La Casa di Carta: La terza stagione è davvero necessaria?

E’ stato davvero un colpo da maestro da parte di Netflix prendere la versione originale e modificarne lunghezza e numero di episodi. Distribuendo in tutto il mondo un prodotto molto apprezzato, che ha portato l’azienda leader dello streaming a rinnovarla per una terza stagione.

Se pensando a una serie televisiva spagnola vi viene in mente “il Segreto” o altre telenovela del genere, siete fuori strada.

Tranquilli questo articolo non contiene spoiler, si rovinerebbe la visione di questo piccolo gioiello.

La Casa di Carta è una serie TV coinvolgente, un thriller emozionante, che tiene lo spettatore con il fiato sospeso. Una storia di astuzia e furbizia, genialità e passione, una storia di “guardie e ladri”, dove nulla è lasciato al caso, pregna di temi ed emozioni e alla fine non si ha ben chiaro il confine tra buoni e cattivi.

Una sceneggiatura attenta, originale e interessante. Una regia che offre a chi guarda immagini che, anche dopo giorni di visione, rimangono indelebili nella mente. Gli attori fanno la parte del leone, interpretazioni azzeccate, intense; un lavoro corale, che non esagero a definire teatrale.

Una volta capito il meccanismo della narrazione, lo spettatore è in attesa della scena successiva per scoprire cosa si nasconde dietro, il prossimo “trucco”, e ne rimane sempre (o quasi) stupito. Per questo motivo la storia è intrigante e “imprigiona” nella sua rete con un fascino inaspettato.

E’ la dimostrazione che non solo gli americani sono in grado di fare serie TV di alto livello.

Dopo aver terminato la visione della seconda stagione è inevitabile chiedersi: è davvero necessaria una terza stagione? Cosa avrebbe da dire?

In effetti la trama è abbastanza chiusa e ho il dubbio che si possa aggiungere di più, ma non si può negare che guarderei la terza stagione, magari con un po’ di timore, ma spero di essere smentita.

Sicuramente consiglio a chi non ha visto questa piccola perla spagnola di farlo e godersela, assaporandola come più preferisce, in un sol boccone o piana piano, ne vale la pena.

Saveria Serena Foti

Jessica Jones è tornata!

Quando Netflix e l’universo Marvel si unirono qualche anno fa per dare vita a due serie tv tutti erano un po’ scettici, poi Jessica Jones ha fatto ricredere tutti.
L’eroina torna sulla piattaforma streaming più prolifica al mondo oggi giorno 8 marzo (quale data migliore?).

Jessica Jones è tratta dall’omonimo fumetto creato da Brian Michael Bendis e  Michael Gaydos nella serie tv è interpretata da Krysten Ritter (Braking Bad, Asthma).
Lo sfondo è New York.
È dotata di una forza e resistenza sovrumana, ma non è tagliata per fare la supereroina quindi lavora come investigatrice privata. È una donna alcolista, cinica, dal tagliente senso dell’umorismo di cui però è facilissimo invaghirsi perché dal cuore buono.
Questo personaggio è il centro e il motivo per cui vedere questa serie televisiva : è umana e imperfetta. I traumi passati non la rendono invulnerabile il contrario e sono queste vicende che vengono raccontate nella serie.
La sua nemesi è tale Kilgrave uomo capace di controllare le menti , che negli anni precedenti si era invaghito di lei e l’aveva resa la sua amante-schiava. Jessica gli era totalmente succube, a causa del potere di quest’uomo. Questo antagonista non è un semplice strumento narrativo, è una metafora estrema di un disagio che viene vissuto in altri contesti.
Le figure femminili della serie sono anche altre: Trish (Rachel Taylor) la migliore amica di Jessica che ha subito violenze psicologiche dalla madre che riversava su di lei frustrazioni e aspettative, costringendola a interpretare da giovane un personaggio televisivo “Patsy”. Poi c’è Jeri (Carrie Anne Moss la Trinity di Matrix) l’avvocatessa spietata (che ritorna anche in Daredevil e Iron Fist).
Di seguito una clip in cui Kristen Rytter parla del personaggio.

