NextGenerationME: Jacopo Genovese, tra cantautorato e processi creativi

La Musica è sempre stata una parte fondamentale della mia vita, certe volte mi ha salvato nei momenti peggiori curandomi le ferite, a volte ha amplificato le mie paure rendendomi più consapevole di me stesso. No, questo non è un estratto dell’intervista che state per leggere, ma un pensiero personale e intimo del redattore che sta per raccontarvi l’esperienza e le speranze di chi, condividendo queste sensazioni, si è messo in gioco assecondando le proprie necessità creative e di scrittura.

Torna la rubrica NextGenerationME con Jacopo Genovese, messinese classe 1993, appassionato alla musica fin da bambino grazie all’influenza del nonno Cleofe Lanese, tastierista dei Gens, storico gruppo anni ’70 della nostra città. Dopo aver partecipato ad alcuni reading poetici, ha preso coscienza di sé stesso e si è dedicato alla musica, dalla quale ha avuto le prime grandi soddisfazioni:

  • nel 2018 si classifica primo alla finale regionale di Area Sanremo tour con il brano “Gelso Nero“;
  • nel 2019 viene premiato come miglior testo al contest Game of Chords organizzato dal Saint Louis College of  Music di Roma, con il brano “La sorella di Sergio“;
  • sempre nel 2019 si esibisce sul palco dell’Indiegeno Fest  nella sezione Spaghetti Unplugged con la canzone “Alice“;
  • nel 2020 viene selezionato tra i dieci finalisti di Road to the Main Stage by Firestone.

Partiamo dalle origini: come e quando hai maturato l’idea di metterti in gioco pubblicando i tuoi lavori? Quando hai deciso di condividere con altri ciò che fino a quel momento era solo tuo? 

La passione per la musica c’è sempre stata; purtroppo da questo punto di vista crescere in una città come Messina non aiuta. Sono veramente pochi gli eventi artistici che vengono promossi, così viene negata ai ragazzi la possibilità di innamorarsi dell’arte e di pensare: “voglio fare questo nella vita!”. Al contrario c’è una sorta di pregiudizio nei confronti di chi si dedica a questo genere di attività; per fare un esempio banale, quando a scuola a ricreazione suonavo la chitarra, il resto della classe era da tutt’altra parte e io venivo visto quasi come uno un po’ strano. Quindi ho coltivato la mia passione di nascosto, possiamo dire che “me la sono cantata e me la sono suonata” fino ai 24 anni. Successivamente episodi e momenti piuttosto negativi che ho vissuto mi hanno portato alla scrittura di un pezzo: “Gelso Nero”.

“Gelso Nero” ha cambiato tutto, è come se il mio essere si stesse ribellando a me stesso e volesse liberarsi dalla gabbia in cui lo avevo messo, come se mi dicesse: “basta, non hai più via di scampo o difendi la tua musica e la fai conoscere agli altri oppure cadi nel baratro”. Questo pezzo mi ha fatto stare bene e mi ha dato la forza ed il coraggio per cambiare prospettiva e obiettivi.

Parlaci del processo creativo che c’è dietro i tuoi lavori, come nascono le tue canzoni? 

Nel mio telefono ci saranno almeno 15 giga di registrazioni in cui canticchio o suono e una serie infinita di note scritte. Qualsiasi idea che riguardi parole o melodia viene salvata nel mio telefono, che io sia in studio a registrare o che stia facendo tutt’altro. Per me l’ispirazione esiste, non so bene come nasca, ma esiste. Può avere però diverse intensità; per fare un esempio quando ho scritto “La sorella di Sergio” ero fortemente ispirato, ho buttato giù tutto senza fermarmi un secondo, altri lavori invece sono nati riprendendo pensieri o melodie che avevo salvato nell’archivio tempo prima. L’ispirazione però non basta, devi avere anche a disposizione gli strumenti per poterla sviluppare e trasformala in canzone e questo forse è il processo di crescita più importante per un’artista emergente: acquisire le capacità necessarie per rendere la tua ispirazione fruibile anche ad altri.

Quali artisti hanno influenzato il tuo mondo musicale o comunque ti hanno appassionato maggiormente?

Beh, direi tutti i maestri del cantautorato degli anni ’70: Dalla e De Gregori, per citarne alcuni. Dalla un genio assoluto, per scrittura e suoni era avanti anni luce rispetto al momento storico in cui viveva. Di De Gregori amo l’intimità dei suoi testi; probabilmente questa caratteristica gli ha negato un successo ancora più grande rispetto a quello che ha avuto. Per quanto riguarda la chitarra, amo la musica di artisti come Elliott Smith o Mark Knoplfer; per citarne uno più contemporaneo, apprezzo molto Ed Sheeran.

Oggi il cosiddetto indie-pop spopola tra i giovani ed ha trovato anche uno spazio importante nelle scalette delle radio più ascoltate in Italia, senti in qualche modo di appartenere a questo filone musicale?

Sinceramente no, non mi ci vedo proprio se non per il fatto di essere assolutamente indipendente a livello discografico, come lo erano i vari Calcutta o Gazzelle quando hanno iniziato. Comunque li apprezzo per aver portato una ventata di novità soprattutto a livello di scrittura e attitudine. In generale fatico a mettermi un’etichetta e mi interessa anche poco farlo. Ispirandomi ad una frase di Paul McCartney, ti dico: “io suono ciò che è mio, totale e libera espressione di ciò che ho in testa”.

Parliamo di futuro: che progetti hai in cantiere?

Da  qualche  tempo lavoro con il maestro Tony Canto, per avere una guida più professionale durante la produzione dei miei pezzi. Al momento stiamo lavorando alla produzione di tre brani: un remake di “Ciao Bambina”, che è un pezzo già uscito tempo fa, e due inediti. Inoltre sto lavorando alla realizzazione di un video di “Gelso Nero” sul cratere di Vulcano, con l’accompagnamento di una violinista; sono molto legato alle Isole Eolie, sarebbe veramente un sogno realizzare un video del genere.

Grazie per il tempo che ci hai dedicato!

Grazie a voi ragazzi, a presto.

 

 

Emanuele Paleologo

 

Jacopo su internet:

jacopogenovese.com

facebook.com/jacky793

youtube.com/channel

instagram.com/jackyspoint

open.spotify.com/artist

Immagine in evidenza:

Jacopo Genovese durante un concerto – Fonte: scomunicando.it

 

 

 

 

 

 

Un bagno nel blues: buon compleanno Pino Daniele

Nessuno muore veramente sulla Terra finché vive nel cuore di chi resta. Si dice così, vero? Nonostante siano passati diversi anni da quella drammatica notizia, la presenza di Pino Daniele continua ancora ad accompagnarci dolcemente lungo quei grandi brani che sono passati alla storia come componimenti che raccontano le diverse anime di Napoli e dell’Italia, ma anche del volgo e dei sentimenti più profondi.

A me me piace ‘o blues e tutt’ ‘e juorne aggia cantà.

Pino Daniele. Fonte: libreriamo.it

Al confine tra poesia e musica leggera

Pino Daniele nasce a Napoli il 19 marzo 1955 in una famiglia molto numerosa. Dopo aver frequentato l’Istituto Armando Diaz di Napoli, impara a suonare la chitarra da autodidatta e successivamente migra in diversi complessi che lo aiutano ad acquisire conoscenza ed esperienza nel campo della musica.

