Storie di donne messinesi che hanno fatto la Storia

Spesso quando si parla di personalità legate alla città dello Stretto si fa riferimento a figure maschili; oggi invece vi racconteremo di donne messinesi che hanno cambiato la Storia della nostra comunità.
Vi parleremo della misteriosa poetessa Nina da Messina, della rivoluzionaria Rosa Donato prima martire per la libertà, e delle due eroine che salvarono la città dall’assedio angioino, Dina e Clarenza.

Nina da Messina

La prima poetessa in lingua volgare, Nina da Messina è un personaggio più leggendario che storico. 

Nina è stata considerata la poetessa della scuola siciliana sulle tracce delle Trobairitz – trovatrici della Provenza con l’arte di “poetare” – dallo spessore della Contessa de Dia e Na Lombarda. 

Nonostante ciò, sono davvero poche le informazioni biografiche pervenuteci su Nina, e molti più i misteri legati al suo nome e all’intera sua esistenza. 

Da alcuni conosciuta come Nina siciliana, per altri Nina da Messina, per altri ancora Monna Nina, porta ad interrogarsi se Nina fosse una donna dalle molteplici identità  o semplicemente una tra le poche donne fortunate, ad essere encomiata nei versi dei poeti fiorentini del tempo, al pari della Laura di Petrarca o della Beatrice di Dante. 

Così come tanto mistero si cela dietro il suo nome, al pari incerta è la sua provenienza. Contesa tra Messina e Palermo, l’unica certezza pervenutaci è l’essere stata la “donna-angelo” decantata dal poeta toscano Dante da Maiano. Si pensa fosse realmente innamorato di lei e della sua poesia tanto da farla passare alla storia come la “Nina del Dante”. 

A porsi in antitesi a questa affascinante storia di un amore stilnovista, uno studioso abruzzese della metà dell’800, Adolfo Borgognoni, il quale affermò, grazie ai suoi studi, si trattasse di una mera invenzione tipografica.

Ebbene bisogna precisare che il professore mise in dubbio anche l’esistenza dello stesso poeta Dante da Maiano. A smentire la sua tesi fu l’Accademia della Crusca, citando la nostra poetessa nei suoi archivi. 

Messina, mettendo da parte ogni dubbio sull’esistenza di Nina- poetessa in lingua volgare- e reclamando la sua appartenenza territoriale, le ha reso omaggio, intitolando una strada parallela tra il Viale della Libertà e la Via Garibaldi.

Nina da Messina
Nina da Messina – Fonte: sicilians.it

Dina e Clarenza

Il nostro racconto continua con le note eroine Dina e Clarenza, oggi a suonar le campane del Duomo di Messina, secoli fa a salvarla. Ecco perché celebriamo con sentimento tuttora queste due donne!
Il 30 marzo 1282 scoppiò a Palermo la rivolta dei “Vespri siciliani” contro i francesi, che ben presto raggiunse tutte le zone della Sicilia.

A luglio Carlo I d’Angiò decise di intervenire militarmente sulla città dello Stretto, convinto che, conquistata essa, avrebbe impugnato l’intera Isola. Ebbe così inizio lo storico assedio di Messina, terminato poi a settembre.

La notte dell’8 agosto accadde che in una parte delle mura, precisamente al colle della Caperrina, le donne presero il posto degli uomini, stremati dalla giornata di combattimento trascorsa. Due di esse, Dina e Clarenza, quando videro che i francesi avanzavano mirando ad attaccare nuovamente la Caperrina, si adoperarono per allertare i concittadini. Dina iniziò a rotolare massi per ostacolare l’avanzata dei nemici, Clarenza tempestivamente raggiunse la torre del Duomo e suonò le campane a stormo. I messinesi quindi si precipitarono sul colle e ricacciarono le truppe angioine. Alle due donne, dunque, venne riconosciuto il merito della salvezza della città.

