… Messina 1949 è il nome di un asteroide?

Pochi sanno che di Messina come città ne esistono due, una nella ridente isola del Mediterraneo e l’altra in Sud Africa; ancora meno persone sono a conoscenza che addirittura nello spazio, nella fascia tra Marte e Giove (detta fascia principale degli asteroidi) vi è un corpo celeste, scoperto l’8 luglio del 1936 da Cyril V. Jackson, che venne chiamato proprio 1949 Messina. I motivi di tale denominazione sono probabilmente riferibili al soggiorno che lo scienziato stesso ebbe nella città sullo Stretto, e rimanendo affascinato dalla solarità dei cittadini e dalle bellezze del paesaggio pensò di dedicare la scoperta proprio alla nostra città.

Sebbene la vita degli asteroidi sia abbastanza breve a causa della loro conformazione che per materiali è molto simile a quella terrestre, per quel tanto che 1949 Messina rimarrà nello spazio ci sarà sicuramente da andarne fieri.

Paola Puleio

… il nostro Stretto ha nutrito il mito di Scilla e Cariddi?

fonte foto: https://viaggi.fidelityhouse.eu/stretto-di-messina-55656.html

Oggi possiamo ben dire che passare lo stretto di Messina sia una passeggiata: a migliaia ci spostiamo dalla sponda sicula a quella calabra, e viceversa, ogni giorno in pochissimo tempo. Senza contare poi tutte le imbarcazioni, di ogni genere, che continuamente lo attraversano da nord a sud.

Eppure, in  passato questo tratto di mare era considerato fra i più pericolosi. Correnti, gorghi e le fredde acque che lo contraddistinguono spaventavano molto i navigatori. Oggigiorno sappiamo che si tratta di fenomeni dovuti al fatto che lo Stretto sia punto di incontro tra due mari: il Tirreno e lo Ionio. Due mari che hanno caratteristiche fisico-chimiche diverse: a livello di temperatura, di salinità e di densità delle acque; inoltre, quando il mar Tirreno si trova in fase di bassa marea, quello Ionio presenta alta marea, e viceversa. Accade dunque che le acque dei due bacini si mescolino: in fase di corrente “scendente” le acque tirreniche si riversano nel bacino ionico; in fase di corrente “montante”, al contrario, le acque ioniche invadono il bacino tirrenico. Tale mescolarsi delle due masse d’acqua dà vita a diversi fenomeni, quali appunto gorghi e vortici, ma anche scale di mare, garofali e macchie d’olio.

In antichità, ovviamente, non si aveva consapevolezza di tutto ciò e tali eventi, allora inspiegabili, venivano ricondotti alla mitologia. Si pensava, infatti, che in tale porzione di mare che separa la nostra isola dal continente, albergassero due mostri marini: Scilla e Cariddi.

fonte foto: https://www.guidasicilia.it/rubrica/la-leggenda-di-scilla-e-cariddi/3003894

Scilla era una bellissima ninfa, solita passeggiare sulla spiaggia di Zancle e fare il bagno nel mare. Un giorno, il dio marino Glauco la notò e se ne innamorò perdutamente, al tal punto da respingere Circe. Fu così che la maga si vendicò, trasformando la ninfa in un essere mostruoso con dodici piedi e sei teste di cani rabbiosi attaccate alla vita. Da quel momento, Scilla si nascose sulla costa calabra, là dove essa protende verso la Sicilia, seminando terrore sulle navi che si trovavano a passare da lì.

Anche Cariddi era stata una bellissima ninfa, forse figlia di Poseidone e Gea. La sua voracità l’aveva portata a rubare e divorare i buoi di Eracle, di passaggio dallo Stretto. Per questo Zeus l’aveva trasformata in un mostro marino, che risucchiava e risputava una grande quantità di acqua  tre volte al giorno, facendo così naufragare le imbarcazioni che passavano nei pressi di Capo Peloro, dove era collocata.

