Intervista a un giovane direttore d’orchestra messinese: Marco Alibrando

Molto spesso la nostra rubrica, in particolare la sezione Personaggi, si è occupata di descrivere personalità importanti del passato che hanno dato lustro alla nostra città. Oggi abbiamo deciso di dare uno sguardo al presente e al futuro: Marco, 32 anni, nato a Messina e direttore d’orchestra, quest’anno ha diretto il tradizionale Concerto di Capodanno al Teatro Vittorio Emanuele e ci ha raccontato la sua storia. Dalla formazione al Conservatorio Arcangelo Corelli della nostra città con diploma in pianoforte, all’esperienza nella città di Milano, dove attualmente risiede, che gli ha permesso di diplomarsi in composizione e diventare direttore d’orchestra. Possibilità che purtroppo – almeno ad oggi – Messina non offre.

Andiamo quindi a ripercorrere i tanti spunti e le riflessioni che Marco ci ha dato durante la piacevole mattinata trascorsa insieme, dall’alto della sua giovane – ma già di livello internazionale – carriera.

Marco Alibrando – Fonte: Operaclick; Autore: Giovanni Puliafito

Sicuramente il direttore d’orchestra è il ruolo più affascinante all’interno dell’orchestra stessa. Sapresti dirci, in parole semplici, quali sono i suoi compiti?

Innanzitutto secondo me è la figura più affascinante perché chi lo vede non capisce esattamente a cosa serva. Il pubblico vede una persona che si muove, altre 60-100 persone che suonano, a volte sembra che [i musicisti, n.d.r.] nemmeno lo guardino. In realtà, il 90% del lavoro del direttore è nelle prove, che il pubblico giustamente non vede. Dal punto di vista tecnico io sono quello che dà il tempo, fa in modo che tutti suonino con lo stesso tempo: in un concerto molto grande chi suona in fondo spesso non sente il musicista più distante, dunque serve banalmente un riferimento metronomico. A livello più profondo, il direttore d’orchestra è il tramite tra ciò che voleva il compositore e la realizzazione. Ogni musicista ha la sua parte, io ho la partitura con le parti di tutti, che devo interpretare in giorni, mesi o talvolta anni di studio. Alla fine devo motivare, “convincere” l’orchestra a suonare secondo la mia idea interpretativa, non in modo dittatoriale chiaramente. Faccio sempre il paragone tra direttore d’orchestra e fonico: è come se avessi una grande consolle e dovessi regolare il livello di suono di ogni strumento.

Mi piace la metafora che hai usato, è molto chiara. Da qui nasce la mia seconda domanda. Probabilmente il direttore ha il compito più arduo, senza nulla togliere ai singoli musicisti: senti mai questa responsabilità? Sei mai ansioso?

Dipende. Come tutti i mestieri, se decidi di farlo significa che ti senti a tuo agio. Quando si fanno poche prove a volte mi capita di essere ansioso. C’è sempre quell’adrenalina giusta prima di salire sul palco: dopo avere stretto la mano al primo violino, una prassi, come un galateo musicale, scompare tutto e mi godo il concerto. L’orchestra è come una società perfetta: c’è una gerarchia ma ognuno ha il suo compito e la sua importanza. Per inciso: la bacchetta da sola non suona.

Marco Alibrando dirige la “Nona Sinonia” di Beethoven al teatro Cilea (Reggio Calabria, 2019) – Fonte: artinmovimento.com

Quale è stata l’esperienza più emozionante che hai vissuto durante la tua carriera?

Me ne vengono in mente due, ma ce ne sarebbero tante altre. Sicuramente il debutto come direttore d’opera, a 25 anni nel festival “Rossini in Wildbad”, in Germania. Lavoravo a questo festival come pianista, il direttore artistico mi ha notato mentre dirigevo una prova con una cantante lirica: mi ha offerto così la direzione di un’opera lirica per l’anno successivo. L’opera lirica è un altro mondo, ci sono una serie di difficoltà, non ci sono soltanto strumenti ma anche cantanti. Una sfida che ho accettato volentieri. Un’altra esperienza bellissima è stata nel 2015 a Milano, con l’orchestra Verdi. Abbiamo fatto un’opera di Bartok, “Il Castello di Barbablù”: una versione con orchestra, cantanti ma non con una scenografia, con un film muto in sincrono girato appositamente per questa musica, da un regista siciliano mio coetaneo, Gian Maria Sortino.

Insomma, avete unito più generi artistici.

Esatto, è un’opera molto complicata, in ungherese, sarebbe potuta risultare più “ostica”: invece abbiamo unito gli amanti della lirica a quelli del cinema, abbiamo avuto un pubblico misto che si è appassionato anche all’altra disciplina. Questa rappresentazione era in programma anche a Messina, ma poi purtroppo è saltata per problemi di fondi.

Spero che riusciate a riproporla in futuro anche nella nostra città. C’è un compositore al quale sei più legato?

È sicuramente una scelta difficile, ma se ne dovessi sceglierne uno direi Rossini, il compositore che ho studiato di più  Ho anche un collegamento affettivo: mia nonna materna era di Pesaro, così come Rossini. Lei mi cantava sempre quando ero piccolo le sue opere, quindi quando poi mi sono ritrovato a dirigere al festival “Rossini in Wildbad” e al “Rossini Opera Festival” di Pesaro è stato come un sogno che diventa realtà. 

Quindi dietro questa scelta c’è molto più di un gusto musicale.

Sono state delle cose che mi sono accadute per caso, mi piace credere che ci fosse un filo conduttore, una sorta di destino.

Teatro Rossini (Pesaro), sede storica del “Rossini Opera Festival”

Come ti sei appassionato alla musica?

