V: Il viaggio apocalittico di Mannarino

Mannarino torna a galla più prepotente che mai in un disco curioso, stimolante, potente. – Voto UVM: 4/5

 

A quattro anni di distanza dal precedente album, il cantautore romano Mannarino torna con un nuovo disco dal titolo “V”, disponibile dal 17 settembre.

Prodotto dallo stesso artista e registrato tra New York, Los Angeles, Città del Messico, Rio De Janeiro, Amazzonia e Italia con il coinvolgimento di produttori internazionali, l’album è un invito ad appellarsi alla saggezza ancestrale degli esseri umani. Un disco che parla le lingue del mondo, intriso di suoni di foresta e voci indigene. Mannarino va alla ricerca della sorgente tribale dell’umanità, proposta come unico e potente antidoto contemporaneo alla brutalità del disumano.

Cover: la Donna Guerriera di Mannarino

La cover del disco raffigura una donna combattente, guerriera. L’immagine è l’unione di due elementi: la donna e la resistenza indigena fusi insieme in un’azione: quella di calarsi il passamontagna, o forse di toglierlo, immagine evocativa di un’entrata in azione, un’azione che è difesa non violenta, poetica e ispiratrice. Calarsi il passamontagna per andare in guerra o toglierlo per mostrare e difendere la propria identità? Un’immagine contemporanea che trova la sua forza in una nuova tribalità, allo stesso tempo antica e futura.

La voce delle canzoni

Ad anticipare l’album è stato il singolo Africa, con un arrangiamento ricco di strumenti etnici e cori dal gusto africano. Mannarino canta quasi sussurrando le parole che si rivolgono in maniera diretta a quella che lo stesso artista definisce un “richiamo all’irrazionalità misteriosa”.

In Congo, invece, la poesia si fa irriverente e affilata. Con i tratti di una favola moderna, l’artista romano racconta della paura dell’altro, dell’ultimo ricercato e dell’ultima principessa, in un paesino fotografato alla vigilia di Natale. Attraverso un sound tribale alternato ad alcuni accordi di chitarra, si crea una visione apocalittica, a tratti biblica che parte dai bassifondi per arrivare al cielo a smascherare la bugia di Dio.

Vengono nell’oblio e, mentre vengono, chiamano Dio
E Dio è solo un pezzo di carne legata allo spago
Fra la bocca dell’affamato e la mano del mago.

Canti di rabbia, di rivolta, di resistenza, d’amore sono lo strumento per superare l’idea di impossibilità, ingiustizia e delusione. La voce debole e isolata trova la forza di trasformarsi in grido di battaglia, di riscatto e speranza. È questo il significato di Cantaré: un inno alla voce per chi non ha voce!

Fiume Nero è una dichiarazione d’amore “alternativa”. Qui, ci si addentra nella giungla, nella carne viva dell’album: un luogo al di fuori delle leggi dello spazio e del tempo, dove l’umano si fa Dio e mischia l’acqua con la lava. Due corpi, due esistenze, due mondi si uniscono nell’infinito, fuori da qualsiasi tipo di convenzione.

In Agua e Amazònica, entrambe registrate nella regione del Tapajos, la voce delle donne indigene combattenti “As Karuanas” accompagna quella di Mannarino. La canzone è un grido calmo, bagnato di pianto, che vuole essere una chiamata al mondo ad aprire gli occhi, ricordando che l’attacco alla terra indigena e alle risorse naturali dell’Amazzonia si sta trasformando in un vero e proprio genocidio.

Mannarino: giocoliere di parole

Chiunque ascolti il cantautore romano è sicuramente a conoscenza della sua versatilità e del suo modo di giocare con le canzoni. Questa volta lo fa con Banca De New York, un esperimento ironico e allucinato, registrata tra Roma e Città del Messico. In questo pezzo l’artista è riuscito ad unire il registro più romanesco e radicale con un mondo sonoro acido e “trippy”, ispirato al Mississippi e ai campi di cotone. Originale anche se purtroppo, per tutta la durata della canzone – a tratti ridondante – ci si aspetta un exploit che sembra non arrivare mai.

Man mano che il disco scorre, si sente serpeggiare la crisi di un uomo e simultaneamente apparire l’immagine di una donna: la Dea ipnotica. In Vagabunda questa immagine esce fuori in maniera potente. Parla di un uomo che cerca rifugio e salvezza dalle sbarre del logos occidentale in una donna, personificazione dell’“eros”.

