#NextGenerationMe: The Whistling Heads tra rock e punk

Altro giro, altra corsa, stavolta per il ciclo di #NextGenerationMe passano dai microfoni di UniVersoMe i The Whistling Heads. Figli artistici del Retronouveau, Giuseppe Arnao (batteria), Samuele Costa (basso), Santino Mondello (chitarra) e Alberto Zaccaro (voce e chitarra) hanno fatto uscire il loro primo album rock punk l’1 settembre scorso, Dull Boy, uscito per Disasters By Choice, ma la loro storia comincia più lontano.

The Whistling Heads: «Siamo nati nel 2020 presso le sale prove di Messina»

«I primi due membri – dice Alberto – siamo stati io e Santino. All’inizio avevamo un altro bassista, ma quando è andato via è entrato Samuele, io e lui ci conosciamo da quando siamo piccoli. Dopo un po’ è arrivato un batterista con cui abbiamo fatto il primo concerto, ma quando è andato via è arrivato Ziffo. (Giuseppe Arnao)»

Ma come si capisce di essere una band, di voler fare le cose sul serio? La risposta dei ragazzi è che, nel loro caso, è avvenuto tutto velocemente e per caso subito dopo aver incontrato l’attuale batterista. È da quel momento, infatti, che hanno cominciato a scrivere i brani che sono stati raccolti in Dull Boy (eccetto Peaceful Warning, scritta prima) e il 5 agosto 2021 hanno debuttato al Retronouveau.

“What if we believe in something
that is not true”
(Peaceful Warning)

La chitarra di Alberto Zaccaro ©Giulia Cavallaro

Teste che fischiano a Messina

Alla domanda sulle ragioni del loro nome, la risposta è inattesa: «All’inizio l’idea del fischio era relativo alle chitarre – dice Giuseppe – ma poi per caso si è creata una connotazione molto più specifica nel nome. The Whistling Heads, letteralmente “teste che fischiano”, si rifà all’insulto messinese testa che frisca”.»

È conflittuale, però, il rapporto della band con la loro città, a tal punto da scegliere di trarre forza da un insulto prettamente locale. Alla domanda “Messina è un terreno fertile?“, infatti, le risposte fanno emergere una certa aridità della città. L’unico porto salvo – per la band – è proprio il Retronouveau, in cui li abbiamo seguiti durante una sessione di prove in preparazione al tour che hanno fatto dal 16 al 19 novembre tra Bologna, Genova, Milano e Rimini. 

Tra i primi a credere in loro c’è, infatti, proprio il direttore artistico del locale, Davide Patania: «Io lavoravo al Retro – dice Alberto – e ho detto a Davide che avevo una band, chiedendogli di farmi suonare. Lui ha stranamente accettato solo avendo ascoltato delle demo molto brutte, evidentemente ci aveva visto qualcosa

Cosa aspettarsi dai The Whistling Heads?

«Abbiamo un nuovo singolo – dice Samuele – che ha delle sonorità diverse dal disco, è già registrato e uscirà. I nostri piani, però, sono di andare all’estero, non di restare qua.»

Sembra non si fermino mai e, anche se appena tornati, sono già pronti a ripartire e far tremare tutti i locali d’Italia. Dove trovarli? Il 2 dicembre al Fanfulla di Roma, il 9 dicembre a Ragusa al The Globe e, per finire, proprio dietro casa, a Catania al Mono il 16 dicembre.

Non solo serietà: tra una chiacchiera e l’altra, ci raccontano anche un aneddoto direttamente da una data a Ragusa: «Stava cominciando il concerto, un momento di massima concentrazione, stavamo sistemando tutto. Si avvicina un signore – dice Alberto – e mi fa “Puoi fare gli auguri a mio cugino Stefano?”. Già gli altri stavano cominciando l’intro, io ero concentrato, ho detto di sì ma alla fine non ho fatto gli auguri.»

“I’m living the teenage cliché
Too young to understand all the
things you said”
(Teenage Cliché)

Da sinistra: Alberto Zaccaro e Santino Mondello ©Giulia Cavallaro

 

In conclusione, auguri Stefano, anche se in ritardo! E attenti a via Crocerossa, 33, sono arrivati i The Whistling Heads a rompere la monotonia!