La storia ci ha tramandato nient’altro che i nomi di queste due coraggiose donne; esse pero’ non sono state mai dimenticate nonostante il tempo, rappresentate in opere d’arte di diversa forma, ma soprattutto giornalmente vive nelle conversazioni ammirate dei turisti che visitano il centro città e assistono in Piazza Duomo allo spettacolo di mezzogiorno.

©Alice Buggè– Dina e Clarenza, particolare del Campanile del Duomo, Messina 2021

Rosa Donato

Quando parliamo di donne messinesi che si sono battute per la propria patria, non possiamo non citare anche Rosa Donato, umile donna che senza remore partecipò attivamente alla rivoluzione siciliana contro il regime borbonico.

Rosa Donato, nata nel 1808 a Messina, da giovanissima aveva assistito alla repressione borbonica, terminata con le fucilazioni dei “primi martiri della libertà”, del 1820-21. Poco dopo il matrimonio, rimasta vedova di Gaetano Donato, svolgeva lavori umili e aspirava a far cambiare politicamente le sorti della sua città. A tal proposito, Francesco Guardione ricordava che, pur non avendo nessuna cultura politica, nutriva “un sacro affetto verso la patria”.

Nel 1848, all’inizio della rivoluzione, scelse di arruolarsi con i patrioti messinesi per combattere la tirannia borbonica; si conquista il titolo di “artigliera del popolo” per essere riuscita a impossessarsi di un cannone dell’esercito borbonico, trasportato in piazza Duomo con l’aiuto di Antonio Lanzetta e utilizzato contro gli stessi soldati, costretti a retrocedere.

Nel mese di settembre dello stesso anno, Messina veniva messa a “ferro e a fuoco” dai soldati sbarcati nella zona sud e Rosa, fingendosi morta, durante la notte lasciò la sua città; raggiunse Palermo, dove la rivoluzione era ancora in atto, per continuare a combattere.

Nel maggio 1849, a Palermo, avvenne la riconquista borbonica. Rosa Donato, decise di tornare a Messina dove venne imprigionata per quindici mesi e interrata nei sotterranei della Cittadella. Uscita di prigione, viveva chiedendo l’elemosina ai soli studenti davanti l’Università, poiché in loro riponeva l’unica speranza per il futuro.

La sua dipartita avvenne l’8 novembre 1867; morì in povertà ma arricchì per sempre la memoria della sua città.

Rosa Donato – Fonte: ilsicilia.it

 

Marika Costantino, Corinne Marika Rianò, Elena Zappia

Fonti:

Dina e Clarenza

ilsicilia.it/nina-siciliana

nina-da-messina-da-trovatrice-a-cercatrice

cinque-grandi-donne-scritto-la-storia-messina

lescalinatedellarte.com

Rosa_Donato

 

 

… Messina ha rivestito un ruolo di primo piano nella storia della lingua italiana?

Nessuna tradizione linguistica europea ha dovuto fare i conti con un dibattito culturale appassionato come la questione della lingua che ha interessato la penisola italiana. La mancanza di un centro politico, che nella vicina Francia si è realizzato in tempi più rapidi consentendo al volgare d’oltralpe di acquisire precocemente una veste formale già nei Giuramenti di Strasburgo (842 d.C), in Italia ha continuato a farsi avvertire almeno fino alla grande svolta linguistica in direzione dell’italiano parlato impressa da Alessandro Manzoni.

E non è un caso che si faccia il nome di uno scrittore. La lingua italiana più di tutte ha un debito nei confronti della letteratura. Possiamo dire che lo sviluppo della lingua comune italiana ha ricalcato le impronte lasciate da quegli autori che hanno dato lustro alla storia letteraria, primo tra tutti, naturalmente, Dante. Ma nel De Vulgari Eloquentia, dovendo cercare un volgare unitario, “illustre”, tra quelli usati dalle varie parlate locali, l’Alighieri cita in primo luogo la scuola siciliana, nata nella magna curia di Federico II di Svevia.

