Il ”nuovo” gruppo sanguigno Er: una scoperta iniziata nel 1982

Scoprire un nuovo gruppo sanguigno è importante perché, in questo modo, è possibile effettuare correttamente molte diagnosi. Il gruppo sanguigno più recentemente scoperto è stato quello denominato Er e gli studi su di esso hanno avuto inizio nel lontano 1982 a carico dei ricercatori dell’NHS Blood and Transplant e dell’Università di Bristol. 

Indice dei contenuti

  1. I gruppi sanguigni, gli antigeni e gli anticorpi
  2. Il  nuovo gruppo sanguigno
  3. Perché è importante distinguere i gruppi sanguigni?
  4. L’importanza della scoperta

I gruppi sanguigni, gli antigeni e gli anticorpi

I gruppi sanguigni sono delle componenti ereditarie e si identificano grazie agli antigeni presenti sulla superficie dei globuli rossi. Il Sistema AB0 è il più importante tra i 38 sistemi di gruppi sanguigni umani, ed è composto da quattro gruppi (A, B, AB, 0) a seconda che venga rilevato l’antigene A, il B, entrambi o nessuno.
Gli antigeni sono molecole riconosciute estranee dal nostro organismo. Esse provocano l’attivazione del sistema immunitario, con conseguente formazione di anticorpi destinati  al sangue o ai tessuti.
Gli anticorpi, detti anche immunoglobuline, sono invece delle proteine prodotte dai linfociti B nella loro forma matura di plasmacellule, in grado di combinarsi con una porzione dell’antigene, l’epitopo,  nel corso di una reazione immunitaria. Essi svolgono, infatti, una funzione protettiva nei confronti dell’organismo.

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Il nuovo gruppo sanguigno

La scoperta del gruppo Er  è dovuta a tre nuovi antigeni che non corrispondono a quelli che distinguono i quattro gruppi sanguigni già noti del sistema AB0.
Gli studi hanno avuto inizio quando, durante una gravidanza, due neonati morirono di morte cerebrale. La morte era causata, secondo i medici, da una incompatibilità tra il gruppo sanguigno della madre e quello, appunto, del neonato. Infatti, tale incompatibilità si verifica quando una madre Rh negativa partorisce un figlio Rh positivo come il padre.
Successivamente, il team di ricercatori dell’NHSBT del Regno Unito ha analizzato il sangue di 13 pazienti. Sono stati così identificati cinque varianti degli antigeni Er: Er a, Er b, Er 3, Er 4 e Er 5.
Sequenziando il codice genetico dei pazienti, il team è stato in grado di individuare il gene che codifica per le proteine della superficie cellulare.
Il gene preso in considerazione è il PIEZO1. Questo codifica per una proteina che aiuta le cellule a sentire le variazioni locali della pressione dei fluidi, in questo caso del flusso sanguigno. Ciò è necessario per aggiungere l’antigene Er alla superficie delle cellule ematiche.

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Perché è importante distinguere i gruppi sanguigni?

Quando i globuli rossi espongono sulla superficie della membrana degli antigeni che il nostro corpo ha classificato come non-self, il sistema immunitario si attiva, inviando anticorpi per segnalare la distribuzione delle cellule che contengono l’antigene sospetto.
In rari casi, può succedere che i tessuti del feto vengono riconosciuti come estranei dall’organismo della madre e, quindi, aggrediti. Gli anticorpi della classe G (IgG) che vengono prodotti passano attraverso la placenta, portando alla malattia emolitica nel neonato.

 

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L’importanza della scoperta

Alla luce della recente scoperta è difficile fare delle stime sulla frequenza delle varie versioni, ma sembrerebbe che l’isoforma più rara di Er sia Er b, mentre il Er 5 sembrerebbe quella più comune nelle popolazioni africane, dove darebbe un vantaggio nei confronti della malaria. Sebbene le informazioni sulle ultime tre versioni non sono approfondite, possiamo dire che lo studio ha messo in evidenzia il potenziale-antigenicità anche di proteine molto poco espresse e la loro rilevanza per la medicina trasfusionale.

