Attentato a Mosca: l’ISIS-K rivendica la strage

Lo scorso venerdì quattro uomini armati di fucili automatici, coltelli e armi incendiarie hanno fatto irruzione al Crocus City Hall di Mosca, uccidendo più di 130 persone e ferendone centinaia. La sala concerti si preparava ad ospitare una famosa rock band dell’era sovietica e ancora attiva, i Picnic. Non si conosce l’esatto numero di presenti al momento dell’attentato, ma i biglietti venduti sono stati più di seimila. Gli attentatori hanno sparato sulla folla cercando di uccidere quante più persone possibili. Successivamente hanno dato fuoco alla struttura causando il cedimento parziale del tetto.

I responsabili della strage

L’attacco è stato rivendicato nelle ore successive dall’ISIS-K, il braccio afghano dello Stato Islamico della Siria e dell’Iraq (ISIS): attraverso un comunicato rilasciato su diversi canali Telegram della forza jihadista, allegando poi filmati ripresi dalle bodycam indossate dagli attentatori. Nei video si sentono parlare gli uomini in arabo e tagiko, mentre infieriscono con armi da taglio e da fuoco sui corpi dei feriti.

Le forze armate russe hanno arrestato i quattro attentatori e altre sette persone coinvolte probabilmente nell’organizzazione dell’attacco. I quattro esecutori stavano fuggendo su una Renault bianca verso il confine bielorusso. In seguito all’arresto, le forze armate hanno torturato i sospettati con pestaggi e mutilazioni, condividendo i filmati su diversi canali Telegram. Si vedono uomini dai volti tumefatti e sanguinanti, alcuni in sedia a rotelle o con il volto coperto da un sacchetto. Ad alcuni di loro è stato persino tagliato un orecchio.

L’attentato è avvenuto due settimane dopo l’allarme lanciato dall’ambasciata statunitense in Russia, che aveva suggerito ai propri connazionali di evitare assembramenti nelle quarantotto ore successive. Il preavviso era stato giudicato da Putin e dalle autorità russe come “allarmismo” da parte dell’Occidente, intento a indebolire la Russia. Quest’ultima inoltre aveva già nelle precedenti settimane neutralizzato alcune cellule terroristiche: una di queste stava progettando un attacco in una sinagoga di Kaluga (vicino Mosca), poi sventato.

Il tetto della sala concerti collassato dopo l’incendio (Wikimedia)

Da dove viene l’ISIS-K

Sebbene l’ISIS sia ormai conosciuto in Occidente, specie a causa dei diversi attentati condotti in Europa (fra cui quelli di Parigi del 2015), la sua costola afghana ISIS-K gode di minor fama. La lettera “K” sta per Khorasan, una provincia compresa fra Afghanistan, Pakistan e Iran, dove il gruppo si è inizialmente strutturato.

Il primo nucleo dell’ISIS-K era composto da alcuni talebani pakistani fuggiti dal Pakistan per rifugiarsi in Afghanistan. Fra questi vi era il fondatore Hafid Saeed Khan, il quale giurò fedeltà all’allora neonato Stato Islamico di Siria e Iraq, ottendendo finanziamenti e uomini. Per anni il gruppo è rimasto all’ombra del suo corrispettivo siriano e iracheno, ma a partire dal 2020 diversi eventi e situazioni ne hanno consentito una notevole crescita. Fra questi spicca il ridimensionamento dell’ISIS in Siria e Iraq, combattuto dalle forze governative di Assad (sostenuto dalla Russia). Inoltre la ritirata degli statunitensi dall’Afghanistan ha lasciato il paese nelle mani dei soli talebani, più deboli nei confronti di uno Stato Islamico sempre più forte.

Forze armate afghane contro l’ISIS-K (DVIDS)

Perché la Russia?

Nonostante l’ISIS-K condivida con alcune organizzazioni terroristiche e paesi islamici la radicale applicazione della sharia, si trova in conflitto con molti dei loro vicini. Sono nemici degli iraniani, poiché quest’ultimi sono sciiti. Ma sono anche nemici dei talebani e al Qaida (protetta dai talebani), sebbene questi siano sunniti. Le aspirazioni jihadiste di questi ultimi due gruppi sono infatti ritenute troppo tiepide dall’ISIS-K. Lo scopo esistenziale dello Stato Islamico è la costituzione di un califfato che vada oltre i confini afghani, per il cui successo qualsiasi metodo è ritenuto accettabile. Non si fa distinzione fra i nemici del califfato, siano essi «ebrei, cristiani, atei, sciiti, apostati e tutti gli infedeli del mondo».