https://www.youtube.com/watch?v=0KVdGX051Go

La prima stagione è avvincente e divertente, nonostante la storyline in alcuni casi un po’ contorta, ma anche per i “profani” semplice da seguire. Rientra in un genere noir con qualche sprazzo di comicità.
Krysten Ritter è perfetta per il ruolo e da qualcosa in più al personaggio.

https://www.youtube.com/watch?v=78SCXvhJhl0

Della seconda stagione si sa poco nulla a parte che i 13 episodi sono stati girati da registe e scritta per lo più da sceneggiatrici.
Fra queste troviamo Liz Friedlander (la firma dietro diversi video degli U2, Celine Dion, Alanis Morissette), Deborah Chow, Mairzee Almas (Smallville, Once Upon a Time) e Minkie Spiro (Downtown Abby, Better Call Saul).
Vedremo Jessica combattere con i propri demoni interiori alla ricerca delle verità sul suo passato.
Forse non è una serie da sottoporre a “binge watch” ma è un ottimo modo di passare del tempo a casa.

 

Arianna De Arcangelis

La maledizione della vita e il benessere della morte

Manji (Takuya Kimura), un “ronin” ricercato dallo shogun per l’uccisione di alcuni samurai con persino una taglia sulla sua testa, scappa insieme alla sorella minore Machi (Hana Sugisaki) per poterla proteggere ed evitare la sua fine ormai certa.

La ragazzina, dopo essere stata testimone degli atti del fratello, subisce un trauma talmente grande dovuto allo shock a tal punto da impazzire e vivere in un pieno stato confusionale, obbligando Manji a doverla salvaguardare non solo da i pericoli incombenti, ma dalle sue stesse azioni sconsiderate. Sarà proprio una di queste a portarla nelle braccia di un gruppo di cacciatori di taglie che porrà fine alla sua vita sotto lo sguardo attonito e inerme del fratello, che colmo di rabbia e spirito vendicativo affronta l’innumerevole gruppo eliminandone fino all’ultimo membro. Le ferite riportate dallo scontro saranno talmente gravi (con un occhio e una mano perse) da lasciare Manji in fin di vita e prossimo alla morte, ma inaspettatamente una donna, annunciatasi con una età superiore ai 700 anni, porrà all’interno del corpo del ronin e contro la sua volontà, delle sanguisughe (kessenchu) che, a detta sua, rigeneranno le sue ferite e lo renderanno immortale

 

Mugen no jūnin” (letteralmente “abitante dell’infinito”), in Italia “L’immortale” vanta il primato di essere la centesima pellicola targata Takashi Miike, noto regista del Sol Levante autore anche di “13 Assassini” (altra recensione che è possibile trovare nella sezione “Recensioni” di UniVersoMe). Lo stile è classico e caratteristico: samurai, ideali, scontri e tanto sangue. Formula sempre vincente, soprattutto per film del genere. Una regia niente male guida tutto il percorso narrativo, con una sceneggiatura non troppo elaborata che nonostante tutto riesce a coinvolgere, tralasciando piccoli cali che vengono notevolmente recuperati grazie agli scontri spada-spada di una certa qualità. Tuttavia vi è da precisare come “L’immortale” sia una trasposizione cinematografica dell’omonimo manga, dunque è assolutamente apprezzabile e lodevole la scelta del regista di preservare l’opera e rimanerne fedele. Complessivamente il lungometraggio risulta piacevole, con cariche di adrenalina concernenti i duelli e un “drama” costante che accompagna il tutto con il perenne quesito di chi sia nel bene e chi nel male, anche se la prevedibilità e il cliché non mancano mai. E per non farci mancare nulla, il film è disponibile su Netflix.