I primi ricordi sono legati a casa e a mio padre che strimpellava la chitarra, mi cantava per farmi addormentare quando ero piccolo la canzone di Gino Paoli “La gatta”. Mi piaceva anche giocare con le pianole, poi però è accaduta una cosa strana, devo ancora chiedere se è stato mio padre a combinarla. Abbiamo incontrato al supermercato un suo paziente, maestro della banda dell’esercito a Messina, ormai in pensione. Avevo circa 10 anni, mi chiese se volessi studiare chitarra o pianoforte. Io risposi pianoforte e iniziai a prendere lezioni da lui, quasi per gioco, non l’avevo presa molto seriamente. Poi ho ascoltato la “ballata n.1” di Chopin e mi sono detto“questo è quello che voglio fare”, avevo 14 anni. A 15 sono entrato in conservatorio.

Cosa ti senti di dire a un giovane che vuole diventare direttore d’orchestra?

Bella domanda. Prima di tutto, oltre alla parte accademica, ovvero lo studio di uno strumento e di composizione, di avere tantissima curiosità. Ascoltare un repertorio più ampio possibile, anche generi diversi dalla musica classica. È passato il periodo in cui la mia categoria era molto bacchettona e pensava che “la musica è solo quella classica”. Rock, jazz ma anche musica leggera e contemporanea influenzano l’opera oggi. Poi di fare molte esperienze all’estero, avendone la possibilità. Messina è un’ottima città per iniziare gli studi, c’è un ottimo conservatorio, ma il mestiere del musicista non ha patrie, impone esperienze di questo tipo. La musica è un linguaggio universale, se domani vado a dirigere in Giappone mi capiscono grazie ai gesti, anche se non parlo. Inoltre in tutto il mondo sono in uso delle terminologie italiane, di fatto abbiamo inventato noi l’opera lirica. Il musicista italiano nel mondo non si trova mai spiazzato.

Fonte: Eco del Sud

Torni con piacere a dirigere a Messina? Come è andato il concerto di Capodanno?

Il teatro di Messina  è stato un teatro che mi ha dato tantissime opportunità e tantissimo spazio, tra l’altro ho lavorato con musicisti che conoscevo già e con i quali avevo molta confidenza. Tornare è bello perché ho fatto tanta esperienza con loro e più si è abituati lavorare ripetutamente con un’orchestra, più il risultato finale è migliore. Parenti e amici vengono agli spettacoli, quindi forse sono più ansioso quando dirigo a Messina, perché so che avrò tante persone che saranno sincere e crudeli nei giudizi.

Cosa cambieresti di questa città?

[Ride n.d.r.] Quanto tempo ho? E quante pagine hai, soprattutto.

In genere mi mantengo sulle 1000 parole massimo, ma per questa domanda facciamo un’eccezione.

È difficile scegliere poche cose. Ma non sono uno di quei messinesi che se ne va e critica Messina, perché è facile andare fuori e poi fare paragoni. Se restiamo nel mio ambito, cambierei il fatto che non c’è un’orchestra stabile. Nasce nel 1994 ma non è diventato per i musicisti un posto di lavoro fisso. Non mi riferisco al punto di vista economico, ma parlo da musicista. Un’orchestra è qualcosa che si costruisce negli anni, non è un lavoro che puoi fare un giorno sì e un giorno no. Per arrivare a un livello alto ci vogliono almeno 10 anni di lavoro costante. Quindi per me quello che manca a Messina è la continuità dal punto di vista musicale, anche perché la città ha una grandissima tradizione. Dopo il terremoto il Teatro ha avuto artisti di livello, ma sempre in qualità di ospiti, selezionati con concorsi e audizioni. Adesso c’è meno spazio per la musica, per una questione di costi: per fare un’opera lirica sono necessari 60 musicisti, 40 coristi, 10 cantanti solisti in media. Dietro il palcoscenico c’è un mondo, tra sarti, macchinisti e tecnici.

 

Chiudiamo questa chiacchierata con la speranza che i consigli di Marco non restino inascoltati.

È necessario, in un’epoca nella quale persino le librerie sono costrette a chiudere, non dimenticare l’importanza dell’arte e della cultura, in tutte le sue innumerevoli sfaccettature.

Emanuele Chiara

Immagine in evidenza: messinaweb.eu

Revolver, 1966. L’album della svolta per i Beatles

Quando la musica pop diventa arte… A partire dalla copertina! Voto UvM: 5/5

 

 

 

 

Discogs.com

 

Meno famoso rispetto al successivo Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band, ma sicuramente non meno importante nelle carriera discografica dei Beatles è Revolver, pubblicato il 5 agosto del 1966.

Perfetto equilibrio tra pop e canzone d’autore, tra accenni alla musica colta e soft rock, Revolver – e questo per alcuni può essere una pecca- è un album molto più eterogeneo del Sgt Pepper, un viaggio travolgente di ben 14 tappe in cui non viene mai meno la curiosità di chiedersi: e adesso cosa viene dopo?

Dal rock mordace di Taxman o She said She said alla ballad romantica Here There and Everywhere, dagli echi barocchi di For no One a quelli orientali di Love you to, passando dagli archi di Eleanor Rigby al motivo monocorde di Tomorrow Never Knows (pezzo più ostico per i fan), in Revolver nessuna traccia è uguale alla precedente. Sia per temi sia per musica.

Sicuramente l’album della maturità.

Lontani sono i tempi del semplice e immediato rock’n’roll,  dei testi genuini e immediati, ma non certo profondi e originali.

Il settimo album del quartetto di Liverpool apre definitivamente le porte alla sperimentazione e a un più accurato lavoro in studio (percorso già accennato dal precedente Rubber Soul) e stacca dal gruppo l’etichetta di cantanti per teenager, facendolo arrivare alle orecchie di un pubblico più vasto, un pubblico attento alle note, ma soprattutto alle parole, alle storie, ai mondi nascosti dietro una canzone.

