After Life, il ritratto comico del dolore e della solitudine

Il dolore e la solitudine sono i claim emotivi di After Life, lo show Netflix magistralmente scritto, diretto e interpretato da Ricky Gervais.

Tony Johnson è un giornalista, che più cinico non si può, del Tambury Gazette un piccolo quotidiano di provincia.

Dopo la morte della moglie Lisa (interpretata da Kerry Godliman), Tony scivola nel baratro di una profonda depressione, e gravita in un triste vuoto esistenziale, tentando invano di metabolizzare il distacco traumatico dalla compagna di vita.

Fonte: www.upcomingseries.it

Il tentato suicidio, sventato con tenerezza dal cane Brandy, è il punto più basso ed il turning point della serie.

Tony trasla la malinconia in una adrenalinica fame di vita e di riscatto da questa: le conseguenze non contano.
Dodici episodi che rappresentano uno slancio verso la vita, e che ci consentono di osservare l’alterità con sarcasmo da una prospettiva completamente inedita.

Un uomo che cerca di reagire come può a un dolore che sembra insuperabile.

Guardare i video della moglie lo fa ancora soffrire tantissimo, ma quasi senza accorgersene, Tony si apre sempre di più al mondo.

Prova a stare dietro al cognato Matt sull’orlo di una crisi di nervi, si occupa del padre Ray (David Bradley) affetto da demenza e assistito in una casa di cura.

Sempre più sensibile ai sentimenti degli altri, inizia ad elaborare il lutto spostando il focus egoistico dal proprio dolore a quello altrui.

Fonte: www.bestshows.com

«Non si tratta solo di noi, ma anche delle altre persone, alla fine, no?» diceva, a ragione, il personaggio di Penelope Wilton nella prima stagione.

Ricky Gervais è tenero e vero nell’incarnare Tony che riscopre l’importanza del contatto umano e trova un nuovo equilibrio nella bilancia della propria vita.

After Life custodisce la propria potenza narrativa nel racconto intimo, sebbene apparentemente comune, della perdita di una persona cara.

Fonte: www.netflixshow.com

Non ci si può abbandonare all’oblio dell’eccesso, non ci si può discostare dalla realtà sebbene triste e troppo vera.

Quando chi ami di più se ne va, il mondo ti cade addosso. Eppure, allo stesso tempo il mondo va avanti e Gervais lo racconta con una semplicità brutale.

Tony imparerà, a fatica, le  piccole grandi sfide quotidiane, che sono il carburante che ci permette di andare avanti nella vita, anche quando pensiamo non abbia più valore.

La linearità narrativa della serie permette di cogliere quel dolore che sembra abbia strappato via un pezzo di noi, ma del quale il mondo che ci circonda non sa nulla.

Fonte: www.tvzipmedia.com

Ricky Gervais è riuscito a dare nuova linfa ad un prodotto che sembrava concluso, senza snaturarlo. La seconda stagione approfondisce il finale della prima e completa la chiusura circolare del percorso di Tony, attraverso dialoghi originali e brillanti, interpretazioni snelle e credibili, ed una trama scorrevole e coerente.

Il pungente black humour di Gervais smaschera le ipocrisie e le falsità dell’essere umano.

Il ritratto del lutto di Tony è di una forza emotiva straordinaria, alcuni monologhi sono strazianti, spaccati introspettivi di una persona che ha perso il centro di gravità della sua vita.

Se volete piangere dalle risate, e subito dopo fare lo stesso per la tristezza e lo sconforto, After Life fa per voi.

Antonio Mulone

 

 

Self-Made: il coraggio di credere in sè stessi

La vita di successo di alcune personalità è stata spunto d’ispirazione per libri, film e serie prodotti negli anni.
Le capacità emotiva di superare gli ostacoli, non abbattersi, sapersi rialzare dai cazzotti che la vita tira hanno sempre connotato con fascino narrazioni, che probabilmente non l’avrebbero avuto.

Self made: la vita di Madam C.J Walker, che è chiara fin dal titolo (fatta da sé), ci porta a ripercorrere le tappe fondamentali della carriera e della vita di Sarah Breedlove (interpretata da Octavia Spencer).

La storia di un’imprenditrice, filantropa e attivista statunitense considerata la prima donna americana (di colore) diventata milionaria.

Fonte: www.greenme.com

La forza di credere in sé stessi, il coraggio di investire nelle proprie idee, partire da zero e costruire un  impero solido: questa è la storia di Sarah Breedlove, e della sua evoluzione, umana ancor prima che imprenditoriale in Madam C.J Walker.

Lo show originale targato Netflix, che trae riferimenti letterari dalla biografia On Her Own Ground di A’Leila Bundles, racconta la trasformazione di un sogno in realtà e una vita, vissuta con tenacia, spirito e passione, che offre allo spettatore uno spettro ampissimo di spunti di riflessione e di coinvolgimento emotivo.

Sarah, incarnata con mirabile efficacia da Octavia Spencer, è un’afroamericana che lavora come lavandaia per sopravvivere ad una vita che la relega ad una prigione di sofferenze immense, dalle quali pare non possa esserci via d’uscita.

Fonte: www.movietime.com

Emotivamente toccante è la perdita dei capelli di Sarah, momento che più di ogni altro nella serie trasporta il drammatico dolore di vivere della protagonista nel cuore di chi la guarda.

La svolta, quasi inaspettata, arriva dall’incontro rivelatore con Addie Munroe ( Carmen Ejogo), che le offre i suoi prodotti per capelli in cambio dei suoi servizi come lavandaia.