Romantica, Eretica, Erotica

È una giungla carnosa e ipnotica questa, dove la salvezza passa per il corpo e la sensualità viene dalla ribellione.

Cantare è una mossa politica!

Il viaggio continua con la canzone cosmopolita Ballabylonia, la storia di una donna Iracema, contemporanea e futura, che dalla giungla viene attirata dalle luci della grande città, della metropoli immersa in un nuovo villaggio: quello “globale”, come direbbe il sociologo McLuhan. Si accorge così di essere in un altro tipo di giungla, ma molto più pericolosa. Musicalmente Mannarino abbandona quasi del tutto i suoni ancestrali della natura, dando più spazio all’elettronica, rafforzando l’idea del passaggio della donna Iracema dal suo tranquillo villaggio alla nostra giungla post-moderna.

Con Bandida, ereditiera della patchanka di Manu Chao, ci ritroviamo davanti alla Donna indigena, ancestrale, forte, guerriera per natura, e ribelle per cultura. Questa immagine di donna è un’immagine umana che trova la sua corrispondenza più intima nel mistero della giungla: sono crollati i monoteismi, resta il mistero, l’animismo e la spinta vitale che ci porta tutti avanti. In testa, a guidare questa folla, c’è lei, colorata e furiosa.

La libertà che guida il popolo…

Lei è la fine del viaggio, l’epilogo ideale del disco. La crisi di un uomo di fronte all’immagine della donna rappresenta una crisi storica e sociale e la lotta di lei diventa un messaggio alle generazioni future.

Lei lasciò solo una scritta sul muro:                                                                                              “pagheranno caro, pagheranno tutto”                                                                                                voi picchiate duro                                                                                                                                aprite una breccia e vedrete il futuro

Adesso che il viaggio è finito e “Lei” non c’è più, ci restano i titoli di coda: Luna, una ballata struggente sulla separazione, sulla solitudine, e Paura, che rappresenta la presa di coscienza e il ritorno alla realtà. Due brani completamente in acustico, di estrema semplicità ma pieni di emotività, dalla voce calda, sicura e sussurrata.

Che io non ho paura alcuna, che io non ho paura.

È con queste semplici e struggenti parole che l’in-cantautore romano chiude il suo Viaggio. Un viaggio alla riscoperta della semplicità, della natura, della riconnessione con il proprio io, quello primordiale. Un viaggio fatto di storie: di battaglie babiloniche, fughe rivoluzionarie e amori fuorilegge, alla riscoperta di che cos’è davvero la paura.

Domenico Leonello

NextGenerationME: Marco Germanotta, la musica per sentirsi vivo

Nuovo appuntamento con la rubrica “NextgenerationMe”: l’ospite di oggi è Marco Germanotta, giovane cantautore messinese classe 96’.

La musica invade la vita di Marco prestissimo. Già all’età di 5 anni studia chitarra classica per poi entrare nella relativa classe presso il conservatorio “A.Corelli” di Messina. Qui, nel 2019, riesce a conseguire la Laurea Magistrale proprio in chitarra classica.

Per esprimere la sua arte e il suo talento, però, la sola chitarra non è sufficiente, così decide di dar sfogo alla sua voce e pubblica nel suo canale Youtube, nel 2009, la sua prima cover “Gotta find you”.  Marco prosegue pubblicando numerose cover, sia da solista sia con le band “Noi4” e “Last5”.

Il supporto dei suoi fratelli è molto importante, soprattutto la collaborazione con Stefano (in arte “Syzer”).

Nel 2012 i suoi primi inediti riscuotono un buon successo e nel 2015 partecipa alle selezioni di X-Factor, arrivando fino ai boot camp. Nel 2016 ottiene un importante riconoscimento: il testo di un suo brano “L’agonia è di chi ancora non sente” viene pubblicato nella raccolta “CET scuola autori di Mogol”.

La sua attività musicale continua negli anni tra inediti e cover e il 27 Aprile pubblica il suo ultimo pezzo “Sentirmi vivo”, disponibile su tutte le piattaforme digitali. Marco sta attualmente lavorando al suo primo album.

Fin da bambino la musica ha fatto parte di te, ma quando hai capito che era il momento di dar sfogo alla tua voce?

Ho capito di dover dare sfogo alla mia voce quando le frustrazioni per varie vicissitudini nella mia vita si facevano più intense e l’unica cosa che mi venisse naturale fare era prendere una chitarra e cominciare a raccontare, aggiungendo delle note, quello che succedeva dentro di me.

