… soltanto a Messina si potevano coniare monete in Sicilia?

A Messina è consuetudine far due passi in centro lungo il viale San Martino o, nelle belle e fresche sere di qualsiasi stagione, in piazza Duomo e per finire in Piazza Cairoli, nonchè in tantissimi altri posti ormai da tempo valorizzati.  Così, chiacchierando con qualche amico, i due passi diventano oltre mille e si conversa per qualche ora.

Uno degli argomenti sui cui spesso si discute, tra i tanti, è “la cultura a Messina”. Cultura generalmente parlando, senza entrare mai nello specifico.

Ognuno di noi dice la sua su cosa si dovrebbe fare, su cosa si è fatto, in un continuo susseguirsi di “si dovrebbe, forse, mi sa” e di inesperienza sull’argomento, specie in molti giovani coetanei.

La realtà è che non si fa e non si è fatto nulla in termini di conoscenza, come dimostra la sostanziale ignoranza che la maggior parte dei cittadini mostra sull’argomento.

Proprio nell’ottica di favorire lo sviluppo culturale e riscoprire la storia della città di Messina, partiamo da uno spunto: il Ripostiglio Monetale, di notevole valore, noto come  Tesoretto di Castroreale.

Castroreale, fonte: Wikipedia

Correva l’anno 2002: in occasione del 188° anniversario della fondazione dell’Arma dei Carabinieri, è stato presentato a Palazzo Zanca, per la prima volta al pubblico, il “Tesoretto di Castroreale“.

Questo fu ritrovato in contrada Serro di Castroreale (borgo nell’area metropolitana della città di Messina) nel lontano 9 dicembre 1934, durante i lavori agricoli in un appezzamento di terreno da tale Mazzeo Francesco di anni 42.

Il ripostiglio di monete antiche risalenti ad un periodo compreso tra il 1625 e il 1736, consta complessivamente di 48 pezzi(44 d’argento e 4 di lega bronzea).

La dottoressa Maria Amalia Mastelloni, ex dirigente del Museo Regionale di Messina, ha curato il restauro delle monete e ha pubblicato un articolo dettagliato in proposito.

Attualmente il Ripostiglio Monetale è esposto nel Museo Interdisciplinare Regionale di Messina.

Dettaglio monete

Ma quale insegnamento possiamo trarre da un evento così fortuito?

Nel medagliere del Tesoretto, il pezzo più antico è una moneta del 1625, coniata dalla Zecca di Messina nel periodo di Filippo IV di Spagna.

Dettaglio monete

Infatti, fin dai tempi dei Greci è documentata la produzione di monete nella città dello Stretto, punto di snodo commerciale fondamentale all’interno del Mediterraneo.

Ma il massimo sviluppo si ebbe sotto il regno normanno: tra i vari privilegi concessi alla città da re Ruggero II di Sicilia, all’atto della sua incoronazione (1130), è riportato che “soltanto in Messina potesse battersi moneta”.

Il diritto di coniazione per il regno di Sicilia resisterà e sarà più volte riconfermato durante le successive dominazioni (svevi, aragonesi, angioini) fino a seguire l’inarrestabile declino della monarchia Spagnola, cessando definitivamente nel 1754.

Di fatto, l’unico “requisito ideale” che mancò alla capitale Palermo fu proprio il privilegio di Messina: quando il vicerè duca di Alcalà aprì a Palermo un’altra zecca nel 1635, i messinesi fecero ricorso proprio a Filippo IV, il quale ordinò che la nuova zecca fosse chiusa e persino che le monete circolanti fossero raccolte e nuovamente coniate.

Filippo IV di Spagna in un ritratto del 1656 di Diego Velázquez

Di particolare interesse storico sono anche due monete (scudo stretto) della Repubblica Genovese (1679 e 1682), le quali attestano il ruolo dominante negli scambi commerciali dei due importanti porti, messinese e genovese.

A tal proposito ricordiamo che, proprio a cavallo del  XVII e XVIII secolo, molte furono le famiglie liguri e genovesi che si trasferirono in Sicilia e in particolare nell’area del messinese.

I genovesi assunsero in Sicilia una presenza pressoché continua, come testimoniano i nomi delle nobili famiglie che abitarono Messina, ancora oggi riscontrabili nella popolazione messinese: Grimaldi, Ventimiglia, Vento, Marini, Marino, Costa, Ferrari, Ferrara, Conte e tante altre.