                                                                                                                                                  Giuseppe Maimone

Quattro stagioni e quattro lezioni di vita da Bojack Horseman

“Back in the ’90s / I was in a very famous TV show”

Comincio proprio dalla sigla finale per parlarvi di questa serie tv animata creata da Raphael Bob-Waksberg, marchiata Netflix, che vede come protagonista BoJack Horseman, un attore frustrato e semi-alcolizzato. Negli anni ’90 è stata la star di una delle sit-com più seguite dell’epoca, Horsin’ Around, incentrata su tre orfanelli finiti sotto la custodia di un simpatico cavallo scapolo.

Il bello di questa serie tv è il modo in cui, raccontando la carriera quasi decaduta di un cavallo hollywoodiano (o per meglio dire hollywooiano), le sue ansia, paure, sfighe, riesce a parlare di noi.

 1. Cosa vuole BoJack?

Ce lo chiediamo alla fine della prima stagione quando, dopo aver firmato un autografo, guarda Los Angeles dall’alto dell’osservatorio di Griffith, in un triste silenzio. Una riflessione amara e malinconica sulla differenza fra successo e soddisfazione.

In un modo o nell’altro riesce sempre a ottenere quello che vuole, ma questo lo rende davvero felice? Ed è proprio allora che si sente pronto per il film che ha sempre desiderato, per interpretare il cavallo da corsa Secretariat, da sempre il suo idolo.

2. Discorso da star.

Ogni qualvolta pensiamo di essere arrivati al capolinea della nostra vita, di aver fallito in tutti i campi e non essere riuscita a realizzare i nostri sogni, tutti abbiamo bisogno di un “discorso da Star”, lo stesso discorso che Princess Caroline (agente di BoJack), si sente fare dal collega Rutabaga.

“Sei la star di un film e questa è la parte del film in cui hai il cuore spezzato, dove il mondo ti mette alla prova e le persone ti trattano come una merda. Ma deve succedere in questo modo. Altrimenti, la fine del film, quando ottieni tutto ciò che vuoi, non ti sembrerà altrettanto gratificante. Ci sono degli stronzi là fuori, ma alla fine, non contano. Perché questo film non riguarda loro. Non è mai stato su di loro. Per tutto questo tempo, il film è stato su di te”

Beh, cos’altro aggiungere … la vita è un percorso pieno di salite ma di altrettante speranze, l’importante è continuare e andare avanti, come dire, “the show must go on”.

 

3. “È l’avverarsi di un sogno”

Nella prima puntata della terza stagione vediamo Bojack in una serie di interviste in cui risponde a ogni giornalista “è l’avverarsi di un sogno” descrivendo l’emozione che prova per il film in cui ha recitato, Secretariat. La sua corsa all’Oscar e il suo splendido momento che sta vivendo, tutto sembra destinato a finire.

“-Nessuno completa nessuno. Non è un concetto reale, se hai la fortuna di trovare qualcuno che riesci a sopportare, stringilo forte e non lasciarlo più.

-Allora dovrei accontentarmi?

-Sì, esatto. Accontentarti. Perché altrimenti diventerai vecchia, e cinica, e sempre più sola. E farai di tutto per riempire quel vuoto con gli amici e la tua carriera, e del sesso insignificante. Ma quel vuoto non si riempirà mai. E un giorno ti guarderai allo specchio e ti renderai conto che ti amano tutti ma che in realtà non piaci a nessuno.”

L’amore e la felicità personale, si rende conto che sono questi piccole cose ad essere fondamentali nella sua esistenza, eppure sembrano così lontane. Quante volte ci siamo trovati nella stessa situazione, fissando quel bicchierino di tequila o quel cucchiaino di nutella, pensando a quanto siamo “fuori dai binari”, per così dire, perché non importa quanto il nostro lavoro possa gratificarci (o non), niente vale più di un complice della vita che ti aspetta la sera a casa. Ed ecco la lezione più bella che ci dà il nostro equino con tendenze autodistruttrici.

