…l’Università di Messina è stata già chiusa in precedenza?

La città di Messina, nella sua lunga e gloriosa storia, spesso ha dovuto affrontare momenti difficili come quello che noi tutti stiamo vivendo in questi giorni nebulosi.

Tra le drastiche misure per fronteggiare la minaccia del contagio, quasi una settimana fa il Governo ha disposto, tra le altre, la sospensione delle attività di tutti gli atenei presenti sul territorio nazionale. Non è la prima volta che l’ateneo peloritano ha subito un provvedimento del genere, anche se con le dovute e numerose differenze: l’Italia ancora non esisteva e la città mamertina era sotto la dominazione spagnola.

Ma, proprio in questo periodo, ci è venuto in mente questo collegamento storico: è il momento di salire sulla macchina del tempo e immergersi in uno dei capitoli più celebri e drammatici della storia della nostra città.

La citta di Messina nel Seicento – Fonte:lacooltura.com

 

Il legame tra Università e città

Il nostro viaggio inizia il 2 dicembre 1599 , quando l’Università di Messina conferì la prima laurea a Giovan Battista Castelli, divenuto in seguito un noto giudice.

Nonostante la fondazione dell’ateneo risalga al 1548, soltanto dopo una lunga disputa con l’Università di Catania, davanti al tribunale della Sacra Rota è stata ottenuta la possibilità di conferire i titoli di studio.

Da allora, l’Università messinese è cresciuta, sia in prestigio sia in numero di matricole, grazie anche alla posizione strategica della città dello Stretto. Infatti, Messina era una meta più appetibile, in confronto alla città etnea, per gli studenti forestieri, provenienti dalla Calabria e da Malta.

Tra l’Università e le élite cittadine intercorreva un profondo legame, sancito dalla possibilità riservata a queste ultime di scegliere i docenti, il Rettore (che a quei tempi era uno studente, come accadeva negli altri atenei italiani), i riformatori e altri uffici interni.

Lo Studium Urbis (antica denominazione dell’Università) aveva un ruolo centrale, poiché garantiva la formazione delle élites culturali e politiche cittadine. In particolare, gli studiosi di diritto erano chiamati in causa dal Senato cittadino per la difesa nelle varie sedi dei numerosi privilegi della città, fondamenta del progetto di ascesa di politica di Messina.

L’antico portale dello Studium, attualmente collocato nel cortile della nuova sede dell’ateneo – Fonte:messinaora.it

 

Il progetto di ascesa politica ed autonomia

Negli anni Venti del Seicento prese corpo tra le élite cittadine l’obbiettivo di far diventare Messina la capitale di diritto della Sicilia orientale, visto che di fatto già lo era. La proposta fu quella di dividere in due viceregni il territorio siciliano, fino a quel momento unificato sotto un unico viceregno, con Palermo capitale.

L’azzardo politico fu supportato dalla scissione della provincia gesuitica siciliana in due parti (1628), una delle quali facente capo a Messina. Questa mossa da parte della Societas Iesu (Compagnia di Gesù, volgarmente gesuiti) fu il frutto di una collaborazione tra il Senato e i gesuiti messinesi, che ottennero la gestione della facoltà di Teologia.

L’offerta di quasi due milioni di scudi arrivò nel 1629, ma fu controbilanciata dalle offerte congiunte della città di Palermo e del Parlamento siciliano. L’ambizioso progetto di “Messina capitale” dunque naufragò, anche a causa della retromarcia del preposto generale dei gesuiti, che nel 1633 riunificò la provincia, provocando inoltre nuovi scontri in merito alla gestione dello Studium.

L’ingerenza di Palermo evidenzia il conflitto in atto in quel periodo tra le due città e più in generale tra la Sicilia occidentale del grano e la Sicilia orientale della seta. Il susseguirsi di altri eventi di scontro mutò anche il rapporto tra Messina e Madrid, sempre più incrinato. Nel frattempo, in città si costituirono due schieramenti contrapposti: i Merli, filogovernativi, e i Malvizzi, sostenitori del Senato, di cui facevano dichiaratamente parte alcuni esponenti dell’Università.

Le tensioni tra le due parti mutarono nel 1674 in una guerra civile, sfociata nella celebre rivolta antispagnola.

Il palazzo del Senato messinese – Fonte:tempostretto.it

 

La rivolta antispagnola

Seguendo l’antica legge del cacciare un invasore chiamandone un altro, i ribelli invocarono l’aiuto della Francia di Re Luigi XIV, che accettò strategicamente. Infatti, il conflitto garantiva l’apertura di un nuovo fronte della guerra d’Olanda, nella quale il regno francese fronteggiava proprio la Spagna.

Dopo che il generale della marina francese Louis de Vivonne  entrò trionfante nella città peloritana (1675), in seguito alla debacle della flotta spagnola a Stromboli, i messinesi non si trovarono di fronte ad una situazione migliore, a causa delle ristrettezze dovute al blocco navale e alla carestia.

Dopo quasi quattro anni di conflitto, Francia e Spagna posero fine alla Guerra d’Olanda attraverso il trattato di Nimega.

La pace fu siglata all’insaputa dei messinesi, nonostante diversi ambasciatori tentarono di trattare in precedenza con il Re Sole per ottenere impegni precisi.

Il ritorno degli Asburgo (ovviamente ramo spagnolo), previsto da una postilla del trattato, non tardò ad arrivare ed ebbe conseguenze drammatiche per la città di Messina, dichiarata ciudad muerta civilmente (città morta civilmente).

