6 Miglia

A Te che tendo la mano e con me il porto

Io con una barca t’inseguo e il cuore ti porgo

Con le onde ti chiamo e ti dono un tramonto

Mi ci specchio e sorrido,
ti dedico Alba, principio del mondo

Poi abbraccia il mare, gli scogli, e con la tua luce mi avvolgo

Più forte ti stringo,
spuma marina, ricordi ricolgo

Tra Noi riecheggia un canto nel tempo, l’eco dei mostri

Nei timori nascosti,
tuoni di dei agli orizzonti,
eroi astuti dai mille racconti

Noi fili di finti intrecci infiniti,
frammenti di istanti,
di correnti e rimpianti

Arazzi dai nomi parlanti,
colori danzanti.
Radici urticanti
riuniscono animi infranti

E dall’altro ramo ti guardo
e nell’abisso mi specchio
mentre la sera nelle tue luci mi perdo

‘Vivi!’ mi dicesti,
con gli occhi del Sole
Luna piena
dei nostri sogni,
del nostro amore

“Presso me!” mi rispondesti
e navigammo a largo
perché come la Creazione approdasti
sulle mie spiagge dentro gli occhi d’argo

Fatamorgana, specchio de l’anima mia
in te ritrovai sprone e poesia
Fuoco greco intangibile,
dicesti “amare è pura magia”

Ma ora siamo divisi da un romantico mare,
e tu mi rubasti l’anima senza chieder permesso, tu
accompagnata dalle stelle la notte con la voglia d’amare
con te, ogni dubbio appeso scompare

Flebile tocco continuai a sperare,
dovrà la terra nuovamente tremare
per un bacio rubato
a l’empio fato.

 

-Luna & Sole

Reggio Calabria: storia e miti dell’antica vestigia

«Io canto Reggio, l’estrema città dell’Italia marina che si abbevera sempre all’onda di Trinacria»

Così il poeta greco Ibico elogiava la città di Reggio Calabria in una poesia tratta dall’Antologia Palatina.

Situata sulla punta dello stivale e affacciata sullo stretto di Messina, nell’esatto centro geografico di quello che per gli antichi romani era il “Mare Nostrum”, la storia di Reggio Calabria è quella della più antica colonia della Magna Grecia nell’Italia meridionale e il suo fascino attuale è ancora legato a quel periodo di splendore.

 

Reggio Calabria
Vista sullo Stretto di Messina. Fonte: touringclub.it

 

Il mito di Eracle

Sull’origine della città di Reggio Calabria si intrecciano storia e mitologia.

Uno dei personaggi più famosi a cui viene ricondotta la storia dell’origine della città è Eracle, eroe della mitologia greca dotato di forza sovrumana.

In molti tra gli studiosi collocano il semidio in ben tre versioni dei fatti, ognuna delle quali porta allo stesso risultato: la fondazione della città.

Secondo la prima ricostruzione del mito, il noto Eracle, che a Roma era conosciuto con il nome di Ercole, tornando da una delle sue leggendarie fatiche perse un vitello proprio sullo stretto. E così lo inseguì contando solo sulla forza delle sue gambe e delle sue braccia, a nuoto, fino al ritrovamento che avvenne proprio sul suolo reggino.

Il secondo mito vede Eracle scontrarsi contro il terribile mostro dello stretto, Scilla, che era solita mangiare i suoi buoi. L’eroe l’affrontò e l’uccise, riportando la pace nel territorio circostante. Da quel momento fu osannato dai suoi abitanti, che eressero statue in suo onore e celebrarono le sue gesta.

Infine, nell’ultima storia mitologica legata a Eracle, pare che il figlio di Zeus, durante una delle sue traversate, scelse Reggio per un meritato riposo. Venendo più volte interrotto dal canto delle cicale nella zona presso il fiume Halex chiese aiuto al padre, che fece smettere per sempre quel canto che non si ascoltò più in quei dintorni.

 

 

Eracle
Il semidio Eracle. Fonte: latelanera.com

 

Fondazione ed etimologia

Rhegion fu una delle prime colonie greche fondate in Italia meridionale verso la metà dell’VIII secolo ed è considerata una delle più antiche città d’Europa.

La data della fondazione di Reggio Calabria è fissata convenzionalmente all’estate dell’anno 730 a.C.

