Neuroestetica: la scienza dietro l’arte

La disciplina che concilia le neuroscienze e l’estetica, intesa come sfera del sensibile in riferimento all’arte, e che si promette di studiare con metodo scientifico i processi neurofisiologici coinvolti nel godimento dell’opera d’arte.

Origini della Neuroestetica

Si tratta di un ambito di ricerca relativamente nuovo, proposto dal neurobiologo Semir Zeki nei primi anni del Duemila e formalmente definita come “studio scientifico delle basi neurali per la contemplazione e creazione di un’opera d’arte” in occasione della fondazione dell’Istituto di Neuroestetica (2002).
Il significato della disciplina è sostenuto dal suo fondatore con l’argomentazione che non può esistere una teoria estetica completa senza la totale comprensione dei fondamenti neuronali.
Zeki inoltre sostiene che vi sia un percorso parallelo per artisti e neuroscienziati della vista e un fine comune di scoprire le distinzioni del mondo visivo e, simultaneamente, i meccanismi cerebrali coinvolti.

Meccanismi cerebrali

Si può quindi comprendere per quale ragione molte volte i dipinti violano le leggi della fisica del mondo reale nell’ambito di ombre, colori e contorni: l’obiettivo dell’artista non sarebbe tanto la rappresentazione fedele al mondo esterno, quanto ricreare le scorciatoie percettive usate dal cervello.

La “manipolazione” cerebrale sfruttata dagli artisti risiede nel percorso compiuto dall’informazione visiva. Tutto inizia a livello della corteccia visiva primaria, dove i neuroni registrano informazioni come linee e curve del campo visivo.

L’informazione poi procede secondo due percorsi, distinti ma collegati, verso l’area ventrale e dorsale del cervello, coinvolte nell’elaborazione visiva: la corrente ventrale, o “via del Cosa”, si estende dalla corteccia visiva primaria alla corteccia temporale inferiore ed è associata al riconoscimento di forme, colori e in generale della rappresentazione degli oggetti.

La seconda è la corrente dorsale, anche detta “via del Dove” o “via del Come”, e ha inizio nella corteccia primaria visiva (V1) con termine nella corteccia parietale posteriore. La sua funzione è di localizzare l’oggetto all’interno del campo visivo grazie anche ad informazioni complementari come luce e movimento, oltre ad essere un’importante componente per afferrare oggetti.

Da cosa è costituita l’opera d’arte?

Gli elementi che compongo l’opera d’arte sono colore, forma, texture e disegno, ma ancora più semplicemente distinguiamo colore e luce: il primo esprime emozioni e simboli, la seconda descrive le forme, il tratto e la texture.

Mentre il colore è un aspetto dell’opera costantemente analizzato e approfondito, la luce, nonostante possieda un ruolo chiave nella composizione artistica, è ancora poco sfruttata dagli artisti stessi.
Un perfetto esempio di ciò è rappresentato dalla corrente impressionista; si affaccia sul mondo dell’arte figurativa verso la fine del XIX secolo a seguito della diffusione del neoclassicismo, avvenuta qualche decennio prima, da cui prende le distanze, facendo dell’uso sperimentale di luce e colore un manifesto.

Un esempio di studio

Si prenda in esame il quadro di Claude Monet “Impressione, levar del sole” (1872), da cui derivò il nome della corrente.
Lo si confronti con una versione monocroma della stessa opera e si rimuova uno dei due elementi chiave, il colore. E’ possibile così soffermarsi maggiormente sulla luce del dipinto e in particolare su come il sole e le nuvole siano stati rappresentati con la stessa luce dall’artista e volutamente.

Se, infatti, Monet fosse rimasto fedele alla realtà raffigurando quindi un sole più chiaro e luminoso dello sfondo su cui si staglia, paradossalmente sarebbe risultato meno brillante rispetto alla versione definitiva.

Tre versioni del dipinto di Monet “Impressione, levar del sole”: originale (in alto), monocromatico (centro), con la luminosità del sole resa realistica (in basso). Fonte: Light Vision

Il fenomeno pittorico appena illustrato si può spiegare a livello cerebrale prendendo in esame l’elaborazione separata dell’informazione visiva convogliata dalle due correnti.

