Milazzo Film Fest 2025: Familia

Familia è un film del 2024 diretto da Francesco Costabile, tratto dall’autobiografia di Luigi Celeste  Non sarà sempre così.  La pellicola si propone di raccontare una storia realmente accaduta.

I cerotti non servono

Familia è la storia di una famiglia che parla di violenza, non solo domestica, ma soprattutto psicologica. Luigi Celeste (Francesco Gheghi) e Alessandro (Marco Cicalese) sono fratelli e, da tempo, insieme alla madre Licia Licino (Barbara Ronchi), subiscono gli abusi del padre, Franco (Francesco Di Leva). Il film non si limita alle tematiche disfunzionali, ma esplora nel complesso il trauma psicologico dei personaggi. La brutalità è sempre presente, trattata come un dato di fatto, una realtà con cui i protagonisti devono convivere. Un aspetto interessante, che riguarda il modo in cui le cicatrici non sono solo personali, ma anche familiari. La famiglia stessa diventa simbolo di prigionia emotiva. La continua ricerca di una riconciliazione, spesso impossibile, simboleggia il conflitto tra la necessità di perdonare e quella di proteggersi dal dolore.

familia
fonte: cinetecadibologna.it

Tormento angosciante di un ombra

Francesco Gheghi, giovanissimo vincitore del Premio Orizzonti per la miglior interpretazione maschile, nel ruolo di Luigi Celeste, offre una performance notevole, riuscendo a interpretare un personaggio complesso e tormentato grazie alla sua capacità di passare da momenti di fragilità a momenti di forza. A mano a mano che la trama si sviluppa, l’inevitabilità di sentirsi parte integrante della narrazione diventa progressivamente più evidente. La regia di Francesco Costabile è sobria e incisiva: le inquadrature sono infatti strette, e i primi piani, silenziosi ma efficaci, tanto da smascherare quanto la figura di Luigi sia destinata a essere tormentata da quell’ombra buia rappresentata dal padre. Un circolo vizioso che segue solo un obiettivo irraggiungibile, giustificato dalla manipolazione e dalla dipendenza emotiva, il perdono.

frame trailer. Fonte: youtube.com

Scolpiti dalla violenza

L’amore è paradossale in un contesto del genere: inconcepibile e masochista, ma c’è. Compare a starnuti per tutta una serie di meccanismi di negazione e distorsione della realtà. Punto centrale è la lotta interiore della persona abusata, che spesso oscilla tra l’amore e la paura, tra il desiderio di cambiare la situazione e l’incapacità di farlo, bloccata dalla manipolazione emotiva e dalla dipendenza psicologica. Licia (Barbara Ronchi) cede alle fasi di ‘’luna di miele’’, sperando quasi in un cambiamento che, chiaramente, non arriva. La bravura di Barbara Ronchi nelle vesti di Licia mostra quanto lei rappresenti un territorio ferito, segnato da cicatrici che non raccontano solo colpi fisici, ma anche l’erosione silenziosa della dignità. Una critica alla giustizia che arriva sempre troppo tardi e talvolta complice, accetta, tollera e rallenta il processo che si alterna.

Fonte: framedmagazine.it

Dentro le mura, oltre il silenzio

Una famiglia tormentata dal fatto di non riuscire a diventare tale, ogni tentativo di pacificazione è vano. Francesco Costabile lo sa bene e, evitando infatti moralismi e semplificazioni, il film diventa quasi claustrofobico, trattiene ed esplode solo alla fine. Questi legami asfissianti, che non sanno sfuggire alla prigione emotiva, diventano frutto di ulteriore violenza.

Una storia che sviscera i meccanismi dell’abuso, ma anche a esplorare come la società, la famiglia e la comunità tendano a fare finta di nulla o a giustificare comportamenti violenti. La regia cattura la bellezza struggente della solitudine delle vittime, in cui la violenza si insinua lentamente, come un veleno silenzioso che consuma tutto dall’interno. La macchina da presa si fa sempre più piccola, più intima, come se ogni inquadratura fosse un atto di comprensione o denuncia.

In un’epoca in cui si parla molto di diritti e di giustizia, Familia apre uno spazio di riflessione su quanto sia fondamentale non solo riconoscere l’abuso, ma anche prevenirlo, educare e intervenire tempestivamente. Una piaga sociale che spesso rimane nascosta e che, in un film del genere, viene trattata senza cadere nei sensazionalismi o nella banalità dei cliché. Un’opera dallo sguardo sincero, che porta alla luce una realtà cruda e invita a riconoscere come alcune dinamiche siano così radicate da sembrare normali.