4.“La vita non è altro che una serie infinita di occasioni mancate”

Bojack, dopo essere scomparso per più di un anno, fa ritorno alla sua abitazione, e nel controllare la posta afferma che

“Sembra che mi sia perso un’occasione da Pottery Barn. La vita non è altro che una serie infinita di occasioni mancate, alcune riguardano Pottery Barn

Ok, pessimo scherzo, non è questa l’ultima lezione che in questa quarta stagione ho imparato. Più di tutte mi sono rimaste impresse queste sue parole “devo dirti da subito di smettere di cercare l’abbastanza, perché niente sarà mai abbastanza.”
Ovviamente ci sono tante altre cose che possiamo imparare, e ci sono tanti altri personaggi che qui non sono riportati.

Consiglio la visione di Bojack Horseman a tutte quelle persone sole, che vivono tra la rabbia e il risentimento, inseguendo sogni che forse porteranno la felicità, ma che sono una catena di insoddisfazioni. Alla fine, quel cavallo alcolizzato sarà lo specchio della vostra zavorra emotiva.

Serena Votano

Stranger Things 2

È passato un anno da quando a Hawkins e nella vita di Will sembra essere tornata la normalità.
Tutti provano a dimenticare ciò che hanno visto e vissuto, ma Will ha ancora continui “ricordi” del sottosopra e capisce che il suo incubo non è ancora davvero finito.
Ad un anno dal termine della prima stagione e del meritatissimo successo che aveva riscosso, Stranger Things riparte con un sequel quanto più ricco di sorprese.

I protagonisti sono sempre loro: Will (interpretato da Noah Schnapp), Mike (Finn Wolfhard), Dustin (Gaten Matarazzo) e Lucas (Caleb McLaughlin).
Ma i fratelli Matt e Ross Duffer, ideatori della serie, ampliano il loro panorama narrativo e inseriscono nuovi personaggi e situazioni del tutto inaspettate. È il caso di Max (Sadie Sink), nuova arrivata nel gruppo dei quattro ragazzini, e del suo sprezzante fratellastro Billy (Dacre Montgomery).
E ancora, troviamo un bravissimo Sean Astin nei panni di Bob, nuovo fidanzato della mamma di Will, Joyce, come sempre interpretata da Winona Ryder, sempre più convincente nella sua interpretazione e perfettamente calata nel ruolo.
Era inevitabile poi il ritorno di Undici (Millie Bobby Brown), che in realtà si scoprirà non essere mai realmente andata via. Un’intera puntata sarà dedicata a lei, al suo personaggio e alla sua storia.
Si tratta di una vera e propria crescita psicologica che la porterà a conoscere la madre, la sorella e infine a prendere la decisione di tornare in aiuto ai suoi amici.

I presupposti per una grande seconda stagione sembrano quindi esserci tutti, gli spunti narrativi non mancano, gli intrecci, le nuove situazioni sono ottime.Eppure a questa seconda stagione sembra mancare qualcosa.
I Duffer danno l’impressione di aver messo “troppa carne al fuoco” per poi ricavarne ben poco.
I personaggi sono come sempre caratterizzati alla perfezione; le situazioni secondarie sembrano invece essere poco sviluppate. Abbiamo l’arrivo dei due fratellastri, ma si parla poco di loro e della loro storia e si finisce col non capire bene che ruolo effettivamente abbiano. Lo stesso vale per la madre di Undici e la sorella; la ragazzina riesce finalmente a scoprirne l’esistenza e ad incontrare entrambe, eppure questi incontri sono fini a se stessi, ne rimane ben poco e nonostante l’intera puntata dedicata a ciò è poco chiaro il motivo di questa scelta.
Queste situazioni “lasciate a metà” fanno però ben sperare in una terza serie, così come la scena finale in cui ci viene mostrato come, nonostante il passaggio sia stato chiuso, il sottosopra sia ancora lì.
La qualità tecnica della serie rimane comunque indubbiamente molto alta.
I due fratelli hanno una regia impeccabile, l’ambientazione è più che realistica e il cast scelto è di ottimo livello. Siamo nel 1984 e il clima che si respira è esattamente quello.
Il tutto accompagnato dalla giusta dose di suspense e attesa…per la prossima stagione.