Questo è solo un esempio di quanto accadde, ed è ancora oggi riscontrabile, a Messina: ho scelto di raccontare la semplice storia di queste monete, nella speranza che l’amico dei due passi in centro conosca sempre più la nostra e quindi la propria città.

L’excursus su questo piccolo tesoretto rappresenta una testimonianza della nobile storia messinese: un’impronta di ciò che Messina è stata e che dovrà tornare necessariamente ad essere.

Una città realmente centrale nel panorama italiano e internazionale.

Filippo Celi

Bibliografia:

Articolo n. 48  Annali dell’Istituto Italiano di Numismatica, Maria Amalia Mastelloni (è possibile consultare tale pubblicazione nella Biblioteca Universitaria di Messina, collocazione “M.C/MISC/B/2869”)

Fatti memorabili delle Istorie Messinesi, Giacomo Crescenti

Giovedì 10 inaugurazione dell’anno accademico 2018/2019

Sarà il Direttore del Museo Egizio di Torino, dott. Christian Greco, l’ospite d’onore alla Cerimonia d’inaugurazione dell’Anno Accademico, che si terrà giovedì 10 gennaio, a partire dalle ore 17, presso il Museo Regionale di Messina. Dopo i saluti istituzionali del Presidente della Regione Siciliana, dott. Nello Musumeci, della Direttrice del Museo Regionale di Messina, dott.ssa Caterina di Giacomo e del Presidente della CRUI, prof. Gaetano Manfredi, relazioneranno il Rettore, prof. Salvatore Cuzzocrea e il Direttore Generale. Il dott. Greco terrà la prolusione ai Corsi. Alla cerimonia, inoltre, interverranno il dott. Umberto Trimboli, in rappresentanza del personale tecnico amministrativo e  Lavinia Parisi, in rappresentanza degli studenti.

Tutti coloro che non si sono prenotati per assistere all’evento e che non accederanno al Museo Regionale, potranno seguire la diretta della Cerimonia presso l’Aula Magna del Rettorato, oppure collegandosi in streaming al sito web d’Ateneo.

Qui di seguito si allega la locandina con il programma dell’evento: Programma (2)_2

Le opere di Antonello in una grande mostra a Palermo. Il parere contrario degli esperti

Sarà uno degli appuntamenti più attesi nell’ambito delle iniziative conclusive promosse da Palermo capitale della cultura 2018. Nel capoluogo sta per essere infatti inaugurata una mostra dedicata al famoso artista quattrocentesco. L’esposizione, dal 14 dicembre al 10 febbraio, si svolgerà a Palazzo Abatellis, dove già si trova il celebre dipinto dell’Annunciata.

La rassegna intende celebrare in un unico spazio espositivo la personalità di Antonello da Messina riunendo un percorso inedito tra tavole provenienti da diverse collezioni. Il curatore, Giovanni Carlo Federico Villa aveva promosso nel 2006 di un’iniziativa simile alle Scuderie del Quirinale a Roma.

L’idea di questa mostra antologica non è stata però accolta con eccessivo entusiasmo da parte degli esperti in Storia dell’Arte e Beni Culturali. Dopo Palermo le opere di Antonello contenute nel Museo Regionale di Messina dovrebbero essere spostate anche al Palazzo Reale di Milano; il Polittico di San Gregorio e la Tavoletta bifronte per alcuni mesi verranno quindi trasferite altrove e non saranno più disponibili ai visitatori del rinnovato plesso museale di viale Libertà.

Così un gruppo di docenti e operatori culturali ha redatto e firmato un documento per esporre le ragioni della presa di posizione avversa all’iniziativa. Secondo il parere degli esperti spostare il Polittico rappresenterebbe un rischio per lo stato di conservazione della tavola, sensibile ai cambiamenti di umidità e temperatura. Inoltre privare delle opere di Antonello il Museo Regionale di Messina non porterebbe un ritorno di immagine favorevole all’offerta culturale e turistica della città dello Stretto.

