The Chosen: La Serie su Gesù che Sta Cambiando la Narrazione Religiosa

The Chosen Gesù
The Chosen è molto più di una serie biblica. È un’esperienza che emoziona, avvicina e ispira. Jenkins trasforma il racconto evangelico in un viaggio intimo e potente, che parla al cuore di credenti e non. – Voto UVM: 5/5

Un Progetto Rivoluzionario Nato nel 2017

Nel 2017 nasce The Chosen, la prima serie TV interamente dedicata alla vita di Gesù e dei suoi discepoli. Creata, scritta e diretta dal regista texano Dallas Jenkins, la serie ha conquistato milioni di spettatori in tutto il mondo grazie a un linguaggio innovativo e a una narrazione coinvolgente.

Un Team Creativo Unico nel Suo Genere e un Nuovo Modello di Produzione

Alla base del progetto, un team formato da un evangelico, un cattolico e un ebreo. Questa collaborazione inedita garantisce una rappresentazione fedele delle Scritture, arricchita da profondità psicologica e contesto storico. Non ci si limita ai miracoli: The Chosen esplora emozioni, conflitti interiori e quotidianità dei personaggi biblici.

Dopo una prima stagione su Netflix, Jenkins decide di abbandonare le piattaforme tradizionali. Dalla seconda stagione in poi, la serie viene finanziata tramite crowdfunding, coinvolgendo direttamente il pubblico e arrivando a raccogliere più di 70 milioni di dollari.

Grazie a un’app gratuita, gli spettatori possono guardare ogni episodio senza abbonamenti, creando un rapporto diretto e partecipativo tra creatori e fan.

The Chosen:Una Serie che Divide ma Fa Riflettere

The Chosen ha generato dibattiti: alcuni critici ritengono che la figura di Gesù sia “troppo umana”, lontana dal modello tradizionale. Tuttavia, proprio questa umanizzazione di Cristo ha emozionato spettatori di ogni fede – cristiani, agnostici, atei – che si sono riconosciuti in una figura più vicina, reale e accessibile.

Con The Chosen, Dallas Jenkins ha dato voce e spessore ai personaggi dei Vangeli. Come Euripide nel teatro greco, inserisce introspezione; come Caravaggio, rappresenta un Cristo terreno, tra volti segnati e mani callose.

La serie non si limita a raccontare eventi del passato, ma fa rivivere il mondo di Gesù, rendendolo vicino, umano e attuale.

Anche il Vaticano e varie chiese riformate hanno espresso apprezzamento per la qualità e l’intento del progetto.

The Chosen al Cinema: L’Arrivo sul Grande Schermo

Nel 2025, in occasione della Pasqua, The Chosen approda per la prima volta al cinema. Vengono proiettati i primi due episodi della quinta stagione, che raccontano l’ingresso di Gesù a Gerusalemme e l’episodio del rovesciamento dei tavoli nel Tempio.

The Chosen
Una scena tratta da The Chosen – l’ultima cena di Jenkins (2017)

La narrazione si sofferma anche sui conflitti politici e religiosi che precedono la Passione, mantenendo sempre uno stile realistico e coinvolgente.

L’episodio dell’Ultima Cena, recentemente portato sul grande schermo, è uno dei momenti più potenti della serie. Viene rappresentata una Gerusalemme vivida, in fermento per la Pasqua e attraversata da tensioni religiose e politiche.

I dialoghi tra Caifa, Pilato ed Erode mostrano le dinamiche di potere nella Giudea del I secolo, mentre le reazioni della popolazione e dei discepoli contribuiscono a creare un’atmosfera di attesa e conflitto imminente.

The Chosen: Produzione Cinematografica e Qualità in Crescita

Grazie al supporto dei fan, The Chosen ha raggiunto una qualità visiva e narrativa sempre più alta. Scenografie, costumi, fotografia e colonna sonora si avvicinano agli standard del cinema.

Anche la recitazione è un punto di forza: gli attori, scelti per talento e presenza scenica, danno vita a personaggi intensi, autentici e memorabili.

Verosimiglianza e Vita Quotidiana: Le Chiavi del Successo di The Chosen

Il vero punto di forza della serie è la verosimiglianza. Ogni episodio alterna eventi miracolosi a momenti di vita quotidiana: Gesù che scherza, riposa, gioca con i bambini. I discepoli mostrano la loro umanità: Pietro ha problemi familiari, Matteo affronta il suo passato, ognuno vive un percorso personale di trasformazione.

Per approfondire la psicologia dei personaggi, Jenkins ha creato scene inedite ma coerenti con i testi evangelici. Vediamo, ad esempio, la vita di Maria Maddalena posseduta dai demoni, prima dell’incontro con Gesù, i dialoghi di Nicodemo con sua moglie e con i discepoli o i ricordi di Matteo.

The Chosen
Gesù che dialoga con un abitante della Decapoli

Ogni personaggio – anche secondario – è ben caratterizzato. Le ambientazioni, dai villaggi ebraici alla Decapoli pagana, offrono un mondo ricco e credibile.

Marco Prestipino

Ranma 1/2: perchè oggi è ancora attuale?

Ranma 1/2 è un manga scritto e disegnato da Rumiko Takahashi (la stessa autrice di Inuyasha e Lamù).

Dal manga è nato un anime composto da 161 episodi, prodotto da Studio Deen, e furono realizzati anche diversi film d’animazione e OAV.

Solo di recente è stato realizzato un remake, a cura di Kōnosuke Uda, con il character design di Hiromi Taniguchi e la colonna sonora di Kaoru Wada; e dal 5 Ottobre è possibile trovarlo su Netflix (che ha contribuito alla produzione) e su Nippon Television.

Di cosa parla Ranma 1/2?

Il maestro del dojo Tendo, Soun, riceve una cartolina del suo migliore amico Genma Saotome, che gli comunica la sua imminente visita, assieme al figlio Ranma. Soun è emozionato all’idea di incontrarli: lui e Genma vogliono far fidanzare Ranma con una delle tre figlie di Tendo e, dopo il loro matrimonio, i due promessi sposi erediteranno la palestra di arti marziali. Peccato che a casa sua si presentino un panda gigante e una ragazza di nome Ranma Saotome.

Ranma e Genma sono, infatti, vittime di una tremenda maledizione: l’acqua fredda li trasforma, rispettivamente, in una ragazza e in un panda mentre l’acqua calda li fa riacquistare il loro aspetto normale. Questo accade da quando i due sono caduti, accidentalmente, nelle Sorgenti Maledette in Cina, durante un loro allenamento.

Perché Ranma 1/2 è diventato un CULT?

Rumiko si può considerate una delle più grandi mangaka di tutti i tempi ed è nota per opere come Inuyasha, Lamù e lo stesso Ranma 1/2. È grazie a queste storie avvincenti e a tutti i suoi personaggi indimenticabili che è riuscita a conquistare il grande pubblico.