Si credeva, dunque, che passare per quello che oggi conosciamo come l’”innocuo” e tranquillo Stretto di Messina, significasse passare in mezzo a queste mostruose e terribili creature, poste l’una di fronte all’altra. Bisognava, anzi, scegliere vicino a quale delle due transitare. Come dovette fare Ulisse (così ci narra Omero nel XII libro dell’Odissea): temendo che Cariddi distruggesse la sua nave, decise di passare vicino a Scilla; una volta lì, tentò di fronteggiarla con le armi, ma il mostro agguantò e divorò sei dei suoi uomini. Successivamente, Ulisse si trovò comunque ad affrontare anche Cariddi: dopo che Zeus distrusse la sua nave e disperse i suoi compagni per aver osato violare le vacche di Helios, egli si trovò nei pressi di Cariddi, alla quale riuscì a sfuggire miracolosamente aggrappandosi ad un fico riemerso dalle acque.

Ma quella di Scilla e Cariddi è solo una delle tante leggende che sono nate intorno allo Stretto di Messina, da sempre luogo ricco di fascino e suggestione…

Francesca Giofrè

 

… molti modi di dire messinesi nascondono delle storie assai curiose?

Ebbene sì, anche senza saperlo, il messinese porta dentro di sé la storia e la cultura della propria città. Sebbene ovviamente esistano delle testimonianze scritte, il dialetto e i modi di dire vengono appresi prevalentemente grazie alla tradizione orale. Tutti abbiamo un nonno che ci ha insegnato alcuni modi di dire e ci ha spiegato il loro significato, ma spesso l’origine di quei detti si è persa nella notte dei tempi. Di seguito si riporta qualche esempio. L’ espressione, ormai desueta, “fici cchiù dannu du cincu i frivaru” (ha fatto più danno del 5 febbraio), è legata al terremoto del 5 febbraio del 1783. La catastrofe ha distrutto interi centri abitati calabresi, come Palmi e Scilla e ha raso al suolo Messina, lasciando in piedi solo la Cittadella: viene considerato il più grande disastro del XVIII secolo nell’Italia meridionale. L’entità del fenomeno non è correlata all’elevato grado delle scosse, ma alla rapidità con cui si sono succedute (si parla di 5 scosse maggiori tra il 5 febbraio e il 28 marzo). A seguito dell’accaduto, nel maggio dello stesso anno, il regno borbonico emanò il primo governo antisismico d’Europa.

 

Il detto “Essiri cchiù di cani ‘i Brasi” (letteralmente “essere più dei cani di Biagio”), viene utilizzato molto spesso nel messinese per indicare ungrande numero di persone che creano una grande confusione. Vi sono diverse teorie riguardo l’origine di questa frase, ma sicuramente quella che segue è la più simpatica. Si dice che un Viceré spagnolo di nome Blas (Biagio) d’istanza a Messina, amante della caccia, abbia inviato una lettera al fratello in Spagna in cui gli chiedeva di mandargli 2 o 3 cani da caccia. La lettera è stata male interpretata dal fratello che ha letto la cifra di 203, scambiando la lettera o per il numero 0. Quando i 203 cani sono approdati a Messina a bordo di una nave, il loro baccano era talmente forte da essere udito per tutta Punta Faro.

 

Ad ogni modo una delle espressioni più amate dai messinesi è sicuramente “babbillumpa”, che letteralmente significa “scemo dell’UNPA”. Ma cos’è l’UNPA?L’Unione nazionale protezione antiaerea, in acronimo UNPA, era un’organizzazione della protezione civile istituita il 31 agosto 1934. Verso la fine del conflitto, lo stato di grave emergenza ha costretto al reclutamento di persone anziane e soggetti con deficit fisici o mentali esentati dal servizio militare. Nonostante il significato chiaramente denigratorio, bisogna ricordare che i cosiddetti “babbillumpa”, in tutta Italia, ma soprattutto a Messina (dove i bombardamenti sono stati moltissimi) hanno salvato parecchie vite, sia occupandosi dell’informazione preventiva in caso di attacco aereo, sia intervenendo alla fine del bombardamento per rimuovere le macerie e soccorrere i feriti. La tradizione messinese è piena di modi di dire il cui significato si è perso o sta per perdersi. Voi ne conoscete altri? Scriveteli nei commenti, saremo felici di conoscerli e pubblicarli.