Sofia Musca

Bibliografia

https://www.repubblica.it/salute/2022/10/11/news/scoperto_nuovo_gruppo_sanguigno-369513886/
https://www.rainews.it/articoli/2022/10/scoperto-un-nuovo-gruppo-sanguigno-si-chiama-er-b225ce8b-67ed-4c54-971f-6e9df949c227.html
https://www.vanityfair.it/article/er-e-stato-scoperto-un-nuovo-sistema-di-gruppi-sanguigni
https://www.pianetachimica.it/mol_mese/mol_mese_2018/07_Piezo1_Canale_Meccanosensibile/07_Piezo1_Canale_Meccanosensibile.htm
https://www.humanitas.it/enciclopedia/anatomia/sistema-immunitario-ematologico/gruppo-sanguigno/
https://www.wired.it/article/gruppi-sanguigni-nuovo-sistema-er-scoperta-utilita-clinica/

Dagli studenti per gli studenti: donazione del sangue cordonale

Il sangue contenuto nel cordone ombelicale (SCO) e raccolto al momento del parto, rappresenta una preziosa sorgente di cellule staminali emopoietiche capaci di generare le cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine). Può essere utilizzato, come il midollo osseo e le cellule staminali del sangue periferico, per effettuare il trapianto in pazienti affetti da molte malattie ematologiche (leucemie, linfomi) e da malattie genetiche quali ad esempio l’anemia mediterranea o Morbo di Cooley.

Elenco dei contenuti

Cos’è il sangue cordonale?

Il cordone ombelicale è l’anello di congiunzione tra la placenta e il prodotto del concepimento. E’ costituito da tre vasi ombelicali(una vena e due arterie), che permettono lo scambio di sangue tra la placenta della madre e il feto durante la gravidanza, al fine di garantire al piccolo l’ossigeno e le sostanze necessarie al suo sviluppo. 
Alla nascita, il cordone ombelicale non è più necessario. Per tale motivo viene bloccato (clampato) con una pinza sterile  per evitare la fuoriuscita di sangue e, subito dopo, tagliato. Non contiene nervi, di conseguenza la recisione non è dolorosa né per il bambino né per la madre.

Perchè è importante donarlo?

La donazione del sangue cordonale è importante perché aumenta le possibilità di cura delle persone affette da patologie trattabili solo attraverso un trapianto di cellule staminali emopoietiche. Può contribuire non solo a curare le malattie tumorali del sangue come la leucemia e i linfomi, ma anche le patologie non tumorali, come la talassemia, l’aplasia midollare e le immunodeficienze congenite.

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Come prepararsi?

Il percorso preparatorio prevede:

  • il colloquio della futura mamma con il personale qualificato dei reparti di Ostetricia e Ginecologia, per verificare che sussistano tutte le condizioni di salute necessarie alla donazione
  •  la firma del Consenso Informato

La donazione è totalmente volontaria, anonima e non retribuita. La scelta di non partecipare o ritirarsi da questo programma non richiederà giustificazioni da parte della paziente né comporterà discriminazioni da parte dei sanitari. Inoltre, non influenzerà in alcun modo le cure necessarie alla diade madre-bambino.
In caso di donazione solidaristica, successivamente alla raccolta, il consenso non potrà essere ritirato e non sarà possibile avanzare alcun diritto sull’unità di sangue cordonale. Nell’ipotesi  in cui dovessero sopraggiungere esigenze di un utilizzo clinico intrafamiliare e disponibilità dell’unità  donata, quest’ultima sarà messa a disposizione, dietro richiesta di un sanitario e riscontro di compatibilità, senza costo alcuno.
La futura mamma ha diritto ad una copia del Consenso Informato. Il materiale biologico donato e tutti i dati relativi alla donazione si intendono utilizzabili esclusivamente per quanto sottoscritto nel Consenso Informato.