Ranma 1/2 è un’opera conosciuta in tutto il mondo, con la sua incredibile storia che unisce lo stile shōnen (si pensi a Dragon Ball, Naruto, One Piece) allo stile shōjo, quello di Piccoli Problemi Di Cuore e Sailor Moon. Una scelta stilistica che ha permesso al manga di fare breccia nel cuore sia del pubblico maschile che di quello femminile!

Così, come il protagonista passa dall’essere uomo all’essere donna e viceversa, Ranma 1/2 è un continuo oscillare tra azione e romanticismo, arti marziali e sentimentalismo.

E di certo non potevano mancare tematiche, oggi più attuali che mai, come la sessualità, l’emotività, la diversità e l’identità di genere: tutti affrontati con la giusta leggerezza!

Ranma 1/2
Ranma ragazza. Fonte: Cruncyroll.

Processo creativo: dal manga all’anime…

Agosto 1987. Viene pubblicato il primo capitolo su Weekly Shōnen Sunday. È la storia di un liceale metà ragazzo e metà ragazza, esperto di arti marziali e coinvolto in situazioni spiacevoli. Le sue avventure hanno coperto ben 407 capitoli e sono andate avanti fino al 1996.

Dal manga è stato tratto un anime prodotto da Studio Deen, purtroppo cancellato dopo soli 18 episodi, per via dei bassi ascolti. La serie è stata poi rilanciata dal 1989 al 1992 con i suoi 143 episodi. Ma è solo grazie agli OAV che il resto del mondo, in particolar modo l’Italia, ha potuto conoscere Ranma ½.

Ora su Netflix, esattamente dallo scorso Ottobre, è stato avviato un remake ancora più fedele al manga originale!

Ranma 1/2
Ranma e Akane. Fonte: Netflix.

Le caratteristiche sono le stesse e i personaggi non hanno subito variazioni. Lo stile d’animazione è moderno e più curato (se non in alcuni frammenti semi-censurati di cui non si sentiva la necessità).

La nota dolente sta nel doppiaggio! Le voci storiche hanno dovuto lasciare spazio a quelle nuove: alcune più adatte (per i due Ranma, ad esempio), altre fanno fatica a farsi accettare (come per Akane e Kasumi).

Ranma 1/2
Ranma e Genma. Fonte: Magazine Pragma.

Il nuovo adattamento di Ranma 1/2 è da non perdere!

Riproporre Ranma dalle origini, per giunta in questo momento storico, è stata l’idea migliore!

È ormai evidente che viviamo in un periodo, – cinematograficamente parlando, – in cui si è soliti fare continui rimandi al passato. Un po’ per “evocare” ricordi alle vecchie generazioni, un po’ per far conoscere a quelle nuove dei prodotti “vintage” che altrimenti non conoscerebbero mai. Anche Ranma è figlia di quest’operazione. Ma chiariamo. In questo caso l’idea non è stata per niente male.

Più che di un semplice “richiamo alla nostalgia” qui si parla della riproposizione di un prodotto nel posto giusto, – Netflix, – al momento giusto: il 2024.

Ranma 1/2 parla anche di crescita, di dilemmi adolescenziali, di corpi che cambiano, della continua ricerca della normalità e dell’accettazione di sè stessi. Vi dice qualcosa?

Ranma è un personaggio che passa gran parte del tempo a vergognarsi del suo “problema”, cercando un modo per tornare ad essere un ragazzo normale. Ma in realtà è questa sua particolarità a renderlo unico.

Il remake arrivato su Netflix ha un’enorme potenziale e se la possibilità viene giocata al meglio e le premesse vengono mantenute, Ranma 1/2 avrà finalmente l’intera opera cartacea adattata nell’anime, arrivando finalmente a quel bellissimo finale lineare e contestualizzato che solo chi ha letto il manga conosce!

 

di Giorgio Maria Aloi

The 8 show: scalare la gerarchia sociale è davvero impossibile?

Baby raindeer
The 8 show, K-drama dal look asettico, che vi lascerà l’amaro in bocca per le tematiche trattate e le similitudini con la nostra società. – Voto UVM 4/5

 

Il 17 maggio è arrivato su Netflix The 8 show, k-drama di Han Jae-rim, tratta dai webtoon Money Game e Pie game di Bae Jin-Soo. La serie scala immediatamente la top 10 Italia, probabilmente per le similitudini con un altro noto prodotto coreano: Squid Game di Hwang Dong-hyuk. La serie è composta da 8 episodi della durata di un’ora circa. Il numero 8 è ricorrente nella serie, che vede come protagonisti 8 personaggi suddivisi in 8 piani.

 

The 8 show
The 8 show, K-drama dal look asettico, che vi lascerà l’amaro in bocca per le tematiche trattate e le similitudini con la nostra società. – Voto UVM 4/5

The 8 show: la trama

Otto individui, con difficoltà economiche per motivi diversi, vengono selezionati per partecipare a un game show di cui non si conosce nulla se non che ad ogni minuto guadagneranno una somma di denaro. Il gioco infatti promette di “comprare il vostro tempo”, non a caso i protagonisti faranno di tutto per aumentare la permanenza all’interno del reality inizialmente di 24 ore.

La scelta del piano a cui viene assegnato ogni giocatore è casuale, tuttavia coloro che nella vita reale sono più agiati mantengono la loro posizione privilegiata. Chi sta al piano più alto, si sente in diritto di poter dare ordini ai piani inferiori, nonostante nessuna regola del gioco lo imponga. Le già pessime condizioni dei piani inferiori peggiorano nel momento in cui i concorrenti capiranno che la permanenza all’interno del reality dipende dal gradimento degli spettatori.

I personaggi si conoscono- “The 8 show”- Fonte: Netflix

Personaggi caricaturali e senza nome

La voce narrante della serie è Bae Jin-su, un ragazzo che lavora in un piccolo alimentari, fortemente indebitato dopo aver usato i suoi risparmi per pagare un coach online che prometteva di far lievitare il suo conto. Fino alla fine non sapremo perchè gli altri protagonisti fanno parte del gioco.

In ordine decrescente abbiamo:8 piano” un’artista che ha finito il budget per creare nuove opere; “7 piano” uno sceneggiatore che non riesce a vendere i suoi lavori perchè non abbastanza divertenti; “6 piano” un ex giocatore di baseball caduto in disgrazia dopo aver sperperato i soldi giocando d’azzardo; “5 piano” una donna che è stata ingannata dal suo amante; “4 piano” personaggio che fa da “comedy relief” nella serie; “2 piano” un’esperta di arti marziali e infine “1 piano” un circense dalla storia tragica. Infatti, non può permettersi di curare la figlia con una grave malattia degenerativa.

La disperazione porterà il personaggio più bisognoso a compiere azioni violente e inaccettabili nei confronti dei piani superiori. Questi ultimi, quando scopriranno il colpevole applicheranno la cosiddetta “tortura del sonno”, privando gli inquilini di chiudere gli occhi e mostrando loro immagini disturbanti in un tentativo di lavaggio del cervello ispirato da Arancia meccanica  di Kubrick.