Fuga di famiglie nobiliari messinesi dopo la rivolta antispagnola – Fonte:antoniocattino.blogspot.com

 

La “vendetta” degli Asburgo

La vendetta spagnola fu spietata e si concretizzò nell’eliminazione delle istituzioni protagoniste dell’ambizioso progetto autonomistico: il palazzo del Senato fu raso al suolo e le Accademie cittadine furono chiuse.

La città fu privata della millenaria Zecca e della sua memoria storica attraverso la confisca dell’Archivio cittadino.

Lo Studium fu chiuso a causa del suo ruolo centrale nell’aggregazione e formazione delle élite politiche e culturali, responsabili della rivolta. La sede dell’ateneo fu utilizzata per ospitare i forni militari e l’orto botanico, fondato da Pietro Castelli, che divenne luogo di pascolo per i cavalli delle truppe reali.

Si dovrà attendere il 1838 per parlare nuovamente di Università a Messina.

“Messina restituita alla Spagna” di Luca Giordano – Fonte:tempostretto.it

 

In conclusione…

In seguito alla repressione la città non si sarebbe ripresa facilmente e non sarebbe mai tornata ai fasti e agli splendori dei secoli precedenti.

Tentammo di conquistar la Luna e forse avevamo gli strumenti per farlo, ma la Dea Fortuna o chi per lei ha deciso di non baciarci, condannandoci all’oblio.

Che possa questo periodo di stasi essere anche un momento di studio e di (ri)scoperta della meravigliosa storia della nostra città, che necessita sempre più di (ri)costruire una memoria civica collettiva.

 

Mario Antonio Spiritosanto

 

 

Bibliografia:

Bottari Salvatore e Chiara Luigi, La Lunga rincorsa. Messina dalla rivolta antispagnola al terremoto del 1908;

Novarese Daniela, Istituzioni politiche e studi di diritto fra cinque e seicento. Il Messanense Studium Generale tra politica gesuitica e istanze egemoniche cittadine;

Ribot Luis, La rivolta antispagnola di Messina. Cause e antecedenti (1591-1674);

https://www.unime.it/it/ateneo/presentazione/storia-dellateneo

https://universome.unime.it/2017/10/25/origini-universita-primato-mondiale/

 

Jolanda Insana: la poetessa con la voglia di “sciarriarsi”

Pupara sono

e faccio teatrino con due soli pupi

lei e lei

lei si chiama vita

e lei si chiama morte

la prima lei percosìdire ha i coglioni

la seconda è una fessicella

e quando avviene che compenetrazione succede

la vita muore addirittura di piacere

 

Comincia così la fortunata storia della poesia di Jolanda Insana, l’ eccentrica poetessa messinese che nel 1977 pubblicò la sua prima raccolta, dal titolo Sciarra amara. In questa prima poesia la poetessa è la pupara, “mastra di trame e telai”, che inscena e orchestra la perpetua “sciarra” tra la vita e la morte.

Già da queste poche righe si evince il carattere solenne e allo stesso tempo divertente della poesia di Jolanda, in cui si mescolano il dramma della vita e temi esistenziali, raccontati con elementi ironici e popolari, tipici appunto del “teatrino” dei pupi. Basti pensare al termine sciarra (litigio), tanto caro alla tradizione dialettale messinese, che in questo contesto assume un’importanza fondamentale, dietro alla quale si nasconde il senso della poesia di Jolanda.

Noi di UniVersoMe abbiamo avuto modo di “conoscerla” in occasione della presentazione del libro «Pupara sono». Per la poesia di Jolanda Insana, nuova collezione di inediti, disegni, scritti rari e interventi critici sulla poetessa, della quale purtroppo oggi poco o nulla si ritrova nelle librerie.

©Giulia Greco – Libreria Colapesce, Messina 2020

La raccolta, presentata presso la libreria Colapesce (Messina), ci ha fatti avvicinare a un mondo – quello della poesia contemporanea – che oggi difficilmente viene riscoperto. Ma, soprattutto, ci siamo profondamente e inaspettatamente divertiti.

Chi era dunque Jolanda Insana?

Breve biografia

Nata a Messina nel 1937, Jolanda si trasferì con la famiglia a Monforte San Giorgio nel 1941 per sfuggire alle macerie in cui riversava la città dello Stretto a causa dei bombardamenti della guerra, tema che ritroviamo nelle sue opere.

Sin dalla giovane età, la poetessa ha mostrato uno spiccato interesse per il corpo della parola, attraverso la scoperta di vocaboli meno utilizzati e la ricerca di parole nuove. Questa passione l’ha condotta a intraprendere gli studi in filologia classica, continuati anche la dopo la laurea conseguita nel 1960 presso l’Università di Messina, con una tesi su un testo in dialetto dorico (IV-V secolo a. C.).

Jolanda Insana – Fonte: scenario

Nel 1968 si è trasferita a Roma, città nella quale morì nel 2016, dove ha insegnato lettere alle scuole superiori. Oltre all’insegnamento e alla poesia, Jolanda si è dedicata ache alla traduzione di autori classici, sia greci che latini, e alla prosa.

Il linguaggio e l’importanza della parola

Il linguaggio poetico di Jolanda è un intarsio di elementi di ogni genere: le forme arcaiche si mischiano con quelle popolari della filastrocca e della litania; il tono solenne dell’epigramma e dell’oratoria è accompagnato dallo sberleffo o addirittura anche dall’offesa verbale.

