“Il Diluvio Universale” a Messina: cronaca di un grande ritorno

Si è tenuta domenica 6 gennaio 2019, a partire dalle 18:00 al PalaCultura, nel contesto della stagione concertistica organizzata annualmente dalla Filarmonica Laudamo, la prima esecuzione messinese dell’oratorio “Il Diluvio Universale” di Michelangelo Falvetti. Compositore attivo a Messina sul finire del XVII sec., la sua musica, per la prima volta dopo secoli, ha potuto finalmente risuonare ancora una volta nella città in cui fu concepita ed eseguita originariamente. Lo spettacolo si è aperto dopo un conciso intervento del musicologo prof. Niccolò Maccavino, autore di una delle principali edizioni critiche dell’opera di Falvetti. Con gesto sicuro ed appassionato il maestro Carmine Daniele Lisanti ci ha guidati tra le pagine di questo piccolo gioiello barocco, dove la vicenda biblica fa da spunto per mettere in scena un dramma intenso e carico di emozioni. Toccante la performance dei protagonisti Angelo Quartarone (Noè, tenore) e Alessandra Foti (Rad, soprano); fra i solisti, Daniele Muscolino (basso) ha impersonato un Dio roccioso e tonante; ottime anche Santina Tomasello (soprano), una fragilissima e cristallina Humana Natura, e Caterina d’Angelo (contralto), vigorosa nei panni della Giustizia Divina; ultimo ma non per importanza Simone Lo Castro (controtenore) ha reso bene l’insolito ruolo falvettiano di una Morte ironica, scanzonata, che festeggia il suo trionfo a suon di tarantella.
Vero grande protagonista, commentatore attivo dei momenti più drammatici, è stato il coro polifonico “Luca Marenzio”: solido e limpidissimo nella non facile resa della texture contrappuntistica e rischiarato, sul finale, dall’intervento del coro di voci bianche (diretto da Salvina Miano e Giovanni Mundo) a sancire, metafora dell’arcobaleno, la riappacificazione fra cielo e terra (“Ecco l’iride paciera”) per poi culminare nel catartico fugato conclusivo (“Or se tra sacre olive”). Il tutto sostenuto dalle evoluzioni capricciose, quasi improvvisative, pienamente barocche dell’ensemble strumentale “Orpheus”, perfettamente in linea con lo spirito dei tempi e le antiche pratiche esecutive su strumenti d’epoca.
A sipario calato, e dopo i meritati applausi, noi di UniVersoMe abbiamo avuto modo di scambiare due chiacchiere con un emozionatissimo maestro Lisanti, che ha cortesemente risposto alle nostre domande:

Maestro, innanzitutto complimenti per lo spettacolo. Cominciamo con una domanda molto personale. Come ci si sente a dirigere la musica di Falvetti proprio qui, a pochi passi da dove fu eseguita la prima volta, nel lontano 1682?

“È una cosa favolosa, fantastica! La prima volta che l’ho sentita sono rimasto sbalordito da quest’opera, non la conoscevo ed è davvero incredibile. Peccato che qualcosa di così bello sia rimasto nascosto per oltre tre secoli. È stato forse il lavoro più bello che abbia mai diretto.”

Secondo lei per quale motivo questo autore e quest’opera sono rimasti nascosti tanto a lungo al pubblico?

“Come ha anche spiegato Maccavino, questa opera è rimasta a lungo inedita. La sua prima edizione critica è del 2001, è stata edita dal conservatorio di Reggio Calabria. Lo scorso ottobre è uscita la nuova edizione critica della urtext, la edizione Orpheus, curata sia da Maccavino che da Fabrizio Longo. Adesso è edita, la si può acquistare, può essere diffusa con facilità, prima era inedita, non era mai stata trascritta, quindi era più difficile arrivare al testo musicale”

Andando a indagare si scopre che Messina, nel corso dei secoli, ha avuto un patrimonio musicale davvero degno di nota. Eppure questo repertorio è quasi del tutto assente dalle programmazioni concertistiche di ogni anno. Quali sono le cause, secondo lei, di questo scarso interesse nei confronti del patrimonio musicale nostrano?