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Criteri per poter donare e Consenso Informato

Per donare il sangue cordonale è necessario essere in buone condizioni di salute e compilare un questionario anamnestico.  In Italia il Consenso Informato alla donazione allogenica contiene informazioni relative a:

  • Dati anagrafici della donatrice;
  • Modalità di raccolta e conservazione del sangue cordonale;
  • Modalità di utilizzo del sangue cordonale per trapianto;
  • Possibilità di esercitare la facoltà di ritiro alla donazione fino al momento della raccolta;
  • Consenso all’eventuale uso per ricerca nel caso in cui non possa essere utilizzato per trapianto;
  • Richiamo della donatrice a 6 mesi dal parto, per eseguire un prelievo ematico di controllo e valutare lo stato di salute del bambino

Criteri di esclusione

Come per le donazioni di sangue, esistono condizioni cliniche e comportamenti a rischio che precludono la donazione del sangue cordonale. Le principali condizioni cliniche che precludono la donazione riguardano l’esistenza di patologie a carico dei genitori e/o famigliari quali:

  • Malattie autoimmuni;
  • Malattie cardiovascolari;
  • Malattie organiche del sistema nervoso centrale;
  • Neoplasie;
  • Malattie della coagulazione;
  • Crisi di svenimenti e/o convulsioni;
  • Malattie gastrointestinali, epatiche, urogenitali, ematologiche, immunologiche, renali, metaboliche o respiratorie gravi o croniche e/o recidivanti;
  • Diabete insulinodipendente.
  • Malattie infettive (quali AIDS, epatite)

Altri criteri di esclusione sono di natura ostetrico/neonatale e vengono valutati dal personale medico ostetrico durante la gestazione e al momento del parto quali:

  • Febbre in travaglio (febbre >38°C);
  • Rottura delle membrane da oltre 12 ore;
  • Età gestazionale inferiore alle 37 settimane;
  • Distress fetale;
  • Parto vaginale operativo;
  • Malformazioni congenite del neonato;
  • Liquido amniotico tinto;
  • Tampone vaginale assente o positivo per streptococco β-emolitico.

Escludono inoltre la donazione criteri laboratoristici legati alla modalità di raccolta, che possono esporre l’unità a contaminazione microbica o alla formazione di aggregati capaci di innescare la cascata coagulativa, valori volumetrici o cellulari del campione raccolto non adeguati, eventi avversi nel sistema di trasporto, di manipolazione o di congelamento.

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Come avviene la raccolta?

Il SCO, può essere raccolto esclusivamente in parti spontanei a termine non complicati e nei parti cesarei di elezione. La raccolta richiede pochi minuti e viene effettuata senza modificare le modalità di espletamento del parto. La procedura di raccolta non comporta rischi e prevede il recupero del sangue rimasto nel cordone in un’apposita sacca.
La sacca e tutti i materiali utilizzati sono sterili e validati per l’uso specifico. Il sistema prevede che, per ogni donazione, sia possibile raccogliere una quantità di sangue che va da 70 a 200 ml. Se la raccolta non può essere utile ai fini del trapianto, può comunque rappresentare un’importante risorsa per altre finalità cliniche (colliri, concentrati piastrinici, gel piastrinico) o per la ricerca, in conformità alle norme vigenti in materia.

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Conservazione

L’unità viene trasferita presso la Banca di Raccolta e sottoposta ad una serie di controlli ed esami al fine di definire le caratteristiche del sangue e stabilirne l’idoneità alla conservazione e all’uso terapeutico. Vengono bancate esclusivamente le unità cordonali che rispondono ai requisiti di qualità e sicurezza definiti dalle leggi vigenti. Tutti gli esami infettivologici devono risultare negativi e il numero minimo di cellule deve essere rispettato così rendere utilizzabile il campione a scopo trapiantologico.
Se valutato idoneo, il SCO viene congelato e conservato in azoto liquido a –196°C all’interno di , contenitori di stoccaggio costantemente monitorati tramite un sistema di registrazione e di allarme. la conservazione può avvenire in tali condizioni per oltre 20 anni dal prelievo. Tutte le procedure sono rigorosamente documentate per garantire la rintracciabilità  e la sua immediata disponibilità nel caso di richiesta da parte di un Centro che ha in cura un paziente che necessita di un trapianto di cellule staminali.