 Benedetta Sisinni

 

 

 

Designated survivor

E’ una serie tv americana in onda su Netflix da un paio di mesi.
Racconta la storia di un uomo che si trova all’improvviso a ricoprire una tra le più importanti cariche al mondo: il presidente degli Stati Uniti d’America.
Questo upgrade sociale avviene grazie allo scoppio di una bomba,  che rade al suolo il Campidoglio mentre al suo interno si trovava l’intero Congresso.
E quindi, morto il Presidente, l’America corre ai ripari e ne nomina un altro.
Il primo nome sulla lista, (in realtà non è il primo ma i dieci candidati prima di lui sono tragicamente passati a miglior vita) è quello del Segretario della Casa e dello Sviluppo Urbano degli Stati Uniti d’America, Tom Kirkman.
Piccola curiosità: in America questa ‘precauzione’ del sopravvissuto designato esiste davvero dalla lontana Guerra Fredda, quando l’attacco nucleare era dietro l’angolo.
Durante alcuni eventi di massima importanza tutti i membri del Congresso, il Presidente, il Vicepresidente, il capo di Gabinetto (e sicuramente altre grosse cariche facenti parte delle mie lacune sulla legislazione americana), si trovano fisicamente nello stesso luogo.
Contemporaneamente, il sopravvissuto designato si trova in un altro luogo, sotto stretta sorveglianza. Questo perché in caso di attentati, catastrofi (come quella della serie tv), il Paese abbia almeno una figura guida.
Il primo ‘designated survivor’ , Terrel Bell, è stato tuttavia reso noto solo nel 1981, durante il mandato Reagan.
E nel 2001 dopo l’attentato alle Torri Gemelle, in occasione del discorso di inaugurazione di George Bush, fu scelto Dick Cheney, il vice presidente. Questo perché data la delicatezza della situazione, si è resa necessaria una figura già stabile e imponente dal punto di vista mediatico e politico.
Tornando a Kirkman, è il sogno americano fatto personaggio. Un uomo che ha a cuore i grandi valori, la famiglia, la correttezza, ma soprattutto tanta umiltà e dedizione alla propria causa.
Ovviamente non si addice a tutti essere il Presidente, e all’inizio Kirkman non sembra essere un’eccezione.
E’ una sola stagione, 21 episodi da circa 45 minuti l ‘uno; però una puntata dopo l’altra conquista quel ‘quid’ che mi ha fatto cambiare idea sul suo conto.
Nonostante gli altri personaggi non conservino questo dinamismo, è una serie tv di cui vuoi vedere il finale. Ci sono innumerevoli intrighi, altri attentati, una mezza storia d’amore e pallottole vacanti.
Il cast è formato da attori poco noti; fa sicuramente eccezione  Maggie Q, l’agente di punta dell’FBI, che interpretava la ‘Nikita’ dei pomeriggi di Italia uno.
Forse qualcuno riconoscerà anche Kal Penn, il portavoce della Casa Bianca che abbiamo già visto in House MD.
Tom Kirkman è Kifer Sutherland, Golden Globe nel 2002 come miglior attore protagonista nella serie tv ’24’.
La regia e la colonna sonora non hanno nulla di troppo particolare, sono la cornice ‘basic’ di un quadro incentrato sulle vicende del Presidente e di tutti quelli che gli stanno attorno.
Giulia Garofalo

Black Mirror. Terzo capitolo.