Basandosi sugli storici antichi, alcuni studiosi moderni affermano che intorno a tale data i calcidesi, dei coloni di stirpe ionica provenienti dalla città di Calcide, nell’isola di Eubea, giunsero sul luogo dove sarebbe sorta la città.

Gli storici greci Tucidide e Diodoro Siculo narrano come l’oracolo di Delfi avesse indicato ai coloni di fondare la nuova città:

«Là nel punto in cui l’Apsias, il più sacro dei fiumi, si getta in mare, dove troverai una femmina avvinghiata ad un maschio, il dio ti concede la terra ausonia.»

 

La nuova città prese il nome di Rhegion. Il termine viene riferito nelle fonti antiche al verbo greco “ρήγνυμι” (reghnümi), che significa “rompere, spezzare”, in ricordo della scissione geologica della Sicilia dalla Calabria.

Si è invece sostenuta una sua derivazione dalla radice indoeuropea protoitalica “reg”, con il significato di “capo, re“. Il riferimento è dovuto al promontorio che dominava il panorama dalla penisola e che anticamente costituiva il porto naturale.

 

Cenni storici

La polis ottenne un grande pregio artistico-culturale grazie alla sua scuola filosofica pitagorica e alle sue scuole di scultura e di poesia nelle quali si formeranno artisti come Pitagora di Reggio e Ibico.

Divenne alleata di Atene nella guerra del Peloponneso e successivamente fu espugnata dai siracusani di Dionigi I nel 387 a.C. Città autonoma nelle istituzioni governative, Rhegium fu importante alleata e socia navalis di Roma.

Fu sotto le dominazioni dei normanni, degli svevi, degli angioini e degli aragonesi.

Entrò a far parte del Regno di Napoli e del Regno delle Due Sicilie e passò quindi al Regno d’Italia.

Nel 1908 subì le distruzioni di un terribile terremoto e maremoto, quindi fu ricostruita in epoca liberty, ma poi parzialmente danneggiata dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale

 

il Castello Aragonese, Reggio Calabria
Il Castello Aragonese. Fonte: tripadvisor.it

 

Il Castello Aragonese

Fra le antiche vestigia che testimoniano il vissuto storico del luogo vi è il Castello Aragonese, considerato uno degli emblemi della città.

Nonostante venga definito “aragonese”, la sua fondazione risale in realtà all’epoca bizantina, tra il IX e l’XI secolo, quando Reggio divenne capitale del Thema di Calabria.

Punto strategico di difesa della città, la fortezza fu nel corso dei secoli dominio di Bizantini, Normanni, Svevi e Angioini, che di volta in volta apportarono alcune modifiche.

Fu però in epoca spagnola, per volere di Re Ferdinando I d’Aragona, che la struttura subì un radicale cambiamento con l’aggiunta delle due imponenti torri circolari merlate che le conferirono l’aspetto attuale e la denominazione “aragonese”.

Il castello è situato nella parte alta della città, nell’omonima piazza. La struttura originaria era composta da quattro torri e un fossato, di cui oggi rimangono soltanto le due torri a sud-est.

La parte più antica della costruzione fu demolita dopo il terremoto del 1908 per consentire l’apertura di alcune strade cittadine.

Dichiarato inagibile negli anni successivi, fu sottoposto a ristrutturazione completa, divenendo uno spazio per eventi culturali e sociali. Testimone delle vicende storiche della città dal Medioevo ad oggi, il Castello è attualmente meta turistica e simbolo storico delle vicende legate al vissuto della città.

 

 

Santa Talia

La Circe siciliana

Circe dai riccioli belli, la Diva possente canora, ch’era sorella d’Eèta, signore di mente feroce. Erano entrambi nati dal Sole che illumina il mondo:fu madre loro Perse, di Perse fu Ocèano padre.

Odissea, Canto X, Omero

 

Conosciamo tutti il mito di Circe, no?

La divina maga, figlia del Sole e della ninfa Perseide, concubina di Ulisse e mangiatrice di uomini.

Circe, dalla quale il re di Itaca ebbe un figlio e i cui soldati trasformò in maiali, in cani e, talvolta secondo altri miti, in leoni.

 

Circe e i maiali
Circe e i maiali, Brighton Riviere, 1896
Fonte: https://arthive.net/res/media/img/oy800/work/b9f/663950@2x.jpg

 

Circe, è noto, possedeva l’immortalità del padre e da lui aveva ereditato anche i poteri. Della madre, invece, aveva la voce, melodiosa e umana, della quale si serviva per attirare nella sua isola valorosi e innocenti guerrieri.