Negli ultimi anni l’ISIS-K ha preso di mira la Russia. I jihadisti stanno cercando di usare la guerra russo-ucraina a scopo propagandistico, descrivendola agli occhi dei loro seguaci come un conflitto di “crociati contro crociati”. In tal modo tentano di attrarre più miliziani incitandoli all’odio e alla violenza contro Mosca, ritenuta responsabile di diverse stragi di musulmani. In particolar modo vogliono vendicare eventi come l’invasione sovietica dell’Afghanistan degli anni ’80, la repressione dei separatisti Ceceni e l’appoggio al regime di Assad in Siria contro le forze ribelli (fra cui l’ISIS).

Soldati russi in Cecenia (Wikimedia)

Le reazioni del Cremlino

Nel suo messaggio alla nazione Putin non ha mai citato lo Stato Islamico. Nei giorni seguenti ha riconosciuto i jihadisti come esecutori, ma sottolineando un presunto coinvolgimento ucraino. Questo si baserebbe su una presunta “finestra sul confine ucraino” attraverso la quale fuggire. Tuttavia non esiste nessuna prova a supporto.

Sembra che il Cremlino cerchi un pretesto per aumentare gli attacchi contro l’Ucraina. Vorrebbe poi distogliere l’attenzione interna dalle falle della sicurezza russa: il governo ha minimizzato l’allarme americano, i soccorsi sono stati disorganizzati secondo alcune fonti e gli attentatori sono stati persino in grado di fuggire dal luogo della strage.

Vladimir Putin durante il discorso alla nazione (Wikimedia)

Francesco D’Anna

Il Donbass dipende da Severodonesk: la città si divide a metà tra i combattimenti

La guerra in Ucraina ha ormai superato i cento giorni: soprattutto durante gli ultimi si sono verificati diversi eventi chiave per le sorti del conflitto, da cui lo Stato aggredito non sembra poterne uscire facilmente illeso. Infatti, durante gli ultimi giorni di maggio, l’esercito russo si è impegnato a completare la propria avanzata sulla regione del Donbass, entrando a Severodonetsk, città ucraina che oggi è rimasta l’ultimo grosso centro nella regione orientale di Luhansk.

Il Donbass al centro della seconda fase del conflitto

La conquista di Severodonetsk comporterebbe un importante vantaggio militare per la Russia, che potrebbe chiudere la cosiddetta “seconda fase” del conflitto per concentrare le proprie forze sulla conquista di altre regioni orientali dell’Ucraina, come Kramatorsk e Slovyansk. Inoltre, sarebbe già una prima vittoria da presentare al pubblico russo, in attesa di risultati da più di cento giorni. Secondo la rivista online Formiche, quanto ottenuto dall’esercito russo sarebbe dovuto ad una diversa gestione dello strumento militare russo, grazie alla quale «in queste ultime settimane il centro di gravità delle operazioni nel Donbass è rappresentato non solo dalla conquista della regione in senso stretto, quanto piuttosto dalla cattura, eliminazione o accerchiamento del dispositivo militare ucraino impiegato nella regione».

Mil.ru, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons – Il generale russo Aleksandr Dvornikov

Sempre secondo la rivista, l’eliminazione delle forze ucraine dispiegate nel Donbass lascerebbe Kyiv senza le proprie unità migliori ed avrebbe delle ripercussioni sul morale dell’esercito ucraino.

Severodonesk resiste

In sostanza – continua Formiche –  la difesa di Severodonesk e Lysychansk risulta cruciale per l’Ucraina. Ed infatti, la città del Luhansk si trova adesso divisa a metà, con una controffensiva ucraina che è riuscita, dapprima, a recuperare il 70% della città, per poi ritrarsi fino al 50%. Secondo il governatore della regione, Serhiy Gaidai, nei prossimi cinque giorni ci potrebbero essere nuovi e più potenti attacchi russi e la situazione potrebbe cambiare ancora.