Il 1976 segna importanti cambiamenti, tra cui le prime esperienze professionali come musicista e la maturazione artistica. Da quel momento il cantautore inizia a produrre album e canzoni di un certo spessore: alcune passarono alla storia della musica italiana come dei veri e propri capolavori.

L’omaggio che oggi intendiamo offrire a questo grande cantautore non sarà quello di raccontare la sua storia come se fosse una semplice biografia, ma di ripercorrere insieme alcuni dei brani più importanti. Un modo per sentirci più attivi e vicini al percorso compiuto dal grande Pino Daniele  e per augurare buon compleanno al cantautore e chitarrista blues più innovativo presente nel panorama italiano .

 

Pino Daniele: illustrazione in bianco e nero. Fonte: studio93.it

Napule è

Napule è, una fantastica traccia che apre il suo album di esordio: Terra mia del 1977.

Napule è mille culure, Napule è mille paure, Napule è a voce de’ criature che saglie chianu chianu e tu sai ca’ nun si sulo

Un inno, una poesia d’amore per la propria città, accompagnata  dalla denuncia a un insieme di problematiche quali le difficoltà, le contraddizioni e- sotto alcuni punti di vista- anche la rassegnazione.

Quella che vuole attuare Pino Daniele in questo brano è una rivoluzione, fatta di amare verità e dolci parole che si propongono di raccontare a testa alta e con determinazione le molteplici realtà di un posto così magico, lasciando spazio al sentimento e alla parola del volgo.
Allo stesso tempo, il cantautore non intende descrivere in modo oleografico la città ma vuole riportare alla memoria tutte quelle storie che ricordava o sapeva di aver ascoltato nei bar, nei vicoli, fra le panchine.

Una realtà che si lascia spogliare e raccontare senza mai consumarsi, una fiamma alimentata dall’amore, dalla passione, dall’incontro tra un foglio bianco e sentimenti liberi.

Le strade di Napoli illuminate dalle parole di Pino Daniele. Fonte: tpi.it

Je so’ pazzo

Je so’ pazzo je so’ pazzo, e vogl’essere chi vogl’io ascite fora d’a casa mia, je so’ pazzo je so’ pazzo

Un brano forte e dirompente che risale al 1979: ancora una volta, Pino parla e racconta Napoli, facendo diversi riferimenti testuali, e allo stesso tempo mostra una forte propensione al rock blues.

Il protagonista del testo è un “pazzo” che, in quanto non perseguibile dalla legge, si mostra libero di poter manifestare il proprio dissenso o le proprie idee senza la necessità di essere politicamente corretto. Un brano provocatorio, quasi sfacciato, ribelle.

Pino Daniele in concerto. Fonte: rockit.it

Quando

Tu dimmi quando, quando. Ho bisogno di te, almeno un’ora per dirti che ti odio ancora

Un brano molto conosciuto ed inoltre da inserire nei più grandi successi di Pino Daniele. Spesso viene consideratola canzone simbolo del cantautore. Pubblicato nel 1991, venne pensato come colonna sonora del film di Massimo Troisi, Pensavo fosse amore… invece era un calesse. Le parole di questa bellissima canzone la rendono un classico senza tempo e diversi cantanti si cimentano ancora oggi nella sua esibizione.

Il significato del testo è molto profondo e allo stesso tempo delicato, in quanto descrive l’animo combattuto di un uomo innamorato che si chiede quando vedrà la donna amata per dirle «Ti amo ancora». Nella canzone si chiede «Dove sono i tuoi occhi e la tua bocca»: un chiaro appello all’amore perso. Mentre lei sembra molto lontana, così come cita il brano («forse in Africa che importa»), lui aspetta di rivederla un’ultima volta. Questo è chiaramente l’inno di chi non si arrende ma ama e brama la propria donna, nonostante lei non sia  lì con lui.

 Cover del cofanetto “Quando” (2017). Fonte: musicaintorno.it

Dai balconi alla rete, buon compleanno Pino

A gran voce, dai balconi delle nostre case, dai social alle radio nelle nostre camere, nonostante l’emergenza Coronavirus, siamo tutti abbracciati in un unico pensiero che ci accompagna proprio lì, a stringerci tra le note di Pino Daniele.

Grazie per la tua musica, buon compleanno.

Annina Monteleone

Walk the line: musica e amore come medicine

“Walk The Line” è un biopic degno di nota. Racconta una storia di lotta contro se stessi e di quanto possa essere importante la musica, andando ad affrontare anche altre tematiche fondamentali per un artista – Voto UVM: 4/5

Oggi 89 anni fa nasceva una delle più celebri star della musica statunitense: Johnny Cash.

Ha conquistato il pubblico americano tramite canzoni che sono entrate a far parte di prestigiose Hall of Fame di generi diversi a testimonianza della sua poliedricità. Nonostante una vita travagliata, è riuscito a imporsi nel panorama musicale divenendo principalmente un’icona della musica country.

Johnny Cash con la sua chitarra- Fonte: arte.sky.it

Il film  Walk The Line ( Quando l’amore brucia l’anima) diretto da James Mangold ripercorre le tappe fondamentali della sua carriera.

Trama

Johnny (Joaquin Phoenix) è un bambino che vive in una fattoria dell’Arkansas. Un giorno mentre è a pesca, il fratello si ferisce con una sega e muore; di lì in avanti i rapporti tra Johnny ed il padre si incrineranno notevolmente.

Nel 1950 si arruola  nell’aviazione prestando servizio nella Germania dell’Ovest dove comincia a suonare la chitarra per diletto per poi tornare in patria qualche anno dopo dove sposa la sua fidanzata ed inizia a lavorare come venditore porta a porta per vivere. Tuttavia sente che gli manca un qualcosa. Infatti, durante una giornata di lavoro , passa davanti ad uno studio di registrazione e colto dall’ispirazione decide di fondare un gruppo.

Dopo un’audizione Johnny conquista Sam Phillips (Dallas Roberts), produttore musicale e proprietario della Sun Records, il quale gli fa sottoscrivere immediatamente un contratto ed incidere il suo primo disco: Cry! Cry! Cry!

Locandina del film – Fonte: tmdb.it-maku.com

Le canzoni iniziano ad essere tramesse in radio ed il cantante parte per un tour di primaria importanza: infatti alla tournée partecipano grandi artisti emergenti del calibro di Elvis Presley e Jerry Lee Lewis e proprio in questo periodo il nostro protagonista conosce la bellissima cantante June Carter (Reese Whiterspoon) della quale si innamora perdutamente.

Tra alti e bassi, droga e carcere, Johnny non perderà mai il suo amore per la musica (e per June) e nonostante tutte le peripezie diventerà una delle più grandi star americane.

Regia

Il regista James Mangold ha voluto raccontare la storia di Johnny Cash improntandola fortemente sul lato umano.

L’amore è sicuramente uno dei temi principali della pellicola oltre- ovviamente- alla musica. E’ infatti proprio grazie a questo sentimento nei confronti di June che il protagonista trova la forza per reagire a qualsiasi problematica e spingersi oltre raggiungendo altissimi livelli.