Il futuro pericoloso ed inquietante della tecnologia è già nel presente. Ce lo rivela Black Mirror

Quanti questa estate, nei reticoli cittadini, armati fino ai denti di smartphone di ultima generazione, si sono messi a caccia di animaletti formati da pixel per arricchire la propria collezione virtuale? Se non siete tra questi, senz’altro vi sarete trovati negli ultimi minuti affaccendati nel gesto meccanico di scorrere le dita sullo schermo touch per risolvere un’incombenza o relazionarvi con gli altri, mentre intorno a voi qualcuno tentava in altro modo di stabilire un contatto o praticava una manovra diversa dal sollevare il tablet.

gallery-1477497138-blackmirror-ep3-nosedive-0101rUna ragazza corre in una strada di un quartiere che pare uscito da una cartolina promozionale di un villaggio vacanze, saluta i conoscenti che incrocia e a ciascuno di loro assegna un punteggio da una a cinque stelle. Le interazioni sono funzionali ad alzare la stanghetta della popolarità e ad accrescere la reputazione sociale. Ogni azione, ogni condivisione di immagini o video in un social network viene valutata da un applicazione, Rate Me, che permette di esprimere un giudizio in merito alla persona, non al contenuto, che questa pubblica. C’è qualcosa di vagamente familiare nell’immaginario evocato?

 

Per la terza stagione, sbarcata su Netflix ad ottobre, si è acceso il monitor della serie culto anglosassone che colora il presente di nero, e lo fa a partire da una prospettiva visionaria romanzata ma credibile del futuro dominato dagli effetti annichilenti e insidiosi dell’innovazione tecnologica. Questa volta i nuovi episodi sono sei, il doppio di quelli contenuti nelle due serie precedenti (se escludiamo lo special natalizio della seconda). Le stagioni, che seguono un percorso antologico, dove ogni puntata è narrativamente auto conclusiva, sono riuscite nuovamente a catturare i riflessi, nonché le derive patologiche di un epoca in cui la realtà e il virtuale si toccano come mai prima. In uno scenario in ogni caso mai davvero così altro dal nostro, le esperienze quotidiane trovano gli spunti per essere restituiti a una lucida analisi che alterna satira a fantascienza.

 

E se con gli occhi potessimo disporre di una realtà aumentata impiantata attraverso un foro sulla testa? Black Mirror mostra come un ipotetico microchip di questo tipo, che diventerà forse un giorno obbligatorio, possa rappresentare la metafora del modo distorto di guardare e di muoversi nella realtà, esito aberrante della rivoluzione tecnologica. E’ una serie che più di tutte è in grado di raccontare il presente, e di coglierlo con capacità profetica. Infatti ad essere dipinto è un futuro immaginario ma plausibile. E pericolosamente realistico. Il panorama che si profila è uno scenario pauroso e inquietante che nessuno ha avuto l’abilità di descrivere con tanta sagacia disturbante come questa piccola serie britannica. A risentirne prima di tutto sono le società trasformate dagli effetti del progresso informatico; la prospettiva accarezzata è che nel prossimo futuro il virtuale e reale si accosteranno tanto da mettere in crisi la visione del mondo che abbiamo maturato fino ad oggi, annientando forse persino gli stessi sentimenti umani. Ideata da Charlie Brooker, la serie è stata confermata con l’uscita di altri sei episodi ancora per un’altra stagione.

blackmirrortitlecardLa terza serie affronta temi che si legano in vario modo all’attualità della cronaca, come quello del linciaggio su internet di Odio Universale, in cui i messaggi a catena di disprezzo e di beffa su twitter nei confronti di un personaggio vittima di pubblico ludibrio, vengono strumentalizzati da chi abusa di una innovativa ecologia robotica, in una puntata a metà strada tra l’horror e il noir investigativo. C’è anche lo stalkeraggio portato ai livelli di violenza e privazione della privacy che ricordano tristi casi di cronaca recenti di Zitto e balla, tra le più riuscite della serie, anche per la bravura degli attori (si ricorda Jerome Flynn del Trono di Spade). Mentre Giochi Pericolosi è la materializzazione agghiacciante delle nostre fantasie più spaventose.

