Perché usiamo Instagram?

Perché usiamo Instagram? Nel corso degli anni sono numerose le insidie dovute alla spietata concorrenza, eppure l’applicazione di proprietà del gruppo Meta sembra essere riuscita a superarle tutte.

Le origini e lo sviluppo, è giusto prendere spunto?

É un normale pomeriggio, hai appena finito di pranzare, decidi di sederti sul tuo comodo divano e, prendendo lo smartphone, apri Instagram e inizi a visualizzare i vari post del tuo feed. Noti che ci sono 5 nuove pubblicazioni di persone che segui: 2 foto del tramonto del giorno prima, 2 foto scattate con la fotocamera anteriore e una foto del cane di un tuo amico. No, non hai sbagliato applicazione, sei su Instagram ma nel 2015.

Logo di Meta
Fonte: Facebook

La piattaforma appena descritta paradossalmente rappresenta qualcosa di molto vicino all’idea che sta alla base di Instagram ma contemporaneamente un social totalmente differente da quello attualmente utilizzabile. Se ci trovassimo a vivere un’esperienza utente come questa ci apparrebbe come un vero e proprio anacronismo. Ad oggi l’utente medio di Instagram la prima cosa che fa una volta aperta l’applicazione non è guardare i post bensì le storie. Il cambiamento infatti ha inizio nell’agosto del 2016 quando per la prima volta ci si è potuti interfacciare con questo tipo di contenuti: foto o video dalla durata massima di 15 secondi che come caratteristica peculiare possedevano la totale e automatica cancellazione dopo 24 ore dalla pubblicazione. In realtà non si trattava di un’idea totalmente nuova ed inedita. I gestori di Instagram avevano semplicemente “preso spunto” dal progetto promosso in quegli anni da un’altra piattaforma: Snapchat. Quest’ultima stava vivendo il periodo di massima espansione in quegli anni e stava per diventare il social più amato e utilizzato dai giovani. Se questo scenario non si è verificato è merito di Instagram e della sua capacità di intercettare il trend del momento e di adattare la piattaforma ad esso.

Le novità:

Proprio questa capacità ha fatto si che il social di Meta nel tempo rimanesse il più gradito dalle nuove generazioni nonostante le numerose insidie di questi ultimi anni.

Sono stati creati i Reels per inseguire TikTok ed è stata aggiunta la funzione “fotocamera bilaterale” per imitare i post di BeReal. Ecco perché ad oggi ci sono realmente pochi motivi per utilizzare Instagram. Aprendo l’applicazione trovi tutto ma non vivi quell’esperienza unica che ti spinge a preferirla rispetto alla concorrenza.

Pensateci, cosa manca? Una bella zona di dibattito simultaneo. Un limite di caratteri, dei post testuali che lasciano spazio agli utenti per dire ciò che gli passa per la mente. Elon, io te lo dico, guardati le spalle.

Loghi di Snapchat, TikTok, Instagram
Fonte: Bemainstream.com

Siamo al sicuro su Instagram?

In realtà dovremmo tutti guardarci le spalle dal momento in cui utilizziamo un’applicazione di proprietà del colosso Meta. Senza rendercene conto infatti ogni volta che clicchiamo su quell’icona diciamo addio alla riservatezza, al nostro right to be alone, ma soprattutto all’idea che i nostri gusti, le nostre tendenze, i nostri dati siano davvero Nostri. Lo sa bene chi si è ritrovato coinvolto nel celebre scandalo di “Cambridge Analytica”: nel 2018 è stato rivelato che molti dei dati di ben 87 milioni di account Facebook erano stati ceduti alla società di consulenza politica Cambridge Analytica che li aveva sfruttati per influenzare le elezioni presidenziali americane del 2016 e anche quelle nel Regno Unito. Conseguenze? Per Meta quasi nessuna, è diventata talmente grande da essere intoccabile. Talmente grande che negli Stati Uniti sono tutti preoccupati da eventuali furti di dati da parte di TikTok, ma nessuno osa far domande sul caro Zuckerberg.

