“Planet vs Plastic. Un pianeta straordinario tra bellezza e abusi” di Randy Olson National Geographic

Venerdì 12 aprile 2019. Ore 18.00. Palacultura “Antonello da Messina“. Si è aperto un Talk dal titolo “Sostenibilità e innovazione, sfide dovute tra costume, economia e architettura” a introduzione della mostra internazionale “Planet vs Plastic” al quale hanno partecipato: il Presidente della Conferenza permanente interregionale per l’Area dello Stretto On. Mimmo Battaglia, l’Architetto Claudio Lucchesi – studio UFO, l’architetto Renato Laganà – UniRC e il Dott. Francesco Scarpino Amm. Unico e curatore della mostra. L’incontro ha registrato la presenza di numerosi professionisti e appassionati di fotografia.

La mostra, di forte impatto emotivo, è frutto della partnership tra Bluocean e National Geographic di cui Randy Olson è tra i più importanti e storici collaboratori nonché docente del Bluocean’s Workshop percorso di Alta formazione fotografica giunto alla 10 edizione e patrocinato in esclusiva da NatGeo.

Le immagini di Planet vs Plastic mirano a rappresentare il racconto di una sfida sempre più attuale: la straordinaria bellezza del nostro Pianeta mentre è impegnato nella più ardua delle battaglie, ovvero, la resistenza contro l’inquinamento. Il rispetto dell’ambiente e delle sue risorse naturali sono un tema centrale sempre più collegato alle grandi emergenze che colpiscono il pianeta, da quelle idrogeologiche all’inquinamento, in particolare della plastica la quale ha compiuto una vera e propria rivoluzione.

Tema attualissimo per cui l’ONU promuove numerose campagne di sensibilizzazione e l’UE si impegna a ridurre notevolmente, entro il 2030, l’uso di questi materiali.

Anima così tanto le coscienze della popolazione che basti pensare alla piccola Greta Thunberg, la ragazzina di 12 anni, che fa scioperare il mondo contro il riscaldamento globale, famosa ormai in tutto il web per la propria lotta.

La mostra propone un percorso volto all’educazione degli animi del visitatore attraverso opere di grandi dimensioni. Ca 35*50 cm. Una sorta di manifesto a protezione della vita della Terra. Ogni fotografia, uno strumento di persuasione, affinché si possa prendere coscienza che ogni nostro piccolo gesto è finalizzato a mutare in maniera indelebile il volto del pianeta.

La mostra sarà fruibile lunedì, dalle ore 9.00 alle 12.00 e dalle 15.00 alle 19.00; martedì e giovedì dalle 9.00 alle 17.00; mercoledì e venerdì dalle 9.00 alle 13.00.

Gabriella Parasiliti Collazzo

 

Terrabruciata: tra fotografia e presa di coscienza

Quando il 9 Luglio scorso i colli messinesi hanno smesso di ardere, il paesaggio si è stravolto. Ettari di macchia mediterranea sono andati letteralmente in fumo, cumuli di macerie, scheletri di alberi e cenere governavano lo scenario.

 

 

 

Giusi Venuti, filosofa eclettica, e Gerri Gambino, fotografo per abitudine, hanno deciso di percorrere quei sentieri un po’ sbiaditi, arrivando fino al monte San Jachiddu attraverso il Sentiero dei cinghiali.

Dodici fotografie in bianco e nero che sono una presa di coscienza della situazione presentatasi subito dopo l’inferno che la natura ha subìto. Dodici fotografie che mostrano la follia dell’uomo dinanzi la bellezza estrema che non comprende e, senza ragione, distrugge. La mostra, infatti, non è un reportage, non vi è denuncia da parte degli artisti: è il riscontro della constatazione di circostanze antropologiche, culturali e territoriali, di cui tutti siamo complici.

“Non c’è stata alcuna progettazione”, dicono gli artisti, “è come se fossimo stati chiamati dalla natura. Il suo è stato un grido di disperazione, di aiuto.”

La mostra è strutturata come la narrazione della storia di questa vegetazione che è stata deturpata dalla follia e dal delirio dei suoi figli, gli uomini. Anche se si devasta c’è sempre qualcosa di più grande, e Giusi l’ha percepito nell’accarezzare una sughereta (vi sono infatti 4 foto dedicate a questo toccante momento) “Inutile che ragioniamo, c’è sempre qualcosa che ci sfugge. Credevo quell’albero fosse morto, ed invece ho sentito da dentro il tronco una forza di vita devastante e travolgente”.