Grande preoccupazione per i civilicirca 15mila – rimasti bloccati nella città e impossibili da evacuare per via dei continui bombardamenti. Si teme, in particolare, che un assedio prolungato come quello verificatosi a Mariupol possa comportare una strage per quanti rimasti bloccati nella città.

Anche in caso di conquista, però, il destino dei civili rimasti non è positivo: secondo quanto riportato da Il Post, la russificazione delle città ucraine conquistate (come Kherson) si sta svolgendo all’insegna delle violenzeintimidazioni e degli stupri di guerra.

Il Presidente ucraino Zelensky ha affermato di essersi recato a Lysychansk e Soledar, in una visita estremamente vicina al fronte su cui si sta svolgendo una delle battaglie più intense del conflitto e, soprattutto, un caso raro in cui il Presidente varca i confini di Kyiv.

Ukrainian Presidential Press Service/ Reuters

Nuovi bombardamenti su Kyiv

Intanto, domenica mattina, Kyiv si è svegliata con dei nuovi bombardamenti (provenienti presumibilmente da sud) da parte di Mosca. Secondo il sindaco di Vitali Klitschko non ci sono feriti gravi, ma una persona è stata ricoverata in ospedale. Secondo ANSA, i missili avrebbero colpito una fabbrica nella zona orientale della capitale ucraina.

Immagini del fumo nero scaturito dal bombardamento sono girate sul web, con alcune testimonianze di civili che si trovavano nei paraggi.

https://twitter.com/TpyxaNews/status/1533333902273691648?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1533333902273691648%7Ctwgr%5E%7Ctwcon%5Es1_c10&ref_url=https%3A%2F%2Fwww.ilpost.it%2F2022%2F06%2F05%2Fbombardamento-kiev-giugno%2F

Intanto il Regno Unito si prepara ad inviare lanciarazzi a gittata di 80 km a Kyiv. La notizia è stata criticata dal Presidente russo Putin, che ha affermato che la consegna di nuove armi avrebbe il solo obiettivo di «estendere il conflitto».

Resta incerto il destino dei negoziati, dopo la notizia di alcuni incontri segretissimi tra vertici Ue, Usa e Uk per cercare un punto di svolta e, possibilmente, la fine del conflitto. Tra le questioni discusse negli incontri, anche il piano in quattro punti proposto dall’Italia, il cui contenuto era stato reso noto il mese scorso dal Ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Resta ferma, secondo quanto sostenuto dal Ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, «l’insindacabilità della liberazione del Donbass».

Valeria Bonaccorso

 

L’Eni accontenta Mosca sull’acquisto del gas e apre un conto in rubli

L’Eni ha deciso di sottostare alle misure richieste da Mosca per l’acquisto del gas russo e aprire due conti, uno in euro e uno in rubli, presso la Gazprombank. Una scelta pesantemente criticata dalla Commissione europea poiché rischia di vanificare le misure contenute nel pacchetto di sanzioni adottate dall’Unione Europea per colpire l’economia russa. Parallelamente, altre aziende stanno adottando questa pratica in attesa di capire se il sesto pacchetto di sanzioni, riguardante l’embargo sul petrolio russo e di fatto ostaggio del veto dell’Ungheria entrerà mai in vigore.

fonte: mahalsa.it

La risposta di Mosca alle sanzioni europee: il sistema del doppio conto

Due mesi fa, precisamente il 31 marzo, un decreto emanato dal Cremlino statuiva che d’ora in avanti i “paesi ostili” avrebbero potuto accedere alle forniture di gas ed effettuare i corrispettivi pagamenti solamente a fronte dell’apertura di due conti presso la Gazprombank. Una decisione frutto della necessità di rispondere alle sanzioni adottate dalla Commissione europea che prevedono l’obbligo di effettuare tale acquisto unicamente adoperando la valuta comunitaria. L’apertura presso lo stesso istituto dei due conti, uno in euro o dollari e l’altro in rubli, permetterebbe di bypassare le sanzioni e mitigare le problematiche riguardanti l’aspetto rivelatosi più spigoloso dei rapporti tra paesi UE e Russia: la dipendenza energetica.