Johnny Cash (Joaquin Phoenix) e June Carter (Reese Witherspoon) – Fonte: pinterest.it

Mangold stesso ha dichiarato di essersi emozionato quando durante uno dei suoi ultimi incontri con il vero Johnny Cash gli chiese quale fosse il suo film preferito, ed il cantante rispose:

Frankenstein. Perché è la storia di un uomo composto da parti marce. Una specie di oscurità. E contro la sua stessa natura… continuò a lottare per essere buono.

Forse un po’ severo con se stesso, ma sostanzialmente questo concetto si avvicina a quel che era Johnny. Il cantante, come riportato nel film, per un periodo è stato fortemente dipendente dalla droga che gli ha causato gravi problemi sia nelle relazioni sia a livello legale (di fatti è stato in carcere). Un uomo che sicuramente ha sbagliato, ma definirlo un mostro risulterebbe esagerato.

Comunque, la definizione di Frankenstein in parte esprime perfettamente la sua natura: anche se Johnny Cash non si riteneva una brava persona, ha cercato comunque di fare del bene come quando nel 1968 tenne un concerto alla prigione di Folsom per i suoi detenuti e inoltre prese in giro il direttore del carcere che li maltrattava (il regista ha deciso di chiudere il film proprio con questa scena meravigliosa sulle note di una delle sue canzoni più belle, Cocaine Blues).

Cast

Joaquin Phoenix nei panni di Johnny Cash è- come al solito- monumentale ( della sua interpretazione in Joker abbiamo già parlato qui). Fortemente calato all’interno del personaggio, l’attore, mediante lo sguardo, esprime un costante stato di preoccupazione ed ansia con cui il protagonista convive a causa della sua vita tormentata.

Scena del film in cui Johnny si esibisce per i detenuti – Fonte: themacguffin.it

Le canzoni sono interpretate da Joaquin stesso, così come quelle di June Carter da Reese Whiterspoon. Incredibile la chimica instauratasi tra i due attori, in particolare quando si esibiscono sul palcoscenico: nella realtà ciò era scontato dato che i cantanti si amavano; nel film i due interpreti sono riusciti perfettamente a rappresentare quella stessa armonia.

A livello di critica la pellicola fu un successo enorme, tanto che riuscì ad aggiudicarsi 3 Golden Globes e ben 5 nomination agli Oscar del 2006 (vincendone solo uno con Reese Whiterspoon per la Miglior Attrice Protagonista).

Un film veramente piacevole da guardare che rende onore ad un grande artista e ci comunica la forza reale dell’amore e della perseveranza, perché senza quest’ultime Johnny non avrebbe mai e poi mai sfondato nella musica.

Vincenzo Barbera

 

 

Mio caro e vecchio amico Faber

 

“E come tutte le più belle cose, vivesti solo un giorno come le rose”

Dimmi Faber, come ti sentivi quel 18 Febbraio del lontano 1940? Come ti sei sentito quando sei venuto al mondo? Eri consapevole del fatto che saresti diventato uno dei più grandi  poeti e cantautori del ‘900? Ancora adesso, la tua musica e le tue parole continuano ad accompagnare  il popolo. Non è forse vero che la tua musica l’hai scritta per tutti noi?

Fabrizio De André in concerto. Fonte: giornalettismo

Fabrizio De André nasce il 18 Febbraio a Genova, città piena di culture diverse e paesaggi che hanno ispirato l’indole musicale del cantastorie, rendendolo uno tra i personaggi più famosi della musica italiana.

“Genova per me è come una madre. E’ dove ho imparato a vivere. Mi ha partorito e allevato fino al trentacinquesimo anno di età: e non è poco, anzi, forse è quasi tutto.”

De André è sempre stato ispirato dalla musica, ma la sua indole ribelle lo allontana per un periodo da questa strada; il punto di incontro arriva con l’ascolto di Georges Brassens (cantautore francese), di cui tradurrà alcune canzoni e le inserirà nel proprio lavoro discografico.  Ma solo nell’Ottobre del ’61 viene pubblicato il suo primo album e nel ’63 avviene il suo approdo nel mondo della televisione nel programma Rendez-Vous. Per il cantautore si aprono le porte del successo, le sue canzoni vengono trasmesse in radio ed è sulla bocca di tutti. De Andrè rivela al popolo il suo talento, ma allo stesso tempo la sua penna e la sua chitarra divengono un nemico per il potere.

Sono tante e sono troppe le canzoni del nostro cantautore, ma non temete ora vedremo assieme due album in cui si intravede un velo della sua anima.

Crêuza de mä (1984)

Crêuza de mä ,pubblicato nel 1984, è l’undicesimo album , realizzato assieme a Mauro Pagani (compositore italiano). È interamente cantato in dialetto genovese. Il disco è considerato come uno degli album più importanti degli anni ottanta, tanto che David Byrne (musicista e cantautore statunitense), ha dichiarato alla rivista Rolling Stone che Crêuza de mä è uno dei dieci album più importanti della musica non solo italiana ma anche internazionale.

L’album è composto da sei canzoni; De Andrè dedicò questo CD ai pescatori, come si evince da  Crêuza de mä che è il primo componimento, ed è stata pure la colonna sonora per l’inaugurazione del nuovo ponte Morandi, quindi una canzone che parla di un nuovo inizio, qualcosa di nuovo.

“Umbre de muri, muri de mainé
Dunde ne vegnì, duve l’è ch’ané
Da ‘n scitu duve a l’ûn-a se mustra nûa
E a nuette a n’à puntou u cutellu ä gua”

Crêuza de mä, è un capolavoro dell’arte e dopo anni rimane ancora uno tra i dischi migliori mai creati.

Crêuza de mä: cover. Fonte: fabriziodeandrè.it

 

Storia di un impiegato (1972)

“La “Storia di un impiegato” l’abbiamo scritta, io, Bentivoglio, Piovani, in un anno e mezzo tormentatissimo e quando è uscita volevo bruciare il disco. Era la prima volta che mi dichiaravo politicamente e so di aver usato un linguaggio troppo oscuro, difficile, so di non essere riuscito a spiegarmi.”

E’ il sesto album del cantautore, ed è composto da nove canzoni: quest’ultime sono legate tutte da un tema ben preciso che è quello della rivolta giovanile. L’album contiene tante storie diverse fra di loro ma tutte con lo stesso ideale.

Uno tra i brani più significativi è “Verranno a chiederti del nostro amore che è l’ottava traccia. Il brano racconta dell’impiegato che all’interno del carcere vede la sua donna intervistata dai mass-media e vedendola ripensa alla loro storia; a dividere i due innamorati è proprio quel muro del carcere ed essa è lontana da lui che spera possa diventare una donna autonoma e forte.

Storia di un impiegato: cover. Fonte: musica-bazaar.com             

 

La musica di Faber non rientra nel concetto di “banalismo”: la sua arte si spostava dalla canzone d’autore al folk, le sue sinfonie erano sempre accompagnate dalla sua vecchia amica a sei corde, diventato un simbolo dello stesso cantastorie. E ora mi rivolgo a voi lettori, quando pensate a De Andrè non lo vedete sempre con una chitarra in mano?