Cosa rappresenta per te la musica?

 Per me la musica rappresenta quanto di più brutto e di più bello allo stesso tempo. È un mondo a cui mi affaccio principalmente per poter esprimermi; è un   mezzo per condividere, comunicare, sentirmi vivo.

Qual è il tuo rapporto con Messina?

Con Messina ho avuto un legame viscerale sin dall’infanzia. Tutto ciò viene fuori dal fatto di averne conosciuto le strade molto presto, probabilmente. Ho sempre voluto di conseguenza puntare a migliorarne tutto ciò che avrei potuto migliorare -entro i miei limiti-, ma non nascondo che ho sentito tantissime volte l’esigenza di “cancellarla” dalla mia memoria, in tutte le occasioni in cui percepivo il suo essere “poco accogliente” con gli artisti, cosa che mi faceva sentire un po’ solo.

Marco durante le riprese della cover “Superclassico”

Pensi che gli artisti del Sud abbiano meno opportunità di emergere? O l’avvento di internet, grazie a Youtube e ai social network, è riuscito a colmare questo gap?

L’avvento di internet non è riuscito sicuramente a colmare questo gap. Sicuramente però è uno strumento in più, di cui i ragazzi delle generazioni precedenti alla mia, non potevano far uso. Io, detto onestamente, collaboro con le persone con cui sto producendo musica attualmente proprio grazie al fatto di essere stato “scovato su Youtube”.

Poco più di 11 anni fa hai pubblicato il tuo primo video su Youtube e da quel momento hai maturato diverse esperienze: svariate cover, sia da solita sia con le band “Last5” e “Noi4”, i brani con tuo fratello Stefano “Syzer”, gli inediti e l’avventura ad X-Factor. Cosa ti hanno insegnato queste esperienze?

Queste esperienze mi hanno insegnato che c’è sempre da imparare, che ogni piccolo passo che muovi ha l’unica valenza di portarti verso la direzione, la dimensione, che ti è più congeniale. Sicuramente ho avuto tante e tante delusioni. Ma allo stesso tempo, devo dire, che ognuna di queste esperienze mi ha forgiato e mi ha indirizzato verso una forma, seppur ancora grezza, di autenticità.

“Sentirmi vivo”, il nuovo singolo di Marco, disponibile su tutte le piattaforme digitali

Poche settimane fa è uscito il tuo nuovo singolo “Sentirmi vivo”, com’è nato questo nuovo pezzo?

Questo pezzo è nato dalla voglia di esplodere, dopo i tanti e tanti mesi passati dentro casa a causa del Covid. Avevo voglia di catapultarmi in una dimensione caotica, in un palco enorme con tanta gente sotto. Così ho scritto “Sentirmi vivo”, per sognare un po’.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Al momento, l’unica cosa su cui sono concentrato, è il mio primo album. Ebbene sì, sto lavorando a quello.

 

 

Francesco Benedetto Micalizzi

 

Marco sui social:

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Il nuovo singolo “Sentirmi vivo”: www.youtube.com/

 

Tutte le foto sono state fornite dall’artista

Battiato, il signore della musica e delle parole

Il mondo della musica – e non solo – dà il suo addio a Franco Battiato. Al Maestro – anche se non amava essere definito tale – che della poliedricità ha fatto il suo marchio di fabbrica. Il musicista, cantautore, compositore che, con un’insaziabile e spiccata curiosità, ha abbracciato vari generi: dal pop alla musica leggera, dalla lirica al rock progressivo, passando per la musica etnica. Al poeta e paroliere che, con un’innata raffinatezza e una spiccata intelligenza, ha indagato l’intimità dell’essere umano cogliendone tutte le sfaccettature. A quell’amico che, come hanno sottolineato tutti coloro che lo hanno conosciuto, rimarrà per sempre non solo il “signore della musica e delle parole” ma anche il signore dell’animo (e dall’animo) umano.

Ciao Franco!

La carriera del Maestro ha inizio a Milano nel 1964. Precisamente in un cabaret, il “Club 64”, allora frequentato da alcuni dei futuri rappresentanti della canzone d’autore italiana: Enzo Jannacci, Renato Pozzetto e Bruno Lauzi.