I due conti, uno in euro o dollari e l’altro in rubli, garantirebbero da un lato il rispetto delle misure sanzionatorie adottate dall’Unione Europea che vietano l’acquisto di forniture energetiche in rubli e dall’altro salvaguarderebbero la valuta russa, oggetto di pesanti svalutazioni nelle scorse settimane. Le aziende per garantire l’afflusso di gas dovranno effettuare il pagamento in euro o dollari (come previsto dalle misure) su un conto per potere, una volta avvenuta la conversione in rubli sul secondo, accedere alle forniture. Gli obblighi di pagamento verrebbero considerati adempiuti al momento del versamento in euro ma l’erogazione delle risorse avverrebbe unicamente a conversione avvenuta. Un operazione dall’indubbio controsenso rispetto alle ragioni delle suddette sanzioni ma che di fatto è perfettamente valida operando nelle “zone grigie” delle misure.

 

Non riusciamo ad essere indipendenti dal gas russo

Una scelta che nelle scorse settimane è stata effettuata da altre aziende europee, tra cui anche la francese Engie, e da ultimo presa anche da Eni. Per l’azienda italiana si tratterebbe di una manovra resasi necessaria per adempiere all’incombenza della fattura in scadenza giorno 20 maggio e preservare così l’apporto energetico alle case degli italiani. Sebbene il governo Draghi abbia più volte assicurato di stare lavorando duramente per trovare nuovi fornitori, allo stato di fatto l’Italia continua a dipendere dalla Russia per il 43% delle risorse energetiche e non può permettersi in alcun caso un taglio delle forniture. Nell’annunciare la decisione presa, Eni ha specificato che la stessa è stata condivisa dalle istituzioni italiane (il 30,3% dell’azienda è controllata dallo Stato), e soprattutto che è pienamente conforme ai contratti già stipulati e alle sanzioni europee.

Eric Mamer, portavoce di Ursula von der Leyen, fonte: castbox.com

Di diverso avviso è ovviamente la Commissione europea, il cui portavoce Eric Mamer ha sottolineato che versare rubli a Mosca o aprire un secondo conto in rubli vada “oltre le indicazioni date agli Stati membri”.

Sull’energia Europa disunita e poco chiara

L’esecutivo europeo non ha di fatto però strumenti per impedire questo genere di operazione, potendo unicamente minacciare gli Stati di adoperare la procedura d’infrazione. Una procedura che però richiede mesi o addirittura anni prima di sortire qualsiasi effetto. A dovere vigilare sulle aziende e sul rispetto delle misure sono perciò gli stessi Stati che però, a loro volta, sono ancora dipendenti dalle suddette forniture e non supportati da indicazioni chiare della stessa Europa. Nelle scorse settimane la Commissione Europea aveva espresso un parere sul pagamento in rubli, di fatto approvando lo schema del doppio conto, ma era stato considerato confuso e insufficiente da vari Paesi. Lo stesso presidente del Consiglio italiano Mario Draghi, per esempio, aveva chiesto che la Commissione Europea chiarisse al più presto questo punto equivoco in vista delle scadenze dei pagamenti.

La questione sembra dovere tenere banco ancora per giorni e sicuramente si aggiungerà al tavolo di un ulteriore discussione: quella sulle ulteriori sanzioni alla Russia. L’obiettivo della Commissione è quello di un embargo totale del petrolio russo ma sul tema non vi è unità di vedute da parte dei paesi europei, in primis dall’Ungheria. Infatti, con il protrarsi del conflitto in Ucraina e le sempre più evidenti emergenze dell’esercito russo le sanzioni appaiono sempre più non necessarie.

Filippo Giletto

 

Cyber-attacco all’Ucraina, Kiev accusa la Russia: “sistemi informatici del Paese paralizzati”

Ucraina, nella notte tra il 13 e il 14 gennaio i sistemi informatici di diverse agenzie e organizzazioni governative che lavorano a stretto contatto con le autorità centrali sono stati colpiti da un potente malware. A darne notizia è stata Microsoft con un lungo post pubblicato sul suo blog aziendale in cui si legge:

I nostri team investigativi hanno identificato il malware su dozzine di sistemi interessati e quel numero potrebbe aumentare man mano che le nostre indagini continuano. Questi sistemi abbracciano più organizzazioni governative, senza scopo di lucro e di tecnologia dell’informazione, tutte con sede in Ucraina.