Ma tornando a noi, i testi di De Andrè sono considerati dei veri e propri capolavori non solo della musica italiana ma anche della poesia: i suoi racconti parlano degli ultimi e dei dimenticati, i suoi testi possono essere letti anche prima di andare a dormire o mentre si aspetta l’autobus, perché Faber è tutti noi.

“Se fossi stato al vostro posto… ma al vostro posto non ci so stare.”

 

Alessia Orsa

Cesare Cremonini e il suo mostro: quando camminare e scrivere ti salvano

Il cantante “eterno adolescente” racconta la sua lotta contro la schizofrenia, la continua frustrazione di non riuscire a dargli un nome, la successiva scoperta e la sconfitta del mostro.

Chi è Cesare Cremonini?

Nasce a Bologna nel 1980, precisamente il 27 marzo. Sviluppa sin da piccino un’innata passione verso la musica classica e all’età di sei anni per la prima volta si approccia al pianoforte, strumento che è diventato il suo miglior amico lungo la sua carriera. Frontman e autore dei pezzi più importanti del gruppo dei Lùnapop nel 1999 e successivamente cantante solista dal 2012 ad oggi. Quant’è strano credere che Cesare Cremonini abbia sofferto di schizofrenia?

Cesare si spoglia di tutte le sue paure e decide di raccontarsi, affermando infine di aver sconfitto quel mostro che lo tormentava e “premeva sul petto” nel 2017. Ne parlerà anche in una canzone nell’album Possibili Scenari: in Nessuno vuole essere Robin (2018) afferma di aver rischiato in qualche modo la vita, come se una pallottola lo avesse sfiorato.

La canzone è volta a raccontare la paura di essere fragili, vista come una spinta attiva su cui combattere per costruire qualcosa di nuovo. All’interno continua a scrivere pensieri molto intimi seguiti dal forte desiderio di cambiare il presente e ricominciare.

fonte: corriere.it

Let them talk

Nella maggior parte dei casi, un individuo che soffre di schizofrenia è accompagnato da voci che gli altri non possono sentire.

Ancora oggi, Cremonini racconta di riuscire a udire quelle strane e inquietanti voci sussurrare dietro il suo orecchio o chiacchierare tra di loro, ma come gli disse il suo psichiatra «Let them talk», lasciali parlare. Di fronte alla sua voglia di raccontarsi e di raccontare il difficile percorso riabilitativo anche ai suoi fan, Cesare decide di scrivere e pubblicare il proprio libro il primo Dicembre 2020 dal titolo Let them talk, chiaro invito rivolto al lettore al fine di entrare nella sua sfera personale e di rivivere insieme a lui ricordi e suggestioni.

“Questo libro non cercherà di raccontare le mie diversità, ciò che mi rende unico per i dolori vissuti o per le fortune e i successi. Al contrario. Questo libro è nato, come tutte le mie canzoni, per far incontrare, e stringersi in un abbraccio, la mia storia con le storie di chi vi entra o ci passa accanto per caso.”

I brani musicali fanno da filo conduttore lungo tutte le 228 pagine.

 

Let them talk: copertina. Fonte: tg24.sky.it

Il mostro

In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, il cantante ripercorre il lungo viaggio all’interno dei suoi anni più difficili partendo dall’incontro con lo psichiatra che afferma sia avvenuto in maniera casuale dopo aver accompagnato un suo amico. Continua dicendo:

“Poi gli raccontai di me, di quel che provavo. I sintomi crescenti. La sensazione fisica di avere dentro di me una figura a me estranea. Quasi ogni giorno, sempre più spesso, sentivo un mostro premere contro il petto, salire alla gola. Mi pareva quasi di vederlo. E lo psichiatra me lo fece vedere. L’immagine si trova anche su Internet. “È questo?”, mi chiese. Era quello”

Lui lo descrive come un «mostro con gambe corte e appuntite» che imperterrito e senza pace continuava a salire lungo la schiena, il petto e premeva contro la gola. La sensazione era quella di condividere involontariamente ogni giorno la propria vita con una figura orribile e deforme. Quando lo psichiatra mise su carta i suoi incubi e quell’oscura creatura, non ci furono dubbi

“È questo?” chiese.
“Si, è questo” risposi.

Era chiaro, si trattava di schizofrenia. Il disturbo prendeva vita in quel caso come una sorta di allucinazione che veniva dall’interno, un’immagine proveniente dal subconscio dove aveva messo radici e si aggirava quasi come se quella fosse casa sua.

Il mostro della schizofrenia. Fonte: corriere.it

La rinascita

Lo specialista spiega che la causa scatenante della schizofrenia, in quel caso, era data dal lavoro e dallo stress accumulato: i giorni chiusi in studio, lo stile di vita poco sano, due anni di ossessione – che lo stesso cantautore definisce – feroce per la musica.

Superai i cento chili. Non facevo più l’amore, se non da ubriaco. Avevo smesso qualsiasi attività fisica.”

Nella sua intervista, Cremonini afferma che la cura al suo disturbo psichico sia stata la camminata, aver percorso per tanto tempo diversi km in montagna ogni volta che il mostro urlava nelle sue orecchie. E lo racconta così:

“Quando sento il mostro borbottare, mi rimetto in cammino. Su una collina, in montagna. Sono tornato dallo psichiatra alla fine del primo tour negli stadi. Mi ha chiesto se vedevo ancora i mostri. Gli ho risposto di no, ma che ogni tanto li sento chiacchierare. E lui: “Let them talk”…”

 

Annina Monteleone

A Gazzelle, il più Indie di tutti

Nello scrivere seguendo le «intermittenze del cuore» Flavio Pardini, in arte Gazzelle, è riuscito a creare un impero; nello scenario della musica italiana – ora più variegato che mai – la musica indie si fa sempre più preponderante e lui ne è uno degli esponenti più apprezzati. Il cantautore originario della capitale ha incantato milioni di ascoltatori con i suoi brani e la loro magia, mescolando vari stili della grande musica del passato e sintetizzando tutto in semplici melodie e ritornelli orecchiabili: un mix perfetto.

In occasione del suo compleanno, vogliamo rivedere (e ovviamente riascoltare) le canzoni più belle, quelle che l’hanno fatto entrare nelle top playlist di Spotify e soprattutto nella nostra vita.

Di me volevi solo te – Quella te (2016)

Questo brano è stato l’esordio dell’artista: un giovane che cantava nei bar di Roma camuffando il volto, nascondendo gli occhi dietro un paio di occhiali e indossando un cappellino con la visiera. Ha destato subito l’attenzione della critica ed ha cominciato la sua carriera con questa canzone, che poi diventerà parte di “Superbattito”, il suo primo album. 

Quella te è un brano molto anni 90 – come parte della discografia di Flavio – che racconta di una storia d’amore con nostalgia e con un pizzico di rabbia.

Screenshot del video ufficiale, fonte: wikipedia

«Quella te che rideva» potrebbe essere chiunque: potremmo essere noi o potremmo cantarlo a qualcuno; la magia del pezzo sta nel fatto che il soggetto del testo non ha una vera identità, si adatta ai vari momenti e ai vari protagonisti della nostra vita.

E io che come al solito fraintendo – Nero (2017)

Nero è uno dei singoli più ascoltati dell’autore (soprattutto dalla sottoscritta) e sembra essere un urlo di speranza.