Utilizzo

Nel nostro Paese la donazione del sangue cordonale più diffusa è per trapianto allogenico non familiare.
La Banca del Sangue Cordonale detiene i dati genetici e biologici del sangue donato e li trasmette al registro nazionale IBMDRRegistro Italiano Donatori di Midollo Osseo e internazionale BMDWBone Narrow Donor World Wide. In questi due database elettronici, su richiesta del centro trapianti che ha in cura un malato, si esegue la ricerca  delle unità di sangue compatibili e, quindi, trapiantabili. Le donatrici vengono informate per iscritto del destino del sangue donato.
E’ possibile anche un’altra donazione, quella per trapianto allogenico familiare per curare un consanguineo del neonato (fratello, sorella…). La conservazione per uso autologo (cioé per un eventuale uso a favore del bambino stesso che lo ha donato), in Italia, è vietata poiché non è sostenuta da evidenze scientifiche.

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Rischi

La donazione non è dolorosa e non si sono mai registrati casi in cui donare il sangue cordonale abbia causato problemi di salute alla madre o al neonato. La donazione non sottrae al bambino in alcun modo risorse di sangue: infatti, in assenza della donazione, il sangue contenuto nel cordone reciso viene smaltito.
Al momento del parto e a distanza di 6-12 mesi verranno effettuati alla mamma dei prelievi per test infettivologici obbligatori per legge, al fine di confermare l’idoneità del sangue prelevato e contemporaneamente sarà eseguita al bambino una visita pediatrica per escludere la presenza di patologie ereditarie.

www.asp.rg.it

Conclusioni

Informarsi sulla donazione e conservazione del sangue del cordone ombellicale è fondamentale e rappresenta una reale speranza e un’importante possibilità di cura per chi è affetto da gravi malattie.
Donare fa bene al cuore.

Alice Pantano

Bibliografia

donazione-del-sangue-del-cordone-ombelicale

donare-il-sangue-cordonale/

donazione_sangue_cord_omb.pdf

www.saperidoc.it

https://www.ibmdr.galliera.it/ibmdr/info/iscrizione

 

 

 

 

Covid-19: il rischio per bambini e donne in gravidanza

In uno scenario mondiale in cui la pandemia di COVID-19 desta preoccupazioni e miete nuove vittime sono molte le questioni lasciate irrisolte. Tra queste, la convinzione speranzosa che la SARS-CoV2 non colpisca i pazienti di età pediatrica. Ma, è proprio così? 

La malattia da COVID-19 (o malattia respiratoria acuta da SARS-CoV2) è una condizione patologia su base infettiva eziologicamente associata al virus SARS-Cov2, che comporta da un punto di vista clinico:

  1. Un quadro asintomatico;
  2. Un quadro sintomatico con febbre, tosse secca, astenia, mialgie, congestione nasale, vomito, diarrea. Nei casi più severi: polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale.

La COVID-19, che ha reso l’Italia il Paese con il maggior numero di contagi dopo la Cina, colpisce meno frequentemente i pazienti di età pediatrica. Tale caratteristica accomuna il SARS-CoV2 con il SARS-CoV (responsabile della SARS, nel contesto della quale non furono registrati morti tra bambini ed adulti di età posta al di sotto dei 24 anni). Il più grande studio cinese nell’ambito di COVID-19, pubblicato su JAMA l’11 febbraio, riportava determinate cifre significative: dei 44.672 casi confermati all’identificazione del genoma virale sul tampone, solo meno dell’1% era associato a pazienti di età al di sotto dei 10 anni. Attualmente in Italia tra i contagiati:

  • meno dello 0,5% presenta un’età compresa tra 0 e 9 anni;
  • meno dell’1% presenta un’età compresa tra 10 e 19 anni.