Laddove la via del Cosa trasmette informazioni riguardo al colore, la via del Dove è insensibile al colore.
La seconda è tra i due il sistema più antico e in grado di rilevare con maggiore precisione la luce e le sue variazioni. Come conseguenza, registra anche il movimento e la profondità degli oggetti rispetto allo sfondo.

L’opera impressionista riesce dunque ad ingannare la via del Dove. Davanti agli oggetti isoluminanti (come il sole e il mare, con intensità luminosa uniforme), non potendo contare sull’aspetto cromatico, non riesce a registrarne la posizione o la profondità.  Il risultato di questo fenomeno è quella sensazione di apparente movimento delle onde e dello scintillio del sole riflesso sull’acqua.

Rafforza l’illusione la tecnica pittorica scelta da Monet: tante pennellature brevi sulla tela, che richiedono all’osservatore di essere unite in tratti unici.

L’antitesi classicista

Una controprova della teoria si ha osservando un’opera che rappresenta una scena d’azione, ottenuta facendo uso di luce a diverse intensità: ne “Il ratto delle Sabine” di Nicolas Poussin (1638), l’eccesso di movimento e dettagli raffigurati dall’autore finiscono per avere un effetto paralizzante. 
Il cervello dell’osservatore si sofferma a studiare il maggior numero possibile di particolari. Esso, però, ontemporaneamente fissa le figure sullo sfondo, perdendo così la sensazione di slancio delle figure.

La Neuroestetica non si ferma qui

la Neuroestetica si dimostra promettente verso future applicazioni, specie nella comprensione dell’impatto dell’opera sull’osservatore nel campo dell’arte visiva; ma anche nel mondo architettonico per la costruzione di edifici abitativi e in ambito clinico riguardo gli effetti di malattie neurodegenerative sulla percezione artistica.

Eleonora Calleri

FONTI:

Neurobiology of sensation and reward, Chapter 18, A. Chatterjee: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/NBK92788/#ch18_r52
Light vision, M. Livingstone: https://switkes.chemistry.ucsc.edu/teaching/CROWN85/literature/lightvision.pdf
Neuroaesthetics: an introduction to visual art, T.S. McClure, J.A. Siegel: https://journals.sagepub.com/doi/10.1177/1745691615621274
The neuroaesthetics of architectural spaces, A. Chatterjee, A. Couburn, A. Weinberger: https://doi.org/10.1007/s10339-021-01043-4
Art produced by a patient with Parkinson’s disease, A. Chatterjee, R.H. Hamilton, P.X. Amorapanth: https://doi.org/10.1155/2006/901832

Parkinson: la Dnl201 sarà la molecola decollo?

Dopo l’Alzheimer, il Parkinson è la malattia neurodegenerativa più diffusa.
Si tratta di una malattia che coinvolge funzioni quali il controllo dei movimenti e dell’equilibrio, ad evoluzione lenta e progressiva, che rientra tra un gruppo di patologie note come “Disordini del Movimento”.

  1. Cenni storici
  2. Dove è possibile riscontrarla?
  3. Zone del cervello coinvolte
  4. Cause scatenanti
  5. Sintomi 
  6. Come effettuare la diagnosi di Parkinson
  7. Ricerca sperimentale: è possibile guarire dal Morbo di Parkinson?
  8. Conclusioni

 

Cenni storici

Una prima descrizione di questa lenta ma inesorabile malattia fa riferimento ad un periodo intorno al 5.000 A.C in uno scritto di medicina indiana; il nome è legato però a James Parkinson, farmacista chirurgo londinese del XIX secolo che, per primo, descrisse e racchiuse tutti i sintomi in un famoso libretto, il “Trattato sulla paralisi agitante”.

Dove è possibile riscontrarla?

E’ possibile vederla in entrambi i sessi con una leggera prevalenza maschile. Il Parkinson solitamente ha il suo esordio intorno ai 58-60 anni, mentre nel 5% dei pazienti questa farà la sua comparsa nella fase adulta, tra i 21 e i 40 anni. Prima dei 20 anni è particolarmente rara.

Zone del cervello coinvolte

La malattia di Parkinson consiste in una riduzione costante della produzione di dopamina (molecola organica che svolge l’importantissimo ruolo di neurotrasmettitore). Il calo di dopamina è dovuto ad una continua degenerazione di neuroni in una regione del mesencefalo chiamata Substantia Nigra. Si stima che la perdita cellulare sia di oltre il 60% all’esordio dei sintomi e per tale motivo non è attualmente possibile ritornare del tutto alla normalità. Si pensa che l’α-sinucleina, una proteina, sia il motivo di questa ampia diffusione.