Dal titolo non si direbbe, ma in realtà cela la consapevolezza che c’è sempre qualcosa di bello nonostante tutto; di certo Gazzelle non si risparmia nel descrivere le situazioni peggiori e ognuna di queste – ancora una volta – rappresenta qualcosa nella vita di chi la ascolta.

E non crescono i fiori, è vero, dove cammino io // Ma nemmeno è tutto nero

Screenshot del video ufficiale, fonte: wikipedia

La malinconia sfocia in speranza e il ritornello è così orecchiabile da rimanere stabilmente in testa.

Ti ricordi di me? – Scintille (2018)

Il 2018 è l’anno di un artista più maturo e il nuovo disco “Punk” sancisce un periodo molto attivo, con nuove produzioni e con concerti in tutta Italia, ma soprattutto con un massiccio aumento di ascolti.

In Scintille, Gazzelle canta come se stesse guardando se stesso nel passato:

Ti ricordi di me? […] // Io mi ricordo e lo sai, pensavo fosse amore invece erano guai

Screenshot del video ufficiale, fonte: wikipedia

Parla a se stesso o parla a qualcun altro? Beh, sicuramente ad ognuno la sua interpretazione, ma è certo che ogni strofa diventa indelebile dopo averla ascoltata. Delicato ma forte riesce ad adattarsi ad ogni sensazione; brano che durante i suoi concerti ha fatto illuminare gli spalti e cantare a squarciagola tutti gli spettatori, creando un’atmosfera unica.

Quando la luce s’infrange sopra le tue guance – Una canzone che non so (2019)

In “Post-Punk” Flavio arricchisce l’album precedente con quattro canzoni, tra le quali Una canzone che non so. Con un piano d’accompagnamento ed una chitarra che sottolinea i momenti più forti del testo, questo brano ha ottenuto subito grandi consensi.

Il video dà un volto ai protagonisti di questa storia ma le parole sembrano essere quelle di ognuno di noi (pensate o dette almeno una volta nella vita):

Che ti ricordi di me, lo so // Ma solo quando non ti calcolo

Screenshot del video ufficiale, fonte: wikipedia

Sembra quasi cercare una spiegazione per chiudere una storia o per dare un senso ad una rottura; quindi ci pone dalla parte di chi deve capire qualcosa e riapre la possibilità a nuove interpretazioni anche delle proprie esperienze.

E fermati qui e resta così – Scusa (2020)

Quest’ultima uscita è quasi un regalo che ci ha fatto alla conclusione di questo 2020.

Scusa (insieme a Lacri-ma e Destri) è una canzone che sarà parte di un nuovo album di cui non è nota la data di uscita o il titolo ; Gazzelle, in una intervista per Rockol, spiega: «Con le nuove canzoni ho recuperato i Nirvana: volevo fare qualcosa che fosse orientato verso una sorta di grunge, ma in chiave moderna».

Ancora una volta si riconferma il genio di Flavio: Scusa è una poesia; un testo capace di premere quei tasti giusti per emozionare ed eventualmente riaprire delle ferite passate.

Copertina ufficiale, fonte: YouTube

Anche grazie al bellissimo accompagnamento musicale, questo brano ha avuto un successo clamoroso; rimane impresso in mente e forse anche nel cuore di chi la ascolta:

E sarò io, e sarai te // L’unica cosa al mondo da non perdere

 

Cos’altro dire? Avremmo potuto parlare di ogni brano, dello stile che oscilla sempre tra una ballata d’amore e di malinconia, ma che riesce ad estrapolare qualcosa in più ogni volta; riesce a dare tono e forma ad alcune emozioni e lo fa sempre in maniera diversa.

Flavio, ti ringraziamo per tutte le lacrime che ci hai fatto versare e per l’intensità delle cose che ci hai fatto provare; diciamo che nonostante tutto in fin dei conti stiamo bene.

                                                                                                                                  Barbara Granata

 

Scena Unita: Fedez per il mondo dello spettacolo

Dopo giorni d’attesa il nuovo progetto di Fedez finalmente è arrivato: si chiama Scena Unita ed è il fondo di solidarietà creato per sostenere i lavoratori della Musica e dello Spettacolo. L’idea, lanciata qualche settimana fa, mira ad offrire un aiuto concreto e immediato a tutti coloro che sono stati costretti – dalla pandemia di COVID-19 – ad interrompere le proprie attività e i propri progetti.

Il progetto

Da mesi ormai il settore dello spettacolo è in ginocchio e si fa sempre più reale il rischio che esso non riesca a reggere questa seconda battuta di arresto. Con la cancellazione di tutti i grandi eventi live, circa il 27% dei professionisti, ha dovuto cambiare lavoro.

Per questa ragione, numerosi artisti (per la precisione 86) si sono stretti in un unico abbraccio mostrandosi coesi e disposti a fare squadra; l’ unico obiettivo è quello di recuperare più fondi possibili per le maestranze che rendono possibili gli spettacoli che ammiriamo negli stadi, nei teatri e nei palazzetti ma anche in TV.

Fedez, in qualità di ideatore del progetto, ha tenuto a precisare che si tratta «di un movimento spontaneo di coesione e sportività di gruppo» e che tutti i partecipanti non hanno soltanto prestato la propria immagine ma hanno anche donato.

Profilo instagram @fedez

L’iniziativa non è «un atto di elemosina» ma un atto dovuto da parte degli artisti ed è supportato dal patrocinio del Ministero dei Beni Culturali. Il 50% del fondo sarà utilizzato per aiuti diretti, il 25% per attività formative e il restante 25% per supporto a progetti profit e no profit per occasioni di lavoro attraverso bandi.

Nella discografia del rapper italiano però c’è da sempre stato sentore di ribellione e di denuncia che poi è maturato in speranza e voglia di atti concreti; per questo abbiamo cercato nella sua discografia i pezzi che più lo caratterizzano e che confermano la realtà della sua iniziativa.

Fedez il ribelle 

La propensione del cantante nello schierarsi con chi, nella società moderna, non riceve i giusti meriti e riconoscimenti non è di certo una novità.

fonte: testi-musica.myblog.it

Sin dal 2013, con il singolo Si scrive schiavitù, si legge libertà ha usato parole taglienti. La stoccata è rivolta al nostro concetto di libertà che è quanto di più vicino alla schiavitù. Pensiamo di poter scegliere ma non è così: viviamo in un modo marcio, pieno di regole e ciò che noi pensiamo sia una nostra scelta, in verità è una decisione presa da qualcun altro.

È esplicito anche il riferimento all’Italia: dovremmo essere noi a cambiarla, a modellarla, ma non lo facciamo. Senza rendercene conto, stiamo con le braccia conserte e attendiamo che qualcuno lo faccia per noi. Diventiamo attori di un sistema di cui pensiamo di essere registi. Insomma, si tratta di un mea culpa molto chiaro, che non lascia spazio a dubbi e che, con il passare degli anni, non si è affievolito ma si è manifestato con ancora più vigore.

Nel 2014, con Generazione Bho, ha mostrato insofferenza nei confronti di una collettività omologata e poco creativa, senza idee. Una reazione decisa è ciò che serve per dare uno schiaffo alla monotonia dettata dai tempi. O si reagisce o si finisce nel baratro. Questo è il filo conduttore della sua “battaglia” senza armi ma di parole e concretezza.