Madam C.J, con commovente temerarietà d’animo, comprende che quella vita la sta soffocando, come una scintilla privata dell’ossigeno per poter bruciare.

Dopo essersi sposata con Charles James Walker (Blair Underwood), che le darà parte del nome, espande la propria attività manifatturiera, costituisce la Madam C.J. Walker Manufacturing Co.

Le sofferenze, le sconfitte, ed il coraggio di mettersi in gioco saranno benzina emotiva per quella fiamma alla quale era stata, da sempre, preclusa la possibilità d’accendersi.

Presto Madam Walker diviene una figura rilevante nella comunità afroamericana, un esempio concreto di emancipazione tutta al femminile, in un periodo nel quale essere di colore era un ostacolo in più.

Fonte: www.hallseries.com

Sarebbe stato affascinante avere una prospettiva di indagine sulla persona, oltre che sulla donna d’affari.

La miniserie (contenuto al quale Netflix riserva sempre più investimenti) dedica alla parte più dura e probabilmente più rilevante della vita di Sarah soltanto una parte del primo capitolo.

Uno spettro di visione forse limitato che, invece di analizzare le profondità della anima di Madam C.J, si accontenta di mostrarci la scalata inarrestabile al successo. Un’emozione, forse un po’ strozzata, che non ha tempo di venir fuori nella successione di eventi che lasciano poco spazio alla scoperta intima dei personaggi.

La regia e la fotografia si attestano su un  buon livello tecnico, con alcune scelte inedite per un prodotto seriale (lunghe sequenza di ripresa).

Altrettanto originale la presenza di alcuni brani hip hop che scuotono ritmicamente lo svolgimento della narrazione.

Il vero plus della serie esprime la propria potenzialità mediante il trasporto emotivo suggestionato dalle interpretazioni delle attrici protagoniste.

Se siete in cerca di un contenuto alternativo e di qualità, Self-Made fa assolutamente per voi.

Antonio Mulone

Unorthodox: il fascino della vulnerabilità

La serie Netflix Unorthodox svela allo spettatore gli aspetti più intimi e privati della fede chassidica, ci racconta da un prospettiva inedita la vita quotidiana e le usanze di una cultura ancora oggi sconosciuta.

Seguendo Esty (interpretata dalla bravissima ed intensa Shira Haas) e la sua famiglia nelle loro giornate, scopriamo, infatti, tutte le dinamiche di un’educazione ancora legata ad un patriarcato radicato, nel quale il corpo della donna diviene recipiente procreativo.  Se non sei madre, nella comunità, non sei nulla.

Fonte: www.newseries.com

Ma, accanto alle usanze e alle cerimonie più tradizionali, Unorthodox ci racconta anche il desiderio di affermarsi e di seguire la propria strada. Il coraggio di chi vuole essere l’unico artefice del proprio futuro, a discapito di ogni cosa.

Nel quartiere di Williamsburg (NY) vive una folta comunità di ebrei ultra-ortodossi discendenti delle vittime polacche e ungheresi dell’Olocausto, della quale la miniserie sviscera le realtà del quotidiano e le ipocrisie.

Un tipo di fede profondamente ancorato a tradizioni arcaiche, che entra, inevitabilmente, in contrasto con le realtà culturali contemporanee.

Nella fede chassidica le donne ricoprono un ruolo gravemente subalterno rispetto agli uomini, non hanno il diritto di poter leggere la Torah o ricevere una educazione completa.

Il loro unico mantra è sposarsi e generare figli. Quando questo, per normalissime cause, si complica, si scoprono le fragilità di una realtà incapace di confrontarsi con la vulnerabilità delle cose.

Fonte: www.ciakclub.com

Esty, sposatasi da poco e convinta per questo di aver toccato con mano la bramata felicità, non riesce a rimanere incinta.

Avvilita da questa difficoltà, soffre anche per il frustante paragone con la madre, donna forte e carismatica.

Nonostante le difficoltà che è costretta ad affrontare, Esty dimostra la propria ribelle tenacia: decide di iniziare una nuova vita a Berlino, scrollandosi di dosso lontano le rigide gerarchie nelle quali, senza scelta, è cresciuta.

Un viaggio, un cambiamento che le farà riscoprire sé stessa; solo adesso infatti Esty prende coscienza dei suoi sogni e dei suoi istinti.

Berlino, accogliente e moderna, diventa  una meravigliosa metafora del superamento delle regole e dei pregiudizi imposti dal suo vecchio mondo.

Fonte: www.passionecinema.it

Una nuova realtà, lontana dal matrimonio e dalla vita di privazioni che ha condotto fino ad allora; un nuovo amore, quello per la musica e per il canto, che diventerà il motore della sua vita.

Un’ulteriore metafora, nella quale la protagonista riesce a far sentire al mondo la sua voce  come donna, prima che come cantante.

Questa è l’ultima ribellione di Esty, la liberazione definitiva dalla vecchia sé. Può finalmente intraprendere la nuova vita senza, però, dimenticare da dove proviene; una storia unica eppure simile a quella di tante altre donne (ma anche uomini) che hanno deciso di lasciarsi alle spalle una vita asfissiante.

Lo show targato Netflix mette in luce il rapporto complesso che intercorre tra la propria educazione, chi siamo e chi siamo destinati ad essere.

Un grido all’indipendenza e al coraggio, al fascino della vulnerabilità.

Antonio Mulone