L’impossibilità di cambiare la propria condizione

Quando il più debole del gruppo arriverà (metaforicamente) a toccare il punto più alto, lo spettatore rimane deluso nello scoprire che in fondo non si può cambiare la propria condizione. Un richiamo continuo allideale dell’ostrica di Verga, ogni tentativo di scalare la gerarchia sociale è fallimentare, solo accettando la propria condizione si può sopravvivere.

La serie lascia lo spettatore sempre più disilluso. La scelta registica di far vedere i filmati dalle telecamere stesse del reality fa sentire in colpa colui che guarda, portato a domandarsi se sia corretto continuare a guardare l’escalation di violenza contro i più deboli. Uno specchio della nostra società dove troviamo intrattenimento ascoltando podcast di true crime o puntando eccessivamente le telecamere sui volti sconvolti dei parenti delle vittime di varie disgrazie.

I protagonisti- Fonte: Netflix

Se cercavate una serie cruda, con grandi temi e tinte dark The 8 show fa al caso vostro; ma attenzione, il finale vi lascerà con l’amaro in bocca. Un consiglio al lettore è di aspettare dopo i titoli di coda per una scena post-credit non del tutto rassicurante.

Giulia Rigolizio

Baby Reindeer: la miniserie di Netflix che sconvolge e incuriosisce

Baby reindeer
Baby reindeer è una miniserie cruda, ben scritta e capace allo stesso tempo di sconvolgere e incuriosire il pubblico.- Voto UVM: 4/5

 

Baby Reindeer è una miniserie televisiva composta da sette episodi ed è disponibile su Netflix. La miniserie è ideata, scritta ed interpretata da Richard Gadd e si basa sul suo stesso One Man Show, uno spettacolo che parla di fatti realmente accaduti nell’arco della sua vita. Dietro la regia della miniserie ci sono Weronika Tofilska e Josephine Bornebusch, mentre lo stesso Gadd è affiancato nel cast da Jessica Gunning.

Baby reindeer: trama

La trama della miniserie Baby Reindeer si ispira alla vita di Richard Gadd, trasferitosi a Londra per coronare il suo sogno di entrare nel mondo della comicità. Nella miniserie realizzata da Netflix, il protagonista prende il nome di Donny. Il ragazzo si mantiene lavorando in un pub, cercando in tutti i modi di diventare un comico affermato ma la strada per raggiungere il suo obiettivo sembra essere piena di insidie.

Una sera, nel pub, entra una donna più grande di lui di nome Martha (Jessica Gunning). Martha afferma di essere un avvocato di successo, ma nonostante ciò non sembra avere mai denaro neanche per pagarsi qualcosa da bere. Donny, per gentilezza, le offrirà da bere e da quel momento, la donna si presenterà al pub ogni sera. Ma in realtà quello che sembra un semplice incontro abitudinario sarà il preludio di uno stalking (appostamenti, minacce, e-mail indesiderate, aggressioni alle persone vicine alla vittima, ecc.). Donny si recherà alla polizia, ma non sarà accolto come si aspettava: gli elementi non sono sufficienti per fare alcunché.

Fonte: Netflix.it

La miglior Serie Tv di Netflix di quest’anno?

Essendo quasi a metà anno, Baby Reindeer si può considerare una delle sorprese dal punto di vista telefilmico di questo 2024, viste le innumerevoli visualizzazioni che sta avendo sulla piattaforma da diverse settimane. Ancora oggi rimane nella Top 10 delle Serie TV più viste della piattaforma streaming.

Le ragioni ci sono eccome, perché Baby Reindeer è una miniserie ben realizzata e i motivi principali per cui riesce a coinvolgere sono un lato tecnico ben strutturato e il modo in cui tratta una tematica piuttosto delicata, divenuta sempre più ricorrente in questa società contemporanea: lo stalking.

 

Fonte: Netflix.it

Uno stalking molto crudo con un modus operandi differente

Vista la tematica, la miniserie non tratta nulla di originale però ciò che conta è il come viene raccontata una storia. Baby Reindeer affronta una storia realmente accaduta con una tonalità cruda, angosciante e capace di colpire come una cannonata la parte emotiva dello spettatore. E’ molto scorrevole ed ogni episodio ha una durata che oscilla tra i 30 e i 40 minuti. Nonostante il minutaggio complessivo della miniserie e il coinvolgimento che riesce a far venire allo spettatore, difficilmente si riesce a guardarla in poco tempo. Ciò avviene perché certe scene sono talmente forti che lo spettatore ha bisogno di una pausa dalla visione sia per l’angoscia che può venire che per un’analisi psicologica che viene spontaneo fare.

La miniserie trascina il pubblico all’interno della psiche sia della vittima che della stalker. Man mano che prosegue, ci si accorge di provare non solo angoscia, ma anche una sorta di empatia o addirittura rabbia per i comportamenti dei due (soprattutto per quelli di Donny).

Fonte:Netflix.it

Baby reindeer: la violenza psicologica

Richard Gadd si è messo a nudo in senso metaforico e si capisce dalla scrittura fatta di suo pugno che aveva molto a cuore lo scopo di raccontare la propria esperienza e la scrittura è talmente lineare che si percepisce ciò che ha provato, tanto da farlo arrivare allo spettatore. Il suo scopo era anche mettere in evidenza tutti gli aspetti che ruotano intorno allo stalking e alla psiche delle due persone coinvolte: lui e Martha.

Donny non ha mai elaborato il dramma di ciò che ha passato, le sue ferite emotive ancora sanguinanti non hanno mai ricevuto le cure necessarie. Quanti vogliono sentirti capiti, accolti e amati? Ma a che prezzo? La Serie mostra anche questo ed in effetti, Donny voleva solo affetto e la sua insicurezza e voglia di accettazione altrui, forse lo ha portato da Martha.

Il rapporto con la stalker

Quando subentra Martha nella sua vita, da una parte ne è terrorizzato ma dall’altra “ne ha bisogno” e questo rapporto malato diventa come una dipendenza. Sì, perché alla fine anche Martha, per quanto sia mentalmente instabile, e nonostante tutte le azioni discutibili, è l’unica che ha veramente a cuore Donnie.

Basta anche fare un’allusione al titolo per capire qualcosa in più sul loro rapporto, perché “Baby Reindeer” significa “Piccola Renna” ed è il nomignolo di Donny adottato da Martha. E’ un riferimento ad una renna peluche che aveva da bambina ed era l’unico appoggio che aveva durante la sua infanzia e quindi Donny in un certo senso, colma quel vuoto lasciato e rappresenta quel barlume di luce che ha ritrovato dopo tanto tempo.

In un certo senso, si possono considerare due facce della stessa medaglia: se da una parte vivono un rapporto malato capace di distruggere sia fisicamente che mentalmente, hanno bisogno l’uno dell’altro.

Baby Reindeer è una miniserie cruda:  capace di far venire l’ansia a chi ha vissuto situazioni simili, come anche a chi finora ne è rimasto indenne . Ma è anche un invito a guardare questi temi delicati da un’altra prospettiva, ricavandone degli spunti di riflessioni differenti.

