Il ritorno di Gossip Girl: le sei stagioni in streaming

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Con l’arrivo del nuovo anno Netflix, la celebre piattaforma di streaming, offre la possibilità ai propri utenti di assaporare, dopo sei anni dalla puntata finale, le sei frizzanti stagioni riguardanti le vite scandalose delle élite di Manhattan.

La serie che ha fatto impazzire le teen-ager di mezzo mondo fa di nuovo parlare di sè: da quando Netflix ha annunciato il ritorno, sul web non si discute d’altro!

Si tratta di una serie televisiva statunitense, trasmessa dal 2007 al 2012. In Italia, è andata in onda sul canale Mya di Mediaset Premium e successivamente, dal gennaio 2009, è stata trasmessa su Italia 1.

La prima stagione si apre con il ritorno nell’Upper East Side di Serena Van Der Woodsen (Blake Lively), scomparsa per alcuni mesi senza dare spiegazioni a nessuno. Da qui si susseguiranno una serie di vicende, intrighi e complotti che vedranno coinvolta lei ed il suo gruppo di amici.

Gossip Girl, la voce narrante, si occupa di raccontare ciò che accade nelle vite dei ragazzi, senza perderli mai di vista, ma la sua identità rimane segreta fino all’ultima puntata della serie. “Ricchi ed eccessivamente attraenti studenti di una prestigiosa scuola si fanno cose orribili e scandalose a vicenda. Ripetutamente”: è questa la descrizione della serie sulla famosa piattaforma.

Ciò che sconvolge è che nonostante siano passati degli anni, la serie sembra essere ancora attuale. Ma la vera domanda è, riuscirà Gossip Girl ad accaparrarsi i consensi di queste ultime generazioni, o verrà seguita soltanto dai vecchi fan?

Elena Emanuele

You: un nuovo thriller firmato Netflix con Dan Humphrey

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You è una nuova serie Netflix che si sviluppa nell’arco di una sola stagione ed è composta da dieci episodi della durata di un’ora circa.

Quello che incuriosisce al primo sguardo è sicuramente il cast: abbiamo un Dan Humphrey protagonista (si, proprio quello di Gossip Girl!) e Shay Mitchell, una delle Pretty Little Liars.

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La serie tv è tratta dal romanzo omonimo di Caroline Kepnes e ha anche un sequel, Hidden Bodies.

Al di là dei volti conosciuti, si è rivelato un’ottima scelta per riempire due o tre pomeriggi di pioggia e noia: prima di tutto non è particolarmente impegnativa, quindi non c’è bisogno di stare con gli occhi incollati, cinque minuti di instagram ogni tanto sono concessi. E questo sia perché la trama non è molto intricata, sia perchè non succedono troppe cose tutte insieme.

Il protagonista, Joe Goldberg, è una persona semplice e di sani principi con la passione per i libri, l’avversione verso i social e pochi amici, insomma il ragazzo della porta accanto. Naturalmente ci sarà qualcuno ad attirare la sua attenzione e far battere il suo cuore al ritmo più bohémien che riuscite a immaginare. E’ qui che entra in scena Beck (Elizabeth Lail), una giovane donna sul sentiero verso la ricerca del self che ha un pessimo senso dell’orientamento e l’intuito di una pera cotta.

Ricapitoliamo: Beck è un’aspirante scrittrice e Joe ha in gestione una libreria molto vintage.

Tutto perfetto se non fosse che Joe è uno psicopatico: armato della profonda convinzione (e non soltanto quella) di sapere cos’è meglio per Beck. A poco a poco la allontana da tutto ciò che ritiene pericoloso per lei e per il suo sogno di diventare scrittrice.

