Giornata della Memoria 2022. Coltivare la memoria è un dovere civile

27 gennaio 1945, Auschwitz. Durante un’operazione, nel mentre della Seconda Guerra Mondiale, delle truppe sovietiche dell’Armata Rossa, viene scoperto e vengono aperti i cancelli di quel posto che era come un inferno sulla terra. Il mondo, per la prima volta, scoprì cosa accadesse nei campi di concentramento, tra cui, appunto, quello presso la cittadina polacca di Oświęcim, Auschwitz per i nazisti.

 

I cancelli del campo di concentramento di Auschwitz (fonte: ilpost.it)

Ideati inizialmente per sterminare la popolazione ebraica, all’interno di questi luoghi, noti anche come lager, trovarono la morte anche slavi, rom, persone di colore, disabili, omosessuali e avversari politici, oltre che circa 6 milioni di ebrei, principali bersagli.

In questa data, dunque, ricordiamo ogni anno tutte le vittime innocenti di questo genocidio noto comeOlocausto” (“sacrificio”) oShoa” (“tempesta devastante”), espressione usata per la prima volta nella Bibbia, nel libro di Isaia, per indicare una forma di sacrificio praticata nell’antichità in cui la vittima veniva interamente bruciata.

Gli avvenimenti storici

Tra il 1933 e il 1945, morirono uccise dai nazisti circa 15-17 milioni persone.

Adolf Hitler a capo del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, dopo esser salito al potere in Germania nel 1933, diede inizio a quel programma politico che fu causa di tutto. Intendeva porre la Germania nazista come erede storica del Sacro Romano Impero e del moderno Impero tedesco. Perciò istituì il “Terzo Reich(letteralmente “Terzo Impero”). Il 30 gennaio 1933, divenne cancelliere del Reich e, nonostante inizialmente fosse a capo di un governo di coalizione, si liberò velocemente dei partiti alleati, per accentrare nella sua persona tutto il potere, esecutivo e legislativo, nel giro di un solo anno, ponendo le basi per il regime totalitario di estrema destra, ispirato a ideologie come quelle nazionalistiche – in cui ritroviamo i concetti di “razza” e “superiorità ariana”e connotato da un’aggressiva politica estera, dovuta al gran risentimento della Germania per il funesto esito del primo conflitto mondiale.

L’invasione della Polonia fece degenerare le tensioni in Europa, dopo che la Germania iniziò la sua espansione, per cui Regno Unito e Francia dichiararono guerra.

Ebrei costretti ad indossare il simbolo distintivo per essere riconosciuti (fonte: Rai News)

Da quel momento in poi, i nazisti perseguitarono e assassinarono moltissime persone, tutti considerati nemici del Reich, non solo, dunque, gli ebrei per completare lasoluzione finale”.

Il razzismo era uno strumento importantissimo per i nazisti – più di quanto lo fosse per i fascisti, che lasciarono maggiore libertà personale ai cittadini – per combattere comunismo e capitalismo, odiatissimi, di cui principali autori erano considerati gli ebrei, accusati di star mettendo in atto una vera e propria cospirazione contro il mondo. Un alto numero di persone di origine ebraica lavorava nell’alta finanza angloamericana e molti erano stati tra gli esponenti della rivoluzione bolscevica; perciò, per i nazisti, anticomunismo e antisemitismo finirono per combaciare.

Per questo venne messa a punto la “soluzione finale”, per cui vennero sterminati i due terzi degli ebrei che vivevano in Europa.

Istituzione della Giornata della Memoria

L’1 novembre 2005, a conclusione della 42esima riunione plenaria dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, venne istituito il Giorno della Memoria, fissando la ricorrenza al 27 gennaio. Quello stesso giorno di sessant’anni prima, nel 1945, le truppe sovietiche guidate dal maresciallo Ivan Konev e dette “Fronte ucraino”, dell’Armata Rossa, impegnate nella offensiva Vistola-Oder in direzione della Germania, scoprirono e in seguito liberarono il campo di concentramento di Auschwitz.

Foto in cui si possono notare le condizioni disumane in cui erano costretti a vivere i deportati nei campi di concentramento (fonte: ANSA)

Trovarono ad aspettarli circa 7000 prigionieri in condizioni disumane. Scoprirono i forni crematori e i resti delle centinaia di esseri umani nelle fosse comuni scavate in fretta dalle SS primati scappare e compiere la “marcia della morte” con migliaia di deportati trascinati con sé.