Sarà l’incontro con Giorgio Gaber che segnerà una svolta decisiva nella sua carriera, facendogli firmare un contratto con la casa discografica Jolly che inserirà l’artista in quel filone di “protesta”. All’epoca assai in voga e presente in molte produzioni cantautorali.

Il primo singolo inciso ufficialmente, La torre, accompagnerà la sua prima apparizione televisiva nel programma Diamoci del tu, condotto dallo stesso Gaber e da Caterina Caselli. Sarà proprio in quell’occasione che l’artista milanese proporrà a Battiato di cambiare il nome da Francesco a Franco, per non confondersi con quello di un altro giovane cantautore che quella sera si sarebbe dovuto esibire: Francesco Guccini.

Da quel giorno in poi tutti mi chiamarono Franco, persino mia madre.

Qualche anno più tardi Battiato decise di abbandonare il genere di protesta per convertirsi inizialmente alla “canzone romantica” per poi arrivare ad identificarsi con una forma d’avanguardia ancora più intellettuale e intimista rispetto al suo esordio. Nel 1973 pubblica Sulle Corde di Aries: un album in cui musica minimale e una musica acustica di tradizione araba, convergono perfettamente, lasciando ampio spazio all’elettronica. Già da allora il cantautore si è spinto a concepire le note come atti di purificazione, qualcosa che ci innalza verso la bellezza.

Un viaggio attraverso le note

L’approccio di Franco alla musica deve essere dunque visto un po’ come un viaggio in cui ogni tappa corrisponde ad un genere diverso. La sua virtù di cantautore è sempre stata quella di saper far combaciare molteplici stili musicali, combinandoli tra loro in un approccio eclettico, originale e sperimentale.

La poesia e la letteratura, come ci ha insegnato il buon Sartre, vivono grazie a chi le legge e chi attribuisce loro un significato. E ognuno interpreta a suo modo un testo, in base a quello che sente, a quello che sa, alla sua esperienza di vita.

Il cantautore siciliano, infatti, oltre ad aver contrassegnato molte delle sue canzoni con un ampio uso di citazioni letterarie che richiamano poeti e scrittori quali Marcel Proust, Giacomo Leopardi, Giovanni Pascoli e Giosuè Carducci, realizza una vera e propria trilogia (Fleurs – Fleurs 3 – Fleurs 2) che raccoglie cover di autori prevalentemente italiani e francesi.

In Fleurs oltre a cover di artisti del calibro di De André, Gino Paoli, Mick Jagger e Keith Richards, Battiato inserisce alcune sue composizioni, tra cui Invito al viaggio. In questa canzone l’autore cita Baudelaire fin dal titolo, parlando dell’omonima poesia che fa parte dei Fiori del male . Il brano, con i testi del filosofo catanese Manlio Sgalambaro e le musiche di Battiato, inneggia al viaggio “in quel paese che ti somiglia tanto”, un viaggio nel quale c’è libertà e rispecchiamento, perché partendo scopriremo il mondo e impareremo a conoscere meglio noi stessi. Un po’ come ha fatto il maestro con le sue canzoni, alleviando le nostre difficoltà con veri e propri balsami per l’anima. Non semplici canzoni ma oasi nelle quali ritrovarsi, momenti nei quali la sua voce come una carezza ci solleva dalle pesantezze e ci rende più leggeri.

 Credo, al contrario di quelli che non hanno capito niente dei miei testi e li giudicano una accozzaglia di parole in libertà, che in essi ci sia sempre qualcosa dietro, qualcosa di più profondo. Quando si intende adattare un testo alla musica si scopre che non è sempre possibile. Finché non si fa ricorso a quel genere di frasi che hanno solo una funzione sonora. Se si prova allora ad ascoltare e non a leggere, perché il testo di una canzone non va mai letto ma ascoltato, diventa chiaro il senso di quella parola, il perché di quella e non di un’altra. Per capire bisogna ascoltare, serve animo sgombro: abbandonarsi, immergersi. E chi pretende di sapere già rimane sordo.

Torneremo ancora…

Nel 2019 esce Torneremo ancora. L’inedito, che dà il titolo all’album, è frutto dell’assemblaggio della voce di Battiato incisa nel 2017 e della musica scritta e suonata dallo stesso. I versi risuonano oggi come un profetico arrivederci:

La vita non finisce, è come il sogno, la nascita è come il risveglio finché non saremo liberi. Torneremo ancora e ancora e ancora

A noi piace pensare che questo è stato il dono d’addio che un uomo d’altri tempi, com’era il nostro Franco, ha voluto donarci prima di vivere un’ultima avventurosa trasformazione.

