Nord Stream: gas in mare e danni all’ambiente

Il caso Nord Stream ha avuto un forte impatto a livello mediatico, principalmente a causa delle implicazioni politiche dell’evento. Vi è, però, un altro aspetto importante da analizzare, relativo alle conseguenze ambientali. L’accaduto si inserisce, infatti, in un quadro ben più grande che è quello della già critica situazione climatica attuale.

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Nord Stream: di cosa si tratta

I gasdotti Nord Stream sono condutture che partono dalla Russia attraversando il Mar Baltico per oltre 1200 chilometri per poi giungere in Germania. Possono trasportare fino a 110 miliardi di metri cubi di gas, sufficienti ad alimentare 26 milioni di case.
Tra il 25 e il 26 settembre di quest’anno i sismologi danesi e svedesi hanno registrato due forti esplosioni in mare nei pressi dell’isola di Bornholm. La prima alle 2:03 di notte con magnitudo 1.9, la seconda di 2.3 alle 19:04. Le cause della perdita sono ancora da discutere, nonostante circolino varie speculazioni sull’evento, che si interseca nel complesso panorama politico mondiale.
Nei giorni successivi sono circolate numerose immagini del gas che ribolliva sotto la superficie marina.
In totale sono state ben quattro le perdite rilevate, di cui due hanno interessato il Nord Stream 2 e il Nord Stream 1. Nessuno dei due gasdotti era operativo, ma entrambi contenevano gas pressurizzato. Nel Nord Stream 2, in particolare, scorrevano al momento delle perdite 177 milioni di metri cubi di gas naturale.
Gli strumenti di monitoraggio hanno identificato, già dai primi giorni, enormi nubi di metano in movimento verso la Svezia e la Norvegia.

Fonte: https://www.google.com

Il problema della manutenzione

Gli incidenti ai gasdotti Nord Stream hanno portato in primo piano il tema della difesa delle infrastrutture critiche.
Quelle sottomarine, infatti, possono essere particolarmente vulnerabili ai danneggiamenti, sia per cause naturali che per attacchi fisici.
Hans Tino Hansen, amministratore delegato di Risk Intelligence, sostiene che per proteggere le infrastrutture sottomarine è necessario creare sistemi capaci di rilevare automaticamente i guasti e i problemi delle apparecchiature. Inoltre, è fondamentale assicurarsi che ci siano strumenti, come i droni subacquei, in grado di raggiungere i siti per ispezionarli nel caso di danni.
Anche l’italiano Paolo Cristofanelli, ricercatore presso il Cnr-Isac concorda, sostenendo che “I processi di estrazione e distribuzione del metano rappresentano una delle sorgenti più rilevanti di emissione e le perdite di questo gas richiedono determinate attenzioni, perché hanno un effetto significativo sul peggioramento dell’effetto serra. Episodi come questo evidenziano l’importanza di poter contare su strumenti di monitoraggio validi”.

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Danno ambientale

Gli scienziati stanno ancora discutendo quali saranno i danni provocati all’ambiente dalle perdite Nord Stream. In particolare,emergono pareri contrastanti riguardo la gravità che l’evento avrà sull’atmosfera e sui cambiamenti climatici .
Joe von Fischer, esperto di biogeochimica dell‘Università del Colorado, spiega come “Quando il metano è rilasciato nella parte inferiore di un bacino molto profondo, viene quasi completamente ossidato dai batteri metanotrofici (che si nutrono, cioè, di metano) presenti nella colonna d’acqua”. Potrebbe, quindi, degradarsi in parte prima di arrivare in atmosfera, lasciando dietro di sé “solo” CO2, molto inquinante, ma meno potente come gas serra.
La quantità può, però, fare la differenza. Secondo Grant Allen, scienziato ambientale dell’Università di Manchester, le perdite potrebbero essere così ingenti e la colonna di gas in acqua così pura e violenta da rendere difficile ai batteri una qualunque azione mitigatrice.