Dopo i primi tre episodi le cose iniziano a essere più interessanti, Joe fa un pò di terra bruciata attorno alla donzella dai biondi capelli e diventa ai suoi occhi il ragazzo perfetto. C’è da dire che ci riesce anche perché Beck non ha un background di amici molto presenti e la sua migliore amica (Shay Mitchell) è da TSO immediato.  E poi va considerata la componente social media: grazie a facebook, twitter, instagram, Joe riesce sempre a sapere con chi si trova Beck, dove abita, cosa mangia, di cosa ha voglia ecc. Il paradosso di questa serie sta proprio nella discordanza tra il peso della narrazione, praticamente effimero, e il peso delle tematiche affrontate. Si parla di femminicidio, del ruolo preponderante che assumono i social media nel quotidiano e, grazie a questi, della velocità sconvolgente con la quale perfetti sconosciuti riescono a infilarsi nella vita di tutti i giorni di chiunque.

Concludendo si può dire che è una serie apparentemente banale, ma è proprio la leggerezza del copione a renderla piacevole e ideale per qualche pomeriggio di binge-watching.

https://www.youtube.com/watch?v=Eh02W0tNNPk

Giulia Garofalo

Hill House: la serie TV Netflix sul paranormale

La serie Netflix diretta da Mike Flanagan (regista de “Il gioco di Gerald”) è ispirata da “L’incubo di Hill House” di Shirley Jackson. L’autrice, nella sua opera, proponeva la storia di una casa infestata che catturò l’interesse di fanatici e scienziati, intenti a svelarne i misteri.

Flanagan, decide di sconvolgere la trama del romanzo, riprendendo alcuni personaggi e mantenendo il tema della casa infestata; questa volta ad Hill House arriva la famiglia Crain, composta da Hugh ed Olivia, due imprenditori che vogliono ristrutturare Hill House e rivenderla e dai loro cinque figli Steve, Shirl, Theo, Locke e Nell. La famiglia si traferisce nella casa inconsapevole di ciò che accadrà e del fatto che Hill House non è una casa come le altre.

La serie si muove su due linee temporali, quella terribile estate, dove tutto accadde ed il presente, quando ormai i fratelli hanno preso strade diverse. Le loro vite divenute indipendenti vengono nuovamente sconvolte da un’altra tragedia, la morte di uno dei fratelli che spinge i restanti ad indagare nel passato e a porsi domande che non si erano mai posti prima.

Hill House non è un horror che vuole mettere paura a chi lo guarda, la serie è sottile, fatta di introspezione, suspence, concentrata sul significato della famiglia, sul dolore e sulla consapevolezza che incutono più terrore di qualunque scena di sangue.

https://youtu.be/gTZyG1mpz4k

Sofia Campagna

Sense8: il finale di serie soddisfa le aspettative?

Questo è la vita. Paura, rabbia, desiderio, amore. Smettere di provare emozioni o smettere di volerne provare è come morire. 

Quando il 1° Giugno 2017 Netflix annunciò la cancellazione definitiva di questa serie, fu un duro colpo; soprattutto perchè il 5 Maggio dello stesso anno, la piattaforma aveva pubblicato la seconda stagione.
Le proteste e la successiva mobilitazione dei fan, hanno portato all’annuncio della stessa Netflix, in data 29 Giugno 2017, dell’intenzione di realizzare un episodio conclusivo, che è stato pubblicato l’8 Giugno 2018.

Per chi non avesse idea di cosa stiamo parlando, citiamo la descrizione di trama che fa Wikipedia:

Otto sconosciuti da diverse parti del mondo sviluppano improvvisamente una reciproca connessione telepatica. Appartenenti a diverse culture, religioni e orientamenti sessuali, scoprono quindi di essere dei sensate, persone con un avanzato livello di empatia che hanno sviluppato una profonda connessione psichica con un ristretto gruppo di loro simili. Mentre cercano di scoprire, disorientati, il significato delle loro percezioni extrasensoriali e iniziano a interagire a distanza tra di loro, un uomo di nome Jonas si offre di aiutarli. Allo stesso tempo un’altra enigmatica figura, Whispers, sfrutta la loro stessa abilità per dar loro la caccia.”