Furono circa un milione le persone che morirono all’interno e non solo ebrei.

Nonostante i sovietici avessero liberato, circa sei mesi prima, il campo di concentramento di Majdanek e conquistato, nell’estate del 1944, anche le zone in cui si trovavano i campi di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka, questi erano stati precedentemente smantellati dai nazisti, nel 1943. Fu stabilito che la celebrazione della Giornata coincidesse, dunque, con la data in cui venne liberato quello che era il lager più grande mai costruito.

L’Italia ha formalmente istituito la giornata commemorativa nello stesso giorno. Prima, erano state proposte altre date, con le quali si sarebbe sottolineato ancor di più le responsabilità anche italiane nello sterminio e altre tramite cui si sarebbe fatto risaltare, invece, il forte antifascismo che dilagò in Italia in contrapposizione al fascismo. Infine, però, per la portata evocativa che aveva assunto negli anni Auschwitz, si optò per concordare il 27 gennaio.

 

La senatrice Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, e il valore della memoria

In Italia, abbiamo ancora testimoni in vita di quegli orrori, tra cui la senatrice Liliana Segre, deportata e sopravvissuta ad Auschwitz, la quale ogni anno si impegna affinché tutti possano mantenere vivo il ricordo di quell’atrocità, vissute anche in prima persona, e di conseguenza far sì che una simile cosa non si ripeta mai più.

Per la ricorrenza di oggi, 27 gennaio 2022, settantasette anni dopo la fine dell’incubo, la senatrice ha voluto rivolgersi in particolare ai giovani studenti italiani: «Se non saremo sempre vigili, attenti, informati, solidali e attivi, il passato potrebbe accadere ancora e ridiventare futuro».

La senatrice Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz e alla “marcia della morte” (fonte: fanpage.it)

Eppure, l’odio, seppur non così diffuso, continua a vivere tra negazionisti dell’Olocausto e razzisti, in tutto il mondo. La senatrice ha fatto riferimento anche ad episodi recenti: il funerale avvenuto poco tempo fa, a Roma, durante il quale una bara è stata avvolta in una bandiera nazista e l’aggressione a Livorno di due ragazzine quindicenni ai danni di un dodicenne perché ebreo.

La stessa senatrice continua ad esser vittima di razzismo, ricordiamo l’episodio delle minacce ricevute pochi mesi fa, dopo essersi sottoposta alla vaccinazione anti-covid. Sotto la foto che la ritraeva durante la vaccinazione, pubblicata sui social per sensibilizzare sull’importanza di immunizzarsi, delle persone, poi individuate dalla polizia postale, si sono scatenate con commenti trasudanti sentimenti antisemiti e profondo odio razziale.

«Coltivare la memoria è un dovere di ogni società che voglia dirsi civile. Curare il senso della storia, situare il proprio essere in una prospettiva di lungo periodo che permetta di muoversi meglio nel presente, di vedere meglio i pericoli sulla scorta appunto dell’esperienza, questo il compito di tutti e di ciascuno. La memoria è una componente indispensabile di una personalità ricca, vigile, sensibile, democratica.».

È importante non dimenticare mai, anche se non abbiamo vissuto direttamente quell’incubo, portando avanti la missione dei sopravvissuti anche quando non ci saranno più, perché il ricordo diventi un monito sempre presente nelle nostre menti e ci faccia essere un’umanità diversa, migliore.

 

Rita Bonaccurso

Milada: due dittature non bastano per annientare la forza di volontà

Alcune volte il cinema è uno strumento necessario per poter comprendere il passato.
I film rappresentano realtà storiche di primaria importanza, soprattutto quando raccontate dal punto di vista di chi le ha vissute in prima persona.

I libri svolgono una funzione fondamentale per la nostra istruzione ma con le pellicole cinematografiche – di norma – riusciamo ad immergerci maggiormente all’interno di un determinato contesto. Se questi film da un lato ci permettono di conoscere profondamente una verità, dall’altro ci servono per aprire gli occhi.

Questo è il caso di Milada (2017) diretto da David Mrnka e scelto dall’associazione AEGEE per il cineforum #socialequity; il film narra la storia di Milada Horáková, una giurista e politica cecoslovacca divenuta celebre per le sue battaglie, prima contro il nazismo e poi contro il comunismo.