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Le emissioni aumentano

Le stime del Nilu (Norwegian Institute for Air Research) presumono una perdita dai gasdotti Nord Stream variabile tra 40000 a 80000 tonnellate. Se fossero confermate si tratterebbe di circa l’1% di ciò che emette annualmente l’Europa in attività di produzione e uso di combustibili fossili.
Tale dato mette in luce che ogni giorno il nostro continente disperde nell’ambiente circa un terzo di quanto perso dai gasdotti in questo periodo. Si tratta di stime rilevanti che aprono una riflessione più ampia sul tema.
Ogni anno le emissioni aumentano, raggiungendo nuovi record. Nel 2021 vi è stato il picco massimo di 1910.8 ppb, mai avuto prima d’ora.
Secondo le stime della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), il metano oggi è due volte più abbondante in atmosfera rispetto a prima della Rivoluzione Industriale.
A destare preoccupazione, tuttavia, è il ritmo di crescita: tra il 2020 e il 2021, infatti, sono stati registrati aumenti annuali rispettivamente di 15,27 e 16,99 ppb, mai così alti dall’inizio delle misurazioni.
Ciò non riguarda “solo” il riscaldamento globale. Il metano è un potente inquinante atmosferico che incide sulle morti premature, sulle visite ospedaliere legate all’asma e sulle perdite nei raccolti.
A seguito di tali considerazioni viene quasi da chiedersi quale sia il costo della normalità. Le perdite ai gasdotti sono sì ingenti, ma a preoccupare è la situazione generale. Il problema è posto proprio davanti al nostro sguardo con dati che sembrano urlarci quanto la situazione sia drammatica.
Chi ascolta queste grida?

Alessia Sturniolo

Bibliografia

Guerra in Ucraina: Nato intransigente sulle annessioni della Russia e le minacce nucleari di Putin

Il conflitto Russia-Ucraina iniziato 7 mesi fa con l’invasione russa del territorio ucraino non intravede al momento una fine, bensì una coltre densa di minacce nucleari e incessanti attacchi incombono sul Paese che continua la sua controffensiva nel nord-est, cercando di riprendersi altri territori occupati dalla Russia. Quest’ultima venerdì scorso ha annunciato l’annessione tramite referendum di quattro regioni ucraine, gesto che la comunità internazionale non ha esitato nel definire illegittimo e assurdo.

Ciononostante, nelle ultime 48 ore le forze ucraine hanno guadagnato terreno significativo nel nord-est dell’Ucraina, intorno a Lyman, e nella regione di Kherson, a sud. Questo significa che la Russia non ha più il pieno controllo di nessuna delle quattro regioni dell’Ucraina che affermava di aver annesso la scorsa settimana.

Referendum annessione. Fonte: Euronews

La condanna dei “referendum farsa”

Lunedì 3 ottobre il Parlamento russo, la Duma, ha ratificato l’annessione delle quattro regioni dell’Ucraina nelle quali si sono svolti quelli che la comunità internazionale ha definito ”referendum farsa”. Lo ha annunciato il presidente della camera bassa del Parlamento russo Vyacheslav Volodin. Le regioni in questione sono Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia, che insieme rappresentano circa il 18 per cento del totale del territorio ucraino.

Di fronte ad un simile risvolto, i capi di Stato di nove Paesi europei membri della Nato (Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Macedonia del Nord, Montenegro, Polonia, Romania e Slovacchia) hanno fermamente sostenuto che non riconosceranno l’assorbimento delle quattro regioni da parte della Russia. Nella stessa dichiarazione congiunta sostengono poi il percorso verso l’adesione dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica e invitano tutti i 30 Paesi membri a intensificare gli aiuti militari a Kiev, esprimendo così piena solidarietà all’Ucraina:

“Ribadiamo il nostro sostegno alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina e non riconosciamo e non riconosceremo mai i tentativi della Russia di annettere il territorio ucraino”, si legge nella nota congiunta.

Il segretario generale NATO, Stoltenberg. Fonte: Agenzia Nova

A chiarire ulteriormente le posizioni intransigenti della Nato le parole del segretario generale, Jens Stoltenberg, durante una conferenza a Bruxelles:

“Le regioni di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia sono ucraine, così come lo è la Crimea”, ha detto.

“Putin è il principale responsabile di questa guerra e il principale attore che deve fermare il conflitto. Se la Russia fermerà il conflitto, ci sarà la pace, se l’Ucraina si arrenderà, smetterà di esistere come una nazione indipendente”, sottolineando che “la Nato non è in guerra con la Russia, il nostro obiettivo adesso è continuare a sostenere l’Ucraina in ogni modo, per metterla in condizione di difendersi dall’aggressione della Russia”.

Putin minaccia sul nucleare

“Il popolo ha fatto una scelta netta. Ora i loro abitanti diventano nostri cittadini per sempre”, ha esordito Putin al termine dei referendum. Il non riconoscimento del risultato dei referendum, e delle conseguenti annessione, da parte della comunità internazionale potrebbe aumentare il rischio di utilizzo di armi nucleari: quella del presidente Putin è infatti una retorica tanto ripetitiva quanto pericolosa e imprudente. Un qualsiasi uso di armi nucleari avrebbe conseguenze gravi per la Russia e cambierebbe la natura del conflitto, come fatto esplicitamente sapere dal segretario generale della Nato Stoltenberg, nel corso di un’intervista al programma “Meet the press” su Nbc.