Fonte: www.bing.com

Cause scatenanti

Non sono ancora del tutto note le cause della malattia, ma sembra ci sia una moltitudine di elementi che mediano il suo sviluppo. Tra questi abbiamo quelli genetici. Si stima che il 20% dei pazienti abbia familiari con riscontro positivo alla malattia di Parkinson. I geni che concorrono nella sua evoluzione sono α-sinucleina (PARK 1/PARK 4), PINK1 (PARK-6), DJ-1 (PARK7), Parkina (PARK-2), la glucocerebrosidasi GBA e LRRK2 (PARK-8).
Altre cause sono l’esposizione ad alcuni pesticidi, idrocarburi solventi o a metalli pesanti (quali ferro, zinco e rame). Paradossalmente, nonostante le numerose controindicazioni al fumo di sigaretta, questo potrebbe svolgere un ruolo di fattore protettivo nei confronti della malattia.

Sintomi

I sintomi dei pazienti spesso non vengono riconosciuti nell’immediato per via della sua progressione lenta e quasi “mascherata”. Questa viene fuori in punta di piedi, con una manifestazione asimmetrica, quindi solo un lato del corpo è maggiormente interessato. Inoltre i sintomi sono facilmente trascurabili dal paziente inconscio. Tra gli indici di insorgenza ritroviamo: il tremore a riposo, il “tremore interno” – cioè una sensazione avvertita solo dal paziente -, rigidità, lentezza dei movimenti (fenomeno noto come “bracidinesia”) e instabilità posturale.

Possono quindi svilupparsi sviluppi di tipo motorio e non motorio.
Tra i disturbi motori emergono episodi di ”Freezing Gait” cioè un blocco motorio improvviso; postura curva con braccia flesse e tenute vicine al tronco, il quale è flesso in avanti. Il tronco potrebbe anche pendere da un lato, manifestazione della cosiddetta ”Sindrome di Pisa”; Disfagia, cioè problemi legati alla deglutizione. Possono essere pericolosi, poiché solidi e liquidi potrebbero essere aspirati causando polmoniti. Possono anche incombere fenomeni di Balbuzie, che rendono difficile la comprensione del paziente (in questo aiuta la logoterapia).
Tra i disturbi non motori invece, ne figurano alcuni anche molti anni prima rispetto a quelli motori. Questi possono essere legati alle alterazioni delle funzioni viscerali (disturbi vegetativi), dell’olfatto e dell’umore, ma possiamo avere anche disturbi cognitivi, dolori e fatica. Tra i disturbi viscerali ricordiamo la stipsi, cioè un rallentamento delle funzioni gastro-intestinali, disturbi urinari, disfunzioni sessuali, problemi cutanei e sudorazione. Infine, possiamo notare nei soggetti colpiti anche disturbi comportamentali ossessivi compulsivi, apatia e sintomi psicotici (tra cui deliri e allucinazioni).

Fonte: www.bing.com

Come effettuare la diagnosi di Parkinson

Il neurologo risale al morbo di Parkinson attraverso la storia clinica e dopo un’attenta valutazione dei sintomi. Tra gli esami strumentali si ricorre alla SPECT DATscan, scintigrafia del miocardio e PET cerebrale. L’aiuto strumentale è di fondamentale importanza per allontanarci da una diagnosi sbagliata evitando di inciampare nei cosiddetti “Parkinsonismi”, cioè patologie simili al Parkinson.

Ricerca sperimentale: è possibile guarire dal Morbo di Parkinson?

Su “Scienze Translational Medicine” sono stati pubblicati i risultati riguardanti uno studio terapeutico.
Negli Stati Uniti è stata conclusa la prima fase di sperimentazione su una molecola capace di inibire l’enzima prodotto da LRRK2 (gene tra i più importanti presente nella lista delle possibili cause scatenanti), il quale potrebbe rallentare l’evoluzione della malattia. La terapia a base della molecola Dnl201 potrebbe migliorare la funzione del lisosoma evitando che questo possa accumulare proteine tossiche che portano alla neurodegenerazione.