 

Asia Origlia

Milazzo Film Fest 2025: La Vita Accanto

La Vita Accanto è un film del 2024, co-scritto (insieme a Marco Bellocchio) e diretto da Marco Tullio Giordana. È l’adattamento cinematografico del romanzo di Mariapia Veladiano e vanta un cast composto da Sonia Bergamasco, Valentina Bellè, Paolo Pierobon, Beatrice Barison, Sara Ciocca, Viola Basso e altri.

Trama

Il film è ambientato tra gli anni Ottanta e il Duemila e racconta di un’influente famiglia vicentina composta da Maria (Valentina Bellè), suo marito Osvaldo (Paolo Pierobon) e la gemella di quest’ultimo, Erminia (Sonia Bergamasco), affermata pianista. La loro vita viene sconvolta da un evento imprevedibile: Maria dà alla luce Rebecca.

La neonata, per il resto normalissima e di straordinaria bellezza, presenta un vistosa macchia purpurea che le segna metà del viso. Quella macchia, che nulla può cancellare e rende i genitori impotenti e infelici, diventa per Maria un’ossessione tale da precipitarla nel rifiuto delle sue responsabilità di madre. L’intera adolescenza di Rebecca sarà segnata dalla vergogna e dal desiderio di nascondersi dagli altri.

Eppure, fin da piccola, Rebecca rivela straordinarie capacità musicali. La zia Erminia riconosce il suo talento: Rebecca diventa sua allieva e il bisogno di cancellare la “macchia” la spingerà ad affermarsi attraverso la musica.

Il tocco elegante di Giordana

Marco Tullio Giordana è un regista italiano affermato, che ha saputo spaziare tra il cinema, televisione e teatro. Ha sempre raccontato le storie con una maestria particolare, senza cadere nel banale, anche quando si è trovato ad adattare sceneggiature non originali.

Spesso, pensando alle pellicole di Giordana, vengono in mente film come La meglio gioventù, I cento passi, Lea e altre opere che, da una prospettiva ben definita, affrontano dinamiche sociali o fatti di cronaca. Questa volta, è stato il romanzo di Mariapia Veladiano a catturare l’attenzione del regista, o forse è stato il libro a scegliere lui, come se il destino avesse voluto che le loro strade si incrociassero. E Giordana, ha usato il tocco giusto.

La Vita Accanto
Fonte: MyMovies.it

La “vita accanto” e la macchia della famiglia

La macchia rossa in questione è quella della piccola Rebecca, la protagonista del film. Una bambina bellissima, nata dall’unione di Maria e Osvaldo, che però, fin dal  momento della  nascita, non viene accolta dalla madre. Questo segna profondamente la bambina, poiché la madre dovrebbe essere la figura più importante della sua vita. Invece, Maria si rivela un personaggio contraddittorio e oscuro con cui, inizialmente, si fa fatica ad entrare in empatia. Utilizza le sue fragilità e la sua depressione come una sorta di scusa per allontanare la figlia e farla sentire inadeguata, colpevolizzandola per via di quella macchia che, secondo lei, avrebbe rovinato quella bambina tanto voluta.

Giordana mirava proprio a questo: entrare in quelle quattro mura e, sfiorando a tratti un tocco teatrale, raccontare una famiglia appartenente all’alta borghesia, spezzandone le ipocrisie e mostrando le loro fragilità e paure. Tutto questo, si incarna figura della madre, venendo fuori quando sprofonda nella depressione post-parto che si fa totalmente schiacciare da essa e dalla paura del giudizio altrui, tanto da voler tenere sua figlia nascosta, come se fosse il Gobbo di Notre Dame.

Dall’altra parte, Rebecca ha quella macchia, ma trova forza nel suo talento musicale, incoraggiata dalla zia Erminia. La musica diventa l’unico modus operandi per esprimere il peso che porta dentro e colmare il senso di vuoto. Man mano che cresce, si fa sempre più forte, mentre la sua evoluzione è in corso, nella madre sta avvenendo l’involuzione, fino a percepirla sempre più distante. Una “vita accanto” che scorre fino a quando un evento drammatico spinge la piccola a prendersi sulle spalle altre colpe.

La Vita Accanto
Fonte: Articolo21.org

Il finale che segna una rinascita

Il film scorre con una regia elegante, spesso in contrasto con un montaggio non sempre fluido, che crea passaggi bruschi tra le diverse fasi della vita della protagonista, talvolta sovrapponendo gli anni e generando qualche disorientamento temporale.