La contaminazione di diversi generi è il frutto più maturo della sua formazione e della ricerca di una sperimentazione espressiva che smonta e ricompone i versi e le parole. La poetessa gioca con la parola, attraverso la deformazione aggettivi e verbi e l’utilizzo di figure retoriche, assonanze e allitterazioni, per mettere in risalto la musicalità, poiché affermava che «le parole sono prima di tutto suono».

©Giulia Greco – Piccola raccolta di poesie donata ai presenti durante la presentazione, Messina 2020

Pertanto, amava recitare le sue poesie: la dimensione orale si contrappone a quella scritta, libresca, “morta“.

Solo attraverso le parole, che lei “curava e raccoglieva come l’erba di muro”, si può dare nuova vita ai luoghi, alle persone e al tempo: ogni tempo vive la sua morte, ma il poeta ha il compito di scuotere la collettività, di suscitare emozioni in chi ascolta.

Non a caso, per leggere alcuni inediti durante la presentazione, sono state scelte un’attrice e una fan di Jolanda di nome Venera, personaggio che – in una sua poesia sul terremoto del 1908 – rappresenta la città di Messina morente.

Non a caso il libro nasce dallo sforzo di non spegnere la voce della poetessa e di riappropriarci di un “linguaggio dello Stretto”, a metà tra una promessa e uno scongiuro.

Il tema della “sciarra” e la sensibilità politica

Entrambi sono temi centrali della sua collezione di esordio (Sciarra amara, pubblicata all’età di 40 anni) .

In questo caso, la sciarra non ha un significato negativo: anzi, è vista come una forza sia umana che naturale, in grado di contrapporsi all’immobilità della morte.

La lite inscenata tra la vita e la morte è perpetua e “nessun compare ci metterà la parola per farla tacere”. La vita è in continua lotta non solo con la morte ma con tutto ciò che sa di morte, come la malattia fisica e l’ancora più permeante malattia del potere.

La “sciarra” inscenata da Jolanda è dunque un atto di resistenza, una continua rivoluzione contro la macchina che perpetua il male, le ingiustizie e le diseguaglianze.

©Giulia Greco – Il giornalista Tonino Cafeo (destra) e l’autore Giuseppe Lo Castro (sinistra), con il quale abbiamo avuto una piacevole chiacchierata al termine della presentazione, Messina 2020

Da qui si evince il carattere anticonformista della poetessa messinese, donna eccentrica e provocatrice, fortemente sensibile alle tematiche politiche del nostro tempo. Ne La stortura (che le valse il premio Viareggio per la poesia nel 2002) e in Cronologia delle lesioni, la poetessa parla infatti di argomenti come i migranti e il femminicidio.

All’incessante lotta esterna si accompagna il conflitto interno con sé stessi, per respingere la tentazione di lasciarsi andare e cedere al cinismo e al nichilismo, da lei rifiutati con forza.

Molto suggestiva è infine la sciarra tra la Terra e Luna, recitata al Festival delle letterature di Roma del 2009.

La Luna, stanca della scelleratezza degli esseri umani, scaglia un’ invettiva contro l’ “immonda Terra” che si sfoga e piange per banalità, non avendo cura dei “morti di fame, gli appestati, gli scheletri ambulanti, i barconi dei migranti”.

Il testo di questa poesia è stato pubblicato in un libro che Jolanda ha consegnato una settimana prima di morire di un male inguaribile. Dunque, contrariamente a quanto ci si potesse aspettare, Jolanda non ha ceduto all’impotenza della morte: fino all’ultimo, ha avuto la forza e la voglia di sbraitar contando.

“la vita ha profumo di vita

così dolce

che scolla i santi

dalla croce”

Emanuele Chiara, Mario Antonio Spiritosanto

 

Bibliografia:

«Pupara sono». Per la poesia di Jolanda Insana, a cura di Giuseppe Lo Castro e Gianfranco Ferraro

http://ww2.unime.it/mantichora/wp-content/uploads/2019/04/BROCCIO-128-141.pdf

https://www.elle.com/it/magazine/storie-di-donne/a28349897/jolanda-insana-poetessa/

http://www.progettoblio.com/files/d9-10.pdf

http://www.italian-poetry.org/jolanda-insana/

Biemmi Elisabetta, «Corpo a corpo con leparole». La poesia di Jolanda Insana. , su tesi.cab.unipd.it

Pignolata Day: un dolce tra le eccellenze messinesi

Il Carnevale rimane oggi una delle festività più sentite a Messina. Non solo carri e sfilate però, poiché quest’anno si è scelto di puntare sulla sicilianità” e il patrimonio culturale della città che spesso viene messo in secondo piano o dimenticato.

Quest’anno la città di Messina sceglie proprio di valorizzare i suoi prodotti, e decide di rendere protagonista un dolce tipico, organizzando  il Pignolata Day, svoltosi ieri 24 febbraio al Duomo.

© Gianluca Carbone – Pignolata Day, Messina 2020

La Pignolata, dolce che più rappresenta la tradizione messinese nel periodo di carnevale, si presenta come un mucchio di pigne ricoperte di glassa nera al cioccolato e bianca al limone.

Ma quali sono le sue antiche origini?