Dante anzi arriva a dire, nel suo trattato latino, che tutto quello che in letteratura è stato fatto fino ad allora, si può chiamare siciliano. Nella corte del sovrano del Sacro Romano Impero, sorta intorno alla sede di Palermo nel XIII secolo, si distinsero alcuni autori messinesi. La loro importanza, non è esclusivamente di carattere artistico, perché non furono solo grandi poeti e codificatori di stilemi e forme metriche destinate a nutrire il Canzoniere di Francesco Petrarca, ma sono stati i primi a conferire piena dignità alla nuova lingua. Del giudice messinese Guido delle Colonne, pioniere della scuola siciliana, i manoscritti tramandano cinque canzoni, definite nel Del Vulgari raffinati esempi di stile. Il ricorso a metafore tratte dal mondo naturale ebbe influenza su altri letterati, tra cui Guido Guinizzelli. Di Stefano Protonotaro, nato a Messina, non si può non rilevare l’autorevolezza documentaria della canzone Pir meu cori alligrari: l’unico componimento della scuola siciliana integralmente conservato nella fonetica originale, quindi una delle più antiche testimonianze in assoluto di volgare italiano. Sono numerosi i nomi associati alla corte di Federico originari del messinese, ma menzione spetta a quello di Nina da Messina, conosciuta come la prima donna a poetare in volgare.

Ma quale doveva essere la lingua in una moltitudine di stati e staterelli come era l’Italia tra il Medioevo e l’età moderna? Le discussioni riguardo alle origini e alle caratteristiche della lingua italiana, anticipate dalla originale trattazione dello scritto dantesco, hanno avuto largo appeal soprattutto nel 1500. A mettere fine alle discordie e ad imporre un modello di riferimento che avrà vita lunga per molti secoli, fu Pietro Bembo. Sappiamo che Bembo, prima di pubblicare le Prose della Volgar Lingua (1525), dove veniva fissato una volta per tutte un canone dell’italiano in Petrarca e Boccaccio, trascorse due anni a Messina. Nel 1492 infatti si recò da Napoli nella città peloritana per studiare il greco alla scuola di Costantino Làscaris. All’epoca risale l’elaborazione dello scritto latino De Aetna dedicato alle impressioni ricavate dall’esplorazione del vulcano.

“ Decidemmo allora di andare a visitare l’Etna, e in tal modo, mentre ci saremmo presi un poco di distrazione, come dovevamo pur fare quantunque occupatissimi, avremmo conosciuto, anche godendo una vacanza, un così grande prodigio di natura. Quindi presi da alcuni simpatici compagni, che ci dovevano fare da guida, partimmo da Messina viaggiando a cavallo. A sinistra si vede subito comparire Reggio e la campagna Calabrese, al di là di un braccio di mare dapprima breve, poi via via più largo poiché dallo stretto si passa a poco a poco al mare aperto. Da dentro ci sovrasta una linea continua di colli, una zona tutta abbondantissima dei doni di Bacco”    (De Aetna, Pietro Bembo)

Il contributo di Messina alla questione della lingua non si esaurisce qui. Il dialetto messinese trova riscontro in alcuni documenti eccezionali. Al 1647 risale un galateo in latino maccheronico, il poemetto Cittadinus maccaronice metrificatus, di autore ignoto composto sotto lo pseudonimo di Partenio Zanclaio. Più avanti, nel ‘700, incontriamo il nome di Pippo Romeo, accademico dei Pericolanti, che ne I pregi dell’ignoranza difende il l’uso dialettale contro la “moda” del parlare italiano. È del secolo scorso un romanzo di mole mastodontica, l’Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, scrittore nato ad Alì Terme, la cui stesura richiese un travagliato lavoro durato all’incirca 20 anni. L’opera è uno dei più interessanti e complessi casi di postmoderno della letteratura italiana. La lingua usata dall’autore è un rebus inestricabile che fonda una lingua del tutto nuova e personalissima innestata su una base dialettale.

Eulalia Cambria

Si ringrazia il Prof. Fabio Ruggiano del DICAM per la gentilezza e i consigli. Ricordiamo, per chi avesse dei quesiti da sciogliere su questioni particolari legate all’uso della lingua italiana, che è attiva la piattaforma DICO dell’Università di Messina: http://www.dico.unime.it/