Una bella storia di speranza 

Il ritratto di un  Federico più “pacifico” e meno ribelle è quello che emerge dal suo ultimo singolo Bella Storia. È vero, se interpretiamo alla lettera il testo, appare chiaro il riferimento a un lieto fine sentimentale, ma non è tutto. Il simbolo della pace, con cui ha scelto di promuovere il singolo, non è casuale.

fonte: sintony.it

Al giorno d’oggi avere tanta notorietà può essere veicolo di messaggi positivi: la violenza non può e non deve essere la risposta a un mondo che, sempre più spesso, non ci garantisce un futuro roseo. I riferimenti agli scontri parigini (nelle Banlieue nel 2005) e quelli allo Stato italiano, sono concetti negativi volutamente sottolineati e messi in contrasto con un finale che – si spera – possa essere migliore. Uniti e compatti, «possiamo fare, Bella Storia». Possiamo essere protagonisti dei cambiamenti: parola di Fedez.

Quindi, vediamo come nel passato e nel presente l’artista si è confermato. Nella pratica ha fatto qualcosa che ha dato «il senso di appartenere a una collettività» citando il grande Morandi, senza lasciare indietro nessuno.

Per cui Scena Unita, rappresenta un germoglio di speranza nei confronti della musica e – soprattutto – di chi con la musica vive. Spesso si dimentica che, dietro le quinte di uno show, lavorano centinaia e centinaia di persone disposte a donarci il loro talento. Non dimentichiamole, non rendiamole invisibili.

Chiara Gambuzza

Immagine in evidenza: sintony.it 

Musicoterapia, un farmaco senza effetti collaterali

Chi al mondo non conosce la musica?

Siamo proiettati sin dalle prime percezioni sensoriali a sentire suoni, melodie, che ci accompagnano poi per tutta la vita. Infatti se da principio nell’Antica Grecia la musica viene intesa come prodotto dell’arte di ideare e produrre, oggi di sicuro è molto più che una semplice arte, è una costante, una compagna quotidiana.

Provando ad analizzare la tua ”giornata tipo” ti accorgerai che è una stabile presenza. Già la sveglia, la mattina, parte con una fastidiosa musichetta, il più delle volte. Ma anche con le pubblicità, o nei bar, discoteche, supermercati, saloni di bellezza, in macchina, in chiesa, palestre, perfino aspettando di parlare con un operatore telefonico, ciò che ti accompagna è la musica.

Cosa ti succede quando ascolti la musica?

Premesso che sentire ed ascoltare sono due azioni differenti (essendo la prima prettamente involontaria e l’ascoltare qualcosa di più attivo), il suono come onda meccanica giunge a livello uditivo e da qui a livello cerebrale.

Le parti del cervello coinvolte dagli stimoli sonori sono numerose. L’ ascolto di un brano musicale, può indurre degli effetti biologici su tutto il corpo e in particolare su:

-Frequenza cardiaca e pressione sanguigna: la velocità del ritmo musicale agisce sul ritmo cardiaco aumentandolo ascoltando musiche veloci mentre diminuendolo con quelle più lente, allentando tensioni corporee, l’ansia e le preoccupazioni. Come se il cuore volesse andare a tempo.
-Temperatura corporea: la musica ad alto volume può alzare la temperatura di qualche grado .
-Respirazione: ascoltare una musica veloce rende il respiro più dinamico mentre i ritmi più lenti provocano un respiro più profondo inducendo uno stato di rilassamento.
-Regolazione degli ormoni dello stress: l’ascolto di musiche rilassanti diminuisce il rilascio di ormoni dello stress come la secrezione di cortisolo; la musica inoltre può regolare il rilascio di ossitocina che regola lo stress, l’ansia e gli stati motivazionali affettivi.

Tutto ciò si esplica concretamente nel potere della musica di calmare, eccitare, concentrare e anche curare.

La storia della musica come terapia

La storia della musicoterapia inizia già dal ‘500. Il suo beneficio nell’ascoltarla, o dal crearne e riprodurne aveva già portato a pensarla come uno strumento terapeutico.
I primi passi concreti però li avremo solo dopo la Seconda Guerra Mondiale in America. Infatti negli ospedali, casualmente si vide quanto la musica giovasse ai pazienti, grazie ad alcuni musicisti che volontariamente vi si recavano per allietare le giornate dei veterani degenti. Da questo piccolo gesto di altruismo, nasce la consapevolezza di quanto fosse importante e quasi necessario questo strumento, ma anche di come prima ci volesse una preparazione preventiva.
La figura del musicoterapista come professionista si deve a tre importanti figure: Ira Althshuler, Willem van de Wall e E. Thayer Gaston, padri della musicoterapia. Al giorno d’oggi ci sono numerose associazioni professionali della musicoterapia, tra cui vale la pena citare l’American Music Therapy Association (AMTA), nata nel 1998, che è attualmente la più vasta associazione di musicoterapia del mondo.

Applicazioni della musicoterapia

La musica può essere considerata un fattore motivante per quei pazienti restii a sottoporsi alla psicoterapia o farmacoterapia;
Gli obiettivi principali della musicoterapia sono:
– ridurre le tensioni
– rimuovere le inibizioni
– facilitare la comunicazione
– stimolare l’attività sociale e individuale
– istaurare un processo che faciliti e favorisca la comunicazione e l’espressione delle emozioni

Demenze

La musicoterapia in questi pazienti si è dimostrata essere uno strumento di comunicazione con il paziente. Soprattutto nell’ambito della Alzheimer, alcuni studi hanno dimostrato ottimi risultati con miglioramenti della
-memoria a breve termine, l’ascolto di un brano conosciuto o a cui si è affettivamente legati può rievocare con molta precisione un episodio della vita;
-orientamento spazio temporale;
-tono d’umore;
-senso di identità;
-competenze espressive e relazional
i;
riduzione dei livelli di cortisolo, e con esso dello depressione, stress e delle compromissioni cognitive che possono scaturire da un incremento di questo ormone.

Terapia palliativa del dolore

Si tratta di programmi terapeutici attuati per lo più in pazienti oncologici in fase terminale. In alcuni studi condotti su persone affette da carcinoma epatico, i risultati sono stati sorprendenti: nei giorni in cui i pazienti effettuavano questa terapia, e soprattutto mentre la eseguivano, non avevano avuto bisogno di somministrazioni di antidolorifici come la morfina che erano soliti prendere nei giorni pregressi. 

Autismo

Nell’ambito dell’autismo la musicoterapia non solo migliora il comportamento, ma influisce anche sulla forza delle connessioni tra le aree cerebrali. In questa patologia c’è uno squilibrio tra le varie connessione neuronali, che sono accentuate. L’ipotesi è che le capacità di comunicazione sociale diminuirebbero a causa di tutta la sovra stimolazione sensoriale. Mi spiego meglio: immagina di parlare con qualcuno, mentre grida, in una stanza con luci molto forti percepite come flash. Quanto saresti in grado di relazionarti adeguatamente in questa situazione? Effettuando la RM durante la musicoterapia si è valutata una diminuzione delle connessioni tra le aree uditive e visive, che può portare a miglioramenti delle abilità sociali.  È possibile che diminuendo i sintomi sensoriali, le abilità sociali migliorino.