Inizialmente la pignolata era un dolce “povero”, preparato dai contadini utilizzando prodotti semplici e poco costosi come uova e farina. Si trattava di un piatto di provenienza araba, che consisteva in della pasta fritta ricoperta di miele. Il dolce presentava poi la forma di piccole pigne da cui prese appunto il nome. La pignolata, così come lo conosciamo oggi, risale invece agli inizi del 1500, quando sotto la dominazione spagnola, fu chiesto ai pasticceri messinesi di utilizzare la glassa al limone e cacao, prodotto meno povero e proveniente dall’America.

Da questo mix di culture, che spesso ritroviamo nella cultura messinese e siciliana, nasce un dolce che non può non piacere a tutti, grazie ai suoi due differenti gusti. 

Fonte: Pasticcera Vinci

Ma come è andato dunque il Pignolata Day?

Quando si tratta di mangiare, noi di UniVersoMe non ci tiriamo certo indietro: abbiamo partecipato all’assaggio del dolce, scattato qualche foto e conosciuto meglio la storia di questo piatto tipico.

Alla presenza del sindaco De Luca e dell’assessore Musolino, 23 maestri pasticceri hanno realizzato una pignolata di 700 kg, capitanati dal maestro Lillo Freni, al quale abbiamo posto qualche domanda. 

Maestro, può svelarci qualche segreto riguardo la preparazione della pignolata?

Certo, innanzitutto è il dolce tipico messinese per eccellenza: è composto da una base di biscotto fritto, preparato esclusivamente con uova, farina ed alcol. Viene fritto nello strutto proprio perché, durante il carnevale, era uso friggere nello strutto: questo è infatti il grasso più semplice da utilizzare. Durante il carnevale, tutti i dolci fritti sono fritti nello strutto, quindi ne sono necessarie quantità enormi per festeggiare in questo periodo.

Abbiamo notato che ha presentato il suo libro, regalandolo anche al sindaco De Luca. Ci vuole dire brevemente di cosa si tratta?

Il mio libro è una “rivisitazione serena” – come la definisco io –  della mia tesi di laurea. È incentrato sulla storia, l’innovazione e la qualità della pasticceria messinese. Sono contento di questo libro per vari motivi: innanzitutto perché parlo della mia vita all’interno di un laboratorio di pasticceria, ma anche perché è un libro che stato voluto dall’ALMA, la scuola internazionale di cucina italiana di Gualtiero Marchesi, per averlo nella biblioteca. Tanti ragazzi si stanno laureando in quel percorso utilizzando proprio il mio libro.

Lei crede nella possibilità che la pignolata possa diventare un prodotto DOP?

Ci credo e ci spero.

© Gianluca Carbone – Pignolata Day, Messina 2020

Tra le tante degustazioni, la pignolata del maestro Freni ci ha colpito per il gusto della parte bianca, nella quale si sentiva perfettamente il sapore intenso del limone.

Nell’attesa del meritato riconoscimento come prodotto DOP, godiamoci questo dolce tutto al messinese, che sembra sempre più buono a ogni assaggio!

Gianluca Carbone, Emanuele Chiara, Cristina Lucà

Fonti:

ilsicilia.it

normanno.com

Inaugurato Anno Accademico UniMe: il discorso del senatore Muscarà

Fonte: unime.it

Il rettore, appena eletto nella giunta nazionale della CRUI, ha tracciato un bilancio dei primi 18 mesi di governance. Standing ovation per la prolusione del grande regista che ha emozionato il teatro gremito di autorità, accademici e studenti. Oltre il 15,5% in più di iscritti nell’Anno Accademico 2019/2020 inaugurato oggi pomeriggio al Teatro Vittorio Emanuele alla presenza del maestro Pupi Avati, un totale di 6.593 studenti a fronte dei 5.707 del 2018: un dato prezioso e in controtendenza rispetto agli altri atenei d’Italia emerso nel “bilancio” tracciato in apertura dal rettore Salvatore Cuzzocrea, a 18 mesi del suo mandato: “L’incremento degli immatricolati è tra le nostre priorità; un obiettivo importante raggiunto che va ulteriormente incentivato nei prossimi anni. L’Università è degli studenti e per gli studenti, quindi sono loro la forza sulla quale scommettere per essere più attrattivi e competitivi. Credo di dover dedicare ancora più attenzione alla ricerca e al rafforzamento dell’offerta didattica; al potenziamento della struttura amministrativa, organizzativa e tecnica; nonché allo sviluppo delle risorse umane, entro una cornice più generale; e consolidare il ruolo della nostra Università nel panorama nazionale e internazionale”.

Fonte: unime.it

La cerimonia, 472esima dalla fondazione, è stata aperta dal coro dell’UniMe, diretto dai maestri Umberto e Giulio Arena, con le note dell’inno nazionale ed europeo e, prima ancora, quello d’ateneo “Gaudeamus Igitur” che ha accompagnato la sfilata del corteo accademico cui hanno preso parte, oltre ai prorettori UniMe, i rettori ospiti.
Dopo il saluto dell’assessore regionale agli Enti locali Bernardette Grasso, in rappresentanza del governatore Nello Musumeci, si sono susseguiti gli interventi del presidente del Teatro Orazio Miloro, del direttore generale UniMe Francesco Bonanno, seguito dal rappresentante del Personale tecnico amministrativo, bibliotecario e CEL , Nunzio Femminò, ed infine il rappresentante degli studenti Andrea Muscarà, quindi lo studente con protezione internazionale Aly Traore, 29enne, originario del Mali e arrivato ad Aidone.