 

Giulia Cavallaro

NextGenerationME: Luciano Giannone, l’architetto che ha “viaggiato nel tempo”

Riparte la rubrica “NextGenerationME” dedicata ai giovani talenti messinesi. Il protagonista di oggi è l’architetto Luciano Giannone, autore di un’opera di ricostruzione virtuale della Messina degli anni ottanta del settecento, poco prima del catastrofico terremoto del 5 febbraio 1783.

Il giovane architetto ha pubblicato un volume intitolato “Messina nel 1780: viaggio in una capitale scomparsa“, presentato giovedì scorso (9 dicembre) presso il Salone delle Bandiere del Palazzo comunale, alla presenza dell’Assessore alla Cultura Enzo Caruso, della Sopraintendete per i Beni culturali e ambientali di Messina Mirella Vinci e del Presidente dell’Ordine degli Architetti di Messina Pino Falzea.

Classe 1996, Luciano Giannone è nato e cresciuto a Messina, dove ha conseguito nel 2014 la maturità scientifica presso il Liceo Archimede. Nello stesso anno si è trasferito a Firenze per intraprendere il percorso di studi in Architettura, concluso nel 2020 -con lode- con un progetto di tesi che ha posto le fondamenta del suo libro. Nello stesso si è iscritto all’Albo degli Architetti di Messina e attualmente esercita la professione.

©Luciano Giannone – L’architetto Luciano Giannone, Firenze 2018

Noi di UniVersoMe abbiamo avuto il piacere di fare una chiacchierata con lui.

Buongiorno Luciano. Quando è nata in te l’idea di concludere il tuo percorso di studi con una tesi su Messina?

L’idea è andata evolvendosi con il tempo: a partire dalle conoscenze pregresse sulla storia di Messina, ho iniziato ad approfondire l’argomento da circa cinque anni, studiando la storia monumentale della Messina che non c’è più. Immergendomi in questi studi ho visualizzato, ma solo nella mia immaginazione, le vestigia di una città bellissima, e ho pensato che, ogni Messinese -appassionato o no a queste tematiche- avrebbe dovuto necessariamente conoscerla. 

Quanto tempo hai impiegato per completare l’elaborato?

Dal momento in cui ho iniziato l’attività, non mi sono più fermato. Ho passato i primi 6-8 mesi a studiare: ho stampato un’enorme mappa del centro storico della città e l’ho appesa sopra la mia scrivania, catalogando tutta la documentazione reperibile sui singoli edifici della città. Finita questa fase è iniziata la modellazione, durata da giugno 2019 fino a inizio 2020; l’ultimo passo è stato quello di convertire i vari blocchi ricostruiti a seconda dell’elaborato che volevo offrire (vista 2d, video, tour virtuale). Seppure in maniera ormai sporadica, ancora oggi continuo ad affinare parti della città ogni qualvolta che reperisco nuove fonti di riferimento.

©Luciano Giannone – Mappa qualitativa delle documentazione

Perché hai scelto di “viaggiare” proprio nella Messina del 1780?

Chi conosce la storia di Messina sa bene che il terremoto del 1908 non è stato l’unico evento che ne ha offuscato la memoria e la stessa identità culturale. Già nella Messina anteriore al sisma novecentesco non era più possibile ammirare il Palazzo Reale, la Loggia dei Mercanti, il campanile normanno e la Palazzata del Gullì, tutti monumenti unici e ampiamente documentati; anche l’immagine stessa della Messina tardo-ottocentesca è comunque ancora oggi tangibile attraverso la documentazione fotografica. L’idea di fondo dunque è stata quella di restituire l’immagine di una città “integra”, nella quale fosse ancora ben tangibile la sua stratigrafia storica, urbanistica e monumentale.

 

                             

                                   Trailer della Ricostruzione di Messina nel 1780 a cura di Luciano Giannone.  ©Luciano Giannone

La grande peculiarità della tua opera consiste nella creazione di un vero e proprio tour virtuale. Quali software hai utilizzato? Il tour virtuale sarà disponibile alla cittadinanza in futuro?