Franco Battiato è stato un esempio unico e irraggiungibile di metamorfosi verso quella ricerca bramosa di “qualcos’altro”, di cambiamento ed esplorazione che appartiene solo ai veri artisti. E se noi pensiamo a un artista, Battiato è uno di loro. C’è tutta la ricerca di una vita dentro le parole e le opere di Battiato. Parole e opere che, per oltre cinquant’anni, hanno accompagnato l’inizio e la fine delle nostre storie e che, per almeno altri cinquant’anni, rimarranno scolpite dentro ognuno di noi.

E come lo stesso cantava: “perché sei un essere speciale ed io, avrò cura di te”, noi tutti promettiamo di curare il ricordo di quest’uomo, artista dell’arte della vita e non solo dell’arte dello spettacolo.

Ciao, Franco. Ci vedremo al prossimo passaggio.

Domenico Leonello, Angelica Terranova

Il Sincero Festival: un atmosfera magica e intima che unisce le persone!

Mercoledì 10 Aprile 2019. Messina. Ore 21.00. Colapesce Cocktail Bar – Caffetteria – Libreria.  Il siciliano Davide Rosolini, CantAttore,FantArtista, CreAttivo e Creatino, si è esibito in live con il suo Tradi Tour.

Quattro termini del tutto singolari lo descrivono: CantAttore perchè opera da anni nel teatro canzone ed i suoi brani sono dei veri e propri microspettacoli teatrali che hanno spesso a che fare con tutti quei problemi semplici della vita dove ci si può sempre trovare dentro la pesantezza di una domanda esistenziale. FantArtista poichè oltre a cantare, suonare e scrivere si imbatte nella realizzazione di strane opere e gadget per i suoi spettacoli, dal Kit dell’ uomo solo al porta portachiavi, dai cartelloni guida per il pubblico  a straordinarie mostre di arte contemporanea. CreAttivo per la sua forte e ricca attività creativa che gli fa sfornare album, canzoni, fumetti, trailer, film, spettacoli, miracoli.  Creatino poichè in fondo è uno di quei creativi molto cretini, che parlano d’ amore con uno sguardo placido e scanzonato senza prendersi mai sul serio.

Davide Di Rosolini, nato a Modica (RG) nel Gennaio del 1982, ha iniziato la sua carriera musicale nel 1998 come bassista/chitarrista in diverse band. Ha pubblicato due dischi con la band Tetra Martire, dov’era cantate e chitarrista: Tre quarti d’ira (2004), Poco prima della fine (2005).È stato fondatore del duo di teatro-canzoni Unduo, insieme a Costanza Paternò con cui ha pubblicato due dischi: Travolti da un insolito destino (2008), Novena (2009). È l’ideatore e il direttore artistico del Sincero Festival. È fondatore dell’associazione no profit per lo sviluppo della musica d’autore MU. Dal 2010 ad oggi pubblica album da solista: Disordine sotto il soppalco (2010), T.R.I.S. (2011), Praticare il bivacco (2012), Combattere l’ansia (2012), Flli Di Rosolini in Novena (2013), Disordine sopra il soppalco (2014), Chilometri, etilometri & aritmie (2015), Il male (2016) e “il male (il film)”(2017).

Locale gremito e pubblico attento in occasione del Sincero festival. Nato nove anni fa dalla mente di tre artisti: Davide Di Rosolini, per l’appunto, Cristiano Fronte e Giorgio Trufley. Il Sincero Festival, è una realtà particolarissima che nonostante non gode di nessun tipo di patrocinio riesce a portarsi avanti attraverso un autogestione consapevole e attraverso la sensibilità di artisti internazionali che, innamorati del progetto, vengono da ogni parte del mondo per sostenerlo.

E’ l’esperimento più riuscito di festival autogestito. Nonostante non goda di nessun contributo pubblico e sia vivo solo grazie alle offerte libere del pubblico e al contributo degli artisti che, innamorati dell’iniziativa, lo sostengono ogni anno portando il meglio dei loro spettacoli, riesce a regalare un atmosfera magica e intima che unisce le persone e fa crescere dentro i cuori di tutti il senso di appartenenza ad una grande famiglia.