Conclusioni

Gli studi si occupano del controllo dei sintomi della malattia, ma non ne arrestano lo sviluppo. Questi si concentrano maggiormente sul miglioramento delle terapie e sulla prevenzione, ma ancora non è possibile poter ricorrere ad una vera e propria cura che possa bloccarla definitivamente. Fortunatamente esistono numerosi trattamenti capaci di regalare una vita quasi normale, per guadagnare tempo in modo tale da poter scavalcare l’ostacolo finale: annientare questa malattia.

 

La soluzione si trova attraverso la sperimentazione. Soltanto se si esce dalle vecchie abitudini si possono trovare nuove strade.

Andrew S. Grove

 

Dario Gallo

Per approfondire:

Cos’è il Parkinson

Malattia di Parkinson – Wikipedia

Malattia Parkinson, sintomi, diagnosi, cause, fattori ambientali, fattori genetici, trattamenti (iss.it)

A step forward for LRRK2 inhibitors in Parkinson’s disease (science.org)

Dopamina (my-personaltrainer.it)

Neuroni specchio: un nuovo modo di comprendere gli altri

Il linguaggio verbale, l’empatia, la capacità di imparare velocemente mediante imitazioni, sono tutte peculiarità che rendono l’uomo un essere “speciale”.

https://www.genteditalia.org

Una nuova scoperta

I neuroni specchio forniscono un semplice meccanismo neurale per comprendere le azioni degli altri.
Infatti, la loro scoperta ha portato a un nuovo modo di pensare a come generiamo le nostre azioni e come monitoriamo e interpretiamo quelle degli altri.
Inoltre, permette di comprendere l’empatia come partecipazione immediata e compassionevole ad una risposta, consentendo la comprensione dei sentimenti delle altre persone.

Una nuova scoperta

Cosa sono?

Prove sperimentali

Immedesimarsi senza sforzo

Un vantaggio evolutivo

Neuroni specchio in alcuni disturbi neurologici

Il campo dell’Autismo

Conclusione

Cosa sono?

I neuroni specchio sono una classe di neuroni che modulano la loro attività sia quando un individuo esegue uno specifico atto motorio, come afferrare un oggetto, sia quando osserva passivamente lo stesso o un simile atto compiuto da un altro individuo.
Sono stati segnalati per la prima volta circa 20 anni fa nell’area premotoria ventrale del macaco F5.
Oggi alcuni studi affermano che siano presenti anche nel cervello umano, in tutto il sistema motorio: cortecce premotoria ventrale e dorsale e la corteccia motoria primaria, oltre ad essere presenti in diverse regioni della corteccia parietale. Questo sistema è alla base dei meccanismi di apprendimento per imitazione.

https://www.stateofmind.it

Prove sperimentali

La prova dell’esistenza di un sistema specchio nell’uomo, proviene da studi di neuroimaging e indagini neurofisiologiche non invasive (elettroencefalografia, magnetoencefalografia e stimolazione magnetica transcranica). Il neuroimaging ha dimostrato l’esistenza di 2 reti principali con proprietà specchio.
Una rete risiede nel lobo parietale e nella corteccia premotoria più la parte caudale del giro frontale inferiore (sistema specchio parietofrontale) coinvolto nel riconoscimento del comportamento volontario.
L’altra è formata dall’insula e la corteccia frontale mesiale anteriore (sistema specchio limbico), dedicato al riconoscimento del comportamento affettivo.
È opinione diffusa che i neuroni specchio siano un adattamento genetico per la comprensione dell’azione. Si pensa infatti che siano stati progettati dall’evoluzione per svolgere una specifica funzione socio-cognitiva.

Immedesimarsi senza sforzo

I neuroni specchio interagiscono anche con le aree emotive del cervello, come l’insula e l’amigdala che sono i motori fisiologici dell’empatia.
Una scienziata inglese, Tania Singer, ha per esempio utilizzato la risonanza magnetica funzionale per esaminare l’attività cerebrale di un gruppo di giovani donne.
Ha scoperto così che aree del cervello che si attivano quando percepiamo un dolore sono le stesse che reagiscono quando una persona alla quale siamo legate riceve lo stesso trattamento.
La scoperta dei neuroni specchio dimostra così che immedesimarsi negli altri non comporta nessuno sforzo particolare: è un meccanismo che l’evoluzione ha selezionato perché vantaggioso.

https://lh3.googleusercontent.com

Un vantaggio evolutivo

Comprendere il potenziale vantaggio evolutivo del meccanismo dei neuroni specchio ha permesso di spiegare una serie di competenze precoci, una sorta di programma innato parziale come lo è il pianto o la sensibilità alla voce umana.
Questo permette di spiegare come mai un neonato già dopo poche ore dalla nascita è in grado di riprodurre movimenti della bocca e del volto della mamma.