Sapevate, però, che nel messinese, esattamente a Tindari, una donna è conosciuta per avere molto in comune con la dea in questione?

Scopriamo insieme la storia della Circe siciliana!

 

L’insidiosa bellezza di Circe

Ispirandosi certamente alle vicende omeriche, la Circe di Tindari, tale Donna Villa, era una donna brutta e deforme, dotata di poteri in grado di trasformarla in una splendida e giovane ragazza. Col suo canto soave, l’ingannevole e insidiosa bellezza attraeva nel suo giaciglio, una grotta a picco sul mare, gli uomini avventurosi e forti che osavano solcare le acque al di sotto.

Sfruttando l’impervia posizione, lontana dalla civiltà e dal possibile rischio di essere scoperta, dopo aver trascorso intense ore interessanti, Donna Villa si avventava contro le sue ignare vittime, sfinite dalle troppe effusioni d’amore, depredandole di tutti i loro averi e facendole precipitare nel vuoto. La maga ne divorava poi i corpi, spolpandone le ossa, e con le stesse tappezzava le pareti, come bottino di guerra e segno di rivincita per il suo cuore spezzato.

Sembra, infatti, che la strega avesse subito una insopportabile delusione d’amore e che cercasse, per questo, vendetta.

 

La Circe siciliana esiste davvero?

Sirena crudele e antropofaga, sprezzante zitella vendicativa o triste e solitaria donna, calunniata dalle male voci?

Non possiamo dare una risposta incontestabile, così come non possiamo affermare con assoluta certezza che la Circe siciliana sia esistita realmente.

Della presunta Donna Villa, però, rimangono ancora i segni. Segni che continuano ad alimentare la leggenda.

Non tutte le barche navigavano nelle onde di quel mare e non tutti i marinai venivano catturati dalla sua malia. Così, quando il suo richiamo non attecchiva, la donna, accecata dall’ira, artigliava la dura roccia, lasciando su di essa dei profondi solchi.

Le storie – e le guide turistiche – tralasciano di dire che quei buchi non hanno nulla a che fare con la strega: sono solo le impronte lasciate dai molluschi. Inoltre, le ossa trovate sul luogo non sono le spoglie degli uomini divorati dalla cannibale, ma i resti di animali che lì trovavano rifugio.

 

Come si raggiunge?

La grotta interessata, una cavità naturale sui laghetti di Marinello, non risulta essere completamente inaccessibile. Tramite un piccolo ed erto sentiero, in contrada Rocca Femmina, è infatti possibile raggiungerla. Dati i cento metri di altezza e il percorso scosceso, è consigliabile essere accompagnati da una guida turistica.

 

Grotta di Donna Villa
La grotta di Circe
Fonte: https://i0.wp.com/images.liveuniversity.it/sites/2/2022/05/grotta-donna-villa.jpg?w=960&ssl=1

 

Sono in molti, di fatto, ad andare ancora oggi alla ricerca del tesoro che la maga avrebbe accumulato. La vista del paesaggio ripaga della sua spiacevole e deludente assenza.

 

 

 

 

Valeria Vella

 

Fonti:

Collura M., Sicilia sconosciuta. Itinerari insoliti e curiosi, Rizzoli, 2016

https://catania.liveuniversity.it/2022/05/13/sicilia-grotta-donna-villa-circe/

Immagine in evidenza:

https://4.bp.blogspot.com/-xvLN3r33jEE/V77u7EvU-5I/AAAAAAAAcZ8/xapXdgdmwvMtpJ2E5fu4DwD6bhM4G6JuQCLcB/s1600/circe1.jpg

 

 

Intervista allo scrittore Giuseppe Staiti – “La Risalita di Colapesce”

“…è bastato chiedersi, e se lui tornasse?”