Perché usiamo instagram?
Mark Zuckerberg.
Fonte: Corrierecomunicazioni.it

Cosa ci spinge ad utilizzarlo?

Detto ciò l’utente dei social network comunque continua ad utilizzare l’app di Metà, perché? Una banale – ma nemmeno troppo – ragione sociologica: l’essere umano che vive in società necessità di visibilità. Ad oggi non sei nessuno se non sei su Instagram. La tua riconoscibilità, e molto spesso la grandezza del tuo ego, risulta essere direttamente proporzionale al numero di followers che hai. Inoltre ultimamente sta prendendo piede un altro tipo di convinzione: tramite i social ci si può arricchire, i social possono diventare un lavoro. Da quando questa idea contagia, anche solo in minima parte, la mente di qualsiasi utilizzatore di Instagram, diviene sempre più difficile separarsi da questa possibilità.

Saremo famosi?

Non vorrei necessariamente infrangere i sogni di tutti ma credo ci sia bisogno di un po’ di dati, non statistiche indecifrabili ma un qualcosa di semplice da cui si possa ricavare una conclusione altrettanto banale ma spesso di così ardua capibilità.
Numeri alla mano, tra i 20 account più seguiti su Instagram ben 7 sono cantanti, 6 personaggi tv, 3 calciatori, 1 magazine, 1 giocatore di cricket, 1 marchio di moda e infine, come account più seguito, il social stesso, Instagram. Qual è la conclusione alla quale desidero arrivare? Instagram è un mezzo che raramente ti permette di arrivare in alto da zero. Instagram serve? Si, ma al massimo come amplificatore, smontiamo l’idea che senza fare nulla tramite i social si possa arrivare a guadagnare e ad avere visibilità.

Nonostante ciò, nonostante i motivi citati in apertura, probabilmente questo articolo verrà in qualche modo spammato sui social – soprattutto su Instagram – io lo ricondivideró sul mio profilo personale e tutto andrà come sempre, dal 2015 ad oggi. Perché la verità – per certi versi amara – è che non possiamo separarci da questo, che Instagram non è entrato solo a far parte della nostra realtà ma addirittura la sorregge.

È il 2023 e senza Instagram il mondo non sarebbe lo stesso.

Francesco Pullella

SIAE contro META: l’Antitrust avvia un’istruttoria per abuso di dipendenza economica

Nell’ultimo periodo, i nostri feed di Instagram e Facebook non sono più come prima. Video di albe e tramonti, con di sottofondo le più celebri e virali canzoni del cantautorato italiano e non solo, sono silenziati. Ma qual è la ragione?

A fine marzo, la SIAE (Società Italiana degli Autori ed Editori) non ha raggiunto un accordo con la grande impresa statunitense, che gestisce le piattaforme dei due social, METATutta la musica tutelata dalla società italiana, sulle piattaforme di Zuckerberg, è stata bandita.

Le trattative sono aperte, ma sembrerebbe che ancora non sia possibile raggiungere una “meta”. Lo scorso 5 aprile, l’Antitrust ha avviato un’istruttoria nei confronti di META Platform, per un presunto abuso di dipendenza economica nella negoziazione con SIAE della stipula della licenza d’uso, sui due social, dei diritti musicali. Ma cosa sta succedendo? Vediamolo nel dettaglio.

SIAE VS META: L’Antitrust contro le piattaforme di Zuckerberg

Tramite un comunicato, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Antitrust), ha dichiarato di aver avviato un’istruttoria, insieme ad un procedimento cautelare, nei confronti di: Meta Platforms Inc., Meta Platforms Ireland Limited, Meta Platforms Technologies UK Limited e Facebook Italy S.r.l. (di seguito, Meta). Sembrerebbe che l’azienda di Zuckerberg, abbia indebitamente interrotto le trattative, per il rinnovo del contratto scaduto. Non fornendo alla società le informazioni necessarie, per svolgere le negoziazioni. Senza rispettare, così , il principio di trasparenza ed equità (qui il comunicato stampa).