Neuroni specchio in alcuni disturbi neurologici

Il fenomeno dei neuroni specchio sta acquisendo rilevanza clinica nel campo dei disturbi dello spettro autistico e dell’apoplessia celebrale (ictus), ovvero l’arresto improvviso delle funzioni cerebrali provocato da un’emorragia. Infatti un aspetto di possibile rilevanza clinica del sistema specchio è la riabilitazione degli arti superiori dopo ictus.

Esistono inoltre evidenze, sebbene ancora preliminari, di un possibile sottosviluppo o menomazione del sistema specchio nell’autismo e in quei disturbi psichiatrici in cui la competenza sociale è compromessa.

https://culturaemotiva.it

Il campo dell’Autismo

Clinicamente, alcuni deficit funzionali tipici del disturbo dello spettro autistico, come l’isolamento sociale e i deficit nell’imitazione, nell’empatia emotiva e nell’attribuire intenzioni ad altri, potrebbero dipendere anche da un cattivo funzionamento dei neuroni specchio.
Il neurofisiologo Vilayanur Ramachandran è arrivato a queste conclusioni attraverso un particolare esperimento. Lo studioso ha misurato tramite elettroencefalogramma (EEG) nel cervello dei bambini una particolare onda cerebrale chiamata “onda Mu“.
Questa si blocca ogni volta che una persona compie un movimento volontario, ma anche quando si osserva qualcuno compiere la stessa operazione.
L’EEG dei bimbi autistici esaminati ha dimostrato che essi presentavano l’interruzione dell’onda Mu quando si muovevano (non avevano infatti problemi motori) ma non quando osservavano gli altri compiere gli stessi movimenti.
Ramachandran ha quindi dedotto che nelle persone autistiche il sistema dei neuroni specchio possa essere deficitario.

Conclusione

In conclusione ciò che accomuna la capacità di commuoversi davanti a un film, di intuire al volo il significato di un gesto, di apprezzare un’opera d’arte, sono i neuroni specchio.
Essi sono chiamati così perché, proprio come uno specchio, hanno la particolarità di riflettere all’interno di ognuno di noi il mondo esterno.
Sono loro a consentirci di interpretare molto rapidamente le azioni degli altri, a farci sapere se la persona che abbiamo di fronte sta prendendo una tazzina per bere un caffè o invece per sparecchiare, se sta sollevando una mano per colpirci o per accarezzarci.

        “ L’unico modo per capire le persone è sentirle dentro di te”

                                                John Ernest Steinbeck

 

Ludovica Dibennardo

Bibliografia:

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3898692/

https://royalsocietypublishing.org/doi/10.1098/rstb.2013.0169?url_ver=Z39.88-2003&rfr_id=ori:rid:crossref.org&rfr_dat=cr_pub%20%200pubmed

https://royalsocietypublishing.org/doi/10.1098/rstb.2013.0169?url_ver=Z39.88-2003&rfr_id=ori:rid:crossref.org&rfr_dat=cr_pub%20%200pubmed

https://elibrary.de/doi/10.13109/prkk.2012.61.5.322?url_ver=Z39.88-2003&rfr_id=ori:rid:crossref.org&rfr_dat=cr_pub%20%200pubmed

https://jamanetwork.com/journals/jamaneurology/fullarticle/796996

Ercolano, neuroni di duemila anni fa in un cervello di vetro. La scoperta tutta italiana

Parco archeologico di Ercolano

Nuove spettacolari scoperte a Ercolano

Un cervello di vetro. Non stiamo parlando di un film di fantascienza, ma di una scoperta sensazionale avvenuta ad Ercolano, sito unico nel suo genere insieme alla vicina Pompei. Una scoperta fatta grazie alla ricerca condotta in sinergia tra l’Università Federico II di Napoli e altre università italiane, la Statale di Milano e Roma Tre, e alcuni istituti di ricerca nazionali, come il Cnr e il Ceinge. Un gruppo di ricercatori di alto profilo, costituito non solo da archeologi, ma anche da geologi, biologi, medici legali, neuro genetisti e matematici, guidato dall’antropologo forense Pier Paolo Petrone della sezione dipartimentale di medicina legale della Federico II. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla celebre rivista di settore Plos One a gennaio scorso, ma ora, ulteriori scoperte sono state fatte.