In conclusione anche se ad oggi la musicoterapia non è di certo così ampiamente utilizzata, si auspica che in un futuro possa essere maggiormente applicata essendo una metodica a basso costo, che può giovare a chiunque.
Vorrei inoltre proporti di guardare un bellissimo film proprio su questo argomento che si chiama ”La musica che non ti ho detto” e di dedicare sempre del tempo a te stesso, magari chiudendo gli occhi per un po’, dimenticando i tuoi problemi e
ascoltando un po’ di sana, buona musica.

Sofia Turturici

Bibliografia

https://americanamusic.org/node/495
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/22743206/
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/14689332/
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/26417751/
http://tesi.cab.unipd.it/51115/1/porcu.elisabetta.1048659.pdf
https://www.stateofmind.it/2018/06/musicoterapia-demenze/

John Lennon: la favola di un working class hero

Diceva una vecchia canzone: “Chiedi chi erano i Beatles” e oggi che è l’ 8 dicembre, a quarant’anni dalla sua morte ci chiediamo invece: Chi era John Lennon?

Una domanda da un milione di risposte perché forse ognuno di noi ha il suo “John Lennon personale”.

John Lennon con uno dei suoi amati gatti. Fonte: tuttozampe.com

Spunteranno all’appello il John leader dei Beatles: chitarra tra le mani e il celebre caschetto, autore insieme al compagno McCartney di melodie inarrivabili per purezza e perfezione; il John delle lotte pacifiste accanto alla musa orientale Yoko Ono; quello del giro di Do di Imagine dietro il famoso “White Piano”; il John dagli occhiali tondi e dall’indole pigra; il cinico ragazzo di Liverpool dalla verve comica e la testa sempre piena di idee fantasiose che riversava spesso in caricature e storie umoristiche e infine quello più maturo e saggio, delle massime concise e profonde che tuttora circolano sul Web facendogli guadagnare a buon diritto il titolo di “filosofo”.

“Dio è un concetto attraverso cui misuriamo il nostro dolore” (“God”, 1970), “Gioca il gioco ESISTENZA fino alla fine… dell’inizio” (“Tomorrow never knows”, 1966), “Vivere è facile ad occhi chiusi” (“Strawberry fields forever”, 1967) o ancora la più famosa “La vita è ciò che ti accade mentre sei impegnato a fare altri progetti” (“Beautiful Boy”, 1980) non è forse filosofia in pillole pop?

John Lennon ritratto in un murales di Camden Town, Londra. © Angelica Rocca

 

Insomma, John Lennon, che non a caso si autodefiniva «un animo da monaco dentro il corpo di una pulce da circo», era un artista dalle molteplici anime, difficili da racchiudere in un unico ritratto. La sua personalità controversa, carismatica, ma anche schietta ci incute soggezione, ci disorienta, ci coglie spaesati quasi fossimo pellegrini a valle di una maestosa vetta con una polaroid in mano. Tutti si mettono a scattare e ognuno coglierà nella sua minuscola istantanea un piccolo pezzo di monte, ma nessuno riuscirà a catturare la montagna per intero proprio perché così immensa. Perché, che piaccia o no, che si ascolti o meno musica rock, nessuno può mettere in discussione la grandezza di John Lennon e la rilevanza che la sua musica ha avuto nel Novecento (e non solo).

AS SOON AS YOU’RE BORN THEY MAKE YOU FEEL SMALL

Dire che Lennon è stato un grande non ci fa certamente dimenticare le umili origini di un working class hero che è stato capace di riscattare la nascita sotto una “cattiva stella”.

John Winston Lennon viene al mondo la notte del 9 ottobre del 1940 in una Liverpool bombardata dai tedeschi e in una famiglia tutt’altro che unita.

John Lennon ad Amburgo. Fonte: beatlesbible.com

Un’ infanzia e un’adolescenza piuttosto difficili, che film come “Nowhere Boy” ( 2009 – regia di Sam Taylor- Johnson) non mancheranno di raccontare; un’esistenza segnata prima dall’abbandono e poi dalla tragica morte della madre Julia nel 1958. A lei sarà dedicata la dolcissima balladJulia” del 1968. Lennon era un ragazzo problematico come tanti figli del dopoguerra, pronto a nascondere le proprie insicurezze dietro il chiodo in pelle e la pettinatura alla Elvis, la ribellione e il rock’n’roll strimpellato sulla prima chitarra: un ragazzo che puntava ad arrivare «più in alto dell’alto» come amava spesso ripetere in compagnia dei suoi amici. E per arrivarci non si fece spaventare dall’infinita gavetta per pochi quattrini nei locali più malfamati  (I Beatles partono in sordina nei club a luci rosse di Amburgo),  dalle tante crisi private, dalle prime porte chiuse delle case discografiche.

THEN THEY EXSPECT YOU TO PICK A CAREER

Azzardando un paragone disneyano, possiamo pensare alla storia dei Beatles come a una favola moderna. C’è la Cenerentola dell’Inghilterra, questo gruppo di ragazzi provenienti dalla working class, che vogliono farsi notare al gran ballo della musica rock, cambiare le carte in tavola, riscrivere le regole. E per un ballo del genere servono nuovi arrangiamenti, un vestito impeccabile per canzoni che fino a quel momento erano solo diamanti grezzi. Qui entra in scena una fata madrina: si tratta di George Martin, il produttore discografico EMI dei grandi successi dei Fab Four, per molti il 5° beatle, il primo ad assicurare nel ‘62 un contratto, il primo a credere in loro ma soprattutto nella voce aspra di Lennon, capace più di quella di Paul McCartney di «dare il composto di fascino e intensità… come il succo di limone sull’olio extra-vergine di oliva».

Un parere innovativo in un industria musicale ancora ossessionata dalle voci vellutate alla Presley o alla Sinatra!

John Lennon coi Beatles nel 1963. Fonte. larepubblica.it

Dopo i primi successi ballabili (tra i tanti Twist and Shout, Can’t buy me love, Please Please me, I feel fine) è chiaro che non si tratta più di semplice rock’n’roll, ma anche quella di soft-rock è un’etichetta troppo ristretta. Il “sottomarino” dei Beatles naviga l’oceano della musica attraversando i più disparati generi ma soprattutto prestando più attenzione alle parole.

Ed è qui che emerge la personalità di Lennon, il più intellettuale dei quattro.

Le sue canzoni si trasformano presto in confessioni aperte: “I’m a loser and I’m not what I appear to be” ( “I’m a loser” ,1964); “When I was younger so much younger than today/ I never needed anybody help me in anyway” ( “Help” ,1965); ma anche in bellissime poesie: “Words are flowing like endless rain into a paper cup” ( Across the universe”,1969) o ancora “My mother was of the sky/ my father was of the earth/ but I’m of the Universe” (“Yer Blues”, 1968).

John Lennon nel video-clip di “All you need is love”, 1967. Fonte: Morrison Hotel Gallery.com

La favola procede tra successi e lati oscuri: conflitti nella band, assunzione di droghe pesanti per reggere ritmi sfrenati, mogli e figli lasciati a casa e carovane di groupies davanti ai camerini. L’onestà di Lennon emerge in una frase pronunciata qualche anno più tardi:

“Per riuscire devi essere un grande bastardo, i Beatles sono stati i più grandi bastardi di tutti i tempi”.