La locandina del film – Fonte: praguesoundtracks.com

Trama

Negli anni 30 Milada Horàkovà (Ayelet Zurer) è membro del partito socialista nazionale cecoslovacco; moglie di Bohuslav Horák (Robert Gant), anch’egli membro del partito e madre di Jana (interpretata nelle sue fasi di crescita da Daniel, Karina Rchichev e Tatjana Medvecká) si mostra da subito riluttante nei confronti della Germania di Hitler.

La donna entra immediatamente a far parte della resistenza contro l’occupazione nazista diventandone uno dei membri di spicco; sarà scoperta ed arrestata dalla Gestapo che in un primo momento la condannerà a morte. Successivamente la pena sarà convertita in ergastolo e Milada verrà deportata – così come il marito – in un campo di concentramento.

Una volta finita la guerra e dopo essere sopravvissuta agli orrori dei tedeschi, decide di candidarsi in politica. Insignita della Legion d’onore francese continuerà a svolgere le sue funzioni ribellandosi alle continue minacce del regime comunista fino a quando verrà nuovamente incarcerata e torturata brutalmente perché considerata una spia.

Milada durante un interrogatorio sovietico – Fonte: hanavagnerova.com

Trascorrono i mesi e i sovietici non permettono a Milada neppure di ricevere visite dalla famiglia; sarà costretta a vivere in una cella minuscola e a subire vessazioni fisiche e psicologiche con il fine di costringerla a dichiararsi nemica dello Stato.

Milada difenderà il suo credo ed il suo operato e lo farà fino alla fine.

Regia e cast

Il lavoro svolto dal giovane regista David Mrnka è splendido; egli è stato capace di raccontare egregiamente i fatti tragici ma (purtroppo) reali che hanno afflitto la vita di Milada.

Dato il suo ritmo lento il film sembra essere quasi drammatico; tuttavia il regista ha deciso di concedere spazio a sotto-trame secondarie per far comprendere integralmente le vicende dell’epoca così da poter dare un tono fortemente biografico al film.

Concretamente, i due generi cinematografici sono come “mescolati” tra loro in modo tale da non far prevalere uno rispetto all’altro, ottenendo così la possibilità di poter narrare una realtà nuda e cruda facendo commuovere e riflettere allo stesso tempo lo spettatore.

Una scena del film – Fonte: imdb.com

La performance dell’attrice israeliana Ayelet Zurer (così come quella degli altri membri del cast) è lodevole; profondamente calata all’interno della parte riesce ad ottenere il massimo a cui un interprete possa aspirare: non far trasparire che si stia recitando quando lo si sta effettivamente facendo.

Milada come simbolo

Affermare che Milada Horáková sia un esempio per la lotta dei diritti umani è riduttivo (soprattutto in questi tempi). Oggi, termini quali dittatura vengono utilizzati in maniera del tutto impropria per alimentare in maniera becera le propagande e per immolarsi paladini di una lotta che – almeno nel nostro e in molti alti paesi democratici – fortunatamente non esiste.

Il processo a Milada, da lei stessa definito «buffonata» – Fonte: expres.cz

Utilizzare tali terminologie solamente per creare paure e per gettare fumo negli occhi è ampiamente vile e irrispettoso nei confronti di chi ha dovuto realmente sacrificare la propria esistenza per abbattere queste tirannie.

Ad oggi diversi Stati del mondo sono sottoposti a regimi dittatoriali veri e propri e Milada è come un ausilio per distinguere la vera dittatura da quella creata per incantare le masse.

Vincenzo Barbera

Hunters: la vendetta ai nazisti è servita

Amazon Studios con Hunters si dimostra, ancora una volta, principale competitor di Netlix nel settore dei contenuti originali.

La serie sui cacciatori di nazisti, prodotta da Jordan Peele (sceneggiatore premio Oscar di Get Out) e nata dalla penna dell’esordiente David Weil, ci riporta nell’America degli anni Settanta minacciata da un’ondata di razzismo antisemita.

Fonte: Ciakclub.it

Jonah Heidelbaum (intepretato dal giovanissimo Logan Lerman) è un diciannovenne ebreo che vive con la zia Ruth (Jeannie Berlin) sopravvissuta agli orrori dell’Olocausto e ad una serie di tragedie familiari che l’hanno portata ad essere la sola tutrice del nipote.