Scheletri nel sito di Ercolano

L’inizio della ricerca tutta italiana

Tutto ha avuto inizio alla fine del 2018, quando un team di ricercatori italiani effettuò un sopralluogo nel Parco archeologico di Ercolano. Tra i resti di una vittima della più famosa eruzione della storia, quella del Vesuvio del 79 d.C., sono stati ritrovate, incredibilmente, minuscoli brandelli di cervello, nei quali sono rimasti integri dei neuroni  e dunque visibili tramite la microscopia elettronica a scansione (SEM) e strumenti avanzati di elaborazione delle immagini. I resti studiati appartengono a quello che doveva esser stato il “custode” del Collegio consacrato al culto di Augusto, un edificio religioso dell’antica Ercolano, il quale probabilmente è stato colto dall’eruzione mentre dormiva. Il ritrovamento di tessuti celebrali di uomini antichi è un avvenimento molto raro, ma in questo caso siamo di fronte a qualcosa di unico. Uno shock termico avrebbe causato la morte dell’uomo (dunque non per soffocamento) e la trasformazione in vetro di quel che è rimasto del suo sistema nervoso centrale. Proprio così: parti del sistema nervoso dell’uomo si sono conservate fino ad oggi sotto forma di vetro.

Il Collegio degli Augustali

La lava, la causa dello strano fenomeno

Il calore estremo della lava del Vesuvio avrebbe vaporizzato i tessuti molli del corpo e il successivo, netto abbassamento delle temperature avrebbe permesso al cervello di “vetrificare” come avviene talvolta con i resti delle piante. Il dottor Petrone a tal proposito spiegato che un vero e proprio processo di “vetrificazione”, innescato dall’eruzione, ha “congelato” le strutture cellulari, dunque i neuroni, del sistema nervoso centrale di questa vittima, preservandole intatte. La “vetrificazione” è una tecnica che viene usata in medicina per la conservazione di cellule, poiché permette di preservarle nel tempo senza danni strutturali. In questo caso ci ha pensato la natura. I tessuti che subiscono tal processo diventano scuri, lucidi e duri come ossidiana, un vetro vulcanico che si forma per il rapidissimo raffreddamento della lava. È con questo aspetto che li ha trovati il gruppo di lavoro di Petrone. Non solo frammenti di cervello, ma anche di midollo spinale, che hanno rivelato l’impensabile.

“Un intero sistema nervoso centrale umano di duemila anni fa, un mondo ultra microscopico fatto di neuroni e di assoni – ha detto il professore – trovati ad un livello di dettaglio incredibile.”.

Importanti informazioni sono state ottenute anche grazie all’osservazione delle proteine individuate nei resti, e lo studio dei geni che codificano per quelle proteine, ottenendo ulteriore conferma che, quel vetro scuro ritrovato tra i resti, era, in realtà, materiale cerebrale, come chiarito dalla neuro genetista presso l’Istituto di Genetica e Biofisica del CNR di Napoli, Maria Pia Miano.

Uno dei neuroni ritrovati

Non solo archeologia

Gli studi hanno fornito importanti informazioni anche sulle dinamiche della stessa eruzione, come spiegato dal docente ordinario di Vulcanologia della Federico II, Guido Giordano:

“Le strutture neuronali perfettamente preservate sono state rese possibili grazie alla conversione del tessuto umano in vetro, che dà chiare indicazioni del rapido raffreddamento delle ceneri vulcaniche roventi che investirono Ercolano nelle prime fasi dell’eruzione.”.

La cooperazione tra vari esperti è stato un contributo importantissimo per la ricerca che sta riportando alla luce particolari inaspettati sugli ultimi istanti di vita degli antichi abitanti dell’area vesuviana, utili per capire di più sul futuro della stessa e su come prevenire o limitare i danni di una eventuale nuova eruzione del vulcano, a cui sarebbero esposte circa tre milioni di persone.

Il Vesuvio

 

Rita Bonaccurso