Se pensiamo che le ideatrici sono le sorelle Wachowski, che da fratelli hanno tirato fuori una trilogia come Matrix, che ha avuto un forte impatto culturale a livello mondiale, non possiamo definire Sense8 una serie fantascientifica.
C’è prima di tutto un’idea molto interessante di fondo, la connessione tra persone in diverse parti del mondo che non è semplice telepatia, ma qualcosa di molto più profondo.
I temi affrontati sono importanti, si parla di discriminazione, razziale, sessuale, religiosa, di ceto, si parla di paura, di odio, di passione, sesso, ipocrisia e affrontando tutti questi temi saltando da un genere all’altro, come durante la serie si salta da una parte del mondo all’altra.
Ci si ritrova a ridere e il secondo dopo piangere, esaltarsi e soffrire.
Non è una serie banale, forse non è per tutti, ma tutti dovrebbero vederla probabilmente.
Ammetto che all’inizio non è facile da “digerire”, ma l’apparente “lentezza” serve a “imboccarti” i concetti e a capire meglio i personaggi. Il ritmo diventa sempre più incalzante e vuoi sapere come va a finire il tutto.

E qui torniamo alla nostra domanda iniziale: La puntata conclusiva è stata soddisfacente? La risposta è Nì. Indubbiamente lo svolgimento dei fatti, come le Wachowski le avevano concepite all’origine, non doveva risolversi in un lungometraggio. Troppe le trame da concludere, le spiegazioni mancanti, le verità nascoste. Eppure hanno dato una fine decorosa a questo intenso percorso. Certo, si nota la necessità di “dover chiudere in fretta”, ma questo non ha tolto spazio a scene d’azione, momenti divertenti, piccanti, thriller. Per alcuni sarà sembrata una fine “a tarallucci e vino” o troppo “amore libero”, ma alla fine i fan volevano questo e si vede che è stato fatto tutto con amore, per i fan che hanno creduto in questa serie, che si sono emozionati e volevano vedere qualcosa di positivo.

Questa serie alla fine parla di amore, un amore che va oltre le distanze geografiche, oltre gli schemi tradizionali, per chi è troppo “bacchettone” può anche dar fastidio una serie così e magari spegne alla prima scena di bacio tra persone dello stesso sesso. Io dico peggio per loro, perché Sense8 non è solo questo e solo guardandola si può capire (a prescindere dalla scena finale che può piacere o meno, ma alla fine la maggior parte dei fan quello volevano, furbacchioni 😉 )

Alla fine, saremo tutti giudicati per il coraggio del nostro cuore.

 

Saveria Serena Foti

Film e serie tv in uscita.

27 giugno

HURRICANE – ALLERTA URAGANO

regia: Rob Cohen

cast: Toby Kebbell, Maggie Grace

trama: Dopo la morte del padre, vittima di uno dei tornado, Will  meteorologo del Governo impegnato a studiare Tammy: un uragano in arrivo sull’Alabama che si preannuncia essere il più violento nella storia degli Stati Uniti. Mentre gli abitanti cominciano ad evacuare la zona, Will, suo fratello e l’ agente del Tesoro Casey si ritrovano soli in mezzo alla furia dell’uragano e, allo stesso tempo, alle prese con un gruppo di rapinatori che vuole approfittare dell’imminente catastrofe per compiere una rapina  alla Zecca dello Stato.

28 giugno

IL SACRIFICIO DEL CERVO

regia: Yorgos Lanthimos

cast: Colin Farrell, Nicole Kidman, Barry Keoghan, Alicia Silverstone

trama: Un famoso chirurgo cardiotoracico insieme alla moglie Anna e ai loro due figli vive una vita felice e ricca di soddisfazioni.
Un giorno Steven stringe amicizia con Martin un sedicenne solitario che ha da poco perso il padre e decide di prenderlo sotto la sua ala protettrice.
Quando il ragazzo viene presentato alla famiglia, tutto ad un tratto, cominciano a verificarsi eventi sempre più inquietanti, che progressivamente mettono in subbuglio tutto il loro mondo, costringendo Steven a compiere un sacrificio sconvolgente per non correre il rischio di perdere tutto.