Fonte: unime.it

Infine, Pupi Avati l’attesissimo ospite invitato a presenziare nell’ambito della collaborazione tra l’Università di Messina e Taobuk, il festival internazionale del libro diretto da Antonella Ferrara; uno dei più grandi del cinema italiano e apprezzato scrittore, anticipato da un video che ha ripercorso brevemente la lunghissima carriera del cineasta con 50 film diretti e 51 sceneggiature, oltre ai numerosi premi e riconoscimenti vinti, tra cui 3 David di Donatello. Ha esordito nella sua brillante e incisiva prolusione, ricordando uno dei progetti più ambiziosi e attesi: “E’ da tanti anni che voglio fare un film su Dante, il più grande talento italiano, il miglior poeta del mondo, di cui molti sanno poco. L’unica voce autorevole che ha raccontato la sua vita è Boccaccio, nato nel 1313 mentre Alighieri è morto nel 1321: prossimo anno ricorrono i 700 anni; se hanno fatto un documentario su Chiara Ferragni – ha ironizzato – possiamo dedicarne uno anche a Dante”. Poi ha spiegato agli studenti l’importanza nel cogliere la differenza tra ciò che uno vuole e ama fare e ciò che uno sa fare: “La passione che hai dentro non per forza corrisponde al tuo talento – ha raccontato il regista – è la storia della mia vita, innamorato della musica, speso invece per il cinema. Da giovane ho invidiato il mio amico, concittadino bolognese, Lucio Dalla, che aveva una musicalità pazzesca, misteriosamente pervenutagli dall’alto: ad un certo punto ho smesso di suonare. Per me è un’esperienza emblematica: non bisogna incaponirsi per un mestiere o arte per cui uno non è predisposto. Per me era quasi una maledizione la competizione con questo straordinario cantautore – continua scherzando – ho pensato di persino di ucciderlo!”. Standing ovation per il maestro che ha toccato alcune tappe salienti della sua vita narrando divertenti aneddoti: magistrali e significativi esempi di vita vissuta tra cinepresa, letteratura e jazz, soprattutto nella sua amata Emilia Romagna.

Fonte: unime.it

La manifestazione è stata arricchita dalle esibizioni dell’ensamble orchestrale del liceo musicale “Emilio Ainis” diretto dal maestro Andrea Pappalardo (clarinetto solista Gabriele Silipigni), che ha eseguito “Jazz Band”, brano di Amedeo Tommasi tratto dalla colonna sonora dell’omonimo sceneggiato televisivo; e due omaggi a Federico Fellini. Il rettore infine ha ricordato la vicenda del giovane ricercatore Patrick George Zaky, attualmente detenuto nelle carceri egiziane, e ha condiviso l’iniziativa intrapresa dall’Università di Bologna, in cui Patrick frequenta un master dallo scorso settembre, auspicandone con forza l’immediata restituzione alla libertà.

Fonte: unime.it

Di seguito il discorso del Rappresentante degli studenti in seno al senato accademico Andrea Muscarà, studente di Medicina e Chirurgia. 

Magnifico Rettore, Chiarissimi Professori, cari colleghi, illustri ospiti;

È per me un onore intervenire in occasione della cerimonia di inaugurazione del nuovo Anno Accademico dell’Università degli Studi di Messina e ringrazio l’amministrazione universitaria per avermi dato la possibilità di rappresentare la voce di tutti gli studenti su questo splendido palco, che rispecchia la storia di una città che davanti ai momenti difficili ha espresso la grande capacità di resilienza, ed è proprio da questo Ateneo che l’ennesima rinascita di Messina può e deve avere inizio, ponendo le potenzialità e le eccellenti risorse umane di UniMe come fulcro delle strategie di sviluppo della città.

Si apre pertanto il sipario per un nuovo anno ricco di sfide , aspirazioni e obiettivi da raggiungere, con alle spalle tanti traguardi che rendono il nostro Ateneo sempre più al passo con le esigenze del corpo studentesco e competitivo su tanti fronti: un importante sforzo, difatti, è stato espresso da questa governance in tema di contribuzione studentesca, tutelando chi ha maggiori difficoltà e premiando il merito, con la visione di un’università che attraverso la cultura abbatte le barriere socio-economiche che limitano lo sviluppo della coscienza e la formazione dell’individuo.

Nel contempo l’amministrazione si è impegnata a superare quelle che possiamo definire “barriere logistiche”: in tema di trasporti si è dimostrata infatti in prima linea nell’intraprendere , con gli interlocutori dell’amministrazione cittadina e anche facendosene carico autonomamente, un’azione decisa per rendere i Poli Policlinico, Annunziata e Papardo più facilmente raggiungibili dal centro cittadino, cercando di creare un sistema universitario integrato, più adeguato alla conformazione geografica della nostra realtà; è necessario però che questo impegno sia accompagnato da una sempre maggiore attenzione verso gli studenti pendolari e fuorisede , in particolare della Sicilia Orientale e della vicina Calabria, che con la stipula di convenzioni per il trasporto ferroviario e il trasporto marittimo veloce sentirebbero UniMe ancora più vicina alle loro esigenze quotidiane per attuare appieno il diritto allo studio; ma lo scatto in avanti che risulta agli occhi di tutti è l’avviamento di un ambizioso progetto di ammodernamento delle strutture dell’Ateneo, dal Dipartimento di Giurisprudenza al nuovo polo di Scienze, alla ristrutturazione di numerose aule del Policlinico che saranno dotate di tutta la tecnologia e l’ergonomia che occorrono per una didattica efficace.