Ecco la novità forse più notevole di Revolver al di là delle innovazioni sonore… Ogni canzone racconta una storia, ogni nota è capace di dipingere a tinte vivide un mondo in cui i suoi autori ci vogliono proiettare.

Got to get you into my life, ode molto velata alla marijuana, è in grado di trasmettere all’ascoltatore la tipica euforia da droghe leggere. Ideale da ascoltare quando non si ha voglia di alzarsi dal letto e serve tutta la carica giusta per affrontare la giornata!

Eleanor Rigby che raccoglie il riso sul pavimento della chiesa e Father McKenzie che rammenda i suoi calzini nel buio della notte sembrano scenette uscite direttamente da un film neorealista tanto è la cura per il dettaglio nel descrivere due personaggi esempio della solitudine umana.

« All the lonely people/ where do they all come from?» (Tutte le persone sole da dove vengono?)  è infatti la domanda quasi filosofica del ritornello.

Ma la sfida la lancia un criptico Lennon nell’ultima Tomorrow never knows.

«But listen to the colour of your dreams/ It is not leaving, it is not leaving                                                                               So play the game “Existence” to the end/ Of the beginning, of the beginning»

(Ma ascolta i colori dei tuoi sogni/ Non è vivere, non è vivere                                                                                                    Perciò gioca il gioco “ Esistenza” fino alla fine/ Dell’inizio, dell’inizio)

 

«Avete smesso di essere carini e simpatici» dirà Dylan a McCartney qualche anno dopo.

In realtà il periodo “carino” era già finito con Revolver.

 

              Angelica Rocca

 

 

 

Mish Mash day 1: Milazzo fa sciogliere anche i Pinguini

Dopo il Welcome Day, il Mish Mash entra nel vivo, anche se un po’ in ritardo, con l’apertura dei cancelli che slitta di un’ora rispetto al previsto. Poco male, se l’attesa è addolcita dal panorama mozzafiato e da una luna quasi piena che illumina il Golfo di Milazzo.

Day 1 – Mish Mash Festival 2019

A confermare queste impressioni sono stati anche i rovere, la band bolognese prima ad esibirsi che ha definito il Castello di Milazzo: <<per pubblico e location il miglior posto dove abbiamo mai suonato>>.

rovere – Day 1

Il programma di giornata è consistente per perdersi in chiacchiere ed in fondo lo spettacolo è cominciato come previsto alle 22 in punto con l’ingresso dei membri della band apripista sulle note di “Caccia militare” tratta dal loro primo ed unico album (ci hanno assicurato fino ad ora) disponibile anche in mogano.

Risultati immagini per disponibile anche in mogano

E se per qualcuno l’utilizzo del minuscolo nei confronti di questi artisti può sembrare poco professionale da parte nostra, i veri fan sanno che è la loro caratteristica. Tutto il contrario è stato invece l’entusiasmo che si respirava tra il pubblico, vista la prestazione che è stata MAIUSCOLA!

Lorenzo Stivani (Stiva dei rovere) ed Emanuele (UVM) – Day 1

Si sono destreggiati tra una canzone e l’altra (regalando anche un inedito), sempre coinvolgendo il pubblico ed omaggiando – oltre alla location – anche un’altra perla del nostro territorio: hanno invitato il pubblico ad urlare “arancino” con tanto di instagram stories-sfida con l’arancina del concerto precedente ad Alcamo (ne saremo usciti sicuramente vincitori).

dal profilo instragram dei rovere (@rovereband)

Insomma, possiamo affermarlo con certezza: il perfetto inizio in previsione degli ospiti più attesi della serata, i Pinguini Tattici Nucleari. In fondo erano loro il “pezzo mancante” per una perfetta notte, non a caso la prima canzone è stata proprio “Tetris” tratta da Gioventù brucata.

Pinguini Tattici Nucleari – Day 1

Hype a mille per la loro esibizione, anche se loro stessi affermano di esserne fuori, ed ampio spazio dedicato al disco che li ha resi più famosi: Fuori dell’Hype (2019). Le aspettative non sono state deluse: tutto il pubblico ha accompagnato gli artisti durante tutte le canzoni, dalle più datate “Cancelleria” (da Il Re è Nudo, 2014) fino alle più recenti “Verdura” e “Lake Washington Boulevard”, tratte dall’ultimo album.

Degno di nota lo spirito di Riccardo, il frontman che riesce a spiegare il significato di ogni canzone senza annoiare il pubblico grazie al suo carattere dirompente ed esuberante.

©Marina Fulco – Riccardo Zanotti (Pinguini Tattici Nucleari) – Day 1

Dopo che tutti i componenti avevano già lasciato il palco, in attesa del successivo artista, sono rimasti ancora per un ultimo pezzo: non hanno potuto non accontentare i tanti fan che chiedevano a gran voce “Irene”. Detto fatto, così i Pinguini salutano Milazzo.

Emanuele (UVM) e Pippo Sowlo – Day 1

La serata continua, con qualche spettatore in meno, accogliendo Pippo Sowlo, artista emergente della scena trap romana, che ha basato la sua carriera – un solo album e qualche singolo – sulla parodia di altri artisti e di sé stesso. Il suo stile presenta forti influenze da temi di attualità trattati sempre e rigorosamente in chiave black humor.

©Marina Fulco – Pippo Sowlo – Day 1

La più orecchiabile è però “Sirvia” (da Ok Computer Però Trap), chiara parodia delle canzoni tipo di Carl Brave. Nonostante la folla fosse diminuita, non mancavano i fedelissimi del cantante e lui non si è risparmiato in battute ed autoironia, fermandosi dopo la sua esibizione proprio sotto il palco.

il Dj @ciaosplendore – Day 1

Dulcis in fundo il Dj Splendore (il quale vanta tra l’altro collaborazioni con artisti del calibro di Cosmo). Lieta sorpresa del festival, ha animato per circa 2 ore in maniera veramente piacevole con un sound techno leggero, che ha ripopolato fino a notte fonda il sottopalco. L’essere in ritardo sulla scaletta non è per nulla pesato ed allo stesso tempo lui non si è risparmiato.