Il messaggio che la Nato e gli Alleati della Nato mandano alla Russia è atto a far capire che, nonostante l’organizzazione non faccia parte del conflitto, una guerra nucleare non può essere vinta e mai deve essere combattuta; anche perché l’Ucraina – in quanto nazione indipendente e sovrana in Europa – ha pienamente diritto di difendersi da un’aggressione di guerra. Pertanto, sarebbe impensabile assecondare le minacce di Vladimir Putin sull’impiego di testate atomiche tattiche per proteggere i nuovi confini autoproclamati per mezzo di annessioni stabilite a tavolino.

Numeri da paura nei bilanci di vittime

Dopo aver riconquistato nel fine settimana Lyman, città chiave dell’Ucraina orientale, le forze ucraine hanno continuato la loro controffensiva spingendosi fino alla regione di Luhansk.
Divisioni russe nella regione settentrionale di Kherson e sul fronte di Lyman erano in gran parte composti da unità che erano state considerate tra le principali forze di combattimento convenzionali della Russia prima della guerra, come riportato in precedenza dall’Istituto per lo studio della guerra. Dunque, il fatto che l’esercito russo abbia riconosciuto che le forze di Kiev hanno sfondato le linee di difesa nella regione di Kherson rappresenta la loro più grande svolta nella regione dall’inizio della guerra. Una mappa del Financial Times evidenzia i progressi delle truppe ucraine.

Ma qualche recente successo delle truppe ucraine non basta per chiudere un occhio su un bilancio di vittime, feriti e sfollati che continua a crescere di settimana in settimana: dal 24 febbraio si contavano già ad agosto almeno 5 mila civili uccisi, di cui più di 300 minori e circa 6,6 milioni di rifugiati.

Strage di civili. Fonte: Il Mattino

Sarà un inverno difficile per l’Europa

Lunedì, una settimana dopo le esplosioni e la rottura del gasdotto Nord Stream nel Mar Baltico (causate da almeno due esplosioni con centinaia di chili di esplosivo, secondo i governi di Danimarca e Svezia), la guardia costiera svedese ha dichiarato che la fuoriuscita di gas dal Nord Stream 1 si è interrotta, mentre il gas continua a fuoriuscire in parte dal Nord Stream 2, con il metano che sale in superficie. La multinazionale russa Gazprom ha tuttavia affermato che i flussi di gas potrebbero essere presto ripresi nel filone B del gasdotto Nord Stream 2.

Sabotaggio gasdotto NordStream. Fonte: TGCom24

Ma non basta chiudere una voragine per risolverne un’altra altrettanto seria: secondo David Petraeus, ex direttore della CIA, l’Europa avrà un inverno difficile perché ci saranno pochissimi flussi di gas naturale. Ma ciononostante lo supererà, anche perché il generale statunitense non crede che sulle questioni del sostegno all’Ucraina si creerà una divisione tale da causare scontri interni: la coesione europea è cruciale più che mai.
Intanto Zelensky ha affermato che eventuali negoziati ci saranno solamente in una fase finale, mentre un imminente risultato diplomatico è alquanto improbabile, dal momento che lo stesso presidente ha comunicato venerdì che l’Ucraina avrebbe accettato colloqui di pace solo “con un altro presidente della Russia“. E per ora Putin, nonostante le recenti proteste contro la mobilitazione, risulta essere ben saldo al potere.

Verso la cronicizzazione del conflitto

Il conflitto in Ucraina è solo la punta dell’iceberg in un mare più ampio in cui Stati Uniti e Russia si confrontano per ragioni strategiche vitali: per Washington si tratta di mantenere l’Europa nella sua sfera di influenza a tutti i costi, usando la crisi per recidere quanti più legami economici possibili tra i paesi dell’UE e il suo rivale russo; nel caso di Mosca, i combattimenti alle sue porte si stanno estendendo sempre più verso est da quando, da oltre vent’anni, la NATO minaccia in un modo o nell’altro di inghiottire l’Ucraina.

Tutto ciò indica non la fine imminente del conflitto, bensì una sua cronicizzazione, probabilmente ben oltre il prossimo inverno del 2022-2023. E anche se la mediazione della Turchia potesse portare ad un ormai improbabile cessate il fuoco, si concretizzerebbe piuttosto, nella migliore delle ipotesi, in una fragile tregua, vale a dire senza la firma di una pace veramente duratura.

Gaia Cautela