L’idea di iniziare un viaggio virtuale è nata dopo un viaggio in Svizzera fatto a fine 2018: lì, indossando un visore VR in uno spazio espositivo, ho compreso l’importanza di queste tecnologie nella didattica e musealizzazione e ho intuito che l’unico modo per poter riportare in vita la Messina Antica era di farlo attraverso questa tecnica

Il grande vantaggio del workflow 3d è quello di modellare singolarmente le varie porzioni e poterne disporre in molteplici modi, creando un’infinità di formati e scene a seconda del supporto scelto; il tour virtuale non è altro che la ripetizione di singole immagini renderizzate a 360° con 3d Studio Max e combinate tramite un linguaggio Java “preconfezionato”.

La scelta di includere il tour nel libro è stata fatta per aggiungere un contenuto importante a conclusione della lettura, ma, in linea con i miei scopi originari, intendo renderlo totalmente disponibile a breve, soprattutto con la speranza di riuscire ad affiancarlo ad un supporto hardware permanente (come una postazione Oculus) in qualche spazio culturale della città ,per poterne apprezzare appieno le funzionalità; a questo ci stiamo lavorando!

©Luciano Giannone – Piazza Duomo nel 1780: la Cattedrale e il campanile normanno, la chiesa di San Lorenzo e la statua di Carlo II

Al termine delle note storiche del libro hai parlato della catastrofe del 1908 e della successiva ricostruzione ad opera dell’ingegnere Borzì, accusato più volte di aver stravolto la struttura storica della città. Qual è il tuo personale giudizio sul piano Borzì? Credi che ad oggi ci sia l’esigenza di un nuovo piano regolatore?

Chi ancora oggi reputa il piano Borzì come la radice di tutti i mali urbanistici di Messina è oltremodo ingeneroso e pigro nella ricerca dei veri episodi nefasti che hanno interessato il centro cittadino. Dobbiamo ricordare che il piano Borzì fu adottato nel 1911, nel momento in cui a Roma si dibatteva ancora se fosse conveniente ricostruire la città o raderla al suolo per riadattarla a scalo ferroviario. La condizione imposta per la sua rinascita fu il rigido disegno di una scacchiera e l’edificazione di isolati di altezza non superiore ai due piani, e Borzì, come chiunque altro fosse stato incaricato di redigere il piano, dovette attenersi a ciò.

Tuttavia, è impossibile non nascondere i conclamati interessi economici di imprese e potentati che forzarono la demolizione di fabbricati recuperabili, come è difficile non biasimare il sistema economico-finanziario dei comparti edificatori introdotti dal piano che crearono un asfissiante e opprimente regime fondiario.

In generale ritengo che uno degli errori più grandi sia stato quello di non aver introdotto un piano urbanistico nell’immediato secondo dopoguerra, in grado di sostituire l’emergenziale piano Borzì e di impedire i fenomeni di speculazione edilizia che hanno deturpato irrimediabilmente il centro storico.  

Attualmente ritengo che Messina abbia urgentemente bisogno di un piano del verde pubblico, essendo tra le tre città d’Italia con la maggiore quantità di verde pubblico inutilizzato e potendo disporre di soli 14.8 mdi verde pubblico per cittadino contro i 32.8 m2 della media nazionale (dati 2020).

Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Hai ancora qualche idea in mente per Messina?

Il progetto di ricostruzione virtuale della città sta andando avanti, pur potendoci lavorare nei sempre più esigui ritagli di tempo dettati dalle esigenze lavorative. Di recente è stato completato un video immersivo nel quale, come una ripresa fatta col drone, si vola attraverso le strade della Messina del XVIII secolo: tale esperienza, presentata in anteprima alla presenza delle autorità cittadine, sarà a breve disponibile a tutti all’interno degli spazi del nascente “teatro immersivo” del Palacultura.

Non nascondo che l’interesse riscontrato nel progetto ha sollecitato l’invito da parte di molti nel proseguo e nello sviluppo ulteriore del progetto. Sarebbe bello poter creare una stratigrafia storica della città nelle diverse epoche o incrementare il software di visualizzazione sfruttando la Realtà Aumentata.