Bilancio finale: festival variegato e divertente, con artisti giovani e frizzanti che hanno saputo non solo suonare, ma anche intrattenere interagendo con i numerosi accorsi, facendo assumere al festival le sembianze di un vero e proprio show.

©Marina Fulco – Day 1

Esperienza sicuramente da rifare!

Claudia Di Mento ed Emanuele Chiara

Mish Mash: ecco il welcome Day secondo UniVersoMe

Eccoci arrivati all’evento più atteso dell’estate: il Mish Mash fest. Ormai arrivato alla quarta edizione, si prospetta riconfermarsi come uno dei più importanti della provincia di Messina e non solo. Nella suggestiva ambientazione dell’antica Milazzo: il Castello. 

Molti sono stati i gruppi e i cantanti a suonare nelle precedenti edizioni sul palco di questo festival e molti di essi hanno raggiunto un successo notevole nella scena indie italiana: Calcutta, Gazzelle, Carl Brave, Frah Quintale..

Anche quest’anno sono attesi nomi di artisti importanti e di un certo livello, assieme ad alcuni un po’ meno conosciuti ma ugualmente apprezzati. Ospite d’onore, un artista che ha fatto parte della storia della musica italiana: Nada, per la sua unica data siciliana. 

Il primo giorno dell’evento è stato l’11 agosto, welcome Day a ingresso gratuito. A parteciparvi sono state tre band susseguite da vari dj set.

Partiamo dai Basiliscus P.: gruppo rock sperimentale di Messina, presentano un’influenza proveniente dal primo indie, dallo psych rock e desert rock. Siamo riusciti a intervistare Federica e Luca rispettivamente chitarra e batteria, che ci raccontano di loro dopo esser da poco tornati da un tour nel Lazio.

Siete qui al Mish Mash dopo aver vinto un Contest musicale lo scorso dicembre. Siete emozionati?
Abbiamo vinto la maratona musicale al Perditempo. Non ci sentiamo molto emozionati, è una bella ambientazione. È la prima volta che siamo qui, ma lo conosciamo come uno dei più importanti della Sicilia.

Suonerete brani del vostro album Placenta?

Sì, ma non solo. Abbiamo dei pezzi nuovi, del nuovo disco che uscirà nel 2020. È la seconda volta che presentiamo questi brani, speriamo funzioni.

Avete recentemente avuto delle date in Lazio. Com’è andata?
Sì, siamo stati a Latina e al B-folk di Roma. È andata bene soprattutto a Latina, in un circolo Arci. Pensiamo di tornarci presto, magari in inverno.

Non ci sono molti gruppi come il vostro. Quali sono le vostre influenze musicali?
Qualche anno fa ce n’erano di più, adesso un po’ meno. Le nostre influenze sono Sonic Youth, Motorpsycho, Frank Zappa. Una canzone nuova è ispirata a lui. Poi Pink Floyd, anche se è quasi scontato. Molte provenienti dagli anni ’70 e ’90. Quello che ascoltiamo ci influenza molto su quello che poi andiamo a suonare.

Come avete iniziato?
Abbiamo iniziato con un altro gruppo: Federica suonava il basso e io (Luca) la chitarra. Avevamo una cover band del Teatro degli Orrori, ma non è durata molto. Poi siamo passati ad una dei Verdena, ma è andata uguale. Ognuno scriveva dei pezzi e così abbiamo pensato di creare questo gruppo.

©Marina Fulco – Mish Mash Festival 2019

Le impressioni del loro live sono state ottime. Regalano un concerto potente, intenso e apprezzatissimo. Tanta tecnica, sintonia e improvvisazione.

Altro gruppo che si è esibito è stato rappresentato dagli Aspra Dimora Klan, che, provenienti dalla cittadina di Barcellona Pozzo di Gotto, raccolgono il pubblico sotto il palco a scatenarsi. Anch’essi vincitori del contest, hanno influenze che spaziano dalla drum and bass alla grime.

©Marina Fulco – Mish Mash Festival 2019

Per finire, i Bangover Crew da Palermo, che con musica elettronica contemporanea e ricercata hanno fatto ballare il pubblico per tutta la notte.

©Marina Fulco – Mish Mash Festival 2019

Oltre alla musica, anche l’arte ha fatto da padrona e si è ben miscelata alla musica, in questo luogo che da più di mille anni sovrasta e protegge la nostra città. Infatti all’interno del Castello di Milazzo sono presenti varie installazioni e opere artistiche di un certo livello. Attenti e sensibili ai problemi ambientali, a partire da quelle presenti nel Museo del Mare da poco inaugurato (in cui è esposto lo scheletro del capodoglio Siso), come l’installazione di Giuseppe La Spada e Alice Invernici, fino a quelle di Andrea Sposari e Nuuco presenti nel percorso diretto al Monastero dei Benedettini. Infine, la mostra PUPI del Collettivo Flock situata nel Duomo Antico e vicinissima alla storia della Sicilia.

Per essere il primo giorno, il festival si rivela ben organizzato, grazie anche al lavoro di tantissimi giovani volontari che hanno deciso di prestare le loro energie e il proprio tempo per la sua ben riuscita.

Abbiamo parlato con loro, incuriositi dall’entusiasmo che li animava, e sono stati felici di raccontarci la loro esperienza. Tutti hanno raccontato della bella atmosfera che si è creata attorno a questa manifestazione. Alcuni di loro avevano già vissuto il festival come spettatori e ne sono rimasti affascinati. Così hanno deciso di ricambiare l’entusiasmo con il loro tempo. Vengono da diverse zone di provincia e anche di altre parti d’Italia. Alcuni di loro sono qui in vacanza, ma ciò che li ha conquistati è stato l’aver saputo abbinare la musica di qualità ad un luogo così affascinante, sia dal punto di vista storico, sia artistico. Hanno tutti compiti ben precisi: accoglienza e assistenza al pubblico, vendita merchandising, servizi tecnici, informazioni sulle mostre e sui concerti. 