“In effetti è assurdo che questa musica sia così sconosciuta ai messinesi stessi, ma in fondo si tratta di autori che a volte non si trovano neanche sui libri di storia della musica, neanche nelle edizioni più moderne. Eppure Falvetti è ormai da circa dieci anni che viene eseguito, lo hanno fatto in Francia; in Israele; in Austria, a Salisburgo; mi pare anche a Torino e Milano negli ultimi anni, insomma ha avuto un discreto successo negli ultimi dieci anni.”

La nostra testata si rivolge a un pubblico giovane, che spesso è molto lontano dal mondo della musica colta. Cosa direbbe a dei ragazzi, a degli universitari, per invogliarli a scoprire di più ed avvicinarli al mondo della musica colta?

“Secondo me si dovrebbe partire dalla musica antica, dai grandi classici, Bach, Mozart, questi autori che sono veramente grandi, hanno fatto cose eccezionali. Sono gli autori che più invogliano, sono melodici, sono brillanti (penso a Mozart per esempio), sono un buon punto di partenza per chi vuole scoprire di più”.

Grazie mille per la cortesia. Un’ultima domanda prima di salutarci: visto il successo di quest’anno, l’anno prossimo avete intenzione di eseguire il Nabucco, altra opera inedita di Michelangelo Falvetti?

“ Io la partitura ce l’ho, l’ho letta. Senza dubbio sarebbe bello, vedremo quel che si può fare…”

Che dire: che sia forse l’inizio di un “Falvetti-revival” per Messina?

Gianpaolo Basile

Un Diluvio di musica per Messina: Michelangelo Falvetti, compositore dimenticato

Se c’è una categoria di personaggi con la quale la Storia è stata più ingiusta, almeno per quanto riguarda Messina, è quella dei musicisti. Tra i pittori, tutti si ricordano del grande Antonello; tra gli scultori, del Montorsoli; tra i letterati, di La Farina, Cannizzaro, Maurolico, Bisazza; tutti, questi ultimi, “numi tutelari” di altrettanti licei cittadini. Se si parla invece di musicisti, subentra il vuoto più totale: l’unico conservatorio cittadino è intitolato ad Arcangelo Corelli, brillante compositore e violinista del periodo barocco, che con Messina non ebbe mai nulla a che spartire; solo i più colti si ricorderanno di Antonio Laudamo, compositore ottocentesco cui è dedicata l’omonima Filarmonica, nonchè la sala che porta il suo nome al teatro Vittorio Emanuele; a Mario Aspa, contemporaneo e collega, è andata peggio, dovendosi accontentare di una stradina secondaria poco lontana dal teatro stesso.

Un musicista che non ha avuto invece neppure questa fortuna (eppure se ne meriterebbe eccome), è invece Michelangelo Falvetti: compositore sconosciuto e geniale di origini calabresi, operò a

Messina alla fine del Seicento, come Maestro di Cappella della Cattedrale; la recente riscoperta di alcune delle sue opere, proprio risalenti al periodo messinese, ci ha permesso di gettare una luce su questa grande e complessa mente musicale che altrimenti sarebbe rimasta abbandonata all’oblio.

Della vita e delle opere di Michelangelo Falvetti sappiamo veramente poco e quel poco che sappiamo lo dobbiamo soprattutto a due musicologi contemporanei: Niccolò Maccavino e il messinese Fabrizio Longo.

Apprendiamo così che Michelangelo Falvetti nacque nel piccolissimo paesino di Melicuccà, nell’entroterra calabrese, nell’anno 1642. Della sua formazione musicale non sappiamo nulla, anche se possiamo supporre, dato che prese gli ordini sacerdotali, che ricevette i primi rudimenti musicali in seminario, come era comunissimo all’epoca.

Una fonte indiretta ci suggerisce infatti la sua presenza nella città peloritana, nel 1669, a 27 anni: si tratta della dedica fattagli da un suo collega musicista, il violinista Giovanni Antonio Pandolfi Mealli, attivo nella Cappella Senatoria del Duomo di Messina, che nel 1669 dà alle stampe a Roma un libro di sonate, ciascuna dedicata a un suo collega diverso della cappella senatoria.