Quale sarà dunque la visione che proietterà l’Ateneo nei mesi a venire?

Quella di un’Università ecologica, tecnologica e aperta.

Ecologica, in quanto la nostra generazione è più che mai consapevole dell’importanza che le azioni di ognuno di noi hanno dal punto di vista ambientale, e UniMe sta già rispondendo con iniziative eco-friendly e plastic-free a cui si associa un rinnovamento importante riguardo alla politica energetica dell’Ateneo che speriamo sia sempre più incisiva.

Tecnologica, un’Università smart, che sappia comprendere le esigenze degli studenti e tragga il meglio dagli strumenti a nostra disposizione. Un esempio è la procedura on-line della domanda di laurea che è ormai realtà, e rientra nell’obiettivo di portare lo studente nel suo percorso universitario a recarsi in segreteria  soltanto per immatricolarsi.

Certamente l’uso pervasivo degli strumenti tecnologici non impedirà al personale di segreteria, consapevole delle esigenze degli studenti, di  porsi con buonsenso, competenza e disponibilità per facilitare i percorsi burocratici che a volte possono apparire farraginosi.

Un’Università aperta la cui funzione non sia ridotta esclusivamente al conseguimento di un titolo di studio ma che, piuttosto, sappia essere sempre più la Casa della Conoscenza, un luogo di incontro a 360 gradi della comunità studentesca e dell’intera cittadinanza e di condivisione della cultura, che formi ad una coscienza critica, dando gli strumenti per una visione trasversale del mondo, finalizzata all’esercizio consapevole di diritti e doveri e ad una partecipazione attiva alla vita sociale, politica ed economica.

Al tempo stesso un’Università aperta anche allo scenario internazionale, in cui quotidianamente docenti, ricercatori e studenti mamertini di ieri e di oggi ottengono riconoscimenti di prestigio nei più disparati campi del sapere, e di ciò non possiamo che essere fieri.

Fieri nel constatare che anche quest’anno vi è stato un aumento di ragazze e ragazzi stranieri che hanno deciso di investire nell’Ateneo peloritano per formarsi e acquisire un’esperienza multiculturale che possa arricchire sia loro, sia i ragazzi italiani che condividono con loro il percorso universitario, così come i progetti di internazionalizzazione di numero sempre più consistente e più diversificati di anno in anno.

Si tratta perciò di sfruttare al meglio la vocazione di Messina, che in quanto città universitaria, può riscoprirsi polo di attrazione e terra d’incontro del sapere, come lo è stata in passato, con un porto crocevia del Mediterraneo che per secoli ha portato nuova linfa per crescere arricchendo la propria identità, identità che, nella concezione hegeliana di “Aufhebung”, nasce dal superare e conservare, proiettandosi al futuro senza dimenticare il passato.

È appunto nel saper leggere il passato che bisogna riscoprire il valore della cultura, spina dorsale dei popoli, ed è importante smentire chi continua a sostenere che “con la cultura non si mangia”. In questo il maestro Pupi Avati, con la sua storia, la sua originalità e la sua professionalità, può essere un grande esempio di perseveranza ed eclettismo, e portavoce di una tradizione, quella delle arti sceniche, che nelle sue molteplici forme ha costituito l’identità della nostra nazione, verso cui anche l’Università di Messina, col potenziamento e la maggiore caratterizzazione del corso di laurea del DAMS, mira ad accompagnare i talenti artistici dei singoli studenti verso una concreta realizzazione.

Oggi, infatti più che mai, l’Università ha anche il compito di fare da ponte tra l’istruzione e il mondo del lavoro, ed è questa la più grande sfida da cogliere, investendo sempre di più nell’orientamento post-laurea, proponendo occasioni di incontro tra aziende attive nel tessuto produttivo locale, imprese nazionali e internazionali e gli studenti, potenziando l’azione del Centro Orientamento e Placement, anche con progetti come “Power You Digital”, attivato per la prima volta quest’anno, e rendendo così le competenze dei laureandi sempre più spendibili e compatibili con le figure professionali del nostro tempo.

Ci tengo in conclusione a rivolgermi sia al corpo docente che ai discenti, tra cui il confronto dovrebbe sempre essere improntato al rispetto e alla consapevolezza di quanto il rapporto umano possa arricchire e aiutare nel riconoscere l’importanza degli altri.

L’Università ha infatti bisogno che i professori, anche chi dopo decenni potrebbe aver perso l’entusiasmo di chi vive i primi anni d’insegnamento, tengano accesa la fiamma della passione nel trasmettere tutto il loro scibile e la loro esperienza acquisita negli anni.

Esperienza e competenza che possono essere condivise sia tramite la didattica, sia con la ricerca, oggi più che mai perno della progressione del sapere e indice di qualità e di prestigio dell’Università.

È possibile per voi tirare fuori, socraticamente, le qualità dello studente non con fare autoritario, ma con l’autorevolezza che vi contraddistingue.

Tocca però a noi studenti dimostrare quella “sana curiositas” che predispone ad apprendere il più possibile da coloro che talvolta vengono visti, a causa di un atteggiamento rigoroso, come degli ostacoli al completamento del nostro percorso universitario e che invece dovrebbero rappresentare per noi dei maestri di vita, genitori culturali da cui trarre il meglio.