Il minor numero di contagi in età pediatrica può essere associato:

  1. A fattori esterni: la popolazione di età pediatrica, rapportata alla popolazione adulta, è meno esposta a luoghi che potrebbero favorire la rapida diffusione del virus quali treni, aerei, stazioni, aeroporti;
  2. A fattori intrinseci al sistema immunitario. Secondo studi recenti la popolazione pediatrica presenta una resistenza intrinseca al SARS-CoV2 per una maggior espressione della risposta immunitaria innata e per una minor espressione dei recettori indicati con l’acronimo di ACE2 (Angiotensin-converting enzyme 2),  evenienza che deriva da uno studio condotto nel 2006 sui topi. Il SARS-CoV2 lega tale recettore per invadere sia gli elementi cellulari polmonari che altri distretti (cuore, mucosa del cavo orale, mucosa del distretto gastrointestinale, distretto epatobiliare).

I bambini rappresentano vettori per la trasmissione dell’infezione?

I pazienti di età pediatrica possono comunque infettarsi, risultando dei vettori per la trasmissione dell’infezione, motivo per il quale uno dei provvedimenti, precocemente messo in atto dal governo cinese e successivamente italiano, comprende la chiusura delle scuole. I pazienti di età pediatrica possono di fatto ammalarsi, anche se meno frequentemente rispetto ai pazienti di età adulta, presentando nella maggior parte dei casi sintomi lievi e/o moderati. 

La COVID-19 si manifesta con gli stessi sintomi nei pazienti adulti e pediatrici?

Secondo i dati raccolti dal Children Hospital di Wuhan, l’infezione sintomatica da COVID-19, comprende:

  1. Tosse (65% dei casi);
  2. Febbre (60% dei casi);
  3. Diarrea (15% dei casi);
  4. Scolo mucoso in retrofaringe (15% dei casi);
  5. Rantoli (15% dei casi);
  6. Distress respiratorio (5% dei casi);
  7.  Linfopenia  (35% dei casi);
  8. La TC del torace mostra immagini simili a quelle rilevabili in età adulta: aree di addensamento a livello subpleurico, con caratteristiche a vetro smerigliato, oppure aree di addensamento caratterizzate da alone infiammatorio circostante; la quasi totalità dei casi presenta, tuttavia, un quadro radiologico lieve.

COVID-19 e gravidanza: che rischio corre il feto?

Nelle scorse settimane un neonato londinese è risultato positivo al virus dopo essere nato da madre con polmonite COVID-19. Sono noti anche altri casi in Cina, tra cui Xiao Xiao, la neonata guarita spontaneamente dopo soli 17 giorni di vita.
Uno studio recentemente pubblicato su The Lancet ha esaminato nove donne incinte tra i 26 e i 40 anni con polmonite da SARS-CoV-2; sono stati analizzati:
–  Campioni di liquido amniotico;
– Sangue cordonale;
– Latte materno;
Successivamente sono stati eseguiti tamponi faringei sui neonati, tutti risultati negativi, concludendo che non c’è evidenza di infezione intrauterina attraverso la placenta, o tramite latte materno. Bisogna aggiungere, tuttavia, che le nove donne hanno subito un parto cesareo al terzo trimestre e che la limitata casistica non ha consentito di effettuare ulteriori studi.
Ad oggi, un’eventuale infezione neonatale da SARS-CoV-2 potrebbe essere acquisita per via respiratoria dalla madre nel post partum, basti pensare alla vicinanza tra il viso della madre e quello del bimbo durante l’allattamento.
Caterina Andaloro
Bibliografia
1.Epidemia COVID-19. Istituto superiore di sanità, Roma.
integrata-COVID-19_09-marzo-2020.pdf [accesso in data 11/03/2020]
2. Lee P-I et al., Are children less susceptible to COVID-19? Journal of Microbiology,
Immunology and Infection. 2020. https://doi.org/10.1016/j.jmii.2020.02.011.
3. Xia W et al. Clinical and CT features in pediatric patients with COVID‐19 infection:
Different points from adults. Pediatric Pulmonology. 2020;1–6.
4. General Office of the National Health Commission of China. Diagnosis and
Treatment Protocol for 2019‐nCoV. 5th ed. Beijing, China: National Health
Commission of China;