©Antonino Micari – Giuseppe Staiti (sinistra) dialoga con l’editore Gianluca Buttafarro (destra)

La leggenda di Colapesce narra una storia eterna, che come tutte le serie tv più moderne termina ma ti lascia con il fiato sospeso. E la storia di una figura mitologica rimasta nei mari dello Stretto a sorreggere la Sicilia sembra non voler mai finire. Giuseppe Staiti da sempre coltivava la passione per la lettura, scherzando mi dice che spendeva così tanto in libri che d’un tratto si è detto “Beh, forse ora conviene che inizi a scriverli io!”. In realtà il grande merito (e talento) del giovane scrittore messinese è quello di aver saputo cogliere la necessità di questa storia nel voler essere raccontata, una necessità che tutti i messinesi, siciliani e semplici conoscitori di questo mito sentono. Da qui nascono degli interrogativi che danno lo slancio alla storia de “La Risalita di Colapesce”, edito da La Feluca edizioni. In una splendida domenica, presso la Libreria Doralice – Mondadori point (un gioiellino della litoranea di Messina nord) abbiamo avuto l’opportunità di scambiare qualche parola con Giuseppe Staiti.

Partiamo dal libro. Chi è per te Colapesce?

Colapesce credo che sia un po’ lo spirito delle legende siciliane. Con il fatto di essere un po’ il sostegno della Sicilia, ha un posto privilegiato tra tutte le leggende siciliane. Anzi io ci vedo addirittura una valenza storica: perché i miti, ci tengo tanto a precisare, sì sono delle storie, storielle che le persone raccontano e con cui si intrattengono, però c’è un sottotesto storico, ci sono vari livelli per leggere i miti, e il bello della mitologia è anche questo, che ci raccontano delle storie “oltre”. Partono da questa necessità di avere un qualcuno o qualcosa al di sotto della Sicilia, un sostegno a quest’isola.

L’idea di scriverci qualcosa come ti è venuta?

È venuta un po’ dalla necessità di raccontare questi miti in un modo nuovo. Ho visto che tutte queste storie stavano lì e avevano, anzi, hanno, un grande potenziale letterario. A volte sono raccontate in modo anacronistico, sono sempre viste un po’ con diffidenza.

©Antonino Micari

Probabilmente sei il primo che fa questo tipo di rielaborazione.

Sì, ti posso dire che c’è una citazione che ho aggiunto all’inizio del libro, di questo grande studioso di cultura popolare, Giuseppe Pitrè. Dal 1800 lui ha raccolto una monografia su Colapesce, ne ha raccolto circa 40 versioni, oltre a migliaia e migliaia di altre storie. Lui andava in giro per la Sicilia a chiedere ai pescatori, alle lavandaie, alla gente del popolo di raccontargli una storia. Le ha raccolte tutte in un migliaio di pagine, ha fatto un’enciclopedia del siciliano, della grammatica siciliana, e poi a Colapesce ha dedicato una monografia: comincia questo libro chiedendosi proprio come mai nessuno dei siciliani abbia mai apportato una modifica al mito di Colapesce. Nonostante sia quello più raccontato e meglio conosciuto, risulta il mito con meno innovazione rispetto a tutti gli altri.

La storia di Colapesce invece ha una grandissima potenzialità, ed il tuo libro ne è la prova.

Penso che chiunque abbia letto un libro riconosca subito una buona storia: la si riconosce dal fatto che si vorrebbe non finisse mai, ed è un po’ quello che si prova anche con la leggenda di Colapesce se ci pensi, perché nel finale lui arriva sott’acqua, e poi? Cosa succede? Resta un po’ a metà, è un finale che sentivo servisse. Questa rielaborazione è stata anche doverosa, è arrivata anche spontaneamente, è bastato chiedersi:“ e se lui tornasse?”

A proposito di questo, tu sei laureato in Ortottica, hai studiato violino al Conservatorio, nel frattempo lavoravi anche in macelleria, però tutte le volte che venivo a casa tua per incontrare tuo fratello, mio amico, vedevo delle librerie immense, piene di libri, e non mi capacitavo del fatto che qualcuno potesse leggere così tanti libri in così poco tempo. Cosa ti ha spinto a fare il passo decisivo, dalla passione per la lettura alla scrittura di un libro?

È bastato soltanto sentire la storia con il suo potenziale, quindi proprio una sensazione esterna di questa storia che vuole essere raccontata, e lì hai un po’ l’intuizione. Poi c’è tanto lavoro dietro, mettersi lì con pazienza, costruire la trama, ma a volte basta magari mettere gli elementi, i soggetti, e poi lasciarli vivere. Io credo che il lavoro dello scrittore, nella mia piccola esperienza, stia in questo: non si crea niente, si mettono insieme degli elementi e li si fa camminare, li si fa vivere, li si fa vivere delle proprie scelte. In quei momenti nei quali avevo un dubbio sulla trama mi bastava semplicemente andare a cercare un luogo, una foto di un posto, o semplicemente guardare la Sicilia e vedere che lì, dai luoghi, dai colori, dai profumi usciva fuori una storia, ogni luogo qui ha la sua storia.