 

LA GUERRA DEL MAIALE

regia: David Maria Putorti

cast: Victor Laplace, Arturo Goetz, Ricardo Merkin, Vera Carnevale

trama: La comune convinzione che l’uomo invecchiando finisca per maturare serenità e saggezza è falsa. L’essere umano una volta superato l’acme della propria esistenza, comincia l’inesorabile e inevitabile discesa verso la morte e in questo lento diminuire la paura cresce dominandolo, trasformandolo in un essere vulnerabile, egoista e vigliacco.
Questa semplice e cruda riflessione e il ciclico conflitto tra le generazioni sono il nucleo del film, adattamento dell’enorme successo editoriale dello scrittore argentino Adolfo Bioy Casares.

 

L’ALBERO DEL VICINO

regia: Hafsteinn Gunnar Sigurosson

cast: Steinpór Hróar Steinporsson, Edda Björgvinsdóttir, Porsteinn Bachmann, Selma Björnsdóttir, Dóra Jóhannsdóttir

trama: Agnes caccia di casa Atli e non vuole che lui veda più la loro figlia Ása. L’uomo si trasferisce dai genitori, coinvolti in un’amara disputa riguardante il loro grande e magnifico albero, che fa ombra al giardino dei vicini. Mentre Atli lotta per ottenere il diritto di vedere la figlia, la lite con i vicini si intensifica: la proprietà subisce danni, animali scompaiono nel nulla, vengono installate telecamere di sicurezza e gira voce che il vicino sia stato visto con una motosega in mano.

 

TULLY

regia: Jason Bateman

cast: Charlize Theron, Mackenzie Davis, Mark Duplass, Ron Livingston

trama: Il duo Jason Bateman – Diablo Cody torna sul grande schermo dopo il successo di Juno e Young Adult. Qui raccontano la faticosa vita di una madre di tre bambini e le gioie e gli ostacoli della maternità. Marlo è al limite delle forze, incapace di donare a ciascun componente della famiglia le attenzioni di cui ha bisogno, una giovane Mary Poppins in skinny jeans suona alla porta.
La tata Tully arriva per prendersi cura dei bambini e della loro stanchissima madre. All’inizio Marlo fatica ad abituarsi ai modi inconsueti e stravaganti della baby sitter e ai numerosi cambiamenti apportati alla sua sfibrante routine serale, col tempo le due donne stringeranno una proficua alleanza che si trasformerà in un sincero legame d’amicizia.

 

29 giugno su Netflix

GLOW

Tornano le” Gorgeous Ladies Of Wrestling”. La serie racconta delle lottatrici che acquisirono notorietà negli anni Ottanta, con corpi statuari, costumi striminziti e glitter. Creato da Jenji Kohan sceneggiatrice e produttrice di “Weed” e “Orange is the new black”.
Le avevamo lasciate sul ring e nel tripudio della registrazione del primo incontro chissà cosa accadrà in questa seconda stagione.

 

Festival di Cannes 2018: poche “stars” e molte polemiche

Come ogni anno, con l’arrivo di Maggio, ritorna il più importante evento cinematografico dopo gli Oscar hollywoodiani:  il Festival di Cannes, la splendida passerella che ha portato al trionfo pellicole cult come Miracolo a Milano di De SicaLa dolce vita di Fellini e Pulp Fiction di Tarantino (solo per citarne alcuni).