Giorgio Maria Aloi

Sex Education 4: l’ultima tappa tra delusioni e nostalgia

Sex education 4
L’ultima stagione di Sex Education presenta criticità difficili da ignorare, nonostante le brillanti prime due stagioni. – Voto UVM: 2/5


Sex Education
, serie Netflix Original di Laurie Nunn, ci ha tenuto incollati agli schermi dal 2019, offrendoci uno spaccato senza filtri su relazioni e problemi degli adolescenti di oggi (e non). Con incredibile sincerità e maestria è riuscita ad affrontare temi delicati e attuali ad un maggior numero di persone rispetto a selezionati spazi del web.

Tuttavia, dire addio non è mai facile e giunti alla quarta ed ultima stagione le critiche non sono tardate ad arrivare, dividendo nettamente i fans della serie Netflix.

Cosa succede nella stagione finale? Con un pizzico di SPOILER!

Abbandonato il palcoscenico del liceo di Moordale,i nostri protagonisti si ritrovano in territorio inesplorato, ognuno per conto suo: Maeve è in America, Adam lascia la scuola e trova lavoro in una fattoria mentre Otis, Eric e Ruby vengono catapultati nel mondo inclusivo del Cavendish College.

Il nuovo istituto è uno spazio dedicato interamente agli studenti. Questi sono liberi di esprimersi come meglio credono, proponendo iniziative come quella della consulente sessuale in erba “O” con cui Otis entrerà subito in competizione, e dalla quale Ruby rivelerà di aver subito bullismo in passato. 

Eric, invece, trova fin da subito il suo posto tra i banchi elite delle new entry della serie: Roman, Abbi e Aisha, gli influencer anti-gossip della scuola. Saranno proprio loro, in quanto persone appartenenti alla cultura LGBTQIA+, che aiuteranno Eirc a sentirsi compreso e “incluso” molto meglio di come ha fatto l’amico Otis, concentrato da sempre sulla sua relazione con Meave.

Quest’ultima, nel corso della stagione capirà, seppur con non poche difficoltà, che il suo posto è in America e deciderà, alla fine, di lasciare Otis e Moordale per poter realizzare il suo sogno: diventare una scrittrice!

Tutto nel calderone…ed è anche troppo

Se quello che avete letto sopra vi sembra troppo, siate consapevoli del fatto che mancano all’appello numerosissimi snodi di trama e le backstory di diversi personaggi tra cui Jean, sua sorella Joanna, Jackson, Cal, Aimee e molti altri…

Infatti, nonostante la serie si “alleggerisca” di alcuni personaggi presenti nelle prime stagioni come Lily, Ola, Anwar e Olivia, lo spettatore sembra quasi essere “assalito” da tutte le trame che si intessono senza tregua. Risulta quasi impossibile seguire tutto senza perdersi, togliendo, così, risalto ad eventi principali come la morte della madre di Maeve o la fuga di Cal. E questo succede perché nessuna tappa del percorso di questa stagione ha modo di essere esplorata approfonditamente che già ne parte subito un’altra!

Il risultato è diametralmente opposto a quello delle prime stagioni (le prime due in particolare), in cui era possibile seguire attentamente ogni sguardo e ogni singola parola dei personaggi. È ovvio che la distinzione tra eventi principali ed eventi a margine era più netta.

In breve, molti hanno sofferto l’aver perso le storie dei personaggi principali in mezzo a quelle di personaggi secondari e a cui non hanno avuto modo di affezionarsi in così poco tempo. 

Evoluzione, rivoluzione, involuzione

Sex Education nasce come una serie che riesce a far riflettere su tematiche attuali ed importanti (qui la nostra recensione della terza stagione) all’interno di una cornice leggera ma non banale, ben ricercata ma non pedante.

La speranza nel cambiamento è sempre stata al centro del progetto, a partire dal titolo stesso che rimanda all’assenza dell’educazione sessuale nelle scuole ma che ne espone concretamente benefici e ostacoli attraverso i personaggi e le loro storie in quello che per la maggior parte è un “Show, don’t tell” (“Mostra, non raccontare”) ben riuscito. Ogni tema vive perché un personaggio e le sue contraddizioni e difficoltà vivono e si evolvono con lui.

Purtroppo, questa struttura portante sembra venire meno nel corso dell’ultima stagione, in cui tematiche rilevanti non solo si perdono nel loro spasmodico susseguirsi sullo schermo ma assumono occasionalmente toni didascalici e soffrono di una cattiva sceneggiatura.

Alcuni personaggi, come Otis, ad esempio, sembrano quasi subire un’involuzione: da terapista sessuale amatoriale che aiuta gli altri ma non riesce a sciogliere i nodi della propria sessualità, il protagonista nelle prime due stagioni sbaglia e cresce in una persona più aperta ed affidabile per poi tornare ad essere immaturo ed egocentrico in modo, però, ingiustificato

Sex Education 4
Cover Sex Education 4. Fonte: Netflix.

Grazie Sex Education, è stato un bel viaggio!

Nel tentativo di creare un mondo ricco di sfaccettature e complessità sembra che si sia perso di vista il cuore della serie e la sua forza motrice, cioè i rapporti con l’altro, con i propri sentimenti e la propria sessualità.

Il percorso di crescita intrapreso dai personaggi nell’ormai lontano 2019 è passato in secondo piano per via del marasma di snodi di trame che ci hanno restituito una visione della serie paradossalmente e tristemente piatta.

Di questi anni in compagnia degli amati protagonisti rimane però una grande speranza, sia nella conclusione delle loro storie sullo schermo che nelle loro carriere attoriali, e una prospettiva nuova e positiva di temi importantissimi che, speriamo, possano lasciare dei sassolini per progetti futuri (magari proprio by Netflix) su percorsi virtuosi sull’inclusività sociale.

 

Chiara Tringali

Questo Mondo Non Mi Renderà Cattivo: il ritorno di Zerocalcare

Zero Calcare
Una Serie Animata che rispecchia lo stile di Zerocalcare, superandosi a sua volta. Consigliatissima! Voto UVM: 4/5

 

Questo Mondo Non Mi Renderà Cattivo è la seconda serie animata di Netflix scritta e diretta da Zerocalcare (autore di fumetti come La Profezia Dell’Armadillo, Un Polpo Alla Gola, Macerie Prime, Kobane Calling, ecc.). Quasi tutti i personaggi sono doppiati da Zerocalcare stesso, mentre l’Armadillo (la coscienza di Zero) è doppiato da Valerio Mastandrea (un noto attore che ha recitato in film come Diabolik, Diabolik – Ginko All’Attacco, Perfetti Sconosciuti, Il Primo Giorno Della Mia Vita, ecc.)

Trama

Un vecchio amico di Zerocalcare, Cesare, torna nel quartiere dopo diversi anni di assenza e fa fatica ad ambientarsi di nuovo. Zerocalcare vorrebbe fare qualcosa per lui ma si rende conto di non essere in grado di aiutarlo a sentirsi di nuovo a casa e a fare la scelta giusta per trovare il suo posto nel mondo.