 

Arriva allora la conferma che ci aspettavamo fin dalla prima puntata delle due stagioni trasmesse a partire dal 2011, e cioè che Black Mirror è una delle migliori serie in circolazione da sempre. Anche quando il presagio che si configura è dei più foschi e il futuro sembra un posto orribile, senza nessuna intenzione moraleggiante (che mai traspare nonostante l’acutezza dell’analisi sociale) irrompe comunque a stemperare una risata. Perché prima della denuncia viene lo sguardo su noi stessi. Consapevoli che tutti siamo vittime e carnefici del mondo che abbiamo costruito.

 

Eulalia Cambria

Uragano Netflix

netflix-everywhereAvevo iniziato a scrivere questo articolo per recensire una delle migliori serie comiche che abbia visto negli ultimi anni, “Grace & Frankie”, e mentre scrivevo ho avuto una sorta di rivelazione.

Mia nonna di 88 anni mi ha chiesto cosa fosse  quella cosa che sentiva spesso nominare da me: Netflix.

Con uno sguardo fisso e un tono serio le ho risposto , senza pensarci due volte “Nonna, Netflix è il futuro”.

Dopo averle spiegato più o meno cosa fosse e come funzionasse, la mia cara nonna ha annuito ed approvato la mia affermazione.  

 

Nata nel 1997 inizialmente l’azienda noleggiava dvd e videogiochi; nel 2008 la svolta quando venne attivato il servizio di streaming online on demand. Nel 2010 furono avviate le produzioni originali.

Nel 2013 la produzione due serie tv che diverranno immediatamente dei cult: House of cards con Kevin Spacey nei panni del politico spietato Frank Underwood e Orange is the new black che , ispirato dall’omonimo libro di Piper Kerman ed ideato dal genio di Jenji Kohan, racconta le vite delle donne nel carcere femminile di Litchfield.

Fiumi di candidature e vittorie fra Emmy, Golden Globes e SAG per i protagonisti di entrambe le serie.

 

Dall’ottobre 2015 Netflix è arrivato anche in Italia e nel gennaio del 2016 il servizio streaming è ormai accessibile in più di 190 paesi con 74 milioni di utenti.

L’offerta è enorme: dalle serie tv ai film , come “Beast of no nation” con Idris Elba che è stato presentato l’anno scorso al festival di Venezia. Giorno 29 luglio sarà disponibile sulla piattaforma “Tallulah” che vede protagoniste Ellen Page e Allison Janney.

Passando dal drama di “Sens8” e “Narcos” alla comicità di “Unbreakable Kimmy Schmidt” ideata dalla comica Tina Fey (SNL, 30 Rock) e Robert Carlock e “Master of None” creata da Aziz Ansari altro rinomato stand up comedian americano.

Ma Netflix non si ferma e per voi amanti dei fumetti ha fatto entrare nella sua famiglia anche i supereroi della Marvel in primis con “Jessica Jones” interpretata da Krysten Ritter e “Daredevil” che è già alla sua terza stagione.

Fresche notizie dal Comic-Con di San Diego sono “Luke Cage” e “Iron Fist” e il teaser di “The Defenders” con tutti i difensori uniti. Uscite previste per il 2017.

Insomma un sodalizio forte e produttivo.

Per non parlare dei documentari fra i quali spiccano “What happened Miss Simone?” “Virunga” e “The Square”.

C’è anche un tv show : “Chelsea” di Chelsea Handler , conduttrice rinomata per la sua schiettezza e satira.

I prodotti originali non prevedono cast con protagonisti solo americani : in “Marco Polo” , rinnovata per una seconda stagione, troviamo Lorenzo Richelmy nei panni del mercante e Pierfrancesco Favino in quelli del padre.