SIAE
Fonte: Freepik

L’Autorità indaga sulla veridicità dell’ipotesi che META abbia potuto abusare dello squilibrio contrattuale di cui beneficia, chiedendo a SIAE  un’offerta economica inadeguata. Siete fosse vero ciò potrebbe essere significativa ai fini della tutela della concorrenza nei mercati. Sarebbe un danno per i consumatori, per le capacità competitive di SIAE. Impedirebbe agli autori, rappresentati da quest’ultima, di raggiungere l’ampia categoria di utenti che usufruisce delle piattaforme. Inoltre, ci potrebbero essere effetti negativi sulla remunerazione dei diritti connessi ai produttori, di opere musicali e di tutte le altre posizioni giuridiche, tutelate nell’ambito della legge sul diritto d’autore.

L’interruzione delle trattative tra i due colossi, potrebbe incidere sulle dinamiche competitive tra i diversi soggetti che compongono la filiera dei dei mercati dell’intermediazione dei diritti d’autore sulle opere musicali. Ne consegue, quindi, la necessità di un intervento cautelare, affinché la negoziazione possa andare a buon fine.

SIAE vs META: Quali sono state le reazioni a questo procedimento?

La trattativa con META non si è mai chiusa. Chiediamo però trasparenza per stabilire il giusto compenso agli autori. Il danno che META sta procurando, non è solo economico ma anche culturale.

Questo è quanto dichiarato, quale giorno fa, dal presidente della SIAE, Salvatore Nastasi. Quest’ultimo si era rivolto all’istituzioni con un “non lasciateci soli“. Dopo il provvedimento, preso dall’Antitrust, si dichiarerebbe soddisfatto.

Siamo grati all’AGCM per questa decisione, che ci consentirà di tornare a sederci al tavolo negoziale per confrontarci ad armi pari con il colosso americano. Acquisendo, finalmente, le informazioni necessarie per poter assicurare un’equa remunerazione nell’interesse degli autori rappresentati da SIAE e, più in generale, dell’industria creativa italiana. Del resto, è previsto un incontro presso il Ministero della Cultura, nel quale ci confronteremo con la consueta trasparenza, con l’auspicio di pervenire a un’equa soluzione in tempi brevi.

Il colosso americano non si arresta e ha risposto a queste dichiarazioni, tramite un portavoce:

Siamo pronti a collaborare per rispondere alle richieste dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato. Tutelare i diritti d’autore di compositori e artisti è per noi una priorità assoluta. Per questo rimaniamo impegnati nel raggiungere un accordo con SIAE, che soddisfi tutte le parti.

Ma questo incontro, al Ministero della Cultura, è andato a buon fine?

Dobbiamo difendere l’opera di ingegno degli autori italiani, che è un vero e proprio bene materiale. I colossi transnazionali rispettino l’identità degli Stati e il lavoro di ingegno delle persone. Alta espressione della cultura di una Nazione.

Queste le parole del Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, risalenti a qualche giorno fa. Sembrerebbe, però, che ieri le oltre tre ore di trattative, presso il Ministero della Cultura, non abbiano portato a nulla. META non sembrerebbe essere disposta a fare grandi passi avanti. Nastasi ha commentato di essere ancora molto distanti, poiché «nulla di quello richiesto dell’Antitrust è stato accolto da META». Il sottosegretario alla Cultura, Gianmarco Mazzi, ha aggiunto:

Trovo veramente assurdo che queste piattaforme, che hanno un’incredibile potenza economica, abbiano degli atteggiamenti di non rispetto nei confronti di chi i contenuti li crea.