Ma, a soli 8 mesi dallo scoppio del “Caso Weinstein” e, con il ricordo ancora vivido delle bellissime parole pronunciate durante la serata degli Oscar dall’attrice Francis McDormand, è stato facile prevedere la forte ondata di polemiche e manifestazioni che sta colpendo giorno dopo giorno l’evento di punta della stupenda città della Costa Azzurra. È stata, infatti, assordante la marcia silenziosa portata avanti sul red carpet del Palais des Festivals et des Congrès, da parte di 82 donne del cinema tra cui registe, attrici, produttrici, manager che hanno sfilato per manifestare contro le violenze sessuali e spingere verso una più netta e concreta equiparazione dei sessi all’interno dell’industria cinematografica e non solo. In testa al corteo la presidente della giuria, Cate Blanchett, e la regista belga, neo-vincitrice di un Oscar alla carriera, Agnés Varda, hanno sottolineato l’importanza di questo gesto con la lettura di un significativo discorso sulle scale d’ingresso del Grand théâtre Lumière:

“Le donne non sono una minoranza nel mondo, ma la rappresentanza che abbiamo nell’industria sembra dire ancora altro… affrontiamo ovunque ognuna le proprie sfide, ma oggi siamo qui insieme per dare un segnale della nostra determinazione e del nostro impegno al progresso. Queste scale devono essere accessibili a tutte. Scaliamole!”

Ad organizzare la marcia è stato il nuovo movimento femminile francese 5050×2020” che, insieme ai già noti Time’s up , Dissenso comune e MeToo, si sta impegnando in questa dura battaglia.

E, se da un lato spiccano in senso positivo questi gesti di ribellione e invito al progresso, dall’altro destano scalpore e danno adito ad altre polemiche, le decisioni prese dal delegato generale del Festival di Cannes 2018, Thierry Fremaux.

Il cinquantottenne critico cinematografico francese e direttore dell’Istituto Lumière di Lione, si è fatto notare proprio per le restrizioni a cui ha sottoposto questa 71esima edizione della kermesse, negando, in primis, la partecipazione alla corsa alla Palma d’oro, dei film prodotti dal colosso statunitense Netflix, denunciando l’incompatibilità dei metodi di distribuzione delle pellicole da parte della piattaforma web, con le regole del Festival:

“Il loro modello (di Netflix, ndr) è incompatibile con quello francese, a Venezia non hanno lo stesso problema (…) Noi per questa edizione avremmo voluto il film di Cuarón, Roma, in Concorso, e il film inedito e restaurato di Orson Welles, The Other Side of the Wind, fuori concorso. Per il primo non c’era possibilità di accordo, perché il Concorso comporta il passaggio in sala, ma per il secondo non ci sarebbero stati problemi, è una loro scelta”

Risultati immagini per Thierry Fremaux

A queste polemiche si sono accompagnate quelle relative alla cancellazione delle anticipate stampa (le proiezioni in anteprima dei film destinate ai soli giornalisti che permettevano loro di scrivere gli articoli per tempo), decisione che ha completamente stravolto il piano di copertura informativa di Tv e carta stampata, scatenando le ire dei giornalisti. Le motivazioni espresse da Fremaux sono da ricollegare alla volontà di evitare spoiler ed anticipazioni sui social network o sulle testate online:

Volevamo che la proiezione di gala fosse una vera première, un vero evento, il primo passaggio in assoluto del film. Non è un provvedimento contro la stampa.”

Infine, l’ultima e forse più bizzarra presa di posizione del delegato generale, è stata quella di negare la possibilità a tutti di fare selfie sul red carpet, scelta che giustifica con la questione della sicurezza :

Siamo l’unico grande festival che consente l’accesso sul red carpet a tutti. Capitava che la gente cadesse sulle scale per fare una foto.”

Ciò ha fatto molto arrabbiare i fan che aspettavano con ansia di immortalare il loro volto accanto a quello dei loro attori e registi preferiti e che invece potranno solo guardare da lontano.

Sarà, dunque, un Festival dai pochi likes sui social e dalle molte facce serie quello del 2018, in cui le polemiche stanno avendo un ruolo di punta. Ma ciò che ci auguriamo è che si riesca a mantenere tutto questo lontano da quello che realmente conta: la bellezza dei film in concorso e le storie che questi vogliono raccontare al pubblico.

Che vinca il migliore!

Giorgio Muzzupappa

La Casa di Carta: La terza stagione è davvero necessaria?