Il turning point della serie è indubbiamente l’omicidio della zia che accende il desiderio di vendetta (motore dell’intera storia) di Jonah che sceglie consapevolmente di farsi giustizia da solo.

Il ragazzo scopre che l’omicida è un ex nazista, uno degli incubi della zia nel campo di concentramento.

Jonah viene così a conoscenza di un gruppo clandestino che dà la caccia ai nazisti emigrati negli Stati Uniti dopo le atrocità della guerra.

I Cacciatori sono capitanati dal carismatico Meyer Offerman (Al Pacino), che ha condiviso con Ruth la segnante esperienza dei campi di concentramento.

Fonte: Movietime.it

Sulla scia emotiva della vendetta, Jonah è sempre più attratto da Meyer, sempre più affascinato dal passato controverso e difficile che viene narrato mediante frequenti flashback, espediente narrativo che funge da collante empatico tra i due protagonisti.

Parallelamente allo snodo delle vicende drammatiche dei due ebrei, la trama nazista si sviluppa nell’ombra della malvagità più subdola: dare vita al Quarto Reich e riportare pericolosamente in auge l’ideologia ariana.

L’indagine federale condotta dall’agente donna afro-americana Millie Morris (incarnata da una convincente Jerrika Hilton) si intreccia inaspettatamente con la dimensione narrativa principale.

Emergono le scomode verità del caso Paperclipp, celate per troppo tempo dal Governo Americano che aveva dato protezione e nuova identità a tantissimi nazisti inseriti in importanti programmi governativo-scientifici della Nasa.

La show targato Amazon prova a dare delle risposte a temi complicati, così come è complesso il rapporto che Jonah instaura col sentimento di vendetta.

La spinta nichilista di Meyer, che mira ad annientare i nazisti per vendicarsi ed espiare al tempo stesso le proprie colpe, è bilanciata dal temperamento di Ruth più riflessivo per quanto concerne le delicate questioni dell’anima e della propria coscienza, che non vanno di certo gestite trasformandosi nel mostro che si combatte.

Sarà questo precario equilibrio a guidare le azioni di Jonah e a forgiarne la tempra combattiva.

Vivere “bene” è la miglior vendetta. Ma volte è altrettanto vero che la vendetta è la miglior vendetta.

Fonte: Skycinema.it

Hunters mostra, fin dalla primissima scena, un clima pop surreale attraverso una fotografia accesa, che colora l’ordinarietà di un inizio che è tutto fuorché normale: il senatore Biff Simpson stermina tutti i presenti, moglie e figli compresi, e ricorda all’ebrea (con un sadismo crudele che solo i nazisti più convinti possono avere) che il Quarto Reich è più vivo che mai e che i suoi componenti sono disposti a tutto per difenderne la causa.

La costruzione di un fantomatico Quarto Reich, la purezza della razza e la loro infiltrazione nelle istituzioni diventano occasione narrativa per esplicitare stereotipi, che più che a minacce somigliano a riferimenti fumettistici.

L’eccezione che conferma la regola è impersonata da Travis (Greg Austin), un americano (imprevedibilmente folle e malvagio, che conferisce alla serie alcuni riferimenti pulp) fedele all’ideologia nazista che rappresenta l’unica concreta minaccia per Jonah e per gli altri Cacciatori.

Fonte: Hallseries.it

David Weil esordisce con Hunters nelle vesti di showrunner e di unico sceneggiatore.

La serie nasce dall’urgenza comunicativa di Weil di raccontare una storia che onorasse la memoria della nonna Sara, sopravvissuta ai campi di concentramento di Auschwitz e Bergen-Belsen.

Infatti, gli elementi più validi dello show risultano essere il rapporto tra Jonah e la nonna Ruth, i flashback sull’Olocausto e la rappresentazione forte della cultura ebraica che pervade l’intera stagione.

Rimane il fatto che la maggior parte dei personaggi pare indossare senza efficacia maschere prese in prestito che non instillano la scintilla necessaria a creare alchimia tra spettatore e trama.

La seconda stagione, che dovrebbe arrivare sulla piattaforma di Jeff Bezos, dovrà essere  più convincente della prima, sicuramente buona, ma colpevole di non aver saputo soddisfare le aspettative.

Antonio Mulone

Alla scoperta degli Oscar: Jojo rabbit, il film rivelazione dell’anno

Voto UVM: 4/5

Locandina del film – Fonte: mymovies.it

Jojo Rabbit è il nuovo film diretto dal regista neozelandese Taika Waititi, tratto dal romanzo del 2004 “Come semi d’autunno” della scrittrice Christine Leunens.