Renata Cuzzola

1. Renato Guttuso, Giocatori di carte (amici all’osteria)

…dietro le origini della nostra Università si cela un primato mondiale?

Il portale dell’antico collegio, nel cortile interno della nuova sede universitaria

Ebbene sì, possiamo vantarcene: la nostra Università detiene un primato storico-culturale a livello mondiale! Fu fondata, infatti, dalla Compagnia di Gesù come primo collegio al mondo aperto esclusivamente ai laici. “Primum ac Prototypum collegium”: così si legge sull’iscrizione in latino posta sopra l’antico portale del collegio, unico elemento rimasto della struttura originaria e ancora oggi visibile nel cortile della sede centrale dell’università, passando da via Venezian. Non si trattava, dunque, solamente del primo istituto di formazione gesuita ma anche di un prototipo, un modello per le innumerevoli strutture che tale ordine religioso avrebbe costruito a seguire in tutto il mondo.

Le origini di quello che può considerarsi il nucleo storico della nostra Università risalgono al 1548. In quell’anno il Senato messinese, appoggiato dal viceré Juan de Vega, diede il suo consenso alla fondazione di un collegio gesuita. Ad interessarsi personalmente e a presentare istanza per la creazione dell’istituto di formazione presso il papa, Paolo III, fu sant’Ignazio di Loyola in persona.

Ignazio di Loyola in un dipinto di Pieter Paul Rubens

Il religioso spagnolo, fondatore nel 1534 della Compagnia di Gesù, si trovava allora in Italia con i suoi; qui si dedicava alle opere di carità e alla predicazione, attività principali del neonato ordine religioso. In Messina, posta tra l’Occidente e l’Oriente, scorse il terreno adatto in cui creare un importante centro culturale e religioso; così, il 16 novembre del 1548, ottenne l’istituzione formale dello Studium attraverso la bolla papale “Copiosus in misericordia Dominus”. Questa prevedeva che a gestire il collegio fosse proprio la Compagnia del Gesù, mentre spettava alla città finanziarne le attività.

Ovviamente ciò portò i gesuiti e le istituzioni locali ad avere non pochi contrasti, che si sarebbero risolti nel 1550 con la divisione dello Studium in due rami: uno laico, con gli insegnamenti di diritto e medicina, retto dal Senato; l’altro gesuitico, con gli insegnamenti di teologia e filosofia, retto dalla Compagnia di Gesù. Quest’ultima poi, nel 1565, verrà addirittura estromessa totalmente dalla gestione dello Studio, il quale aderirà al modello universitario “bolognese”.

Un altro ostacolo, non di poco conto, che la neonata Università messinese si trovò ad affrontare fu l’ostilità del Siciliae Studium Generale di Catania, che, istituito nel 1445, rivendicava solo per sé il diritto di conferire titoli dottorali in Sicilia. Solamente nel 1596, grazie all’intervento del tribunale della Sacra Rota, lo Studium di Messina conferì la sua prima laurea. Nello stesso periodo la città ottenne da Filippo II una cospicua donazione di 200 mila onze, che permise la rifondazione dell’Università.

Da allora ha inizio una storia che, passando tra varie chiusure e successive riaperture dello Studium, collegate alle vicissitudini storiche della città dello Stretto, porta ai nostri giorni ed a quella che è oggi la nostra Università. La quale, diciamolo, ha avuto degli albori tanto originali quanto gloriosi!

Francesca Giofrè

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Image credits:

  1. Giulia Greco
  2. Di Pieter Paul Rubens – Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=6675601