Nel frattempo un gruppo di migranti arrivati dalla Libia viene trasferito in un centro di accoglienza proprio nel quartiere scatenando l’ira degli intolleranti e dei razzisti che vedono in quelle persone indifese e segnate dalla paura e dal dolore una minaccia, chiedendo alle istituzioni di mandarli via, ma per Zerocalcare e i suoi amici questa è un’ingiustizia e non resteranno a guardare.

E’ il sequel di Strappare Lungo I Bordi?

E’ facile pensare che possa essere considerata una seconda stagione e un seguito della Serie Animata uscita nel 2021, ma in realtà non è il sequel di Strappare Lungo I Bordi.

Anche se sono realizzate dallo stesso autore ed abbracciano totalmente il suo stile, con quasi tutti gli stessi protagonisti, in realtà sono due serie distinte e separate. Si può benissimo vedere questo nuovo prodotto di Zerocalcare, senza aver letto un suo fumetto o aver visto la prima serie animata (che si può anche recuperare, in caso).

La differenza tra le due serie sta un po’ nel comparto tecnico e soprattutto, nel movente che hanno.

Cos’hanno in comune le due Serie Animate?

La presenza degli stessi protagonisti quasi tutti doppiati in dialetto romanesco dallo stesso Zerocalcare e i continui riferimenti storici, politici, attuali e alla Cultura Pop, che possono essere chiamati Easter Egg.

Una delle specialità di Zerocalcare è riempire le sue storie di queste citazioni e di saperle gestire, senza risultare forzato e lo spettatore informato si diverte a coglierli, mentre chi disconosce quel prodotto, grazie a lui lo scopre e gli fa venire voglia di saperne di più (è anche una forma di marketing?).

Altri punti in comune sta anche nei significati nascosti dietro alcune scene, nel giusto equilibrio tra commedia e drammaticità (portando prima alla risata e poi alla riflessione, addirittura facendo piangere) e nei dialoghi tra il protagonista e la coscienza in forma di Armadillo, doppiato incredibilmente da Valerio Mastandrea.

zerocalcare
Frame di “Questo mondo non mi renderà cattivo”. Distribuzione: Netflix

Lui è noto più per essere un attore ed ha un buon curriculum come tale ma nonostante non sia un doppiatore professionista è riuscito a calarsi perfettamente nell’Armadillo, facendo suo il personaggio. Anzi, sembra più di vedere e sentir parlare Mastandrea stesso, che l’Armadillo stesso.

Una considerazione va fatta anche alle animazioni, che qui sono molto più fluide rispetto alla volta precedente, ed alla colonna sonora composta da molte canzoni iconiche che le generazioni degli anni 80 e 90 si divertiranno a sentire.

Zerocalcare e le differenze tra le sue serie animate?

Nonostante l’autore e lo stile siano gli stessi, ci sono allo stesso tempo anche delle differenze. Strappare Lungo I Bordi era più una sorta di autobiografia di Zero e rappresentava una serie di sue situazioni personali apparentemente scollegate tra loro ma con una trama che poco a poco si è sviluppata e che ha collegato tutto.

Il titolo era una metafora al percorso di vita che ognuno cerca di seguire correttamente ma col rischio che si esca fuori dai bordi per via di alcune deviazioni della vita. Le situazioni rappresentate parlavano di Zero ma in realtà ognuno ci si poteva rispecchiare.

Questo Mondo Non Mi Renderà Cattivo, invece, si presenta con una trama più lineare che si è sviluppata nel corso dei sei episodi (ciascuno dalla durata di 30 minuti) e toccando anche qui le questioni personali ma su un contesto specifico.

Zerocalcare si è voluto spingere oltre ed ha trattato un argomento più maturo, toccando anche il profilo politico ed una tematica molto delicata che divide in linea di massima le opinioni pubbliche.

Di cosa parla esattamente “Questo Mondo Non Mi Renderà Cattivo”? Ne vale la pena?

Qui Zerocalcare ha voluto trattare in modo dettagliato ed approfondito alcuni temi presenti nella maggior parte delle sue opere, come gli ideali, il suo impegno civile, la sua visione della società, uno spaccato di essa e della vita in generale.

Parla anche qui di molte cose frequenti come il lavorare per colmare un vuoto, o colmare un vuoto nei modi più sbagliati, arrancare per realizzare i propri sogni e rimanere indietro rispetto agli altri, rispetto a un mondo che corre veloce in cui sono sempre più forti le pressioni sociali, in cui si ride “per non sentire i mostri dentro”.

In quest’opera specifica, Zerocalcare mette in risalto anche le domande che tutti si sono fatte, almeno una volta nella vita:

“Siamo capaci di distinguere tra ciò che è giusto o ciò che è sbagliato?”, “Quanto dobbiamo far valere i propri principi morali?”, “Dobbiamo dar retta ai propri valori o andare contro di essi, essendo egoisti e fregando gli altri?”, “Esistono solo cose completamente giuste e completamente sbagliate?”, “Chi siamo noi per definire ciò?” ecc…

Ecco il senso del titolo e ciò che il fumettista vuole far capire è che “Questo Mondonon deve renderci cattivi! Anche se, purtroppo, non vale per tutti e non tutti sono abbastanza forti da mettere in pratica questo).

Zerocalcare, i migranti salvali tu!

Tutto questo si svolge all’interno di un argomento molto delicato e trattato da ormai molti anni, nel nostro Paese: l’accoglienza dei migranti.

Una tematica che tende a dividere l’opinione pubblica e dopo la visione di questa serie, la diatriba potrebbe divenire sempre più accesa. Ma quello che Zerocalcare vuole far presente (e c’è una scena specifica che lo mostra) è il marcire sopra a quest’argomento, usandolo come mezzo politico per acchiapparsi i voti e dando argomentazione ai media. Ciò che a molti sfugge è che questi migranti sono prima di tutto degli esseri umani.

In conclusione, ci sono le giuste motivazioni per dare una possibilità a questa serie animata, in cui Zerocalcare si è superato!

 

Giorgio Maria Aloi

Ficarra e Picone: “incastrati” un’altra volta

La seconda stagione di “Incastrati” svela tutti i misteri lasciati in sospeso dalla prima. – Voto UVM: 5/5

 

Sono tante le uscite previste per il mese di marzo, e tra queste non possiamo non annoverare il quarto capitolo della saga di John Wick al cinema, la terza stagione di The Mandalorian su Disney+ ma, soprattutto per gli amanti della commedia italiana, non possiamo dimenticare la seconda stagione della serie evento Incastrati, scritta, diretta e interpretata dal celebre duo comico Ficarra e Picone e trasmessa in streaming sulla piattaforma Netflix.

Ma prima di tuffarci nei meandri di questa nuova stagione ripercorriamo le vicende della prima, tanto acclamata dalla critica!

Dov’eravamo rimasti?