Grazie a Alessandra, Alessia, Serena, Carmen, Alessio.. e tutti gli altri che si sono confrontati con noi di UVM.

Molti gli esercizi della zona che hanno offerto servizio di food & beverage, tra cui la possibilità di un aperitivo al tramonto con la meravigliosa vista sul mare di ponente e le isole Eolie all’orizzonte.

Dalla prima giornata si prospetta un festival che regalerà moltissime emozioni e che rimarrà nella storia del Castello che continua ad essere un centro di cultura, musica e arte.

A cura di Loredana Catalfamo Marina Fulco

Indiegeno fest: free days e il secret artist inaspettato

Dopo il 4 agosto l’Indiegeno fest ha proseguito, continuando a intrattenere il pubblico. Il centro storico di Patti si è illuminato durante la giornata del 6 agosto. A partire dalle ore 21 si sono esibiti vari gruppi e cantautori per poi dare spazio al primo nome: Mustrow.

Romano con un’energia da vendere, presenta influenze blues mescolate a un alternative rock degli anni 90. Coinvolgente, si muove continuamente fino a sdraiarsi sul palco. Dimostra una potenza vocale non indifferente, ma ha ricevuto scarsa partecipazione del pubblico che forse non era pronto a farsi coinvolgere.

Successivamente tocca a Black Snake Moan. Capellone romano sullo stile hippie, meno coinvolgente rispetto al primo ma un ottimo musicista. Suona contemporaneamente chitarra insieme a grancassa e charleston, presenta un suono fortemente americano con sonorità desertiche e psych.

Infine l’atteso e amato artista palermitano Alessio Bondì, il quale fa aumentare le presenze e il coinvolgimento. La serata ci dice che siamo ancora un popolo che tiene alla propria cultura e difficilmente si lascia trasportare da un genere straniero.

Il giorno successivo, il 7 agosto a partire dalle ore 19, è il momento tanto atteso del Secret Artist e le aspettative sono alte. Si parla di Max Gazzè, altri dicono di aver visto Albano. Ma nessuno si aspettava l’entrata di Luca Barbarossa che lascia il pubblico dopo un’ora di concerto. Nonostante ciò, si registrano moltissime presenze anche per la suggestiva ambientazione dei laghetti di Marinello.

Foto e articolo a cura di Marina Fulco

 

Cinque studenti UniMe in trasferta nella caput mundi per il FRU 2019

Il countdown è ufficialmente finito. Tutto pronto per il FRU 2019. Oggi si è dato inizio ai lavori del FRU, il festival delle radio universitarie italiane, che si concluderà il 9 giugno. L’evento è organizzato da RadUni, l’associazione che riunisce gli operatori dei media radiofonici universitari italiani, la cui mission è quella di rispondere a un’esigenza di legame e di condivisione di buone pratiche tra i promotori delle prime esperienze di web radio universitarie italiane. A distanza di un anno, per la seconda volta consecutiva, l’Università degli Studi di Messina rinnova l’adesione al festival giunto alla tredicesima edizione, inviando una delegazione di cinque studenti universitari, membri della redazione UniVersoMe, la testata giornalistica degli studenti UniMe, nonché tutti e cinque speaker radiofonici di Radio UniVersoMe, la web radio di UniVersoMe.

Dopo l’entusiasmante esperienza del FRU 2018 a Cagliari, Radio UVM presenzia ancora all’affezionato appuntamento, ma con diversi partecipanti e in una diversa location. È la capitale, nell’Università Roma Tre, lo scenario scelto per ospitare lo svolgimento dell’edizione 2019 del FRU. Quest’anno tocca agli studenti Francesco Burrascano, Giuseppe Cannistrà, Alessio Caruso, Elena Perrone e Ilaria Piscioneri, che saranno protagonisti attivi, insieme ai rappresentanti di altre emittenti universitarie provenienti da tutta Italia, di quattro intense giornate che prevedono un programma fitto di attività, consultabile nel seguente link al sito: https://www.raduni.org/fru19/.

Dalle conferenze e i dibattiti sui temi della radiofonia, delle nuove tecnologie e della comunicazione, agli workshop interattivi, i nostri inviati avranno modo di confrontarsi con altri appassionati aspiranti radiofonici e giornalisti, e di prendere parte a momenti altamente formativi di incontro con relatori d’eccellenza e professionisti esperti del settore che sveleranno alcuni segreti del mestiere. Ma non finisce qui. La manifestazione rappresenterà anche un banco di prova stimolante in cui poter esercitare e dimostrare le proprie competenze, cimentandosi in delle sfide, le cosiddette speaker challenge. Durante il festival saranno premiati il miglior format radiofonico universitario e la migliore voce. Ultimo ma non meno importante elemento immancabile sarà la musica, componente fondamentale non solo in radio, ma anche come forma di intrattenimento che farà da cornice ad alcune serate, grazie ad artisti del panorama musicale nazionale che si esibiranno in concerti dal vivo.

Le anticipazioni possono bastare. Non si può rivelare troppo. Il resto dovrete scoprirlo leggendoci sul sito https://universome.unime.it. Per restare aggiornati e non perdervi contenuti inediti in diretta da Roma, collegatevi sui canali social di UniVersoMe:

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Giusy Boccalatte

La Filarmonica Laudamo e il conservatorio Corelli in concerto su brani di compositori italiani emigrati in America

“La musica sull’Oceano. Quando gli emigranti eravamo noi: compositori di origine italiana in America”: questo il titolo del concerto, tenutosi Domenica 12 Maggio nell’Auditorio Palazzo Della Cultura Antonello Da Messina.