Nel 1670, Falvetti è chiamato a Palermo, dove diventa maestro di cappella e scrive numerose composizioni, soprattutto oratori. Il suo ruolo nel contesto musicale della città non era affatto marginale, tanto che, nel 1679, lo troviamo tra i fondatori dell’“Unione dei Musici”, una sorta di associazione di mutuo soccorso per i musicisti. In questo periodo è anche documentata la sua presenza a Catania, dove sono eseguiti alcuni suoi lavori.

Nel 1682, Falvetti torna a Messina, succedendo al conterraneo Domenico Scorpione nel ruolo di Maestro di Cappella del Duomo. Certo, Messina non è più quella della sua giovinezza: è appena uscita dalla violenta repressione della rivolta antispagnola ed è una città distrutta, disonorata, umiliata. Forse non è un caso che la sua prima opera del periodo messinese, quella che compose per il proprio insediamento e che è oggi considerata il suo capolavoro, sia un oratorio a cinque voci intitolato “Il Diluvio Universale”; il tema della giusta ma implacabile punizione divina, forse metafora della vendetta degli Spagnoli verso la città, domina l’intero lavoro, che solo alla fine si riapre con uno spiraglio di luce e speranza nella riconciliazione fra la terra e il cielo.

Sono diverse le opere che Falvetti scrive a Messina, ma solo il “Diluvio” e il successivo “Nabucco” (1683) ci sono rimaste per intero e sono ad oggi state eseguite e registrate almeno una volta. Si tratta di un piccolo, ma eloquente saggio delle capacità artistiche di questo brillante compositore: in un periodo storico in cui la musica è quasi una forma di artigianato, Falvetti da sapiente maestro padroneggia tutte le risorse armoniche e contrappuntistiche che la tecnica del periodo gli offre e le sfrutta al servizio di una scrittura estremamente espressiva, drammatica, teatrale in senso lato.

Come spesso accade nell’estetica barocca, tutto è giocato in funzione dell’impatto emotivo, della capacità della musica di rappresentare un “affetto”, una emozione; se i testi abbondano di prosopopee e personificazioni (concetti astratti che diventano personaggi, come la Morte, la Giustizia Divina, l’Idolatria, la Superbia), alla musica va il ruolo di rivestire di “carne ed ossa”, di emozioni umane questi concetti astratti, e di avvicinare il dramma dell’episodio biblico alla comprensione empatica dello spettatore, facendogli provare ciò che i personaggi provano. Anche quando la scrittura musicale vira verso la complessità del contrappunto, non c’è astrazione: tutto è tangibile, concreto, carnale, a volte persino sensuale, come quando il ritmo accenna dei movimenti di danza.

Della vita di Falvetti, passato il 1695, anno in cui cede il posto di Maestro di Cappella, si perdono le tracce. Restano oggi le sue opere, lentamente uscite dalle paludi dell’oblio per andare prima a finire sugli scaffali polverosi delle biblioteche, sotto forma di studi musicologici, e poi, finalmente, a trasformarsi di nuovo in musica, per le orecchie degli ascoltatori. È nel 2010 che il direttore argentino Leonardo Garcia Alarcòn riscopre questi due oratori, li mette in scena la prima volta dopo secoli e li registra, con grande successo di pubblico e critica, soprattutto all’estero.

In Italia questo successo è più lento ad arrivare, e negli 8 anni successivi sono state pochissime le esecuzioni di questo autore. In Sicilia, terra che lo vide fiorire, Falvetti è tornato, dopo 300 anni, solo pochi giorni fa, quando a Palermo al Teatro Massimo è stato messo in scena “Il Diluvio Universale”, a cura di Ignazio Maria Schifani. Da Palermo a Messina il passo è breve: c’è da chiedersi quanto ancora dovremo attendere per sentire le sue note risuonare, di nuovo, nella città del Diluvio…

Gianpaolo Basile