Gli scatti si concentrano su contrasti tra bianco e nero, poche luci e poche ombre, il movimento era essenziale per trasmettere la realtà che vedevano i loro occhi. “Spesso dico per dispetto a Giusi che sono state eliminate le più belle, ma nel momento dello sviluppo dell’allestimento la scelta è ricaduta su queste 12 fotografie che vedete: un messaggio diretto e scarno, profondo e reale”.

Si dice che la bellezza generi benessere, ed io ne sono fermamente convinta. A volte, però, la stessa bellezza genera un benessere che non riesce a rendere personale per gli occhi che la mirano e, si sa, l’uomo quando non comprende qualcosa dice che è sbagliata. Le sensazioni e le emozioni che si provano osservando quegli attimi congelati variano in base ai movimenti raffigurati: il volto verso l’alto e così anche i rami spogli degli arbusti nello sfondo ricreano quella complicità che si era persa nell’odio e nella rabbia dell’uomo; il tocco delicato della mano di una donna sul sughero poroso rassomiglia alla dolcezza con cui una madre accarezza il frutto nato da lei; il cammino in vesti nere attraverso le sterpaglie rappresentano il percorso vitale di ognuno di noi, che sfortunatamente, molto spesso, esclude Madre Terra.

“Terrabruciata” sarà visitabile (gratuitamente) presso lo Studio Galbo-Marabello, via Ghibellina 96 b a Messina, fino al 5 novembre 2017. Orari: feriali 17-19; sabato, domenica e 1° novembre 10-13 e 17-19.

 

 

Giulia Greco

 

 

“Others”: intervista al fotografo messinese Davide Bertuccio

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Dal 19 al 25 Novembre, presso il Monte di Pietà – sala sud – è in mostra il progetto fotografico “Others” del giovane artista messinese Davide Bertuccio (classe ’91).  Others è il terzo di altri due progetti – “Here” e “Loneliness “ – in cui Davide sottolinea lo strano rapporto che si è creato tra l’uomo ed il “non luogo” in cui abita, ma non vive; definisce l’incomunicabilità che si viene a creare nel mondo reale durante il nostro stato di persone alienate. Sia l’uomo che la città diventano virtuali, situazioni che si ripropongono in ogni agglomerato urbano in cui i cittadini vagano per le strade, quasi per convenzione, creando intorno a se una nube ed isolandosi perdendo l’essenza dell’esistenza.
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Un giorno un famoso fotoreporter disse: Per “significare” il mondo, bisogna sentirsi coinvolto in ciò che si inquadra nel mirino. Questo atteggiamento esige concentrazione, sensibilità, senso geometrico. Quanto ti senti di appartenere alle situazioni che decidi di fotografare?

Tanto ovviamente. Nel momento in cui tu metti l’occhio all’interno del mirino fotografico (e poi “mirino” perché ormai le foto si fanno anche con il cellulare) ed inquadri una fotografia, decidi cosa far rientrare dentro l’immagine e cosa della realtà escludere: questo è fondamentale, per questo, a mio avviso, è importantissimo entrare dentro la storia e quello che vuoi mettere all’interno dell’immagine. Io chiaro, ho la duplice “veste” di fotoreporter e di artista, così mi definiscono! (ma io non amo definirmi così *risata*) io sono un fotografo, come rispondo sempre. Però sono due lavori ben distinti: uno è una messa in scena, vuol dire studi (studio di composizione dell’immagine, scelta dei personaggi) e in questo caso non ho molto rapporto con il mirino perché in realtà è più un rapporto con la mia testa, la mia visione ed il luogo. Per quanto riguarda Davide come fotoreporter il rapporto con il mirino e la realtà è tantissimo perché è più istintivo. Ad esempio sto per partire per la Palestina ed il lavoro è ben preparato: so cosa cercare, che immagini devo ricavare, ma non so cosa aspettarmi! Ed è quello pure il bello ed il difficile del lavoro, sapere cosa cercare e riuscire a coglierlo in quello che è la realtà.img_9580