Lo stress in gravidanza potrebbe decidere il sesso del neonato, e non solo

Dalla notte dei tempi, esistono decine e decine di credenze popolari sui segnali che possano predire se il neonato sarà maschio o femmina. La presenza o meno di nausee mattutine, la forma della pancia, la pelle più secca o più morbida, persino la preferenza di cibi dolci o salati e (l’inquietante) test del pendolo sulla pancia. Ma non è tutto così casuale. 

Il sesso del neonato è influenzato precocemente da una vasta serie di fattori. 
Un recente studio condotto alla Columbia University Vagelos College of Physicians and Surgeons ha dimostrato come condizioni di stress durante la gravidanza possano influire in modo statisticamente significativo sul sesso del neonato, e non solo. Anche la durata della gravidanza, le complicanze perinataliil peso alla nascita e lo sviluppo del sistema nervoso sono soggetti a variazioni. 

Lo studio, pubblicato sulla rivista PNAS, è stato condotto su 187 gestanti, con età compresa tra i 18 e i 45 anni, senza alcuna condizione clinica patologica. Sono stati quindi formati tre gruppi sulla base delle condizioni di stress individuali. Ma come è possibile valutare in modo oggettivo lo stress? 

I ricercatori hanno utilizzato 27 indicatori specifici per lo stress psicologico, fisico e sociale, quantificati tramite informazioni raccolte sia con questionari sia tramite misurazioni dirette. 
Il campione iniziale di 187 gestanti è stato quindi suddiviso in tre gruppi: 

  • HG (healthy group): il 66.8% delle donne si è dimostrato essere in piena salute. 
  • PSYG (psychologically stressed group): il 17.1% delle donne si è mostrato in maniera clinicamente evidente affetto da stati ansiosi, depressione e stress psicologico. 
  • PHSG (physically stressed group): il 16% delle gestanti ha presentato uno stress fisico rilevante, determinato valutando la pressione arteriosa sistemica, il BMI (indice di massa corporea), l’apporto calorico, lo stress ossidativo e altri parametri. 

Con sorpresa i risultati ottenuti sono stati piuttosto netti
Premesso che nella popolazione generale il rapporto di nati maschi/femmine è pari a 105/100, a vantaggio quindi dei maschi, tale rapporto è stato confermato (23/18) nel gruppo HG, mentre nel gruppo PSYG è stato pari a 2/3 e nel gruppo PHSG a 4/9, con un’inversione in entrambi i casi rispetto alla norma. 

Inoltre, sia nel gruppo PSYG, ma in modo più significativo nel gruppo PHSG, i neonati sono stati partoriti mediamente con 1 settimana e mezza di anticipo rispetto al gruppo HG, con una percentuale di prematuri aumentata pari al 22% contro il 5% (mentre 9.9% è la media negli USA). 

Un’altra differenza importante è relativa a due valori utilizzati come indici di sviluppo del sistema nervoso del feto, ovvero la frequenza cardiaca media nel feto e l’accoppiamento tra questa e il movimento del feto stessoSono stati rilevati una frequenza media minore e un accoppiamento alterato, il che correla con uno sviluppo nervoso più lento. 

Infine, il peso alla nascita dei neonati dei due gruppi “patologici” è stato minore e, specialmente nel gruppo PSYG, si è avuto un numero di complicanze perinatali significativamente incrementato. 