E’ stato davvero un colpo da maestro da parte di Netflix prendere la versione originale e modificarne lunghezza e numero di episodi. Distribuendo in tutto il mondo un prodotto molto apprezzato, che ha portato l’azienda leader dello streaming a rinnovarla per una terza stagione.

Se pensando a una serie televisiva spagnola vi viene in mente “il Segreto” o altre telenovela del genere, siete fuori strada.

Tranquilli questo articolo non contiene spoiler, si rovinerebbe la visione di questo piccolo gioiello.

La Casa di Carta è una serie TV coinvolgente, un thriller emozionante, che tiene lo spettatore con il fiato sospeso. Una storia di astuzia e furbizia, genialità e passione, una storia di “guardie e ladri”, dove nulla è lasciato al caso, pregna di temi ed emozioni e alla fine non si ha ben chiaro il confine tra buoni e cattivi.

Una sceneggiatura attenta, originale e interessante. Una regia che offre a chi guarda immagini che, anche dopo giorni di visione, rimangono indelebili nella mente. Gli attori fanno la parte del leone, interpretazioni azzeccate, intense; un lavoro corale, che non esagero a definire teatrale.

Una volta capito il meccanismo della narrazione, lo spettatore è in attesa della scena successiva per scoprire cosa si nasconde dietro, il prossimo “trucco”, e ne rimane sempre (o quasi) stupito. Per questo motivo la storia è intrigante e “imprigiona” nella sua rete con un fascino inaspettato.

E’ la dimostrazione che non solo gli americani sono in grado di fare serie TV di alto livello.

Dopo aver terminato la visione della seconda stagione è inevitabile chiedersi: è davvero necessaria una terza stagione? Cosa avrebbe da dire?

In effetti la trama è abbastanza chiusa e ho il dubbio che si possa aggiungere di più, ma non si può negare che guarderei la terza stagione, magari con un po’ di timore, ma spero di essere smentita.

Sicuramente consiglio a chi non ha visto questa piccola perla spagnola di farlo e godersela, assaporandola come più preferisce, in un sol boccone o piana piano, ne vale la pena.

Saveria Serena Foti

Buona la Prima: Californication

C’è un detto famoso che dice “chi ben comincia è a metà dell’opera” e se decidi di iniziare il primo episodio della tua serie sulle note di “You Can’t Always Get What You Want” dei Rolling Stones, beh, caro mio Tom Kapinos (ideatore del progetto), aspettati una standing ovation.

La scena si apre con Hank Moody (David Duchovny), protagonista della serie, che guida la sua Porsche 911 Cabrio, rigorosamente nera, verso una chiesa immersa nel verde di Los Angeles, dove spera di ritrovare, attraverso un dialogo con Dio, l’ispirazione per ricominciare a scrivere romanzi. Ma non sarà la preghiera la risoluzione di tutti i problemi dello scrittore, poiché ad aiutarlo arriverà un’attraente suora che si offrirà di fargli una “fellatio”. Malauguratamente per lui, si tratta solo di un sogno bizzarro ed al suo risveglio, Hank si ritroverà nel letto di un’avvenente donna sposata (non con lui). Il ritorno del marito di lei, infarcito da una serie di pungenti battute di stampo sessuale, darà il via alla vera trama della puntata, con il protagonista costretto ad una rocambolesca fuga in macchina, senza i pantaloni…

Nella scena seguente facciamo la conoscenza di due altri personaggi fondamentali per la storia: la ex compagna di Hank, Karen Van Der Beek (Natascha McElhone), e di sua figlia Rebecca “Becca” Moody (Madeleine Martin), che lo stanno aspettando sotto casa sua da parecchio tempo.

È un incipit chiaro quello che gli autori vogliono dare alla puntata, quasi a far capire immediatamente ciò che la serie vuole raccontare agli spettatori. Non ci sono maschere, non c’è vergogna, il politically correct è completamente spazzato via dalle scene, ma questo non significa creare un prodotto scadente, superficiale e di mero intrattenimento di serie B.