La fotografia si suddivide in tante categorie, una di queste è il fotoreportage e tu ti definisci un fotoreporter. Quanto questa distinzione è significativa per te?
Secondo me poco, non amo dare delle distinzioni. Partendo dalla base filosofica, il significato originario, fotografia significa “scrivere con la luce”. A noi (io ho fatto l’università di fotografia) ci hanno sempre insegnato: cosa differenzia voi da un fotoamatore? Non la tecnica, perché magari il fotoamatore la possiede e potrebbe essere anche migliore della vostra, bensì la cultura, la quale è la base per tutto. Essere un fotografo non vuol dire saper scattare una fotografia, avere la macchina più cool del mondo, ma sapere perché si scatta quella foto, sapere cosa ci sia stato prima del mio arrivo, ciò necessità di uno studio intenso ed appassionato. Io credo tantissimo nella pre-produzione, che è ricerca. In ogni caso sono fotografo, e secondo me è la definizione giusta da dare per chi fa questo come professione, perché ritengo che siano tutte persone colte.img_9558

Tramite le tue fotografie hai la possibilità di studiare il mondo ed immortalare un momento per l’eternità: con questo progetto hai voluto concentrare la tua attenzione sul rapporto dell’uomo con la città, con l’ambiente in cui abita, ma non vive. In questi anni in cui hai cercato di fermare il tempo, hai notato delle evoluzioni nella società? 
Bella questa domanda, cioè bella contorta! Beh, le differenze macroscopiche non sono state tanto negli altri quanto in me, sono cambiato io e la mia visione del mondo. È normale, studio da tre anni, quindi noto in maniera diversa le cose: prima vedevo il mondo come un ragazzo messinese, privo di una profonda conoscenza che ho poi acquisito con lo studio, ed il mio occhio è cambiato. Quindi studiare fotografia, arte e tutto ciò che concerne la fotografia, mi ha permesso di vedere il mondo in senso critico. Alla fine ho compreso che le persone che non hanno niente, al contrario avevano di più e trasmettevano di più…e viceversa. […]

Quanto ritieni che la foto sia un ferma-immagine piuttosto che il movimento di questa che suscita nel tempo e nello spazio diversi, in coloro che osservano i tuoi scatti? È un ferma-immagine reale o è un movimento che suscita in chi osserva questo ferma-immagine?
Mh…credo che l’uno dipenda dall’altra. La foto è un ferma-immagine, questo non vuol dire però che essa non possa trasmettere qualcosa che sia al di fuori della realtà. La fotografia può essere una rappresentazione della realtà oggettiva, oppure può essere la rappresentazione soggettiva della realtà: questo è il fotografo. Ad esempio una tazzina può essere fotografata da più punti di vista, ognuno la fotografa con quello che è la propria esperienza…già il movimento parte da questo ferma-immagine. Chi lo guarda riceve il messaggio che ha interpretato con la propria visione e secondo il suo trascorso. E questo lo fa qualunque tipo di arte.img_9566-2

Quando sei passato alla post-produzione (momento in cui le foto vengono “ritoccate” ndr) qual è stato il tuo principale obiettivo? Quale verità volevi mettere in luce?
Sostanzialmente la post-produzione, per quanto abbia il suo peso specifico e spesso enorme nell’immagine, cerco di evitarla (da “buon” fotoreporter) e cerco di trovare delle situazioni nelle quali non ci sia la necessità di rielaborare le foto. Inoltre io sono un maniaco, credo tanto nella pre-produzione: controllare il luogo, la luce, rendermi conto del lavoro che ho intenzione di realizzare.

Qualcosa che vuoi dire ai lettori di UniVersoMe?
Beh innanzitutto grazie! Il messaggio più importante, per me, che posso mandare a tutti voi è: cercate di essere curiosi, come diceva Steve Jobs. La curiosità comporta, sopratutto qui a Messina in cui non c’è una vasta gamma di possibilità di scelta, la libertà, il coraggio e credere in se stessi per raggiungere i propri obiettivi e realizzarli e sopratutto mettersi in gioco. Le soddisfazioni arrivano sempre. La curiosità è proprio dietro l’angolo. Noi siciliani abbiamo tutta questa bellezza, la nostra isola ci cresce e questa bellezza l’abbiamo dentro di noi, e la riusciamo a scovare anche nella “bruttezza”. Siate voi stessi.

 

Giulia Greco