Tuttavia, è il corpo il vero fulcro della narrazione del regista, che si sofferma sull’identità imprescindibile e sull’apparenza sociale. Tutto è reso efficacemente in scena, a tratti statica, anche grazie alla presenza di bravissimi attori.

Tutto questo, sfiorando persino la dimensione della fantasia, conduce a un finale che, in un certo senso, segna la rinascita della protagonista. Quel dialogo con quel fantasma che è rimasto accanto a lei per tutta la vita, sia fisicamente che mentalmente, rappresenta il momento decisivo. La continua ricerca di consapevolezza segna la fine di quel passaggio difficile, e dalle ceneri rinasce una nuova Rebecca, più consapevole e pronta per la “normalizzazione”. Si può dire che la sua vita inizia in quel momento, non perché la macchia sia sparita, ma perché ha raggiunto l’equilibrio interiore e si è, finalmente, liberata di quei pesi. La macchia era il simbolo metaforico del peso di una madre che non è mai stata davvero accanto a lei, ma ora che ha scoperto la verità, Rebecca la guarda da un’altra prospettiva ed è finalmente pronta a vivere davvero, spiccando il volo.

 

Giorgio Maria Aloi

 

Milazzo Film Fest 2025: L’Arminuta

L’Arminuta è un film del 2021 diretto da Giuseppe Bonito, tratto dall’omonimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio, vincitore del Premio Campiello 2017. Il film ha inoltre ottenuto un David di Donatello per la miglior sceneggiatura non originale, uno per il miglior film (2021) e un Nastro d’Argento.

Biglietto solo andata

Il titolo, che in dialetto abruzzese significa “la ritornata”, si riferisce alla protagonista: una ragazzina che viene “restituita” alla sua famiglia biologica dopo aver vissuto per molti anni con quella adottiva. Catapultata in una realtà diversa da quella che viveva prima, l’Arminuta (Sofia Fiore) vive così il dramma della separazione e, di conseguenza, quello di una crisi d’identità.

Il tema della famiglia è dunque al centro, ma non nella sua rappresentazione ideale, bensì come un insieme di relazioni complicate, che non sempre offrono amore incondizionato, ma piuttosto fratture e incomprensioni.

Visualizzato senza risposta

La sua crescita si realizza più nel vuoto lasciato da un affetto mancante che nella ricerca di un amore che la completi. L’Arminuta è costretta a fare i conti con una mancanza di risposta da parte delle persone da cui dovrebbe aspettarsi accoglienza e calore; questo è proprio il cuore pulsante della sua lotta interiore.

Film in cui l’amore viene offerto a singhiozzo e in modo distaccato, l’Arminuta quindi diventa simbolo di una generazione che cresce in un mondo dove le relazioni non sono più così semplici, laddove l’amore non è scontato e il legame di sangue non sempre garantisce connessione emotiva. L’incapacità di essere amati in modo semplice diventa, paradossalmente, una spinta per la protagonista a cercare di trovare un equilibrio dentro di sé.

L'Arminuta
Vanessa Scalera e Sofia Fiore in una scena del film. Fonte: https://www.anonimacinefili.it/wp-content/uploads/2021/10/larminuta-2.jpg

Quando l’amore diventa conflitto

Complesso è il rapporto con la madre, che non è né materna né affettuosa, semplicemente non sa come amarla. Non la respinge di fatto intenzionalmente, ma non sembra vedere l’Arminuta come una figlia.

Metaforicamente parlando, è come se la madre fosse un muro, non cattivo, ma pur sempre un muro. La sua casa, per quanto priva di affetto, resta sempre casa sua, e lei è, per quanto difficile da accettare, sua figlia.

Vanessa Scalera, grazie alla sua performance, restituisce al personaggio realtà e intensità; la sua interpretazione non è mai eccessivamente melodrammatica, ma piuttosto contenuta da qualsiasi tipo di sentimentalismo, fatta di piccole sfumature, in cui emerge la fatica di una madre che ha vissuto una vita difficile e che non ha gli strumenti emotivi per accogliere la figlia che le è stata restituita.

Scalera evita un’interpretazione troppo didascalica della madre “dura” e “insensibile”, ma semplicemente su una figura che è incapace di esprimere l’affetto che, forse, prova.

Vivere oltre il dolore

L’Arminuta è un film che non tenta di trovare una soluzione: grida incompletezza, perdita e resilienza. Non ci sono facili risposte o chiusure emotive.