Il fulcro di tutta la serie è ovviamente Hank Moody che in molti hanno ipotizzato potesse essere la perfetta riproposizione in epoca moderna dello scrittore più sporcaccione del ‘900: Charles Bukowski. Sesso e alcool dipendente, abilissimo nell’usare le parole, tanto quanto nel portare a letto più donne possibili durante tutto l’arco di una singola puntata, ma contemporaneamente in costante lotta con se stesso e con gli altri per cercare di rimettere in carreggiata la sua vita e la sua relazione con la ex compagna. La performance di David Duchovny – che, per chi non lo ricordasse, è stato il protagonista della fortunata serie “X-Files” – è impeccabile, tanto da valergli la vittoria di un Golden Globe nel 2008 come “Miglior attore in una serie drammatica”.

Se fossimo su “4 Ristoranti” e io fossi Alessandro Borghese, questo sarebbe il momento di assegnare cinque punti bonus ad una delle peculiarità della serie TV e, senza ombra di dubbio, in questo caso il fiore all’occhiello di “Californication” sarebbe sicuramente la colonna sonora. Oltre ai già citati Rolling Stones, sono tantissimi i gruppi che prestano la loro musica (e in alcuni casi anche la loro faccia, vedi il cameo di Tommy Lee dei Mötley Crüe) tra cui: Jimi Hendrix, Nancy Sinatra, The Who, The Doors, Roy Orbison, ZZ Top, Nirvana, Whitesnake, The Velvet Underground e chi più ne ha più ne metta. Tutti i pezzi più iconici di questi grandi artisti sono perfettamente amalgamati tra le varie scene, danno il ritmo alla narrazione e, in molti casi, regalano momenti emozionanti ed indimenticabili in cui il testo delle canzoni si riflette perfettamente su ciò che si vede in scena.

Il sesso, l’alcool e l’umorismo pungente la faranno da padrone, ma senza mai stancare, senza mai risultare eccessivamente opprimenti, e questo perché all’interno di tutto l’enorme guazzabuglio di avvenimenti che quotidianamente rendono la vita di Hank Moody favolosa ed al tempo stesso deprimente, si nasconderà una morale, una piccola, ma al tempo stesso fondamentale lezione, che tutta la storia cerca di darci sin dal primo secondo della prima puntata: “You can’t always get what you want… but if you try sometime, you find, you get what you need”.

Buona visione a tutti!

 

Giorgio Muzzupappa

Jessica Jones è tornata!

Quando Netflix e l’universo Marvel si unirono qualche anno fa per dare vita a due serie tv tutti erano un po’ scettici, poi Jessica Jones ha fatto ricredere tutti.
L’eroina torna sulla piattaforma streaming più prolifica al mondo oggi giorno 8 marzo (quale data migliore?).

Jessica Jones è tratta dall’omonimo fumetto creato da Brian Michael Bendis e  Michael Gaydos nella serie tv è interpretata da Krysten Ritter (Braking Bad, Asthma).
Lo sfondo è New York.
È dotata di una forza e resistenza sovrumana, ma non è tagliata per fare la supereroina quindi lavora come investigatrice privata. È una donna alcolista, cinica, dal tagliente senso dell’umorismo di cui però è facilissimo invaghirsi perché dal cuore buono.
Questo personaggio è il centro e il motivo per cui vedere questa serie televisiva : è umana e imperfetta. I traumi passati non la rendono invulnerabile il contrario e sono queste vicende che vengono raccontate nella serie.
La sua nemesi è tale Kilgrave uomo capace di controllare le menti , che negli anni precedenti si era invaghito di lei e l’aveva resa la sua amante-schiava. Jessica gli era totalmente succube, a causa del potere di quest’uomo. Questo antagonista non è un semplice strumento narrativo, è una metafora estrema di un disagio che viene vissuto in altri contesti.
Le figure femminili della serie sono anche altre: Trish (Rachel Taylor) la migliore amica di Jessica che ha subito violenze psicologiche dalla madre che riversava su di lei frustrazioni e aspettative, costringendola a interpretare da giovane un personaggio televisivo “Patsy”. Poi c’è Jeri (Carrie Anne Moss la Trinity di Matrix) l’avvocatessa spietata (che ritorna anche in Daredevil e Iron Fist).
Di seguito una clip in cui Kristen Rytter parla del personaggio.