Facevo pertanto riferimento agli ostacoli, ostacoli che noi studenti dobbiamo comunque imparare ad affrontare dando il giusto peso agli auspicati traguardi formativi o agli eventuali insuccessi che determinano momenti di sconforto e a volte sensazioni di inadeguatezza, che possono farci perdere la nostra autostima e la speranza nel futuro.

A tutti coloro che vivono un momento di smarrimento e di difficoltà nel percorso universitario sappiate che ci si può sempre rialzare e si può sempre rimediare. A tal proposito la nostra Università si è dotata di uno strumento come il CeRIP, Centro di Ricerca e di Intervento Psicologico. È giusto pertanto divulgare la sua attività e investire sempre più in un servizio che può dare una mano concreta a chi vive una condizione difficile che, appartenendo alla sfera psichica, rischia spesso di essere sottovalutata.

Per raggiungere i nostri obiettivi sono fondamentali la determinazione, l’entusiasmo e la caparbietà, qualità che, in chi è originario di quest’isola, devono essere accompagnate al senso di responsabilità.

Come Colapesce, mirabilmente rappresentato da Guttuso davanti ai nostri occhi, sorresse la Sicilia, così tocca a noi oggi sostenere la nostra terra e credere, anche dopo avere fatto esperienze in giro per il mondo, che sia possibile una vita qui, sulle rive dello Stretto e insieme ai nostri affetti.

Ciò però potrà realizzarsi solo se le istituzioni sapranno assolvere al proprio ruolo con lungimiranza e valorizzando le qualità dei giovani, creando le condizioni per cui andare via diventi una scelta con la prospettiva di ritornare e non un obbligo o una necessità.

Ed è sicuramente questa la più importante missione della nostra Università: formare chi plasmerà il futuro di questa terra e renderci un giorno orgogliosi di averla frequentata.

Buon lavoro e buon Anno Accademico a tutti noi!

Colapesce presenta ”crea la tua T-shirt”

Da sempre Colapesce, locale di ritrovo che fa del gusto e della cultura un binomio, è fucina di idee originali; l’iniziativa Crea la tua T-shirt ne è l’ennesima dimostrazione.

Un innovativo modo di intendere il riciclo attraverso il laboratorio creativo coordinato da Artica17 che trasformerà un’antipatica e noiosa (magari bucata) maglietta in disuso in un’estrosa opera d’arte personalizzata.

 

Colapesce coniuga meravigliosamente il rispetto dell’ambiente ed il piacere della condivisione di un pomeriggio spensierato, “colorato” da un piccolo ma importante sorriso alla natura.

 

Crea la tua T-shirt” tra un sorso di vino e l’altro significa armonia, creatività ed ingegno alla portata di tutti.

 

>Mercoledì 19 Febbraio dalle 17:30 presso i locali di Colapesce date colore alla vostra fantasia, aiutate il pianeta con un piccola ma importante pennellata.

 

 

 

Antonio Mulone

Il Carnevale messinese: tradizioni popolari di Messina e provincia

Durante la settimana di Carnevale non possono mancare numerosi eventi e tradizionali sfilate, che come ogni anno riempiono di gioia e allegria le vie del comune e dei piccoli borghi, coinvolgendo centinaia di persone con la voglia di stare insieme e divertirsi, vivendo dunque a pieno lo spirito del Carnevale.

Scopriamo insieme alcune tradizioni, dalle più stravaganti alle più classiche.

Per quanto riguarda il comune di Messina, è stato realizzato anche quest’anno “U Cannaluvari Missinisi: il più bel carnevale dello Stretto”. La settimana che va dal 20 al 25 febbraio prevede una serie di eventi, sfilate, concerti, animazioni per i più piccoli e degustazioni di dolci tipici del carnevale messinese, come la pignolata, immancabile sulle tavole dei messinesi in quest periodo dell’anno.

Tra gli eventi anche uno spettacolo teatrale dedicato alla tradizionale maschera di Beppe Nappa, un servo sciocco interpretato da Gabriella Zecchetto accompagnata dagli attori dell’Accademia On Stage.

 

Tradizionale maschera di Beppe Nappa

 

A Santa Teresa di Riva troviamo la ventunesima edizione del Carnevale dello Jonio, che prevede tre sfilate giorno 16, 23 e 25 febbraio. A sfilare saranno 8 carri allegorici e 5 gruppi in maschera, accompagnati da canti, balli e la tipica atmosfera carnevalesca. Al termine della sfilata del martedì grasso si terrà poi la premiazione del miglior carro.

 

Fonte:gazzettadelsud.it

A Saponara anche quest’anno, giorno 25 febbraio, si svolgerà la tradizionale “Sfilata dell’Orso e della Corte Principesca“. Questa è legata a una famosa leggenda: si racconta che il Principe Domenico Alliata, intorno alla fine dell’800, dopo aver fatto catturare un orso che spaventava i suoi sudditi, proprio per festeggiarne la cattura lo fece sfilare incatenato per le vie del paese. Da quel momento la sfilata divenne tradizione e ogni anno una persona travestita da orso, accompagnata da cacciatori e suonatori di brogna (conchiglie marine) viene incatenato e percorre le vie del paese, disturbando i tanti partecipanti alla sfilata della corte principesca.

La sfilata dell'orso e della corte principesca

In attesa del #Carnevale2018 riviviamo le scene della nostra tradizione!