Il film ha come protagonista Jojo Betzler, un ragazzino tedesco di 10 anni cresciuto in pieno Terzo Reich e appartenente alla Gioventù Hitleriana, il cui più grande desiderio è quello di diventare un giorno la guardia del corpo del Führer.  Jojo è un bambino acuto e intelligente, che mette a servizio le sue doti a favore della grande Germania. Nonostante il suo fanatico e infantile amore verso il nazismo, non possiede quella freddezza d’animo nel compiere quei gesti che sono propri dei nazisti; viene quindi considerato un codardo e da qui si conquisterà l’appellativo di “rabbit”, ovvero coniglio. Il ragazzino vive insieme alla madre Rosie e ad Elsa, una ragazza ebrea che Rosie tiene nascosta in casa e di cui neanche Jojo era a conoscenza; tra i due nascerà una grande amicizia.

Scarlett Johansson (Rosie) e Roman Griffin Davis (Jojo)  – Fonte: nonsolocinema.com

La pellicola racconta, diversamente da come è stato finora fatto, la dittatura nazista, la guerra e le persecuzioni contro gli ebrei e gli oppositori del regime. Waititi sceglie dunque di partire dalla satira per “smontare” il regime hitleriano e l’ideale nazista davanti agli occhi dello stesso protagonista, che come in un crescendo prende pian piano consapevolezza della grande illusione in cui crede.

Il regista quindi ridicolizza tutto ciò che appartiene ideologicamente e materialmente al Terzo Reich: oggetti, simboli, slogan propagandistici, mimica e gestualità, tutto ciò che noi storicamente colleghiamo alla Germania nazista. Pare dunque difficile non notare con quale enfasi in molte scene viene utilizzato fino alla noia il classico saluto “Heil Hitler” ovvero “Salute Hitler” con tanto di braccio destro in alto.

Senza troppo impressionare Waititi non lascia nulla all’immaginazione dello spettatore, facendo ben vedere cosa significasse vivere nel Terzo Reich per gli oppositori di regime, per un’ebrea come Elsa e per un fanatico nazista quale Jojo. Alla stregua de “La vita è bella” con cui Benigni raccontò l’orrore dei lager, Waititi con una commedia drammatica mostra l’illusione del sogno hitleriano nell’ultimo anno di guerra, che si manifesta in personaggi buffi quali il capitano Klenzendorf.

Sam Rockwell (sinistra) nei panni del capitano Klenzendorf – Fonte: masedomani.com

Oltre la satira verso il regime nazista, il regista mostra un background di altre tematiche quali la solitudine; il protagonista infatti ricorre ad un amico immaginario molto singolare. Non passa di certo inosservato il ruolo di Rosie che apparentemente in un primo momento sembra assecondare la devozione di Jojo per il regime, tanto da rivolgersi al figlio chiamandolo “feld maresciallo Jojo”. Un personaggio carico di tenacia e dolcezza quello di Rosie che lascia intravedere la sensibilità del regista verso il mondo femminile, che ha fatto guadagnare a Scarlett Johansson la nomination come miglior attrice non protagonista.

Originale infine la scelta di brani classic rock che aprono e chiudono la pellicola. Presente all’inizio “Komm, gib mir deine hand” versione tedesca di “I want to hold your hand” dei Beatles e in chiusura “Helden” versione tedesca di “Heroes” di David Bowie. Meritano considerazione i colori vividi della fotografia, diversamente da quanto accade nella filmografia dedicata al nazismo in cui prevalgono colori più cupi.

Il film è ambientato nella Germania del 1945, sebbene sia stato girato interamente a Praga. Taika Waititi firma regia e sceneggiatura, ottenendo la candidatura all’Oscar nella categoria miglior film e migliore sceneggiatura non originale. In lizza per l’ambito premio anche costumi, scenografia e montaggio, caratterizzato dall’assenza di piano sequenza e dunque da numerosi stacchi nelle inquadrature.

Riuscirà il film a portare a casa qualche statuetta?

Di certo la concorrenza è tanta, ma Jojo Rabbit ha saputo sorprendere grazie a un nuovo e originale modo di fare satira sul regime nazista.

                                                                                                                                                                         Ilenia Rocca