Tra i personaggi, tra l’altro, quella che sembra essere la più equilibrata nel contesto in cui vive è Adriana (Carlotta De Leonardis), sorella dell’Arminuta. Adriana è pragmatica, ha accettato la sua realtà familiare e, anche se non manifesta apertamente affetto, è molto più radicata nella quotidianità, sembra disillusa e rassegnata alla sua condizione, non mostra particolare entusiasmo, ma ha imparato a vivere con quello che ha, senza aspettative di cambiamenti. A modo suo, è quella che riesce a restituire ciò che si avvicina di più all’amore all’Arminuta, senza troppe frasi fatte, ma solo attraverso gesti significativi.

Sofia Fiore e Carlotta de Leonardis. Fonte: pad.mymovies.it

Un ritorno che spezza senza ricomporre

Il film offre una critica al concetto tradizionale di famiglia perfetta e all’incapacità di trovare empatia e comunicazione. Una storia commovente, cruda e con uno sguardo realistico.

Un viaggio interiore ed emotivo che esplora il difficile cammino della protagonista, che piano piano si sforza di cercare risposte e ottenere quelle più amare. La crescita personale dell’Arminuta, pur segnato da frustrazioni, è un percorso tortuoso ma che volge a un’accettazione senza più illusioni di trovare una felicità esterna.

 

Asia Origlia

Milazzo Film Fest 2025: Pino Daniele – Nero a Metà

In occasione dei dieci anni dalla scomparsa, anche il Milazzo Film Fest 2025 ha deciso di omaggiare Pino Daniele, proiettando, durante la prima serata del festival, il documentario Pino Daniele – Nero a Metà, diretto da Marco Spagnoli e uscito nelle sale esclusivamente il 4, 5 e 6 gennaio.

Le origini di Pino

Il viaggio che il regista Marco Spagnoli compie per raccontare gli inizi del cantautore ha un narratore speciale: Stefano Senardi, amico e produttore dei primi tre album. Attraverso Napoli, i racconti di amici, colleghi e collaboratori di Pino, Senardi ripercorre i momenti più importanti della prima fase della sua carriera.

Tra gli intervistati figurano alcuni pilastri del cantautorato napoletano come Enzo Gragnaniello ed Enzo Avitabile, membri della Nuova Compagnia di Canto Popolare come Fausta Vetere, musicisti come Tony Cercola e Gino Magurno, nonché rappresentanti della canzone popolare napoletana come Teresa De Sio.

 

Fonte: ANSA
Pino Daniele. Fonte: ANSA

Correva l’anno 1980

Dopo Terra Mia (1977) e Pino Daniele (1978/79), nel 1980 arriva Nero a Metà, album che dà il titolo a questo documentario. Non si tratta di un semplice disco, ma del simbolo stesso della discografia di Pino Daniele.

In questo album, le radici napoletane si fondono con il blues e il funk, dando vita a un’innovazione geniale firmata da un grandissimo cantautore e musicista. Al suo interno sono presenti brani straordinari come I say i’ sto cca, A me me piace ‘o blues, Alleria, Appocundria e Quanno chiove.

Questo terzo lavoro di Pino è dedicato a Mario Musella, uno dei massimi riferimenti della canzone napoletana, a cui si deve anche il titolo dell’album. Il Nero a Metà è infatti proprio lui, figlio di madre napoletana e padre nativo americano. Per Pino, i Neri a Metà sono coloro che nascono nei Sud del mondo, e il suo omaggio a questa realtà è evidente, con Napoli che rimane il suo scenario privilegiato e inconfondibile.

Pino Daniele
SPE – supergruppo. Fonte: https://www.pinodaniele.com/miscellaneous/1981-2/

Il supergruppo e il concerto del 1981

Dopo Nero a Metà, è impossibile parlare di Pino Daniele senza citare il cosiddetto supergruppo, una formazione di straordinari artisti che hanno rivoluzionato la canzone napoletana. La band comprendeva James Senese al sax (ex membro di Napoli Centrale), Tony Esposito, Tullio De Piscopo alla batteria, Joe Amoruso e Rino Zurzolo.

Il 19 settembre 1981, il supergruppo fu protagonista di un evento storico per Napoli e non solo. A un anno di distanza dal devastante terremoto dell’Irpinia, la città rese omaggio alle vittime con un concerto che avrebbe segnato per sempre la vita artistica di Pino Daniele.

 

PINO E NAPULE COM’È

Con Pino Daniele – Nero a Metà, Marco Spagnoli racconta il primo Pino Daniele: un ragazzo giovane, con la voglia di emergere e di mostrare la sua visione delle cose attraverso il linguaggio universale della musica.

Il suo modo di raccontare senza filtri, facendo emergere solo la verità, gli ha permesso di dipingere Napoli per quella che era realmente: una città autentica, talvolta crudele, ma sempre viva.

 

 

Rosanna Bonfiglio