Salvo e Valentino, due tecnici della TV, dopo una serie di “piccoli equivoci senza importanza”, ed una serie di scelte sbagliate, saranno costretti ad abbandonare la loro tranquilla quotidianità e si ritroveranno a collaborare all’interno di una pericolosa cosca mafiosa. Con la morte costantemente alle spalle riusciranno, nonostante le mille difficoltà, a farsi proteggere dalla polizia e ad uscire sani e salvi dalla loro angosciante situazione di “incastrati”.

Ma già al termine di questa prima stagione, nonostante l’inevitabile lieto fine, si era da subito intuito che aria di mistero aleggiava ancora sui poveri protagonisti e che questi ultimi non fossero ancora del tutto al sicuro.

Ficarra e Picone
Ficarra e Picone in ostaggio in una delle prime scene della nuova stagione. Fonte: Netflix

Ficarra e Picone: un esperimento più che riuscito…

Il duo comico siciliano colpisce ancora! Fedeli al loro stile, dopo trent’anni di carriera, mettono già da subito le basi e l’entusiasmo per l’arrivo di una nuova intrigante stagione.

Incastrati è, infatti, frutto di un doppio esperimento effettuato da Ficarra e Picone che non solo li ha fatti approdare sul piccolo schermo ma che per di più gli ha fatto prediligere il mondo seriale al classico film, tra l’altro tramite l’ormai famosissima piattaforma Netflix.

Una nuova avventura che ha permesso a ben 190 Paesi di godere dell’ormai iconica e personale comicità del duo siciliano più famoso d’Italia, che come sempre sa far emozionare il suo pubblico, denunciando in maniera alquanto originale, quella “montagna di merda” che è la mafia; argomento trattato già diverse volte dai due in capolavori quali Nati stanchi e La Matassa.

Ficarra e Picone
Toni Sperandeo e Ficarra e Picone in una scena della seconda stagione di “Incastrati”. Fonte: Netflix

Il primo è sempre meglio? Non in questo caso

La seconda stagione di Incastrati svela tutti i misteri lasciati in sospeso dalla prima, e chiude ufficialmente questa nuova avventura di Ficarra e Picone.

Le vicende di questa nuova stagione sono anche più intense e lasciano infatti più spazio ai sentimentalismi e alle emozioni. Il fulcro della vicenda non è più esclusivamente il nuovo guaio in cui si ficcano Salvo e Valentino, nuovamente presi in ostaggio da quei mafiosi, ma sono i rapporti affettivi che legano i diversi personaggi: l’amore tra Valentino e la madre, o tra Valentino e Agata (Marianna Di Martino), la presenza del figlio piccolo di Agata e il riavvicinamento tra Salvo ed Ester (Anna Favella).

Addirittura, si assiste anche all’evoluzione di alcuni personaggi, come nel caso di Tonino (Tony Sperandeo), e all’approfondimento di altri, come nel caso della signora Antonietta (Mary Cipolla).
Ma soprattutto si assiste a svariati e inaspettati colpi di scena. Insomma, è proprio il caso di dire che le sorprese non mancano in questa nuova stagione che, a discapito di quello che spesso avviene con i sequel, si è dimostrata addirittura più emozionante della prima!

Ficarra e Picone: il duo comico siciliano che non delude mai!

Cos’altro aggiungere? Accompagnati da un cast d’eccezione, che ci fa ritrovare anche in questa stagione nomi come Mary Cipolla, Domenico Centamore, Tony Sperandeo, Maurizio Marchetti, Sergio Friscia, Filippo Luna, Leo Gullotta e la straordinaria ed esilarante partecipazione del duo Toti e Totino, Ficarra e Picone sono tornati: brillanti e inimitabili come sempre!

 

Marco Castiglia

La legge di “Lidia Poët”: la rivoluzionaria prima avvocata italiana

Un racconto ottocentesco in chiave moderna, tra ambizione e indipendenza. Ottimo prodotto d’intrattenimento con una sola pecca: i ritmi del 4 e del 5 episodio un po’ lenti. Voto UVM: 4/5

 

Dal 15 febbraio è disponibile sulla piattaforma Netflix una nuova serie totalmente italiana, ispirata ad una storia vera, dal titolo: La legge di Lidia Poët. La serie, prodotta da Groenlandia, nasce da un’idea degli sceneggiatori Guido Luculano e Davide Orsini, e vede alla regia Matteo Rovere e Letizia Lamartire.

La fiction si presenta come un omaggio a Lidia Poët, prima donna d’Italia a laurearsi in legge e a chiedere l’iscrizione all’Ordine degli avvocati nel 1883. Esercitò la professione per pochi mesi, prima che una sentenza della Corte d’Appello dichiarò illegittima la sua iscrizione. La causa? L’essere donna. Da quel momento in poi Lidia, impeccabilmente interpretata nella serie da Matilda De Angelis, diverrà uno dei punti di riferimento per l’emancipazione e l’indipendenza femminile.

Il racconto di una giovane donna tra pregiudizi e verità…

La Corte accoglie il ricorso contro la signorina Poët Lidia e dichiara nulla la sua iscrizione presso l’albo professionale degli avvocati della città di Torino.

Da questa sentenza (riportata integramente nel primo episodio), Lidia smarrita, delusa e alla ricerca di un supporto si reca a casa del fratello, anche lui avvocato, Enrico Poët (Pier Luigi Pasino). Ad accoglierla la cognata Teresa Barberis (Sara Lazzaro) che, tanto ancorata ai dettami della società del tempo, non supporterà tutte le ideologie della cognata.

Se Dio ti voleva avvocato non ti faceva donna!

Matilda De Angelis in “Lidia Poët”. Fonte: IoDonna. Casa di produzione: Groenlandia. Distributore ufficiale: Netflix.

 

Frasi che riecheggiano nella mente di Lidia. Tanto legata anche al giudizio negativo del padre defunto, più volte ricordato nel corso del racconto. Tra sguardi dubbiosi e feroci pregiudizi, la Poët non perde di vista l’obiettivo ed inizia a scrivere il suo discorso di ricorso. Nel frattempo diventa assistente del fratello, assurgendo un po’ al ruolo di eroina delle “cause perse”. Ad aiutarla nelle avventure investigative, il giornalista anarchico nonché fratello di Teresa, Jacopo Barberis (Eduardo Scarpetta) che la guiderà nei misteriosi luoghi tornesi.

Dietro le quinte: tra borghesia ottocentesca e modernità!

Essere una donna alla fine dell’ottocento non era semplice! L’avvocatura, come altri lavori, era legata a molti stereotipi. La credibilità e la serietà facevano parte solo di uomini tutti d’un pezzo. All’epoca vedere una toga sovrapposta ad abbigliamenti femminili “strani e bizzarri”, non era concepibile. E proprio Lidia cercherà nella serie, come nella realtà, di combattere contro tutto questo.

Mi sono resa conto che la condizione di inferiorità, alla quale è stata sottoposta la donna per secoli partiva anche dalle cose più semplici, come i vestiti. Perché la libertà parte dalla mente, ma anche dalla libertà di movimento. Queste tra loro vanno di pari passo!