Sicuramente, per creare qualcosa di duraturo e mettere a sistema l’intero progetto ci vorrebbe tanto impegno e anche la creazione di un gruppo di lavoro; ma sicuramente questa potrebbe essere l’occasione giusta per creare un sistema di visualizzazione AR/VR di un ambiente interamente ricostruito nello scenario di un’intera città, sulla base di una documentazione completa: Messina costituisce un unicum in tal senso e potrebbe essere capofila di un sistema innovativo che in Italia e in Europa ha pochi precedenti.

Grazie per il tempo che ci hai dedicato

Grazie a voi!

©Luciano Giannone – Il Monte di Pietà nel 1780

Luciano è uno dei tanti giovani che per causa di forza maggiore ha dovuto lasciare per motivi di studio la città di Messina, ma che non hai mai dimenticato le sue origini e non ha mai soffocato il desiderio di poter contribuire con la propria professione alla rinascita materiale, culturale e spirituale della nostra città.

Con questo viaggio nel passato Luciano ha squarciato i limiti dello spazio e del tempo, dando la possibilità di immergerci completamente nell’antico splendore di Messina; le sue ricostruzioni -citando la prefazione di Nino Principato- “hanno la capacità di suscitare un’intensa emozione e una totale partecipazione sul piano estetico e affettivo”.

Non possiamo che ringraziare Luciano per averci restituito la memoria di un glorioso passato e aver rinvigorito un’identità collettiva che ha bisogno di essere nutrita costantemente per rafforzare il legame tra urbe civitas.

La copertina del libro

 

 

Mario Antonio Spiritosanto

 

Di seguito, in attesa dei mancanti, potete trovare i link degli articoli che abbiamo dedicando  ai vari quartieri di Messina, nella ricostruzione dell’Architetto Giannone.

https://universome.unime.it/2022/05/03/messina-nel-1780-il-quartiere-palazzo-reale/
https://universome.unime.it/2022/05/17/messina-nel-1780-il-quartiere-piazza-duomo/
https://universome.unime.it/2022/06/25/messina-nel-1780-il-quartiere-grande-ospedale-collegio/
https://universome.unime.it/2022/05/31/messina-nel-1780-il-quartiere-quattro-fontane-purgatorio/

Luciano sui social:

instagram/ciano_

facebook/luciano.giannone

linkedin/lucianogiannone

 

NextGenerationMe: gli artisti di “Apollo&Arte”

In occasione della mostra temporanea “Apollo&Arte, che ridona vita alla via San Filippo Bianchi, torna la rubricaNextGenerationMe”. 

I protagonisti di oggi sono i giovani messinesi che hanno esposto le loro opere, ai quali abbiamo chiesto di raccontarci la storia del loro rapporto con l’arte e delle loro esposizioni.

Anna Viscuso

Classe ’99, ha iniziato ad avvicinarsi all’arte all’età di 15 anni grazie ad una professoressa del suo liceo linguistico. 

La cosa che ho imparato in questi anni è come qualsiasi forma d’arte non si limiti alla tecnica, anzi come inglobi totalmente la personalità di chi si avvicina”. Così Anna ci parla del suo vivere l’arte.

Il suo dipinto, dal titolo “E ti senti un po’ un fallito se ripensi alla tua età e cammini per la strada e provi a perderti”, riprende nel titolo una citazione di Cosmo, noto cantante pop italiano che riflette lo stato d’animo di quel Pierrot: “un po’ malinconico per non essersi riuscito a vivere a pieno i suoi vent’anni.”

©Cristina Geraci  – “E ti senti un po’ un fallito se ripensi alla tua età e cammini per la strada e provi a perderti” di Anna Viscuso, Messina 2021

Sofia Bernava 

Classe ’98, disegna fin da bambina, ma con l’inizio del liceo ha iniziato a volersi specializzare nei ritratti e da qui è “cominciata la ricerca di uno stile sempre più personale, ricerca infinita perché non si smette mai di evolversi insieme alla propria arte”. 

Il dipinto, già stato esposto in altri allestimenti, è un mix perfetto di molte forme d’arte ed è per questo che Sofia ha deciso di renderlo parte di questo progetto: “non desidero che chi lo guardi provi una determinata sensazione; il mio scopo è spingere l’osservatore a sentire qualcosa, qualsiasi sentimento esso sia.”