Secondo il Ministero per la trasformazione digitale ucraino dietro l’attacco potrebbe esserci la Russia. “Mosca continua a condurre una guerra ibrida e sta attivamente rafforzando le sue forze nell’informazione e nei cyberspazi ” ha dichiarato il ministero dello Sviluppo digitale ucraino. Se così fosse, si tratterebbe dell’ennesimo capitolo delle tensioni tra i due Paesi, con Kiev e gli alleati occidentali che accusano Mosca di ammassare truppe sul confine per preparare una invasione.

Cyber attacco all’Ucraina (fonte: Huffington.it)

Il cyber-attacco

Il cyber-attacco dei giorni scorsi si è presentato in un momento storico ricco di grandi tensioni tra i due Paesi. Prima che il sito della diplomazia ucraina fosse reso inaccessibile, gli autori dell’attacco hanno pubblicato sul sito del ministero un messaggio in ucraino, russo e polacco in cui invitavano i cittadini ucraini a prepararsi al peggio affermando che tutti i dati personali erano stati caricati sul web.

Ucraini! Tutti i vostri dati personali sono stati cancellati e sono impossibili da ripristinare. Tutte le informazioni su di voi sono diventate pubbliche, abbiate paura e aspettatevi il peggio.

Nonostante Microsoft abbia affermato di non essere in grado di valutare l’intento dell’attività cybercriminale né di identificare caratteristiche precise che la colleghino agli attori delle minacce, le autorità hanno tranquillizzato i cittadini negando qualsiasi furto e fuga di dati e i servizi di intelligence ucraini hanno dichiarato che il contenuto dei siti non è stato modificato.

“Si tratta di un malware distruttivo” si legge sul blog ufficiale di Microsoft ” che ha colpito anche agenzie fondamentali per il governo come ad esempio “un’azienda informatica che gestisce siti web per clienti del settore pubblico e privato, comprese le agenzie governative”. Microsoft aggiunge anche come “non si sia identificata una consistente sovrapposizione tra le caratteristiche uniche del gruppo dietro questi attacchi e i gruppi che abbiamo tradizionalmente monitorato”.

Le accuse e difese della Russia

Secondo Kiev la responsabilità dell’attacco apparterrebbe ad un gruppo legato all’intelligence russa e noto come UNC1151. Serhiy Demedyuk, un funzionario della sicurezza ucraino,ha dichiarato all’agenzia di stampa Britannica Reuters che tutte le prove indicano che la Russia è dietro l’attacco informatico. L’obiettivo sarebbe stato quello di destabilizzare il lavoro del settore pubblico compromettendo la fiducia dei cittadini nelle autorità. Secondo quanto riferito da Microsoft, la situazione potrebbe essere ben più grave di come appare. Quanto accaduto al governo ucraino e a diversi siti dei ministeri potrebbe portare ad una paralisi dell’intera struttura informatica del Paese. Il portavoce del presidente Vladimir Putin, Dmitri Peskov alla Cnn ha dichiarato:

La Russia non ha nulla a che fare con questi attacchi informatici. Gli ucraini danno la colpa di tutto alla Russia, anche del maltempo nel loro Paese.

Mosca non è nuova a questo genere d’accuse. Già nel 2017 l’esercito russo è stato accostato al “cyber-attacco più distruttivo e costoso della storia”: l’attacco ransomware NotPetya. Quest’ultimo prese di mira istituzioni governative, finanziarie ed energetiche in Ucraina, e si diceva facesse parte della strategia del Cremlino per destabilizzare l’Ucraina. Causò danni per oltre 10 miliardi di dollari in tutto il mondo.

L’intervento dell’Unione Europea

L’Unione Europea si è detta pronta a fornire assistenza tecnica all’Ucraina, mobilitando tutte le risorse a propria disposizione e aiutandola a migliorare la sua capacità di resistere agli attacchi informatici. “Mobiliteremo tutte le nostre risorse per aiutare l’Ucraina a far fronte a questi attacchi”, ha dichiarato l’alto rappresentante per la politica estera Ue Josep Borrell.

Elidia Trifirò