In effetti come afferma Matilda De Angelis, in una delle sue interviste per Netflix, da questa serie si può intuire proprio questo. Si vuole dare l’idea di una donna moderna ed emancipata, in un contesto che è tutt’altro, ma senza ricorre ai soliti clichè di mascolinità. Lidia qui è appassionata di moda, la sua personalità le viene ricamata addosso. Tra abiti dai colori accessi nei motivi più variegati e gioielli dal gusto orientale.

Lidia Poët
In ordine: Eduardo Scarpetta, Matilda De Angelis, Pier Luigi Pasino. Fonte: IoDonna. Casa di produzione: Groenlandia. Distributore ufficiale: Netflix.

 

Lidia corre, inciampa, cade, porta la bicicletta, fa tutto quello che per una femmina di quei tempi era inammissibile. Nei vari episodi riecheggiano temi che vanno dal patriarcato al femminismo, dall’anarchia allo spiritismo.

La sceneggiatura è stata curata nei minimi dettagli. Dal tribunale, alla prigione, al manicomio, all’obitorio. Torino con le sue case ancora in pieno stile ottocentesco, ha dato un tocco in più. Sono state ricreate pagine di giornale, macchine da scrivere, strumenti e metodi d’indagine come il guanto volumetrico. Ritroviamo dei riferimenti alle prime teorie sulle impronte digitali e alla nuove forme di analisi criminologica, novità per l’epoca.

In conclusione consigliamo Lidia Poët?

Tra polemiche e perplessità che in molti hanno rivolto alla serie, addirittura rinnegando l’effettività storica riportata in scena.

Ho scritto a Netflix, Lidia Poët non è la prima avvocatessa d’Italia ma la prima donna iscritta all’ordine degli avvocati di Torino. La prima avvocatessa d’Italia è Giustina Rocca di Trani

Dalle parole dell’avvocatessa Cecilia Di Lernia, riportate in un’articolo della Repubblica. Nonostante queste contestazioni la serie, un po’ in chiave Sherlock Holmes e Signora in Giallo del tardo ottocento, è da guardare. E perché no un sequel non sarebbe mica male!

Se ho catturato la tua curiosità, perché non dai un’occhiata al trailer ufficiale? Non te ne pentirai, clicca qui oppure fai play qui giù!

 

Marta Ferrato

La vita bugiarda degli adulti: una realtà spigolosa ma vera

 

Un dramma di formazione. Una realtà dura, cruda e vera quella raccontata dalla serie tv. Una sola pecca: il ritmo dei primi due episodi che rallenta di poco l’iniziale coinvolgimento. Voto UVM: 4/5

 

Tra dolci bugie e amare verità! È finalmente disponibile dal 4 gennaio la nuova serie italiana originale Netflix, tratta dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante: La vita bugiarda degli adulti. Dopo il successo della fiction L’amica geniale, un’altra opera della scrittrice, senza volto e identità, viene adattata al piccolo schermo.

La serie è suddivisa in sei episodi, ognuno di essi tratta una particolare tematica: la bellezza, la somiglianza, l’amarezza, la solitudine, l’amore e la verità. La regia del talentuoso Edoardo De Angelis e la sceneggiatura di Francesco Piccolo e Laura Paolucci, ci conducono in un’esperienza visiva più vicina alla realtà che alla finzione.

Un po’ come se fosse un racconto di formazione, la serie mette in risalto quel particolare passaggio dall’infanzia all’adolescenza di una ragazza ribelle come Giovanna Trada (Giordana Marengo), in una Napoli tutta anni ‘90. È continuo il confronto generazionale, tra fedeltà e tradimento, tra saggezza e ignoranza, tra ricchezza e povertà, tra ribellione e accondiscendenza. Il rapporto è perfettamente rappresentato da Giovanna e dalla zia Vittoria (Valeria Golino): figure diverse all’apparenza ma che in fondo si dimostreranno più simili del previsto.

La trama: da un’infanzia ovattata ad un’adolescenza rivelatrice

Quando si è piccoli tutto ci sembra grande. Quando si è grandi tutto ci sembra piccolo, quasi privo di senso!

Questa è una frase “mantra” della serie, ripetutamente proposta come a circostanziare le prospettive sfalsate dell’età. A pronunciarla è la protagonista tredicenne, Giovanna, nata e cresciuta nella “Napoli bene” (a Vomero, una zona ricca della città). Capelli corti, occhi penetranti e un look da vera ribelle: Giovanna è soltanto un’adolescente alla ricerca della propria identità.

Andrea e Nella sono i genitori, entrambi docenti di liceo. Il padre, interpretato da Alessandro Preziosi è un uomo colto, di sinistra, una persona ben costruita ma poco leale. La madre, Nella (Pina Turco), oltre ad essere insegnante, per arrotondare fa la traduttrice di romanzi stranieri. Follemente innamorata del marito, con la figlia è una madre attenta e comprensiva. Ma non accetterà poi il rapporto che quest’ultima instaurerà con la zia, vedendola come una minaccia per i successi di Andrea.

Uno scatto con alcuni personaggi della serie. Fonte: TvBlogo. Casa di produzione: Fandango. Distributore ufficiale: Netflix.

Il passaggio adolescenziale farà calare il rendimento scolastico di Giovanna che inizierà sempre più a prendere le sembianze di sua zia Vittoria. Infatti, proprio nell’incipit sia del romanzo che della serie, Giovanna sente il padre dire

si sta facendo la faccia di Vittoria…

Quest’ultima, sorella di Andrea, ha il volto censurato in tutte le foto di famiglia. È da sempre stata la zia innominabile, quella di cui la famiglia Trada non parla da anni. Mai conosciuta da Giovanna poiché rappresenta una figura “scomoda” per loro.

È proprio questa nube di mistero nei confronti della zia che incuriosisce Giovanna. Entrambe si incontrano, per concessione del padre, una domenica mattina in un quartiere malfamato della Napoli dei rioni (Poggioreale). Da quell’incontro Vittoria accompagnerà la nipote in un viaggio introspettivo, tra luci ed ombre, tra i primi amori e le prime esperienze sessuali: un nodo da dover sciogliere. In un mondo fatto di maschere, sarà proprio lei a rivelarle “la vita bugiarda degli adulti”.

Una città dai due volti: è una storia già vista, già sentita?

Da una parte una Napoli alta, borghese e costruita, dall’altra una Napoli bassa, malfamata ma vera. Sono due facce di una stessa medaglia che influenzeranno il percorso della protagonista. Napoli è una città dell’anima, anzi come direbbe la pungente Vittoria:

dell’anima ‘e chi v’è muorto

Per gli amanti della Ferrante si sa bene che molte tematiche e luoghi cari alla scrittrice, riecheggiano anche qui: il disagio adolescenziale, tra inquietudini e difficoltà; la condizione femminile, alla ricerca di un’identità da donna matura; la marginalità urbana, e il problema delle condizioni sociali.