Orchestra di Fiati del Conservatorio Corelli di Messina, direttore d’Orchestra: Lorenzo della Fonte

Protagonisti la Filarmonica Laudamo con Orchestra di Fiati del Conservatorio Corelli di Messina, con direttori d’Orchestra: Lorenzo Della Fonte ed Eugene Migliaro Corporon.
Corporon, personaggio di fama mondiale nel campo della Musica per orchestre di Fiati, è stato ospite d’onore insieme a  Vincenzo Paci, primo clarinetto al Teatro la Fenice di Venezia.

Le musiche erano di compositori americani di origine Italiana, Vincent Persichetti, Frank Ticheli, Michael Gandolfi, John Corigliano.

Abbiamo intitolato questo concerto a queste figure per non dimenticare che a volte si parte per il bisogno, per la necessità, per la disperazione. A volte le partenze fanno crescere qualcosa di importante dall’altra parte. Noi italiani abbiamo portato parte della musica negli Stati Uniti. Dobbiamo essere orgogliosi di questo, e soprattutto abbiamo anche trovato un popolo, una nazione che ci ha accolto tutti.

Queste le parole di introduzione del Direttore d’Orchestra, Lorenzo Della Fonte.

Dietro le quinte intervistando i grandi Maestri….

Intervista a Vincenzo Paci:

Cos’è per lei la musica?

La musica è divertimento, divertirsi e far divertire! È qualcosa che viene da dentro, non solo note: è passione, amore per i suoni e per lo strumento, energia.

Come mai tra tanti strumenti ha prediletto proprio il clarinetto?

Perché da bambino a 8 anni nel mio paesino in provincia di Agrigento è venuto un trio del Teatro Massimo di Palermo: clarinetto, flauto e fagotto. Il fagotto era troppo basso e non si sentiva, per il flauto era necessario tanto fiato. Ho scelto il clarinetto perché era quello che si sentiva di più. In seguito ho conseguito una serie di studi.

Ho studiato a Palermo, in Germania, a Roma, per specializzarmi e non avere mai angoli oscuri nella musica, nella conoscenza dello strumento.

Tutto deve esser chiaro nella nostra mente, prima di donarlo agli altri. Io mi considero un attore. Il musicista è un attore, interpreta qualcosa, come un attore di prosa, di cinema.

Lei ha suonato in diversi Grandi Teatri del mondo: a Parigi, in America, in Cina. L’emozione è diversa in teatri più piccoli? Le batte ancora il cuore prima di entrare in scena? 

È sempre emozionante suonare ovunque. Si cerca sempre di suonare al massimo anche in posti piccoli e con pochi spettatori.

Bisogna dare il massimo principalmente per sé stessi.

Mi batte ancora il cuore, certamente! Se non si provano emozioni non è possibile donarle. 

Qual è il suo brano preferito? 

La Bohème di Puccini, la Traviata, Le Sinfonie di Beethoven. Non ho un brano in particolare. Tutta la musica mi piace. In ogni frase cerco sempre qualcosa di bello che mi appartiene.

Nei periodi della vita son cambiati un po’ i miei gusti. Tutti i compositori mi attraggono. Da qualche anno ho scoperto Mozart, più degli anni passati. Ogni periodo ha la propria musica, dipende anche dagli studi conseguiti, dalla propria maturità artistica.

Per comprendere la musica classica ci vuole una certa maturità. Più si va avanti con gli anni, più si capiscono alcune cose, si colgono i dettagli e si apprezzano i differenti autori.

Intervista al Direttore d’Orchestra Lorenzo Della Fonte, che con brevi e concise parole risponde con eleganza e risolutezza.

Qual è stato il suo primo incontro con la musica?

In banda, come credo per quasi tutti. Quando avevo 8 anni, ho iniziato a suonare il clarinetto.

Che cos’è per lei la musica?

È una domanda difficile. È un modo di sopravvivere alle cose brutte del mondo.

Secondo lei cosa rende eccellente un direttore d’Orchestra?

È necessaria una grande dose di tecnica per non sbagliare e non mettere in difficoltà gli strumentisti.

Oltre alla tecnica serve qualcosa da comunicare; i grandi direttori d’orchestra hanno qualcosa da comunicare, trasmettono quel qualcosa. Spero di averlo anche io.

Cosa consiglia ad un giovane che sogna di diventare direttore d’orchestra?

Bisogna studiare musica, composizione, sapere come funziona la musica nel dettaglio. Consiglio di affidarsi ad un bravo maestro che sia in grado di insegnare la tecnica, paragonata a qualsiasi strumento.

Poi è importante essere curiosi, leggere tanti libri, vedere tante mostre di dipinti e balletti; e soprattutto star in mezzo alle cose belle.  

Direttore d’orchestra Eugene Migliaro Corporon

 

Intervista al Maestro Eugene Migliaro Corporon:

Che cos’è per lei la musica?

Una risposta semplice: la musica è vita, umanità, energia, anima.

Il significato della musica in un concerto è comunicare alla gente, ispirare e connettersi. La musica è sempre un’opportunità di connessione spirituale.

Quando ha deciso di fare della musica una carriera vera e propria?

Ero veramente molto giovane, la musica mi ha parlato. Quando suonavo ho capito che era quello che volevo fare, lo sentivo. So che può sembrare folle. Ero un bambino molto appassionato e facevo seriamente già da piccolo.

Si ricorda la prima volta che ha incontrato la musica? Vuole parlarcene?

La prima volta? Era prima della mia nascita. Quando ero ancora nel grembo di mia madre. Lei suonava il piano e mio padre cantava.

Cosa suggerisce ai giovani che sognano di diventare direttori d’orchestra?

Suonare veramente bene uno strumento. Il pianoforte aiuta moltissimo a divenire un bravo musicista. Guardare e ascoltare la musica nei concerti, e poi studiare il corpo del pezzo, dei brani. Sa, ci sono molte donne che conducono orchestre!