Queste evidenze, puramente statistiche, hanno tuttavia delle basi biologiche che già da anni vengono discusse. Numerose ricerche scientifiche indicano che i feti di sesso maschile sono meno adatti a sopravvivere in condizioni non ottimali, com’è stato già osservato in altri mammiferi. 

Uno studio della DOHaDInternational Society for Developmental Origins of Health and Diseaseha dimostrato una maggiore vulnerabilità maschile durante lo sviluppo. I feti maschili presentano, in fasi precoci, uno sviluppo più lento rispetto ai femminili, per cui sarebbero più vulnerabili per un arco di tempo più esteso. Inoltre, geni X-linked correlati ad una maggiore capacità di sopravvivenza sono espressi a maggiori livelli nella placenta femminile, giustificando la più alta resistenza a condizioni non ottimali.  

Ricercatori del Robinson Institute’s Pregnancy and Development Group hanno scoperto che in corso di un evento stressante in gravidanza, i feti maschi crescono più velocemente mentre le femmine restano “più piccole“, garantendosi una maggiore probabilità di sopravvivenza. Ciò dipenderebbe principalmente da una diversa risposta agli ormoni materni, controllata differentemente dalla placenta del feto maschile e femminile. 

Secondo alcuni autori il senso biologico di questi meccanismi è dato dalla spinta evolutiva, che favorirebbe il sesso femminile in condizioni avverse come stress o ridotta disponibilità calorica.
È dunque plausibile che le donne soggette a stress tendano a perdere le gravidanze maschili con aborti spontanei in un periodo gestazionale talmente precoce che talvolta nemmeno si accorgono di essere rimaste incinte. 

Ulteriori studi hanno già sostenuto l’idea che l’isolamento sociale e lo stress psicofisico che ne deriva abbiano effetti sulla regolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, influenzando la produzione di ormoni quali il cortisolo, riducano la produzione di fattori neurotrofici e alterino il sistema immunitario materno amplificando i processi proinfiammatori. Tutto questo, analizzato a livello molecolare, ha certamente un effetto diretto sulla salute mentale e fisica della madre e quindi sullo sviluppo del feto. 

Risultati immagini per maternal psychosocial stress

Non a caso, proprio lo stress psicosociale, tra i 27 fattori utilizzati nella valutazione delle gestanti, è quello che meglio ha contraddistinto i tre gruppi. E ancor più curiosamente, decine di studi hanno dimostrato statisticamente che in popolazioni colpite da eventi tragici come terremoti, o addirittura negli USA in seguito all’assassinio del Presidente Kennedy o agli attacchi terroristici alle torri gemelle, si è verificato un decremento delle nascite maschili. Uno studio del 2006 su oltre 700 mila nascite a New York ha infatti dimostrato come il livello di nascite maschili sia sceso ai minimi storici nei mesi successivi all’11 settembre. 

ricercatori concludono quindi che lo stress, inteso come condizione clinicamente rilevabile e misurabiledovrebbe essere in futuro incluso nei pannelli di controllo prenatali, così come tra i fattori su cui intervenire per prevenire una serie di problematiche prima e dopo il parto.
Il rallentato sviluppo del sistema nervoso fetale, la maggiore incidenza di complicanze perinatali, di aborti spontanei e di parti pretermine, potenzialmente correlati (soprattutto nel maschio) a disordini neurologici quali autismo, dislessia e ADHD (sindrome da deficit di attenzione ed iperattività), giustificano a pieno titolo tale intenzione.  

A detta degli stessi autori, sono necessari ulteriori studi che confermino le evidenze ottenute, ma questa ricerca funge da utile terreno di base da ampliare e arricchire. 
Il messaggio chiave è che l’utero è una “casa” molto influente, probabilmente più della casa in cui il bambino crescerà, e quanto questa casa sia accomodante dipende in maniera determinante dalla salute, anche mentale, della madre. 

Davide Arrigo 

 

Fonti: 

https://www.pnas.org/content/early/2019/10/08/1905890116.short?rss=1
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/31221426
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5286731/