La serie ci ricorda un racconto di formazione napoletana breve e coinciso ma simile, per alcune sfaccettature, al precedente successo internazionale, L’amica geniale, con la regia di Daniele Lucchetti. La timeline lega di certo i due racconti che convivono nello stesso emisfero, nonostante abbiano una linea temporale diversa. L’ambientazione, i colori, le musiche, la vita nei rioni forse ci potrebbero riportare all’epoca di Lila e Lenù. Anche la stessa zia Vittoria, col suo modo di fare e il suo linguaggio dialettale, ci ricorda un po’ con minore tragicità la Lila più matura dell’ultima stagione de L’amica geniale.

Il primo incontro tra Giovanna e la zia Vittoria. Casa di produzione: Fandango. Distributore ufficiale: Netflix.

Per l’atmosfera, i luoghi, i personaggi ci starebbe anche un paragone con l’opera di Paolo Sorrentino È stata la mano di Dio, candidata agli Oscar e distribuita sempre da Netflix. Tra adolescenti che scorrazzano sempre in motorino con cuffiette in testa e borghesi benestanti che si dichiarano comunisti.

La vita bugiarda degli adulti: non è una copia ma una realtà ribaltata!

Nonostante tutto il tono dato al romanzo e, alla serie, è allo stesso tempo diverso da delle possibili copie. Come ha affermato il regista De Angelis, in conferenza stampa a Roma:

In questa storia Elena Ferrante gioca con il paradosso della realtà sistematicamente ribaltata o aberrataseguendo la sola regola del proprio interesse. Nel vortice melmoso di adulti ossessionati dall’autorappresentazione di se stessi come giusti, onesti, sinceri. Giovanna scopre che la vita è sporca, puzza e certe volte è pure brutta.

Le bugie, come ben sappiamo, a forza di essere raccontate possono diventare verità. Queste menzogne truccate sono spesso alla base dei rapporti sociali, sia in famiglia che fuori. In fondo tutti, grandi e piccoli, abbiamo la necessità di dover crescere, sbagliare, imparare e riprovare. Questa storia vuole mettere in evidenza proprio questo!

Anche se non sei un* “Ferrante Fever” sono sicura che questa serie potrebbe contagiarti! Fai play, cosa aspetti? Ecco a te il trailer ufficiale.

 

Marta Ferrato

Ginny&Georgia 2: tra dramedy e mystery crime

Gli aggettivi che userei per descrivere la serie sono: accattivante e sagace, un po’ come Georgia Miller. Tematiche sentite e ben analizzate. Forse, solo qualche frame lento in qualche buco di trama. Voto UVM: 4/5

 

A distanza di quasi due anni dalla prima stagione, debutta sulla piattaforma Netflix la seconda stagione di Ginny&Georgia a partire dal 5 Gennaio 2023.

La serie ideata da Sarah Lampert narra le vicende di una ragazza madre, Georgia e della figlia, Ginny. Composta anche dal figlio minore, Austin, la loro è una famiglia decisamente “sui generis”. I tre, infatti, nascondono molti scheletri nell’armadio potenzialmente pronti ad uscire allo scoperto.

La serie TV di dieci episodi, della durata di un’ora ciascuno, scandisce i ritmi delle dinamiche dell’esuberante Georgia Miller (Brianne Nicole Howey) e dell’adolescente sedicenne Ginny Miller (Antonia Gentry) che prova a confrontarsi con i primi amori adolescenziali, con le prime delusioni ma soprattutto con l’ansia e la preoccupazione per alcuni segreti della madre.

Ginny&Georgia / Tutto quello che c’è da sapere

Non è tutto oro ciò che luccica e questo, la serie, lo conferma pienamente episodio dopo episodio. La bella e dannata Georgia, che agli occhi dei telespettatori appare perfetta e sensuale come una Barbie, in realtà nasconde una personalità altalenante e non sempre forte. Complice sicuramente l’essere ragazza-madre e l’aver tentato di proteggere la figlia in ogni modo possibile ed immaginabile. Bella e carismatica, è riuscita a convolare a nozze con il sindaco di Wellsubry. Ma come reagirà Paul (Scott Porter) di fronte ai segreti taciuti dalla futura moglie? Basterà l’amore a superare le divergenze morali?

Ginny, invece, ha da sempre sofferto il carattere gioioso, socievole e carismatico della madre. Lei, da sempre più matura e saggia di Georgia, è decisamente più introversa e i suoi unici obiettivi adolescenziali sono quelli di costruire legami duraturi nel tempo. Non sempre, infatti, ha avuto la possibilità di farlo, a causa dei continue fughe organizzate da Georgia per scappare da tutto e tutti nei momenti di difficoltà. Nonostante ami alla follia la madre, vorrebbe che fosse più sincera con lei e che smettesse sempre di proteggerla. Ma l’amore di un genitore si sa, a volte, è cieco.

Ginny&Georgia
Ginny & Georgia: rispettivamente interpretate da Antonia Gentry e Brianne Howey. Distribuzione: Netflix. Fonte: CinemaSerieTV.it

G&G / Il genere della serie e le tematiche

La serie, che dal dramedy si sposta al mystery crime, affronta tematiche importanti, tutt’altro che leggere, e fondamentali soprattutto per i giovani in età adolescenziale. G&G parla dell’importanza di ricercare di se stessi, del proprio orientamento sessuale e delle varie disabilità, come il mutismo. Un certo rilievo assumono anche argomentazioni più delicate come l’autolesionismo, la terapia, le malattie terminali e la figura, potremmo dire “salvifica”, dello psicologo.

Fanno da contorno alle dinamiche-madre figlia di Ginny&Georgia, oltre al fratellastro Austin (Diesel La Torraca), che a soli nove anni dimostra piena consapevolezza e maturità, anche i due ex uomini di Georgia. Il padre di Ginny, Zion, alle prese con una relazione dopo moltissimi anni di viaggi di lavoro. Ma non è finita qui, poiché a metà stagione, a complicare equilibri già del tutto precari ci penserà Gil Timmins, il padre biologico di Austin, interpretato da Aaron Ashmore. 

Ad aiutare Ginny a superare giornate difficili ci saranno le amiche Maxine (Sara Waisglass) ed Abby, l’amore di Marcus (Felix Mallard)  e il sostegno di Joe (Raymond Ablack), il suo datore di lavoro.

l plot twist del finale di stagione

Senza fare nessun spoiler, il finale di stagione di Ginny&Georgia lascia presagire, stando anche alle parole dell’ideatrice Sarah Lampert una terza stagione, che indicativamente potrebbe debuttare sempre su Netflix a fine 2024. Nella prima settimana di gennaio la serie statunitense è entrata di diritto nella classifica globale con 180,47 milioni di ore visualizzate, diventando così il titolo più visto sulla piattaforma del 2023.

Le domande alle quali ancora non sussiste una risposta sono molte. L’amore trionferà? Come proseguirà la storia d’amore tra Marcus e Ginny? La verità verrà a galla? Cosa ne sarà di Ginny e Austin?
Tutte domande che, con moltissima probabilità, troveranno risposta nella terza e (forse) ultima stagione.

Ti ho convinto a guardarla? Se non l’hai ancora vista e sei arrivat* fin qui, cosa aspetti? Ecco il trailer!

 

Giorgia Fichera