©Cristina Geraci  – “La poesia rende sempre giovani” di Sofia Bernava, Messina 2021

Lucia Foti

Classe ’92, l’arte è sempre stata la sua “seconda vita”, grazie al nonno che l’ha iniziata a questo mondo e a quello dei tarocchi, mondo dal quale proviene la sua opera . “La mia sensibilità all’arte non si riduce solo al disegno: ho avuto vari amori tra cui la street art e la fotografia perché a mio parere la sensibilità all’immagine è unica, se si è sensibili al disegno lo si è anche alla fotografia. Poi alla fine le mie radici mi hanno riportata a disegnare e a ottenere molte soddisfazioni”.

Ha scelto di esporre il suo disegno dell’arcano XXI, il mondo“, in cui una dea sorregge tutte le energie del mondo, “per esprimere il compimento del ciclo della vita, si impara una lezione e quindi si può  ricominciare da capo con la carta del matto.

©Cristina Geraci – “Arcano XXI, il Mondo” di Lucia Foti, Messina 2021

Grazia d’Arrigo

Classe ’86, ci dimostra come una passione può nascere per caso. Da poco tempo ha iniziato a “scarabocchiare per sfogare le sue emozioni” come piace dire a lei, nonostante fosse sempre stata affascinata dall’arte in generale. Il suo dipinto nasce durante i due mesi in cui è stata positiva al Covid-19: “l’isolamento mi ha provocato la necessità di un qualcosa di cui non ho mai sentito la mancanza, ho sognato un contatto con persone che non fossero i miei familiari. Ho deciso di rappresentare con questo bacio astratto ciò che prima ci teneva in vita e che adesso può addirittura metterla in pericolo.

©Cristina Geraci –”Tenuta astratta” di Grazia d’Arrigo, Messina 2021

Ylenia Bottari

Classe ’94, la sua sensibilità all’arte è sfociata in una “sensibilità a ciò che visivamente mi colpisce”. La fotografia esposta è stata scattata al teatro greco di Siracusa: “ho deciso di scattare questa fotografia e in generale tutte le altre perché sentivo il bisogno di immortalare quel momento, quel sentimento che provava chi ho fotografato”.

©Cristina Geraci – “Compianto” di Ylenia Bottari, Messina 2021

Daniele Commito

Classe ’96, ha iniziato a disegnare per “uscire fuori dagli schemi imposti dalla routine”. Non ama spiegare i suoi quadri: “perché posso manifestare al pubblico ciò che ho provato io nel realizzarlo, ma chiunque può avere una reazione diversa e sono contento sia così”. 

Il disegno che ha esposto “è nato dal bisogno di raffigurare la sensazione che ha il genere umano di limitare le sue emozioni contrapposta all’istintività del mondo animale, mondo dal quale dovremmo imparare la spontaneità”.

©Cristina Geraci – “Vorremmo essere animali”  di Daniele Commito, Messina 2021

Alessia Borgia

Classe ’86, ha sempre scattato fotografie, ma “molto inconsapevolmente”. 

“È diventata una passione nel momento in cui ho capito che mi piace osservare le persone e provare a capire quali siano le loro emozioni in quel momento.”

La foto esposta è stata scattata durante l’erasmus in Spagna: “vedevo questa bambina agitarsi continuamente, ma a colpirmi è stato il momento in cui si è calmata. Aveva un espressione che non riuscivo a decifrare e quindi ho deciso di fotografarla”.

©Cristina Geraci – “Sakura” di Alessia Borgia, Messina 2021

 

Sofia Ruello

 

Immagine in evidenza:

©Cristina Geraci – Gli artisti di “Apollo&Arte”, Messina 2021

NextGenerationMe: Sciack, l’artista Urban messinese

Rieccoci con la rubrica “NextGenerationMe”: il protagonista di oggi è Sciack, cantautore ventinovenne messinese dalle mille sfumature.

Sciack ha all’attivo due EP di successo e un canale YouTube seguito da circa 7mila persone. Lì possiamo trovare il celebre singolo “Buddaci“, che ha raggiunto quasi 700 mila visualizzazioni.

Salvo, cosa diresti di te per presentarti al pubblico?

Sono un artista che cerca di scrivere sempre la vita, non c’è niente di fake nei miei brani. Il mio punto forte è cercare di arrivare alla gente il più possibile e farla rispecchiare nei miei brani, farla emozionare. Poi ci sono anche dei pezzi diciamo “da svago”.

