… l’opera di un messinese si trova nel centro di New York?

Ebbene sì, le abili mani di un messinese hanno dato forma al monumento che si trova in una delle principali piazze di New York: si tratta dell’opera dedicata a Cristoforo Colombo, al Columbus Circle. Di quest’ultima avrete sicuramente sentito parlare: in una posizione centrale nel distretto di Manhattan, ha forma circolare e fa da punto di intersezione tra alcune delle principali vie newyorkesi (la Broadway, la 59th Strada, 8th Avenue e Central Park West).

A pochi passi da Central Park e dalla Trump Tower, è davvero uno dei luoghi più noti nella metropoli statunitense, tant’è vero che proprio da qui vengono misurate tutte le distanze ufficiali da New York.

https://thebronxchronicle.com/2017/09/26/italian-american-orgs-ask-nyc-pols-for-stances-on-columbus-circle-monument/

La cosa che a noi qui più interessa è che questa piazza prende nome dal monumento a Cristoforo Colombo, posto in tal luogo nel 1892, e intorno al quale la piazza stessa è stata progettata nel 1905. L’iniziativa della costruzione del monumento, in occasione dei quattrocento anni dalla scoperta dell’America da parte di Colombo, fu presa dal giornale italo-americano Il Progresso. Il direttore e proprietario del giornale, cav. Carlo Barsotti, indisse una sorta di gara per individuare lo scultore che avrebbe dovuto realizzarlo, ammettendo però solo artisti di nascita italiana. La scelta alla fine ricadde su Gaetano Russo, messinese la cui fama era giunta oltreoceano. Nato nel 1847 sulla sponda sicula dello Stretto, poco più che ventenne ricevette un sussidio dal comune per continuare i suoi studi artistici a Roma. Ricevette numerose commesse sia nella capitale che a Messina, ma ciò per cui oggi viene ricordato è questa sua opera, realizzata a Roma e posta poi a campeggiare al centro di New York. Si tratta di una statua in marmo di Carrara, raffigurante il navigatore genovese in posizione fieramente eretta, la barra del timone stretta nella mano destra e lo sguardo orgoglioso e penetrante volto leggermente a sinistra. La statua poggia su un’altissima colonna (circa 21 metri) in granito rosso di Ravenna, sulla quale sono rappresentate le tre caravelle in bronzo. Ai piedi della colonna, un angelo (anch’esso in marmo di Carrara) che regge il globo. L’angelo e la colonna si ergono su un largo basamento rettangolare, ai cui lati troviamo due bassorilievi in bronzo che riproducono i momenti dello sbarco di Colombo e la sua flotta nelle Americhe. Sempre sul basamento, trova posto l’iscrizione:

 A
   Cristoforo Colombo
gli italiani residenti in America.
Irriso prima
minacciato durante il viaggio
incatenato dopo
sapendo esser generoso quanto oppresso
donava un mondo al mondo.

La gioia e la gloria
non ebbero mai piu solenne guido
di quello che risuono in vista
della prima isola americana
terra! terra!

Nel 12 ottobre 1892
quarto centenario
della scoperta d’america
a imperitura memoria.

 

Recentemente il monumento si è trovato al centro delle proteste del movimento “anti-Colombo”, il quale ritiene lo storico navigatore responsabile di aver dato il via, con la sua scoperta, al massacro degli Indios. Per questo, è stata chiesta la rimozione di vari monumenti e statue a lui dedicati, tra cui appunto anche quello di Columbus Circle. Alla fine, però, è stato raggiunto un compromesso: accanto all’opera di Russo sorgerà un monumento dedicato alle popolazioni indigene, cosicché, come ha dichiarato il sindaco di New York Bill De Blasio, «gli spazi pubblici riflettano la diversità e i valori della città».

Francesca Giofrè

Vinyl: l’epoca d’oro del rock secondo Mick Jagger e Martin Scorsese

 

La New York degli astri nascenti del punk e del rock and roll, gli ultimi bagliori di Elvis e della Factory di Andy Warhol, la vita notturna a Greenwich Village con David Bowie e i Velvet Underground, i concerti elitari della esordiente musica disco afroamericana, innovativa e destinata a un ruolo di primo piano negli anni a venire: l’epoca felice in cui l’industria discografica e le major che controllavano il mercato musicale erano all’apice del loro ingranaggio e le vendite dei vinili schizzavano come i giri infuocati della puntina sul piatto del giradischi. La fine degli anni ’60 e il principio degli anni ’70 rappresentano un periodo cruciale nella storia della musica; il rock di maniera si avviava ad estinguersi riducendosi a comparire tuttalpiù sulle copertine imbolsite di alcuni dischi in occasione delle compilation natalizie, mentre band come i New York Dolls mandavano in estasi il pubblico e venivano trasmesse nelle radio fuori dai confini americani.

Tutto questo e molto altro raccontano – o vorrebbero raccontare – le 10 puntate che compongono la prima serie di Vinyl, trasmesse in Italia su SkyAtlantic. L’obiettivo è senza dubbio ambizioso e non privo di rischi. Del resto quando l’ideatore della serie è l’interprete più famoso di quella generazione, ovvero Mick Jagger, e i registi e produttori sono Martin Scorsese e Terence Winter, il progetto non può che accendere grandi aspettative. Se poi il personaggio protagonista di fantasia è uno degli addetti ai lavori che si muovono con maggiore disinvoltura tra le opportunità e le insidie di questo ambiente fatto di statistiche commerciali e passione genuina, le possibilità di offrire una narrazione esaustiva accattivante di quegli anni sono servite.

Richie Finestra (l’attore di origine italiana Bobby Cannavale) è il presidente dell’American Century Records. L’industria musicale e i contatti con gli artisti, la ricerca dei gruppi da immettere sul mercato e costruire in alcuni casi a tavolino seguendo un’estetica mirata, costituiscono gli obiettivi dell’etichetta. Il precipizio della crisi finanziaria che potrebbe portare al licenziamento coatto degli impiegati e persino alla chiusura dell’American Century Records costringe nel corso degli episodi Richie Finestra e i suoi più stretti collaboratori a manovre politiche azzardate che vanno dalla proposta di vendita a un colosso tedesco, la Polygram, al coinvolgimento di esponenti senza scrupoli della mafia locale. Fa da sfondo la vita privata “normale” delle persone che gravitano intorno agli uffici: quella di Devon (Olivia Wilde), musa e modella di Andy Warhol prima di diventare la moglie di Richie, e di Jamie C. Vine (Juno Temple), giovane segretaria dell’etichetta che nutre aspirazioni come talent scout e che riesce a scritturare i Nasty Bits. Gli elementi originali di Vinyl sono presentati attraverso un filtro che descrive l’ascesa e il declino dei miti e che fa intravedere la condizione personale di fragilità nascosta dietro i riflettori. Le incursioni curatissime nel mondo della musica dei primi anni ‘70, con una colonna sonora ricca di canzoni che spaziano dai Led Zeppelin agli Slade fino ai cantanti blues, e la cura scrupolosa per la scenografia, il vestiario e la fotografia, contrastano con alcuni difetti nella sceneggiatura, che risulta a volte calante e non in grado di tenere alta l’attenzione dello spettatore con una trama ben strutturata in tutti gli episodi. Ci aspettiamo che queste carenze vengano colmate a partire dalla prossima stagione. Nel frattempo l’attesa è comunque abbondantemente ripagata grazie a un tuffo nel passato che nelle sue note e nei suoi colori sgargianti ci riporta con nostalgia agli anni migliori dell’industria culturale.

Eulalia Cambria