C’è un brano che le piace in particolare, che ci consiglia ascoltare?

I miei pezzi preferiti sono quelli su cui io lavoro, quelli che dirigo nelle mie orchestre. Io scelgo di condurre solo quelli veramente belli. Ci sono veramente grandi performance su YouTube: le bande, le orchestre. Sono facili da trovare, per ascoltare buona musica.

Daniela Cannistrà

Alta Fedeltà: il mercatino dei dischi in vinile a Messina

Nel pomeriggio di Domenica 12 Maggio si è tenuto il “Mercatino del vinile” alla Stanza dello Scirocco, centro culturale che ha sede in Via Verdi dietro al Rettorato. Entrando nel locale si ha l’impressione di essere in una casa, c’è un attaccapanni sulla sinistra e un arredamento domestico rende l’aria accogliente. Questa domenica c’era musica messa da Francesco, l’organizzatore del mercatino. Francesco ha lavorato a Roma come dj per 15 anni e ha sempre lavorato con il vinile.

©SofiaCampagna – “Mercatino del vinile” , Messina, 2019

Ha raccontato un po’ di storia della musica in analogico. Innanzitutto, il vinile è plastica, il nome viene da PoliVinilCloruro, la classica plastica PVC. È un’invenzione americana degli anni ’50 che si è presto diffusa in Europa. Il primo vinile è stato il 45 giri, che significa che in un minuto il disco gira 45 volte, chiamato anche NP, cioè Normal Playing. All’inizio degli anni ’60 è arrivato il 33 giri o LP cioè Long Playing, disco di maggiori dimensioni che fa poco più di 33 giri al minuto. Il classico 45 giri conteneva un brano per lato, costava poco e aveva un’ottima qualità del suono. In quegli anni si fruiva della musica attraverso il 45 giri. La discografia era diversa, infatti prima non esisteva il concetto di album. Di un artista usciva volta per volta un nuovo brano e si comprava il 45 giri per ascoltarlo. Con l’avvento del 33 giri, che conteneva più brani per lato, di conseguenza è anche cambiata la discografia.

©SofiaCampagna – “Mercatino del vinile”, Messina, 2019

Dalla prima sala della Stanza dello scirocco, un corridoio porta alla cucina dove delle ragazze fanno del pane condito e danno a poco calici di vino a km zero. In fondo al corridoio c’è una seconda sala con un divano e dei mobili su cui erano messi in esposizione i dischi dei quattro venditori. Ma come si fa a stimare il valore di un disco in vinile? Questi venditori esperti in materia, hanno risposto che i criteri sono: reperibilità, stato di conservazione del disco e qualità del vinile: può essere più o meno spesso; se è più spesso suona meglio perché ha un solco più profondo. La puntina di diamante entra nel solco mentre il disco gira sotto, all’interno di questo ci sono incisioni trasversali (per questo si dice “incidere” un disco) che fanno vibrare in su e in giù la puntina. Queste vibrazioni sempre differenti vengono portate ad un trasduttore che le trasforma in suono. Se il solco è più profondo la vibrazione della puntina è maggiore e il suono è migliore.

©SofiaCampagna – “Mercatino del vinile” , Messina, 2019

Il locale ha anche un terrazzo che dà sulla strada con dei tavolini dov’è riunito un gruppo di amici. Molti di loro sono troppo giovani per aver vissuto gli anni in cui l’unico modo per ascoltare musica era il vinile, non sono quindi lì per cercare dischi sentiti in gioventù, ma per passione. Sorge spontaneo chiedersi perché preferiscano ascoltare musica da un disco in vinile invece che da un CD. Hanno risposto che per ascoltare buona musica in vinile bisogna avere un buon impianto: giradischi, amplificatore e casse. Inizia a essere considerato valido dai 600 euro in su. E naturalmente la qualità del disco deve essere buona. Con queste prerogative i motivi che fanno appassionare al suono del vinile sono diversi. Alcuni dicono che il suono è più caldo e più fedele alla realtà, come se il cantante fosse lì presente nella stanza. Altri dicono che è una questione di atmosfera. Con gli apparecchi di oggi si può certamente ottenere una qualità dell’audio migliore, è il gesto di rito che fa la differenza. Si prende il disco dalla copertina con attenzione senza toccare la parte incisa su cui dovrà scorrere la puntina, lo si mette sul giradischi e il disco inizia a girare senza suono, si porta il braccio e quindi la testa del giradischi sulla parte più esterna non incisa e delicatamente si appoggia, si attende che la puntina arrivi al solco e che il brano inizi. Allora il movimento diventa musica. Nel CD non si vede questa trasformazione mentre avviene, il disco sparisce nella bocca dello stereo. Non sei tu con gesti precisi e delicati a dare vita al suono. Tra di loro c’è chi ama ascoltare in vinile il genere Jazz, chi l’Opera Lirica, chi ha invece a casa la collezione completa dei vinili di Guccini. Moltissimi sono concordi sul fatto che da ascoltare in vinile non c’è niente di meglio che i Beatles.

©SofiaCampagna – “Mercatino del vinile”, Messina, 2019

Il prossimo mercatino si terrà probabilmente dopo l’estate. Ma non finisce qui, alla stanza dello scirocco accadono molte altre cose interessanti: Mario, il presidente del Centro Culturale, ha detto che alla Stanza dello Scirocco si organizzano eventi con cadenza settimanale come un corso gratuito di English Conversation, e mostre. Ad esempio domenica era in mostra un artista che fa opere con piccoli giocattoli per bambini e oggetti colorati. Spesso si organizzano anche aperitivi sociali con vini locali e cibo a poco.