Sciack è il tuo nome d’arte, da dove viene questa scelta?

Nel mio genere il nome d’arte è necessario per farsi riconoscere in internet, quasi tutti i musicisti ormai, in generale, ne hanno uno. All’anagrafe sono Salvatore Sciacca. All’epoca ricordo che fu lui – il nickname – a scegliere me, perchè avevo pensato a Sciack proprio dal mio cognome, e casualmente, il giorno dopo in cui io avevo riflettuto su questa possibilità, incontrai un altro ragazzo che faceva musica anche lui da poco, e mi disse che Sciack per me sarebbe stato perfetto, senza che io gli dicessi nulla. E così da quel giorno sono Sciack, però, ultimamente, mi firmo di più Salvo Sciack.

Sciack per la prima volta in studio, 2011

Ti dai un’etichetta? Che genere di musica produci?

Faccio musica da 10 anni e ho cambiato tanti stili, non faccio sempre la stessa cosa. Io mi definisco un artista Urban; in passato rappavo e basta, adesso mi sento molto più vicino al pop e all’R&B. Andando avanti con il tempo ho implementato i ritornelli cantati, melodie viaggianti, quindi diciamo che il rap, pian piano, lo stia quasi abbandonando, anche se non è proprio così.

Raccontaci del tuo rapporto, sembrerebbe viscerale, con Messina.

Il rapporto che ho io con Messina è di eterno amore e odio. Ci sono nato e cresciuto, poi mi sono spostato in provincia. Quindi ho vissuto sia la città che i dintorni, Messina a pieno insomma. L’amore perchè è casa, è semplicità, tranquillità. A Milano, dove attualmente vivo, è tutto caotico, non hai quel senso di rilassatezza. L’odio, invece, soprattutto perchè, cosa ho ribadito spesso nelle mie canzoni, lavorativamente parlando spesso si è sfruttati. I ragazzi messinesi non si devono accontentare, questo è il mio messaggio per loro. Oggi se parli con un genitore messinese ti dice “chistu c’è”. E non è vero, non l’ha deciso nessuno che c’è questo. Parti, giri il mondo, l’italia, esci dalla tua zona comfort, fai esperienze, è questo che fa crescere. Io infatti sono partito, ma per ritornare in Sicilia più forte di prima.

Sciack durante un concerto, 2014

Che importanza ha la nostra città e il nostro dialetto nei tuoi testi?

Per quanto riguarda il dialetto, è presente per esempio nel ritornello della canzone uscita un mese fa, intitolata “Aunnè”, ma sinceramente non mi capita più spesso di scrivere in dialetto, credo che anzi non ci sarà più. I ragazzi giù vogliono il dialetto in determinati tipi di pezzi più aggressivi, speciamente quelli trap, e li ho fatti , solo che io devo essere capito da tutti, voglio essere nazionale. Se io avessi continuato a scrivere in mesinese, a quest’ora sarei il re della musica siciliana, ma è stata una mia scelta non proseguire per quella strada. E’ stato uno sbaglio? Forse sì, forse no, ma io ho fatto quel che mi sentivo di fare.

Com’è nata “Buddaci”? Cosa è cambiato in te dal tuo esordio?

Io ho iniziato nel 2011, a 18 anni. “Buddaci” è il mio singolo più cliccato, ma la mia prima canzone è stata scritta tra i banchi dello Jaci, dove ho frequentato l’indirizzo Turistico. Si intitola “Questi anni” e racconta della mia scuola, degli anni passati dentro quelle classi e del fatto che stavamo per finire quell’esperienza per entrare nel mondo vero. Lo registrai senza attenzione, a casa di un amico, e nel giro di quattro giorni tutti sul cellulare avevano la canzone. Il preside mi invitò a cantarla al Palacultura e piansero tutti emozionati, dai ragazzi ai professori. “Buddaci” invece è nata quasi involontariamente, a casa. La base è un remix di una canzone americana; nell’ Hip Hop si usa prendere le basi altrui e scriverci su, fai la tua versione. Questo pezzo si chiama “Versace” – dal classico ostentare i vestiti della marca – e la pronuncia è “Vissaci” per loro. Per giocare ho preso quel beat e, al posto del titolo originale, mi son messo a dire “buddaci buddaci”, una “zallata” praticamente, e in un paio di ore il pezzo era completo, ma non avevo alcun intenzione di pubblicarl0. I miei amici ascoltandola poi mi convincono a pubblicarla, e quella canzone come tutti sapete è un po’ un monumento a Messina, passa di generazione in generazione e le visualizzazioni son convinto che a breve saliranno ad 1 milione. Però ti dico la verità, io non la sopporto. Quello è un piccolo lato di me, ma io non sono solo quello. Io voglio fare musica ricercata, però nella mia città per quasi tutti mi son fermato lì, come in una fotografia. Presto uscirà il mio album e vedrete chi sono davvero.