Mazzi è sconcertato dalla cifra proposta, ritenendola “umiliante per i creatori“. Al tavolo delle trattative si sono sedute anche altre due Autorità: il garante per la Concorrenza e quello delle Comunicazioni. Non è mancato l’intervento politico, dalle parole del presidente della Commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone:

Il Parlamento non fa più il passa-carte come è stato negli ultimi 5 anni, con i governi di unità nazionale, ma diventa di fatto un organo propulsivo e rivendichiamo il merito di questo riavvicinamento. Meta trovi un accordo, come lo ha trovato Google e che i nostri artisti vengano rispettati.

Le opere tutelate dalla SIAE, rappresentano una componente importante dell’offerta musicale italiana e internazionale. Trovare un’accordo è davvero fondamentale. Si riuscirà a mettere un punto? Di certo servirà un nuovo faccia a faccia, nella speranza che sia quello definitivo.

Marta Ferrato

 

Meta Vs TikTok: Targeted Victory avrebbe cercato di condurre una campagna diffamatoria ai danni del social sempre più usato

Il Washington Post porta alla luce la campagna diffamatoria di Meta contro TikTok condotta dalla società Targeted Victory. Il CEO conferma di essere stato ingaggiato per lo scopo.

Facebook contro TikTok -Fonte:tecnoandroid.it

L’inchiesta, riportata nell’uscita del 31 marzo 2022 del Washington Post, riporta uno scambio di mail. In queste, si dimostra come Meta, proprietaria di Instagram e Facebook, abbia chiesto alla società di consulenza Targeted Victory di mettere su una campagna che influenzasse negativamente, nel target media locali e regionali degli Usa, l’opinione sulla piattaforma TikTok di proprietà della cinese ByteDance.

Cosa è successo

I dirigenti di Meta da tempo manifestano forte preoccupazione per l’escalation di interesse di TikTok tra i più giovani. Il motivo che avrebbe portato azienda di proprietà di Mark Zuckerberg alla decisione di attuare una campagna discriminatoria sarebbe da ricercare sulla preferenza manifestata dal pubblico di Internet.

Mark Zuckerberg -Fonte:titulares.ar

Risulta infatti che una grande fetta di questo preferisce navigare sulla piattaforma orientale, registrando un utilizzo di essa che supera di due o tre volte quello di Instagram. Lo stesso Zuckerberg aveva riconosciuto:

“Le persone hanno molte scelte su come vogliono trascorrere il loro tempo e app come TikTok stanno crescendo rapidamente.”

Ciò testimonia, appunto, nel trimestrale, il primo calo del numero di utenti nella storia di Facebook e che ha generato di riflesso il tonfo delle azioni di Meta.

TikTok -Fonte:citynow.it

Il boom di TikTok

La piattaforma di proprietà della cinese ByteDance ha visto una crescita esponenziale. Nonostante non siano mancati i legami con la cronaca e le indagini, i dati registrati da Sensemakers-Comscore, una società leader specializzata nella misurazione cross-platform a livello globale di audience, brand e comportamenti di consumo, ha visto risultati sbalorditivi. Le rivelazioni effettuate fra il novembre 2019 e il novembre 2021 pongono, nella fascia d’età 18-24, un livello di diffusione dell’app dal 43% al 70%. Nello stesso periodo è sceso dal 92% al 71% quello di Facebook.

Khaby Lame -Fonte:newsroom.tiktok.com

La campagna diffamatoria

La tattica usata, in realtà, non ha nulla di nuovo e straordinario come sottolinea WaPo, le pressioni sulla stampa per vessare i legislatori fanno ormai parte di strategie comuni nel mondo della politica. Tale competizione per la rilevanza culturale si fa viva in un momento in cui Facebook fatica a riconquistare i giovani utenti, divenendo così un mezzo che sta più comunemente prendendo piede all’interno dell’industria tecnologica.

Targeted Victory -Fonte:targetedvictory.com

L’affidamento all’agenzia Targeted Victory per indebolire TikTok attraverso l’uso di una campagna mediatica e di lobbying a livello nazione, serviva per far passare l’app cinese come pericolosa. Secondo le mail intercettate si doveva ritrarre la piattaforma come “insicura” per i bambini e per la società americana.