 

Oltre alle produzioni originali il catalogo comprende una quantità di film che spaziano dal “Buio oltre la siepe” a “Suburra” passando per “Persepolis” La terrazza” “Nella casa” “Moliere in bicicletta” “Broken flowers”. Produzioni varie, da tutto il mondo e di tutte le epoche.

E’ un catalogo che sicuramente andrà espandendosi.

Proprio in tema di accordi recentissima notizia è l’annuncio del primo accordo globale con la 20th Century Fox Television per la concessione in licenza dello streaming video on demand, il cui primo contenuto oggetto dell’intesa sarà “American Crime Story”, la serie più seguita del 2016 sui canali via cavo ed ha ottenuto il numero massimo di candidature agli Emmy di quest’anno.

 

La caratteristica delle opere di Netflix è la libertà, non ci sono limiti all’espressione sia nel linguaggio che negli argomenti trattati.

E’ questo che la rende una piattaforma innovativa e di successo. Non ci sono limiti.

Si producono lavori di alta qualità e vengono prodotti i lavori di persone che io definirei menti aperte e  probabilmente visionarie.

Diversità di prodotti e di soggetti che stanno davanti e dietro la telecamera.

Il cast di OITNB ne è la prova tangibile, le quali per ben due volte si sono aggiudicate il SAG award (i premi assegnati dalla gilda degli attori) come “Miglior cast in una serie commedia” facendo urlare Laura Prepon sul palco “This is what we talk about when we talk about diversity”.

 

Jenji Kohan, Martha Kaufmann, Beau Willimon, Tina Fey,  Aziz Ansari, Chris Brancato, Melissa Rosenberg, Brian Bendis sono solo alcuni dei nomi delle penne dietro i vari show.

Per non parlare degli interpreti delle serie tv: Kevin Spacey, Jane Fonda , Lily Tomlin, Kate Mulgrew, Uzo Aduba, Taylor Schilling, Laura Prepon, Danielle Brooks, Kyle Chandler, Natasha Lyonne, Samira Wiley, Lea DeLaria, Titus Burgess, Jane Krakowsi, Carol Kane.

Diversi di questi hanno raggiunto la notorietà proprio grazie ai ruoli che interpretano per le serie in questione. Dire che sono dei bravi attori è riduttivo.

 

Oggi, nonostante i grandi passi avanti nell’industria dell’intrattenimento per l’uguaglianza fra sessi orientamenti sessuali e religione, mi sono chiesta quale altro network avrebbe prodotto una serie tv su due 70enni e la vita a quella età? Una serie tv che è già alla sua terza stagione e che quest’anno ha acquistato ancora più successo.

Chi avrebbe finanziato quattro episodi in uno dei quali la conduttrice prova in diretta gli effetti delle iterazioni delle droghe e farmaci con l’alcol e non solo? La cui conduttrice ha ora un show tutto suo sulla stessa piattaforma. Probabilmente nessuno, né in Italia né in USA.

Anche se i premi non sono elementi molto validi su cui basarsi , sei nomination e sei vittorie ai premi Peabody vorranno pur dire qualcosa.

Senza fare troppo rumore le loro produzioni si sono insinuate nella cultura di massa divenendo dei cult, insomma chi non ha mai sentito parlare di Frank Underwood o ha letto qualche sua frase sui social? Questo per fare un piccolo esempio.

Oppure basta guardare una qualsiasi intervista di Uzo Aduba o Danielle Brooks in cui raccontano l’istantaneo cambiamento della loro quotidianità , venendo spesso fermate per strada per una foto.

 

La libertà di internet che spesso è un’arma a doppio taglio Netflix l’ha utilizzata per la diffusione di cultura ed intrattenimento con la possibilità di raggiungere veramente ogni parte del mondo trattando qualunque tipo di argomento e raccontando qualunque tipo di storia.

E questo è solo l’inizio.

 

Netflix è il futuro. E lo dice anche mia nonna.

 

Arianna De Arcangelis