Sciack si trasferisce a Milano, 2020

Progetti futuri?

Sto scrivendo un album, il mio primo vero album uffiale. Ho pubblicato due EP, ma per l’album me la sono presa comoda, mettendoci ben 10 anni. È un album molto vario, molto musicale, tratterà di vari argomenti e ci saranno delle sonorità che la gente non si aspetta da me.

Un saluto ai lettori di UVM da vero messinese

Fratelli messinesi, na baciata a tutti, vi vogghiu beni!

Riassumendovi la mia intervista con Salvo, ve lo cito nel momento in cui, da amante della mia terra, mi ha colpito di più: “voglio portare Messina in alto perchè sarebbe bello se fosse un messinese a fare grandi cose, come ce ne sono stati tanti; far vedere che i messinesi comunque fanno bella arte.”

Noi redattori della rubrica “NextGenerazioneME” di UniVersoME scriviamo con passione proprio perchè crediamo nei nostri giovani – e coetanei – concittadini, nella nostra città, nell’andare oltre e rinascere.

 

Corinne Marika Rianò

Sciack sui social

youtube.com/channel/UCkBO8lOWT74Prq0QKZ176xg

instagram/salvo.sciack

facebook/sciackofficial

spotify/artist

 

 

NextGenerationME: Jacopo Genovese, tra cantautorato e processi creativi

La Musica è sempre stata una parte fondamentale della mia vita, certe volte mi ha salvato nei momenti peggiori curandomi le ferite, a volte ha amplificato le mie paure rendendomi più consapevole di me stesso. No, questo non è un estratto dell’intervista che state per leggere, ma un pensiero personale e intimo del redattore che sta per raccontarvi l’esperienza e le speranze di chi, condividendo queste sensazioni, si è messo in gioco assecondando le proprie necessità creative e di scrittura.

Torna la rubrica NextGenerationME con Jacopo Genovese, messinese classe 1993, appassionato alla musica fin da bambino grazie all’influenza del nonno Cleofe Lanese, tastierista dei Gens, storico gruppo anni ’70 della nostra città. Dopo aver partecipato ad alcuni reading poetici, ha preso coscienza di sé stesso e si è dedicato alla musica, dalla quale ha avuto le prime grandi soddisfazioni:

  • nel 2018 si classifica primo alla finale regionale di Area Sanremo tour con il brano “Gelso Nero“;
  • nel 2019 viene premiato come miglior testo al contest Game of Chords organizzato dal Saint Louis College of  Music di Roma, con il brano “La sorella di Sergio“;
  • sempre nel 2019 si esibisce sul palco dell’Indiegeno Fest  nella sezione Spaghetti Unplugged con la canzone “Alice“;
  • nel 2020 viene selezionato tra i dieci finalisti di Road to the Main Stage by Firestone.

Partiamo dalle origini: come e quando hai maturato l’idea di metterti in gioco pubblicando i tuoi lavori? Quando hai deciso di condividere con altri ciò che fino a quel momento era solo tuo? 

La passione per la musica c’è sempre stata; purtroppo da questo punto di vista crescere in una città come Messina non aiuta. Sono veramente pochi gli eventi artistici che vengono promossi, così viene negata ai ragazzi la possibilità di innamorarsi dell’arte e di pensare: “voglio fare questo nella vita!”. Al contrario c’è una sorta di pregiudizio nei confronti di chi si dedica a questo genere di attività; per fare un esempio banale, quando a scuola a ricreazione suonavo la chitarra, il resto della classe era da tutt’altra parte e io venivo visto quasi come uno un po’ strano. Quindi ho coltivato la mia passione di nascosto, possiamo dire che “me la sono cantata e me la sono suonata” fino ai 24 anni. Successivamente episodi e momenti piuttosto negativi che ho vissuto mi hanno portato alla scrittura di un pezzo: “Gelso Nero”.