Un esempio di bufala architettato da Targeted Victory che, di certo, negli anni ha influito molto su alcuni scandali. Bisogna riportare alla memoria vicende come quella trattata dal giornale di proprietà di Jeff Bezos. Nello scorso ottobre, ha raccontato una presunta challenge che invitava gli utenti a prendere a schiaffi i loro insegnanti, ma una rapida ricerca sull’app, smentiva quanto affermato. Ciò ha notevolmente allarmato la piattaforma cinese, la quale ha riportato in una nota

“Ci preoccupa profondamente che la sollecitazione di media locali attorno all’esistenza di presunti trend, che non trovano riscontro in piattaforma, possa causare danni concreti nel mondo reale.”

Anche la lettera pubblicata sul Denver Post di un genitore preoccupato per l’impatto di TikTok sulla salute mentale dei bambini e sul rispetto della privacy è frutto del lavoro svolto dall’agenzia. Secondo Lorenz e Harwell, la lettera avrebbe contribuito alla decisione del procuratore generale del Colorado, Phil Weisner, di entrare in una coalizione che indaga sugli effetti dell’app sui più giovani.

Il nodo della battaglia si sarebbe dovuto incentrare proprio in relazione alla minaccia dei dati che l’app raccoglie sui giovani utenti iscritti, risultando essere un mezzo per deviare l’attenzione pubblica sugli ultimi problemi di Meta riguardo il rispetto della legge della privacy e alla legge antitrust.

La risposta di Zac Moffatt

Zac Moffatt -Fonte:twitter.com

Il CEO di Targeted Victory, Zac Moffatt, ha deciso di rispondere alla questione dedicando un thread su  Twitter. Nella discussione viene affermato il tentativo di contatto con il Washington Post al fine di integrare l’inchiesta con la sua visione alla quale però, il quotidiano non avrebbe risposto. Il CEO dell’agenzia continua:

“Il lavoro del Washington Post caratterizza erroneamente il nostro lavoro, ma i punti chiave sui quali si basa sono falsi…Siamo un’azienda di centro destra, ma le squadre che gestiamo in squadre bipartisan, comprese quelle menzionate nell’articolo, anche entrambi gli autori sono democratici.”

Se da un lato si sottolinea l’orgogliosa collaborazione con Meta da diversi anni, nella parte finale del thread si fa riferimento agli screenshot di diversi articoli del quotidiano che farebbero riferimento proprio ai “rumors” che starebbero alla base dell’attacco di Meta a TikTok. Ciò evidenzia ulteriormente la poca sufficienza con la quale vengono diffusi contenuti pericolosi.

Giovanna Sgarlata

Privacy, Meta potrebbe chiudere Facebook e Instagram in Europa

Meta non sta attraversando un periodo positivo. Dopo il down di 6 ore dello scorso ottobre con la conseguente  perdita di diversi miliardi, la recente scelta di un rebranding per rimescolare gli obiettivi del colosso di Zuckerberg (ne abbiamo parlato qui) che è costata un colpo basso da Wall Street per altrettanti miliardi in borsa, il vecchio continente non sembra essere più terreno fertile per Meta. Poco meno di una settimana fa da Menlo Park hanno fatto sapere che Meta potrebbe chiudere Facebook e Instagram in Europa se non sarà risolta la diatriba sui dati personali, salvo poi rassicurare gli utenti:

“Non abbiamo assolutamente alcun desiderio e alcun piano di ritirarci dall’Europa”

Il rapporto annuale e i motivi dell’addio 

Mark Zuckerberg (fonte: repubblica.it)

Il monito è arrivato durante la relazione annuale alla Securities and Exchange Commission (SEC) degli Stati Uniti, tenutasi lo scorso giovedì. Tra le righe dedicate allo stato di salute dell’azienda, ha fatto capolino il problema legato all’opposizione dell’Europa al trasferimento e alla comunicazione dei dati che, secondo Meta, rappresenterebbe un problema, anzi una vera e propria causa ostativa che impedirebbe a Facebook e Instagram di erogare i propri servizi sul mercato europeo.