A WORKING CLASS HERO IS SOMETHING TO BE

Ogni mito ha una donna che scatena una guerra, ogni favola ha una strega cattiva e per tutti i fan meno illuminati dei Beatles questa è Yoko Ono: la “colpevole” del loro scioglimento, artista concettuale giapponese che Lennon incontra nel 1966 e che sposerà nel ’69. “I’m in love for the first time” (“Don’t let me down”, 1969) canterà infatti nello stesso anno il nostro, avendo finalmente trovato qualcuno con cui guardare il mondo «dallo stesso albero». Checché se ne dica, Yoko Ono è stata fondamentale per la crescita artistica e personale di John.

Negli anni della guerra in Vietnam, Ono e Lennon, con le marce di protesta e i bed-in, furono il primo esempio di coppia in grado di sfruttare il proprio potere mediatico in direzione politica e sociale.

John e Yoko dietro il “white piano” nel video-clip di Imagine. Fonte: la repubblica.it

Da buon figlio della working class, l’ex Beatle scrive brani politicamente più impegnati come “Give peace a chance” , “Power to the people” e “Imagine”, inno a un mondo senza confini, senza conflitti e che è stata definita di recente come «Una canzone marxista e comunista» da qualche discutibile politico. Ma se le critiche provengono da un partito con tendenza all’oscurantismo, anche stavolta possiamo dire che Lennon ha fatto centro!

IF YOU WANT TO BE HERO, WELL JUST FOLLOW ME

Se ci fermiamo alla capacità tecnica, dobbiamo riconoscere che Freddie Mercury è il più grande cantante di tutti i tempi. Ma quanti imitano il suo bel canto e quanti si ispirano invece alla particolare vocalità di Lennon? Dal britpop degli Oasis al pop-punk dei Green Day (che registreranno la cover di “Working Class Hero”) tanti guardano ancora allo stile musicale ma anche all’outfit di Lennon. Persino in un universo apparentemente lontano quale quello rap, un artista come Salmo incide la sua “Yoko Ono” (2011) campionando “Come together” (1969).

Il mosaico dedicato a Imagine a Central Park, New york. Fonte: 123f.com

L’8 dicembre 1980 John Lennon viene assassinato da un suo fan con sette colpi di pistola che pongono fine alla favola del ragazzo di Liverpool, ma la magia della sua musica rimane nell’aria. Scoppierà forse una guerra atomica, un’invasione aliena potrà porre fine alla nostra civiltà, ma tra le rovine di un mondo post-apocalittico, ci sarà sempre un ragazzo con la chitarra pronto a cantare Imagine.

 

Angelica Rocca

 

Indiegeno day 2: la musica non si ferma

Elodie, Indiegeno 2020

Come ormai consuetudine nella stagione estiva, anche quest’anno noi di UniVersoMe abbiamo seguito l’Indigeno Fest, scegliendo di sostenere un settore – quello musicale – che ad oggi fa ancora fatica ad uscire dalla crisi scaturita dall’emergenza sanitaria, in qualità di spettatori.

Elodie, Indiegeno 2020 

Ma eccoci qua pronti a raccontarvi ancora una volta la serata del 5 agosto 2020, svoltasi in una location d’eccezione, il Teatro Greco di Tindari, preceduta dalla nottata di apertura che ha visto esibirsi il vincitore dello scorso festival di Sanremo, Diodato. Nonostante la minaccia di pioggia – concretizzatasi solo in parte – lo show parte subito con il nome più noto: Elodie. Reduce dalla pubblicazione del suo ultimo album  “This is Elodie” (2020), l’artista romana mette in scena uno spettacolo coinvolgente, supportata anche dalle sue bravissime coriste. Tantissimi i successi portati sul palco, da pezzi recentissimi, come la hit dell’estate Guaranà, ai grandi tormentoni che hanno animato la bella stagione negli anni precedenti, come Nero Bali e Margarita. 

Ciclone il pezzo più apprezzato e ballato dal pubblico, che ha richiesto anche un bis a gran voce. Nonostante il clima non propriamente estivo, con la sua voce poderosa – anche se lievemente sottotono – è riuscita a scaldare gli spettatori con tanti cavalli di battaglia ma anche cover e pezzi meno conosciuti. Molto divertenti alcuni siparietti con in membri del suo entourage: Elodie ha ammesso candidamente di non ricordare spesso gli “attacchi” delle canzoni e ha chiesto l’aiuto della DJ alle sue spalle, suscitando l’ilarità degli spettatori e contribuendo a creare un clima quasi amichevole con il pubblico.

Elodie e le coriste, Indiegeno 2020 

Dalla sua uscita di scena in poi la serata si “normalizza”: in tanti lasciano il Teatro nonostante i ripetuti appelli degli

organizzatori.

Davide Shorty, Indiegeno 2020

Noi non demordiamo ascoltiamo piacevolmente il secondo artista in programma, Davide Shorty. Un mix di sonorità rap, hip-hop e testi quasi “cantautorali”: il cantante siciliano è a proprio agio sul palco e riesce a coinvolgere il pubblico. Degna di nota una riflessione sul razzismo e i recenti fatti accaduti negli USA, tutta in rima ed a cappella. Prima di lasciare il palco regala anche qualche inedito, scritto e ideato durante il lungo periodo di quarantena, oltre a brani tratti da Straniero (2017) e Terapia di Gruppo (2018, in collaborazione con Funk Shui Project).

Blank, Indiegeno 2020

A chiudere la serata Blank, giovanissima ragazza di origine messinese e artista emergente della scena indie: emozionantissima di cantare nella sua città natale, ci regala anche l’inedito Pare, tra le canzoni che più ci hanno convinto.

È stato sicuramente un Indiegeno diverso dal solito: molto più “posato” per necessità, con gli spettatori seduti per gran parte del tempo. Ma, ad ogni modo, tutte le difficoltà per organizzare in questo anno particolarmente complesso un evento del genere sono state ripagate dalle esibizioni degli artisti.

Forse poco oculata la scelta di invertire la scaletta originaria, facendo esibire Elodie per prima.

E probabilmente le stesse difficoltà, menzionate qualche riga sopra, sono state sofferte sia dagli artisti che dagli organizzatori e messe in scena un po’ troppo: smorzare gli animi a uno spettacolo musicale che, per definizione, ha un animo leggero, ha fatto sì che il pubblico fosse un po’ frenato. Possiamo e dobbiamo tuttavia comprendere lo stato d’animo di tutti gli addetti ai lavori e dei cantanti stessi, che abbiamo visto tenere tanto alla riuscita dell’evento. L’Indiegeno ha comunque dimostrato che è possibile ripartire in sicurezza anche nel settore musicale e che un nuovo modo di concepire i festival, sfruttando magari le splendide location all’aperto di cui siamo ricchi in Sicilia (come in tutta Italia), può far sì che il mondo della musica non rimanga bloccato, e con lei le nostre emozioni.

Emanuele Chiara, Antonio Nuccio

Foto di Martina Galletta