Il Prof. Roberto Cobianchi, docente di Storia dell’Arte al DICAM, si è espresso con queste parole:

Se si tratta di un’occasione di studio nuova va bene, altrimenti non ha senso spostare un’opera semplicemente perché è di un autore di grande notorietà. Mi pare che nella bibliografia recente non ci siano delle novità documentali o attributive che giustifichino una nuova mostra su Antonello. Sarebbe auspicabile che il pubblico andasse a vedere le opere nel contesto in cui si trovano e che si abituasse ad andare con regolarità al museo. Non ritengo corretto privare i visitatori del Museo di Messina di quest’opera chiave, se non a fronte di una seria operazione culturale. Purtroppo oggi il pubblico è spinto, a volte con dei sotterfugi pubblicitari, ad andare a vedere le mostre, ma non sempre le mostre danno un vero contributo alla conoscenza dei problemi intono ai quali vengono costruite. Troppo spesso propongono una sequenza di ‘capolavori’ di autori dai nomi molto noti, ma non insegnano nulla. (L’Eco del sud)

Eulalia Cambria

Antonello Gagini: gentil scultore d’arte religiosa

Architettura. Scultura. Statuaria. Queste parole rimanderanno molti di voi al ricordo dei libri del liceo; altri immagineranno, invece, dei semplici agglomerati di marmo, argilla o pietra. Ma, vi è mai capitato di soffermarvi dinanzi ad un’opera – una qualsiasi opera – e chiedervi chi ne è l’autore e cosa lo ha portato a realizzarla? Oggi voglio parlarvi di Antonello Gagini: di chi era, di cosa faceva e di cosa ci ha lasciato.

In questo artista possiamo identificare il massimo esponente del rinascimento siciliano nell’ambito dell’architettura, della scultura e della statuaria.

Nasce a Palermo nel 1478, e già all’età di vent’anni si stabilisce a Messina avviando un’attività di commercio di marmo con la Toscana e la prima bottega di sculture in marmo.

La sua prima opera, l’Arco di Santa Cristina a Palermo, risale al 1477 per essere consegnata nel 1501, qualche anno prima della partenza per Roma. Sarà proprio nel 1505, infatti, che il Gagini compirà un viaggio nella capitale rimanendo impressionato dalle opere di Michelangelo Buonarroti, già maestro del padre Domenico.

Intorno al 1508, si ristabilisce nella città natale avviando un’organizzazione industriale che gli permetterà di fondare la Scuola gaginiana, alla quale aderiranno figli e nipoti, potendo così possedere due botteghe: una di queste utilizzata come cantiere di lavorazione, ed una seconda come punto di esposizione ed esportazione in tutta la Sicilia e la Calabria.

Nelle chiese Maria Maggiore e San Leoluca di Vibo Valentia possono essere, infatti, ammirate le tre rappresentazioni della Vergine Maria – la Madonna delle Grazie, la Madonna della Neve e la Madonna col bambino – e le figure di San Giovanni Evangelista e Santa Maria MaddalenaSan Luca Evangelista. Le sue opere di carattere religioso sono contraddistinte dal tentativo di rappresentare la bellezza della nascita di Gesù, il rapporto del bambino con la Vergine Madre, la presentazione al tempio, l’Annunciazione e i Santi Martiri.

In seguito ad alcune commissioni private e religiose nel territorio messinese, l’attività lavorativa dello scultore si stabilisce per via della forte presenza di scultori lombardi e toscani nella città di Palermo; fu proprio questa decisione a determinare il suo successo artistico e commerciale: a Gagini si deve essere impartito il merito di aver rinnovato, in chiave semplice ed elegante, le caratteristiche architettoniche del luogo ancora ispirate al periodo tardogotico.

Oltre che in molte località della provincia, come a Castroreale e Ficarra, alcune delle sue opere possono essere ammirate nel Museo Regionale di Messina, come la statua marmorea denominata “Santa Caterina d’Alessandria”; nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie di Bordonaro, ove è custodita la statua marmorea “Santa Maria delle Grazie”; e lungo la scalinata del Palazzo D’Alcontres, un altorilievo risalente al 1500. Originariamente commissionato sempre per Palazzo D’Alcontres è anche Lo Spinario, opera verosimilmente ispirata all’arte ellenistica, oggi collocata al Metropolitan Museum of art di New York.

 

 

Erika Santoddì

Museo di Messina: l’Italia è fatta, adesso bisogna fare gli Italiani

Il sabato scorso, dopo mesi e mesi di attesa trepidante, ho finalmente potuto varcare la soglia della sede definitiva del Museo Regionale di Messina, che dalle 20:30 alle 22:30 apriva i suoi battenti gratuitamente al pubblico: la prima apertura completa della struttura museale, a distanza di oltre cento anni dalla sua nascita. Insieme a me una folla notevole (lascio ai contabili del giorno dopo la stima dei numeri, per me erano e resteranno sempre “chio’ssai d’i cani i Brasi”, come si dice a Messina) composta da gente di ogni età, ceto e condizione sociale accorsa da tutta Messina e anche da fuori, anche a seguito della notevole campagna pubblicitaria che questa volta ha coinvolto anche le reti televisive nazionali.

