arte assolutamente moderna, intensamente libera. Perdiamo un tesoro nazionale, uno sguardo da genio.

Addio a Jean-Luc Godard. Per molti un maestro ma anche un padre, un amico, un confidente, un amante, un guardiano dell’anima e del pensiero. Uno dei più grandi rivoluzionari della storia del cinema. Addio, addio e grazie di tutto. Grazie per averci insegnato a vedere il cinema nella realtà!

Ora ho delle idee sulla realtà, mentre quando ho cominciato avevo delle idee sul cinema. Prima vedevo la realtà attraverso il cinema, e oggi vedo il cinema nella realtà. (Da un’intervista del 1964)

Domenico Leonello