Fashion Week 2019

Fashion Week 2019: Un nome, una settimana all’ultimo grido che annuncia la moda in grande stile. 60 sfilate, 81 presentazioni e 33 eventi per la città di Milano, con una nuova collezione autunno/inverno di tutti quei marchi che hanno fatto sognare, non solo le mura di Milano, ma di tutta Italia. Con i migliori stilisti che hanno reso possibile l’impossibile.

A partire da Prada con il suo stile romantico in chiave dark, ironicamente gotico e pieno di rifermenti ai classici dell’horror, ispirandosi al gotico della famiglia Addams con la sua caratteristica inconfondibile: le trecce lunghe della protagonista Mercoledì. Ma quest’anno non tutti gli stilisti erano concentrati in questo grande evento, anche nel mondo della moda il nero si fa avanti, con la grande perdita di Karl Lagerfeld, sarto tedesco, stilista e fotografo, definito come: “il leggendario Kaiser della moda”… Keiser Karl, così veniva chiamato nel mondo della moda.

Un uomo che è stato fino a poco tempo fa un emblema per tutte le modelle, e a confermarlo è stata proprio una di quest’ultime, alla quale Karl ha fatto aprire gli occhi su ciò che si stava perdendo dietro la sue timidezze da ragazzina, aiutandola sempre di più per diventare una fotomodella piena di carisma. Essa dichiara che Karl ha fatto di lei una topmodel che oggi vedremo sulle passerelle con sicurezza e determinazione facendole scoprire non solo la bellezza di questo mondo, ma insegnandole la moda così come stile per sopravvivere nel mondo del “Look all’ultimo grido”. Proprio con queste ultime parole si esprime con un post su Instangram Claudia Schiffer, ricordando lo stilista: “Quello che Andy Wharhol era per l’arte, lui lo era per la moda…Colui che rendeva il bianco e il nero pieno di colore – aggiunge la Schiffer – Uno stilista che non ha mai camminato con un solo colore, cercando di farne combaciare più di uno”. Ecco come inizia una settimana ricca di colore con qualche sfumatura di bianco e nero, con il ricordo di Karl Kaiser che si fa spazio nella mente delle modelle e con le passerelle che si fanno più grandi per i loro prossimi stili.

Dalila DeBenedetto

L’avvelenato

“Se io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, le attuali conclusioni…” cantava Francesco Guccini in una delle sue canzoni più taglienti, una sorta di rigurgito di insoddisfazioni e delusioni, tanto da meritarsi il titolo di “L’avvelenata”. Non so per quale preciso nesso associativo mi vengono in mente proprio le più violente rime del Francescone nazionale mentre oggi (anzi, ieri), 6 novembre 2017, mi trovo in una piovosa notte autunnale, accoccolato nel mio letto col pc sulle ginocchia a buttar giù, rigorosamente all’ultimo momento, le righe di un editoriale che finora non ho avuto il tempo di scrivere (anzi, diciamocela tutta, che proprio non ho voglia di scrivere) e che tu oggi (anzi, domani, 7 novembre, o quando sarà) stai leggendo. Forse perché ieri sera tornando a casa in macchina era questa una delle canzoni che cantavo a squarciagola, o forse perché anch’io, tutto sommato, mi sento insoddisfatto, e non so bene di cosa.

Forse della giornata uggiosa, del trauma del risveglio mattutino e del rientro alla routine quotidiana e universitaria dopo una piacevolissima ma ahimè troppo breve vacanza. Forse del fatto che mi è toccato di scrivere questo editoriale proprio oggi a ridosso delle elezioni regionali e ci si aspetterebbe che ne parli, mentre invece non ne ho proprio voglia. O forse del dibattito politico stesso, che pur dovendo essere in teoria un momento costruttivo di dialogo e confronto sociale riesce spesso a tirare fuori il lato peggiore delle persone che vi partecipano e di cui ascolto i pareri e leggo i commenti sui social media.

Forse, mi dico tra me e me, sono insoddisfatto perché oggi uno dei collaboratori della nostra unit di Cultura locale, in preda allo sconforto, aveva deciso di non scrivere più di Messina, città sorda e che non merita; e perché, anche se alla fine con gli altri del gruppo di redazione siamo riusciti a farlo ricredere, e pur non condividendo del tutto le sue posizioni, nella sua ferita aperta ho letto per un attimo le mille ferite aperte di chiunque abbia un ideale e lo veda lentamente inabissarsi travolto dalle onde degli eventi.

Forse, a rendermi insoddisfatto è la mia momentanea mancanza di ispirazione; o forse l’incapacità di tollerarla quando in realtà fa parte dei regolari alti e bassi di chiunque si diletti in qualsiasi attività creativa. Forse sono insoddisfatto del taglio troppo intimistico e patetico che sto dando a questo editoriale, se così vogliamo continuare a chiamarlo: proprio io che tendenzialmente odio chi scrivendo si lamenta un po’ di tutto e un po’ di niente, magari alla ricerca di facili immedesimazioni da parte dei lettori per raccattare qualche visualizzazione in più. Forse, addirittura, a insoddisfarmi è la mia stessa insoddisfazione, e il fatto che stia perdendo il mio tempo in lamentele così vacue solo per il vezzo un po’ esibizionistico di mostrarmi nudo di fronte a una (spero non troppo folta) platea di sconosciuti, io che ho una casa, degli amici, qualcuno che mi ama, quando c’è gente che sta molto peggio di me e ha ben più motivo di me di lamentarsi e meno spazio per far leggere le proprie lamentele agli altri.

E mentre scrivo e mi rendo conto che quello che doveva essere un editoriale poco ispirato è diventato un editoriale “avvelenato”, un fiume informe e liquido di dubbi, una sorta di blues autunnale un po’ stantio e un po’ stonato, mi rendo conto che via via che scrivo l’insoddisfazione inizia a diradarsi, come le nuvole dal cielo ormai scuro: e ti ringrazio, vi ringrazio, Lettori (spero non siate troppi però), per aver preso parte vostro malgrado a questo gioco terapeutico, oltre a chiedervi di perdonarmelo, se potete, di dimenticarvelo, insomma di passarmi per buono questo piccolo capriccio del quale, sincerissimamente, un po’ mi vergogno, se penso che, tutto sommato, è solo un modo come un altro di sbarazzarmi di un editoriale che non mi va di scrivere.

Lentamente, la mia mente scorre e arriva all’ ultima strofa della canzone: “se io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, forse farei lo stesso…”

Gianpaolo Basile