C’è tanto di Sicilia, di Messina nel libro, nonostante la sua vocazione moderna.

Sì assolutamente, a volte magari è stato un po’ difficile perché non volevo cadere nell’autoreferenzialità, ovvero una cosa fatta solo per citare, per mettere dei nomi, o una cosa fatta solo perché è siciliana per cui “andatevela a comprare”. Ho tolto tanti nomi, ho cambiato i nomi delle città, proprio perché volevo che fosse visto nella sua storia,  fosse apprezzato per la storia, per la sua componente letteraria.

Tuttavia nel libro c’è molto, in realtà, di tradizione, perché -come dicevamo prima- è uno dei pochi libri in cui c’è una pagina intera dedicata alla bibliografia, quindi comunque hai fatto una grande ricerca.

Sì, è una grande passione che ho, in particolare per i miti e per le tradizioni siciliane, viene tutto da lì.

©Antonino Micari – Libreria Doralice

Come ti vedi da qui a 10 anni? Continuerai a scrivere?

Assolutamente sì! Anzi questo libro lo vedo come il primo di una trilogia, tra dieci anni vorrei continuare, creare tutta una collana di romanzi sui miti siciliani. In questo campo ho trovato un grande serbatoio di storie, un campo veramente fertile su cui scrivere. Anzi, il mio obiettivo è quello di creare una serie di trilogie.

Quindi questo sarà un libro di partenza?

È un po’ una grande panoramica su tutte le possibilità che hanno questi miti siciliani. Poi vorrei far seguire una serie di altri libri che non saranno esattamente dei prequel e dei sequel, ma seguiranno un andamento ciclico. E’ un concetto particolare: il tempo non è lineare, è ciclico ed è una scelta forzata fatta per i miti perché non seguono la vita naturale degli uomini, bensì sono ciclici, continuano ad essere raccontati e raccontati all’infinito. Dunque, questi racconti avranno un punto di partenza e poi si succederanno degli eventi per cui si tornerà continuamente allo stesso punto di partenza, a volte con dei piccoli cambiamenti, ed in tutto i personaggi cercheranno il loro posto in una linea temporale che va avanti e indietro, che li lascia un po’ da parte, ognuno di loro con il proprio desiderio un po’ umano cercherà di ambientarsi.

Già hai in mente qualcosa? Puoi darci qualche anticipazione?

Questo primo libro è incentrato su Colapesce, il secondo che arriverà, ed è già a buon punto, (non so ancora quando uscirà, probabilmente questa è una scelta editoriale) sarà invece incentrato su Giufà e il suo alter ego Ferrazzano che è un po’ meno conosciuto. Però, nella grande enciclopedia di Pitrè anzi ha uno spazio anche più ampio di Giufà: sono queste due maschere, chi è che sembra che ci è o ci fa, e invece quello scaltro che cerca sempre di fregare la gente. Si ritroveranno insieme e cercheranno di dare un rimedio al tempo che torna indietro.

Tu sei un ragazzo eclettico, fai un sacco di cose, ed ad un certo punto dici “No! Io voglio fare lo scrittore, voglio scrivere!” C’è quindi qualche consiglio che vuoi dare a chi ha questa necessità dentro e non ha il coraggio o non fa ancora quel passo?

Innanzitutto vi posso dire che essere una persona eclettica, con mille curiosità come me, in realtà è un disagio di una persona che cerca il proprio modo di esprimersi. Quindi provi tante cose, fin quando non trovi quella con cui ti senti al tuo posto. Io ho provato con la musica, sono andato al Conservatorio, però non era il mio ambiente ed ho lasciato perdere. Ho provato con gli studi di ortottica, però non mi integravo benissimo, mentre i libri sono stati sempre una costante nella mia vita, ci sono sempre stati.

Quindi hai iniziato a scrivere da profano? Senza aver fatto alcun corso?