“Se non saremo in grado di trasferire i dati tra Paesi e regioni in cui operiamo, o ci sarà vietato di condividere dati tra i nostri prodotti e servizi, ciò potrebbe influire sulla nostra capacità di fornire tali servizi e indirizzare la pubblicità”.

Meta, che sotto il proprio cappello conta Facebook, Instagram, WhatsApp e Messenger, nonché circa 309 milioni di utenti attivi ogni giorno e 427 milioni ogni mese soltanto in Europa, potrebbe interrompere alcuni di questi servizi nel vecchio continente, se entro il 2022 non riuscirà a giungere ad un accordo che disciplini il trattamento dati degli utenti.

“Se un nuovo quadro normativo sul trasferimento transatlantico dei dati non verrà adottato e non saremo capaci di continuare a fare affidamento sulle SCC o altri metodi alternativi per il trasferimento dei dati dall’Europa agli Stati Uniti, probabilmente non riusciremo a offrire alcuni dei nostri prodotti e servizi più significativi, fra cui Facebook e Instagram, in Europa, il che potrebbe influenzare materialmente e negativamente il nostro giro d’affari, le condizioni finanziarie e il risultato delle operazioni”

Privacy Shield e l’accordo non ancora raggiunto 

Gli accordi tra Meta ed UE circa il trasferimento dati sono stati regolati prima dal Safe Harboursottoscritto nel 2000 e bocciato dalla Corte di Giustizia europea nel 2015 con la sentenza Schrems e poi dalla Privacy Shield, accordo approvato nel 2016. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, però, nel luglio del 2020 ha dichiarato invalida la decisione 2016/1250 della Commissione europea sull’adeguatezza della protezione offerta dal regime dello scudo UE-USA per la privacy , in quanto non sembrava garantire sui dati europei tutele sufficienti, alla luce del Gdpr, nei confronti dei programmi di sorveglianza del Governo Usa svelati da Edward Snowden.

Da quel momento Usa ed UE stanno negoziando una nuova versione, ma Meta teme che le disposizioni di un nuovo accordo possano limitarne la capacità di trasferire i dati e usarli per fare pubblicità mirata. Nick Clegg, vicepresidente dell’azienda per gli affari globali, al quotidiano finanziario londinese CityAM ha spiegato:

“Esortiamo le autorità di regolamentazione ad adottare un approccio proporzionato e pragmatico, per ridurre al minimo le interruzioni per le molte migliaia di aziende che, come Facebook, si sono affidate in buona fede a questi meccanismi per trasferire i dati in modo sicuro”.

L’intervento dell’Europa

L’Unione Europea non ha tardato a fornire la propria versione dei fatti: “L’Ue stabilisce la sua legislazione tenendo conto dei nostri valori, degli interessi dei consumatori e dei cittadini” ha riferito il portavoce della Commissione europea, Eric Mamer. L’Ue tiene “ovviamente conto dei punti di vista espressi dagli operatori economici, ma agisce autonomamente quando deve stabilire i suoi regolamenti”.

L’annuncio di una probabile interruzione di alcuni servizi in Europa appare più un tentativo volto ad accelerare e pressare la stipula di un accordo tra le parti facendo leva su milioni di utenti che quotidianamente vivono e guadagnano tramite le piattaforme, piuttosto che una seria quanto definitiva decisione. Alla luce degli avvenimenti degli ultimi tempi, delle perdite economiche che Meta sta registrando e della volontà di stabilire in Europa una sede che contribuisca allo sviluppo del Metaverso, abbandonare una importante fetta di mercato metterebbe ulteriormente in crisi il colosso di Zuckerberg.

Elidia Trifirò