                                 Flavia Tecleme

Messina al Massimo: convention di Sport, Solidarietà e Spettacolo

Venerdì 12 aprile 2019. Ore 18.30. Palacultura “Antonello da Messina”.  Grande evento di musica, sport e beneficenza. L’assessore con delega allo sport, Giuseppe Scattareggia, insieme alla società pongistica Messina, appartenente al presidente Massimo Minutoli, hanno festeggiato e osannato Massimo Girolamo, affetto dalla sindrome di Marinesco-Syogren, che comporta difficoltà nel coordinare i movimenti e il linguaggio. Il campione, allenato dal tecnico Salvatore Caruso, è balzato agli onori di cronaca portando in alto il nome di Messina nel mondo, grazie alla conquista di ben due medaglie di bronzo ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi, sede dei recenti XXXIV Giochi Nazionali Estivi Special Olympics.

Una Giornata di Sport, Solidarietà e Spettacolo. Il fine dell’evento organizzato era quello di diffondere il verbo mediante cui, attraverso lo sport, è possibile l’abbattimento di tutte le barriere. Lo sport come importante strumento di integrazione ed inclusione di tutte le persone a rischio di emarginazione, tra cui le persone con disabilità, facendo loro conoscere il proprio corpo in tutte le potenzialità, ponendolo in un’ottica positiva da valorizzare e far esprimere e non come ostacolo e impedimento; rivoluzionando i cliché della vita, fornendo speranza e nuovi obiettivi. Lo sport come arma sovversiva contro i pregiudizi esterni. Ed è proprio questo che avviene negli Special Olympics, l’attenzione sulla disabilità svanisce, si ammirano soltanto i talenti e le abilità che ogni atleta possiede.

Testimonial della serata l’ex capitano del Messina Carmine Coppola. L’evento è stato trasmesso in diretta da radio “Zenith” mentre, l’intrattenimento musicale è stato affidato ai “I Vano Moto”, ha condotto e animato la kermesse Helga Corrao. Durante la manifestazione è stata premiata anche la dodicenne messinese Arianna Broccio, divenuta la più giovane campionessa italiana di pugilato.

Gabriella Parasiliti Collazzo

Fabrizio De Andrè: Musica, Poesia e Società

Lunedì 1 aprile 2019. Ore 15:40. Auditorium del Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università di Messina. L’associazione Must, ha dato vita ad un incontro intitolato “Fabrizio De Andrè: Musica, Poesia e Società”, in occasione dei 20 anni dalla scomparsa del famoso cantautore.

Durante l’incontro sono intervenuti il professore Giorgio Forni, ricercatore universitario, il professore di comunicazione e giornalismo Francesco Pira e il professore Marcello Mento, giornalista della Gazzetta del Sud. Ai partecipanti sono stati riconosciuti 0,25 CFU.

Nel corso del convegno sono state analizzate le canzoni di De André come vere e proprie poesie del Novecento italiano, un’indagine concentrata sull’umanità dell’autore e dei testi, sui temi e i sentimenti più forti: la necessità dell’amore, l’incombenza della morte, la ricerca di Dio.

La musica leggera italiana, dal principio sino ad ora, ha conosciuto trasformazioni perenni, metamorfosi, innovazioni del linguaggio, dei contenuti e dei destinatari. Come ogni arte è specchio di informazioni sull’uomo.

L’esordio di Fabrizio De André come cantante coincide con un periodo di palpabile fermento nel mondo della musica e nella società italiana. A questa fase di rinnovamento egli partecipa attivamente, muovendo la sua personale ricerca in direzione di nuovi contenuti e nuove forme. La finalità di De André e di altri cantautori è accompagnare alla musica una maggiore profondità testuale, una varietà di argomenti “alti” e “altri” rispetto alla tradizione canzonettistica del paese. Ne consegue la necessità di conformare alle nuove e più impegnate tematiche un linguaggio e una forma adatta a sostenerne lo slancio.
Nell’ascoltare le canzoni del cantante genovese ci si accorge immediatamente della cura che la scelta di ogni parola ha richiesto. Come nella poesia ogni termine occupa un suo posto specifico, per contenuti, musicalità, esigenze metriche o stilistiche, allo stesso modo, nelle canzoni di De André, la parola impiegata colma tutto lo spazio a sua disposizione e ha un’assolutezza che la fa apparire come insostituibile.

Fabrizio De André era maniacale, perfezionista e puntiglioso, capace di stare per giorni interi a cercare la parola giusta da incastrare in un verso, ma era anche un grande compositore musicale, oltre che attento ricercatore di musica antica e popolare. Spicca la perfetta fusione fra una melodia leggera anche se drammatica, e un testo che dietro alla poesia, volutamente ingenua. Uno degli stratagemmi musicali utilizzati dal compositore durante la prima parte della sua carriera era l’alternanza tra la tonalità di La minore e quella di Do minore. L’ascoltatore, nei testi di Faber – così soprannominato per la sua passione per le matite colorate –  si immerge completamente. Il cantautore spesso si appropria di stili, sonorità o addirittura di melodie, prese in prestito dalla sua memoria.

L’ultima grande fonte di influenza, una tra quelle che maggiormente hanno caratterizzato il suo stile musicale, è stata la musica etnica. Molteplici sono state le influenze folcloristiche nella musica del Maestro, partendo dalle influenze del bacino mediterraneo, ad esempio con l’utilizzo del classico giro armonico della tarantella napoletana o come il dialetto genovese  che riesce a fare da base ad una straordinaria serie di influenze musicali mediterranee, che vengono dalla Catalogna, attraverso la Sardegna e si spingono fino al medio oriente, per poi risalire in Grecia ed arrivare a lambire i Balcani.

Vent’anni fa, l’11 gennaio 1999, se ne andava Fabrizio De Andrè. Ci resta la sua buona novella, chissà se qualcosa l’abbiamo imparata interrogandoci su come avrebbe cantato questo nostro tempo.

Gabriella Parasiliti Collazzo