“Gelso Nero” ha cambiato tutto, è come se il mio essere si stesse ribellando a me stesso e volesse liberarsi dalla gabbia in cui lo avevo messo, come se mi dicesse: “basta, non hai più via di scampo o difendi la tua musica e la fai conoscere agli altri oppure cadi nel baratro”. Questo pezzo mi ha fatto stare bene e mi ha dato la forza ed il coraggio per cambiare prospettiva e obiettivi.

Parlaci del processo creativo che c’è dietro i tuoi lavori, come nascono le tue canzoni? 

Nel mio telefono ci saranno almeno 15 giga di registrazioni in cui canticchio o suono e una serie infinita di note scritte. Qualsiasi idea che riguardi parole o melodia viene salvata nel mio telefono, che io sia in studio a registrare o che stia facendo tutt’altro. Per me l’ispirazione esiste, non so bene come nasca, ma esiste. Può avere però diverse intensità; per fare un esempio quando ho scritto “La sorella di Sergio” ero fortemente ispirato, ho buttato giù tutto senza fermarmi un secondo, altri lavori invece sono nati riprendendo pensieri o melodie che avevo salvato nell’archivio tempo prima. L’ispirazione però non basta, devi avere anche a disposizione gli strumenti per poterla sviluppare e trasformala in canzone e questo forse è il processo di crescita più importante per un’artista emergente: acquisire le capacità necessarie per rendere la tua ispirazione fruibile anche ad altri.

Quali artisti hanno influenzato il tuo mondo musicale o comunque ti hanno appassionato maggiormente?

Beh, direi tutti i maestri del cantautorato degli anni ’70: Dalla e De Gregori, per citarne alcuni. Dalla un genio assoluto, per scrittura e suoni era avanti anni luce rispetto al momento storico in cui viveva. Di De Gregori amo l’intimità dei suoi testi; probabilmente questa caratteristica gli ha negato un successo ancora più grande rispetto a quello che ha avuto. Per quanto riguarda la chitarra, amo la musica di artisti come Elliott Smith o Mark Knoplfer; per citarne uno più contemporaneo, apprezzo molto Ed Sheeran.

Oggi il cosiddetto indie-pop spopola tra i giovani ed ha trovato anche uno spazio importante nelle scalette delle radio più ascoltate in Italia, senti in qualche modo di appartenere a questo filone musicale?

Sinceramente no, non mi ci vedo proprio se non per il fatto di essere assolutamente indipendente a livello discografico, come lo erano i vari Calcutta o Gazzelle quando hanno iniziato. Comunque li apprezzo per aver portato una ventata di novità soprattutto a livello di scrittura e attitudine. In generale fatico a mettermi un’etichetta e mi interessa anche poco farlo. Ispirandomi ad una frase di Paul McCartney, ti dico: “io suono ciò che è mio, totale e libera espressione di ciò che ho in testa”.

Parliamo di futuro: che progetti hai in cantiere?

Da  qualche  tempo lavoro con il maestro Tony Canto, per avere una guida più professionale durante la produzione dei miei pezzi. Al momento stiamo lavorando alla produzione di tre brani: un remake di “Ciao Bambina”, che è un pezzo già uscito tempo fa, e due inediti. Inoltre sto lavorando alla realizzazione di un video di “Gelso Nero” sul cratere di Vulcano, con l’accompagnamento di una violinista; sono molto legato alle Isole Eolie, sarebbe veramente un sogno realizzare un video del genere.

Grazie per il tempo che ci hai dedicato!

Grazie a voi ragazzi, a presto.

 

 

Emanuele Paleologo

 

Jacopo su internet:

jacopogenovese.com

facebook.com/jacky793

youtube.com/channel

instagram.com/jackyspoint

open.spotify.com/artist

Immagine in evidenza:

Jacopo Genovese durante un concerto – Fonte: scomunicando.it