Gabriella Parasiliti Collazzo

St. Vincent: una wonder musician

Mentre scrivo la sto ascoltando chiedersi “Am I the only one in the only world?” : è l’inizio di “Rattlesnake” che apre il suo ultimo album “St. Vincent” risalente ormai al 2014.

Annie Clark aka St. Vincent non è l’unica donna al mondo ma è sicuramente un’artista intrigante, polistrumentista e cantautrice mai scontata nei testi e nella composizione musicale.

Ma su tutto: una divinità con la chitarra, e non sto esagerando.
Ci sarà un motivo per cui Dave Grohl l’ha chiamata per cantare “Lithium” nell’unica reunion dei Nirvana alla Rock and Roll Hall of Fame. Con il genio sperimentalista di David Byrne ha inciso un album “Love this giant” e girato il mondo in tour. Fa faville ai festival, unendo performance visiva e musica.
Il figlio di Frank Zappa in una recente intervista ha suggerito a coloro che si vogliono avvicinare al lavoro del padre di ascoltare prima lei, perché gli ricorda il padre per ritmica e cadenze sincopate. Suggerendo la visione di lei in un festival che suona una cover di “Dig a Pony”.

Cover dell’omonimo album “St Vincent”


Tornando all’album, i primi due singoli sono un gioco di chitarra e distorsioni del suono, fornendo essa stessa un elemento ritmico e sensuale.
“Birth in reverse” è un continuo sali e scendi vocale accompagnato da una velocissima coda strumentale.
Inizia “Prince Johnny”  è una canzone d’amore il cui testo è complesso,  si viene trasportati lungo tutta questa storia da una delicata tastiera.
C’è il tripudio di ottoni in “Digital Witness” , che prende in giro la società odierna e la dipendenza dalla tecnologia.
Ma c’è spazio anche per i lenti “I Prefer Your Love” è una intima melodia tra i suoi pezzi più struggenti in assoluto. Il  ritmo serrato e coinvolgente di “Psychopath”.
Nella versione deluxe dell’album troviamo “Pieta” che ad una base serrata di percussioni unisce un coro da chiesa e un testo filosofico.

La mia preferita in assoluto è “Regret” che con quelle percussioni eccita e riempie di energia.
In molti la etichettano come pop in questo suo disco ma io non riesco proprio perché è un miscuglio di generi, è un complesso non catalogabile che riesce a soddisfare tutti.
C’è tutto, garantendo una leggerezza di tocco e chiarezza melodica da fuoriclasse.
Quasi dimenticavo : “St. Vincent” nel 2015 ha vinto un Grammy come “miglior album alternativo”.
La musica di St. Vincent, come lei, è galvanizzante.

Ha creato un approccio totalmente nuovo nel suonare la chitarra: unico.
Validissimi anche i lavori degli album precedenti “Strange mercy”, “Actor” e “Marry me”.
La texana itinerante (negli ultimi 10 anni è stata quasi sempre on the road) ha fatto parte della Polyphonic Spree un gruppo di Dallas che unisce alla varietà di voci diversi strumenti, dal trombone al violino dalla tastiera elettrica al corno.
Ha collaborato anche con Sufjan Stevens altro cantautore polistrumentista , anche lui sperimenta moltissimo e il cui lavoro è più che notevole.
Da donna a cui piace sperimentare quest’anno si è cimentata anche nella regia di un corto horror, che in realtà sembra più il teatro dell’assurdo, marcatamente il suo stile.
Fa parte di una antologia chiamata “XX” (nda sono tutte registe donne) presentato al passato Sundance festival.
Ha inciso anche una cover di “Emotional rescue” dei Rolling Stones per il film di Luca Guadagnino “A bigger splash” e lavorato per la colonna sonora del primo corto di Kristen Stewart “Come swim”.

A dicembre in una intervista rilasciata a “Guitar World” ha affermato che il materiale scritto per il nuovo album è “il più profondo e più audace che abbia mai fatto”.
Proprio mercoledì con un divertente video ha annunciato le date del tour che inizierà in Giappone a fine agosto “Fear the future tour” http://https://www.youtube.com/watch?v=eFXq8OU1dNQ


Aspettiamoci dunque di tutto, c’è bisogno di creatività, sperimentazione e sana musica.
Questa donna dagli occhi di cerbiatto e dalla chitarra spiritata non ha sbagliato un colpo fino ad ora.
Intanto ci stuzzica su Instagram con foto dallo studio:

A me viene solo da dire : “Annie ESCILO!”.

Arianna De Arcangelis