Da lettore. Credo che il punto di partenza sia “da lettore”, un punto di partenza che non vorrei dire essere il migliore, però è l’altra faccia della medaglia, bisogna essere un lettore per essere uno scrittore, questo è sicuro. Quello che manca è la storia. Uno può essere bravo quanto vuole, può essere anche Proust, cioè tecnicamente la penna migliore del mondo, però se ti manca la storia non ci puoi fare niente, cioè non puoi appioppare a qualcuno 3000-4000 pagine dei tuoi diari!

Quindi il consiglio che dai ad un ragazzo che vuole approcciarsi a questo mondo qual è?

Leggere tanto fino a quando non trovi il tuo spazio, la tua storia, ciò che senti la necessità di raccontare.

Libro “La Risalita di Colapesce”: http://www.lafelucaedizioni.it/catalogo.html

 

Antonio Nuccio, Alice Scarcella, Emanuele Chiara

… dietro il fenomeno della “Fata Morgana” si nascondono antiche leggende?

Fin dai tempi dei primi colonizzatori greci lo Stretto, porta della Sicilia, è il posto in cui il confine fra la natura e il sovrannaturale diventa sfumato; così, le tempeste e i gorghi che si inghiottono le antiche navi diventano opera di terribili creature divoratrici di uomini, e i capricciosi venti che ne increspano le acque sono i figli del dio Eolo che dimora nelle vicinanze; ogni fenomeno naturale che riguarda lo Stretto trova sempre la sua spiegazione nel mito.

Forse il più spettacolare di questi fenomeni è quello della cosiddetta Fata Morgana, che si osserva comunemente su entrambe le sponde dello Stretto nei mesi torridi dell’estate, quando sulla sponda opposta appaiono immagini tremolanti nelle quali si riconoscono alberi, palazzi, figure che possono far sembrare all’osservatore la terraferma più vicina di quanto non sia.

Niente più che una questione di fisica: in particolari condizioni atmosferiche la luce viene curvata dal passaggio attraverso diversi strati d’aria a diverso indice di rifrazione, dando origine ad un effetto ottico molto simile ai miraggi del deserto. Ma questo gli antichi non lo sapevano, ed è per questo che si è diffusa la leggenda della Fata Morgana.

La storia della Fata Morgana ha origini antiche ed ignote: le prime attestazioni dell’uso di questo nome per descrivere il fenomeno risalgono al Seicento, ma la storia ha probabilmente radici più antiche, che affondano nel medioevo cavalleresco. Morgana infatti è la fata delle acque del ciclo arturiano, sorellastra di re Artù: vive in un castello di cristallo nascosto sotto le acque del mare, e con le sue illusioni porta alla rovina i naviganti. Legata al fratellastro Artù da un rapporto ambiguo di amore e odio, è la prima causa della distruzione del suo regno; ma, alla fine dell’ultima battaglia del re, riconciliatasi col fratello morente, è lei che lo trae in salvo portandolo nella magica isola di Avalon, cura le sue ferite e lo mette a riposare, nascosto sotto una montagna incantata, in attesa del giorno del suo glorioso ritorno.

Ma che ci fa un personaggio della mitologia celtica nella mediterranea Sicilia del mito omerico?

Probabilmente le leggende del ciclo arturiano sono arrivate in Sicilia al seguito dei re normanni. È infatti Gervasio di Tilbury, storico inglese al servizio del re Guglielmo sul finire del XII sec., che per la prima volta identifica nel vulcano Etna la sede dell’ultima dimora di Artù. La leggenda, ripresa da diversi altri autori medievali, si arricchisce di elementi nel tempo: la mitica Avalon sarebbe la Sicilia e l’Etna sarebbe quindi il monte incantato dove Morgana ha trasportato Artù.

È per difendere il riposo del re da eventuali intrusi che Morgana mette in atto i suoi potenti incantesimi. La troviamo quindi in diverse leggende in cui difende la Sicilia dagli invasori, facendo apparire ai comandanti nemici, giunti sulle sponde della Calabria, la terraferma talmente vicina da spingerli a buttarsi a mare per raggiungerla a nuoto, annegando miseramente; o ancora, in una altra versione della storia, è lei che offre il suo aiuto addirittura al conte Ruggero per liberare la Sicilia dai saraceni; aiuto che Ruggero, devoto al Dio dei cristiani più che a una fata pagana, cortesemente rifiuta…

Come spesso succede, quindi, storia locale e tradizioni di terre lontane finiscono con l’intrecciarsi e confondersi nelle acque dello Stretto, crocevia di popoli e di miti.

Gianpaolo Basile