https://www.youtube.com/watch?v=0KVdGX051Go

La prima stagione è avvincente e divertente, nonostante la storyline in alcuni casi un po’ contorta, ma anche per i “profani” semplice da seguire. Rientra in un genere noir con qualche sprazzo di comicità.
Krysten Ritter è perfetta per il ruolo e da qualcosa in più al personaggio.

https://www.youtube.com/watch?v=78SCXvhJhl0

Della seconda stagione si sa poco nulla a parte che i 13 episodi sono stati girati da registe e scritta per lo più da sceneggiatrici.
Fra queste troviamo Liz Friedlander (la firma dietro diversi video degli U2, Celine Dion, Alanis Morissette), Deborah Chow, Mairzee Almas (Smallville, Once Upon a Time) e Minkie Spiro (Downtown Abby, Better Call Saul).
Vedremo Jessica combattere con i propri demoni interiori alla ricerca delle verità sul suo passato.
Forse non è una serie da sottoporre a “binge watch” ma è un ottimo modo di passare del tempo a casa.

 

Arianna De Arcangelis

La maledizione della vita e il benessere della morte

Manji (Takuya Kimura), un “ronin” ricercato dallo shogun per l’uccisione di alcuni samurai con persino una taglia sulla sua testa, scappa insieme alla sorella minore Machi (Hana Sugisaki) per poterla proteggere ed evitare la sua fine ormai certa.

La ragazzina, dopo essere stata testimone degli atti del fratello, subisce un trauma talmente grande dovuto allo shock a tal punto da impazzire e vivere in un pieno stato confusionale, obbligando Manji a doverla salvaguardare non solo da i pericoli incombenti, ma dalle sue stesse azioni sconsiderate. Sarà proprio una di queste a portarla nelle braccia di un gruppo di cacciatori di taglie che porrà fine alla sua vita sotto lo sguardo attonito e inerme del fratello, che colmo di rabbia e spirito vendicativo affronta l’innumerevole gruppo eliminandone fino all’ultimo membro. Le ferite riportate dallo scontro saranno talmente gravi (con un occhio e una mano perse) da lasciare Manji in fin di vita e prossimo alla morte, ma inaspettatamente una donna, annunciatasi con una età superiore ai 700 anni, porrà all’interno del corpo del ronin e contro la sua volontà, delle sanguisughe (kessenchu) che, a detta sua, rigeneranno le sue ferite e lo renderanno immortale

 

Mugen no jūnin” (letteralmente “abitante dell’infinito”), in Italia “L’immortale” vanta il primato di essere la centesima pellicola targata Takashi Miike, noto regista del Sol Levante autore anche di “13 Assassini” (altra recensione che è possibile trovare nella sezione “Recensioni” di UniVersoMe). Lo stile è classico e caratteristico: samurai, ideali, scontri e tanto sangue. Formula sempre vincente, soprattutto per film del genere. Una regia niente male guida tutto il percorso narrativo, con una sceneggiatura non troppo elaborata che nonostante tutto riesce a coinvolgere, tralasciando piccoli cali che vengono notevolmente recuperati grazie agli scontri spada-spada di una certa qualità. Tuttavia vi è da precisare come “L’immortale” sia una trasposizione cinematografica dell’omonimo manga, dunque è assolutamente apprezzabile e lodevole la scelta del regista di preservare l’opera e rimanerne fedele. Complessivamente il lungometraggio risulta piacevole, con cariche di adrenalina concernenti i duelli e un “drama” costante che accompagna il tutto con il perenne quesito di chi sia nel bene e chi nel male, anche se la prevedibilità e il cliché non mancano mai. E per non farci mancare nulla, il film è disponibile su Netflix.

                                                                                                                                                  Giuseppe Maimone