Nel mio personale sentire, il Museo Regionale di Messina, fin dalle prime volte in cui lo visitai da piccolo, è sempre stato un luogo speciale, quasi sacro. Uno scrigno della memoria, come ebbi modo di scrivere in un articolo in occasione della apertura parziale di Dicembre. Un grande tempio laico dedicato a Messina. Mi piace pensare che nessun altro museo al mondo possa vantare una storia simile, anche se forse non è così. La sua storia si intreccia indissolubilmente con quella del Terremoto del 1908: prima era poco più che una pinacoteca comunale sorta dal confluire di collezioni private.

Poi accadde il disastro, e secoli interi della storia e del patrimonio artistico di Messina furono cancellati dalla faccia della Terra. Il moderno Museo Regionale nasce da quelle macerie, dal lavoro paziente di tanti messinesi che si misero a frugare in quelle rovine, a tirarvi fuori tutto ciò che potesse avere un qualche valore storico e artistico, ed ad ammucchiarlo, accatastarlo nella antica sede del convento del SS. Salvatore dei Greci, dove si trovava la filanda Barbera-Mellinghoff, che per tanti anni ne è stata la sede provvisoria. Il loro sogno era che un giorno tutto potesse tornare a vivere, che la antica Messina dei secoli d’oro, la Messina che il terremoto aveva sfregiata, distrutta, annichilita, potesse in parte tornare a esistere. Melior de cinere surgo: come l’araba fenice, anche Messina con la sua storia e la sua cultura sarebbe un giorno risorta dalle sue ceneri.

Ci sono voluti oltre cento anni affinché questo sogno divenisse realtà. Oggi, finalmente, Messina ha il suo Museo Regionale. Un percorso espositivo unico, fra i più estesi del Meridione, in grado di raccontarci secoli di storia: dalla Zancle greca al Medioevo arabo-normanno, dal Quattrocento della Scuola fiamminga e di Antonello fino al Rinascimento, Montorsoli, Calamech, Polidoro Caldara, Alibrandi, allievi di Michelangelo e Raffaello. E poi il seicento, Caravaggio e i caravaggeschi, gli splendori del barocco, gli argenti e i marmi a mischio del Settecento, la lenta decadenza dell’Ottocento. Un viaggio nella storia di Messina dalle origini ai giorni nostri attraverso i suoi capolavori più belli e preziosi. 

Insomma, l’Italia è stata fatta (e finalmente, aggiungerei). Adesso, però, si devono fare gli Italiani. L’apertura completa del Museo Regionale è senza dubbio un traguardo: ma deve essere il primo di una lunga serie. Un Museo così grande e importante come quello che ha appena aperto le sue porte rappresenta una risorsa invalutabile per quello che è e che sarà il turismo culturale nella Città dello Stretto e nei suoi dintorni. Non può né deve permettersi di restare confinato al margine della sua vita sociale; deve, al contrario, rivendicare orgogliosamente il ruolo e la posizione di fulcro, di guida e di punto focale per la rinascita culturale della città. 

Questa nuova apertura pone dunque alla direzione grandi responsabilità, apre nuovi orizzonti e offre nuove sfide. Una ad esempio potrebbe essere quella di porre il Museo, da sempre in una posizione periferica rispetto al centro storico, nel posto che si merita all’interno dei già ridotti circuiti turistici della città. La stagione estiva è alle porte, visitatori e croceristi cominciano timidamente ad affollare le vie del centro; se già adesso è difficile che si spingano oltre il “triangolo magico” incluso fra Piazza Duomo, l’Annunziata dei Catalani e Palazzo Zanca, e forse del Museo Regionale ignorano persino l’esistenza, chi li porterà fino al Torrente Annunziata per vederlo?

Insomma, il lavoro è appena cominciato e servirà un rinnovato impegno, e la formazione di nuove sinergie con il Comune e con gli enti pubblici, affinché il nuovo Museo possa sviluppare in pieno le sue potenzialità benefiche per l’intera città di Messina. A noi visitatori resta la speranza che la recente apertura completa si riveli non un comodo letto di allori su cui sdraiarsi a riposare, ma la prima tappa di un lungo percorso di rinascita: un percorso che abbia come obiettivo finale la riscoperta, agli occhi dei messinesi e del mondo intero, di Messina e della sua bellezza. 

Gianpaolo Basile

Ph: Giulia Greco