Pubblicato da Carnevale di Saponara su Lunedì 15 gennaio 2018

 

A Novara di Sicilia si festeggerà la trentaduesima “Sagra e Torneo del Maiorchino“, una manifestazione dedicata al formaggio tipico del luogo che si tiene durante il periodo di carnevale. Il torneo prevede il lancio del maiorchino, formaggio pecorino il cui peso varia dai 10 ai 18 Kg, che verrà fatto rotolare per le vie del paese. Il torneo si concluderà con la Sagra, giorno 1 Marzo, con degustazione di ricotta, tuma e maiorchino accompagnata da una maccheronata al sugo di carne di maiale.

 

Fonte:togoitalia.it

 

La settantunesima edizione del carnevale di Gioiosa Marea ripropone ancora una volta la tradizionale “Sfilata della Murga“, caratteristica orchestra importata dall’Argentina nel secondo dopoguerra da gente del luogo che aveva assimilato la cultura latino-americana. La maschera principale che guida la sfilata è quella del Murgo, un direttore d’orchestra in frac e cilindro. Per omaggiare questa maschera è anche stato realizzato un piatto tipico che ne porta il nome. Ad accompagnare la sfilata ci saranno altri eventi e sagre con degustazioni di prodotti tipici del luogo.

Fonte:canalesicilia.it

Non solo i classici carri dunque, come ci si potrebbe aspettare nel periodo di Carnevale, ma anche storia e cultura popolare,  rigorosamente accompagnate da ottime pietanze da consumare in compagnia.

E voi? Di quante tra queste tradizioni eravate a conoscenza?

Speriamo di avervi dato qualche dritta su come trascorrere questa festosa settimana!

Cristina Lucà

Fonti:

Sicilia in festa : https://www.siciliainfesta.com/

È messinese il protagonista della serie ZeroZeroZero. In esclusiva Giuseppe De Domenico

Quella di ZeroZeroZero è un’operazione ambiziosa pronta a stupire e sconvolgere. In onda da venerdì 14 febbraio su Sky Atlantic, la nuova serie sul mondo del narcotraffico è tratta dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano e diretta da Stefano Sollima, il rinomato regista italiano già autore di serie di successo come Romanzo Criminale, Gomorra ed il film Suburra. Tre continenti, cinque paesi, sei lingue, diecimila comparse e una troupe da più di mille persone per realizzare otto episodi.

Unico protagonista italiano è il giovane talento messinese Giuseppe De Domenico, che nella serie interpreta l’ambizioso e scalpitante Stefano La Piana. L’ho incontrato nella nostra Messina, al suo ritorno dal Festival del Cinema di Venezia, dove sono stati presentati i primi due episodi in anteprima mondiale. Mi ha raccontato del suo percorso, delle difficoltà incontrate e superate. Abbiamo parlato per ore, davanti ad una buona granita.

©GettyImages , Giuseppe alla 76esima edizione del Festival del Cinema di Venezia – 2019

Il Festival di Venezia è stato per te il primo grande momento di rivelazione al pubblico. La serie è stata accolta molto positivamente e ci si aspetta un successo internazionale. Come hai vissuto quei giorni?

A Venezia sono stati tre giorni di emozioni del tutto nuove per me. Il 4 settembre, a cena, ho conosciuto Roberto Saviano, per me figura iconica del nostro Paese nel mondo. E’ stato strano perché mi ci sono avvicinato per presentarmi ma lui mi ha battuto sul tempo: “Ciao! Tu devi essere Giuseppe!”. Mi ha sorpreso. Ovviamente mi conosceva perché ha scritto anche lui il mio personaggio. In una situazione del genere, in quel mondo così nuovo per me, mi ha fatto sentire un po’ più a mio agio.

©GettyImages , Giuseppe alla 76esima edizione del Festival del Cinema di Venezia – 2019

Eppure hai iniziato a recitare in teatro. C’è stato qualcosa che ti ha fatto innamorare del mondo della recitazione?

A dire il vero no. Ho iniziato quando ero molto piccolo con mio padre, che scriveva dei piccoli sceneggiati amatoriali. La recitazione è entrata a far parte della mia vita con estrema naturalezza. Quando mi sono iscritto alla Facoltà di Ingegneria ho capito però che non avrei potuto fare entrambe le cose. Quella strada che avevo intrapreso mi chiedeva un distacco netto tra mente e passione. Sentivo l’esigenza di ricercare e coltivare la mia emotività. Così ho abbandonato gli studi per dedicarmi al teatro.

Insomma, una scommessa di vita! E’ stata una scelta difficile?

In realtà, una volta capito che non volevo continuare, mi sono detto “Basta, io vado a Roma”. Sono fatto così: nel bene e nel male, quando capisco che qualcosa non va bene per me, la mollo e mi butto a capofitto in altro. A Roma ho studiato presso una scuola privata. Dopo il primo anno da entusiasta, ho capito che quell’approccio, quel metodo di studio, non era giusto per me, avevo bisogno di altro. Quindi ho fatto la rinuncia agli studi e a Luglio ho lasciato Roma e sono tornato a casa. A Settembre ho partecipato alle selezioni per il Teatro Stabile di Genova, ed in questo caso non avrei avuto piani B. Credo di essere stato un po’ incosciente, ma sono stati due mesi di pura adrenalina.

©DaniloCurrò – Messina, Gennaio 2020

Qual è stato, poi, il tuo percorso all’interno del Teatro Stabile di Genova?

Sono andato a Genova convinto a proseguire nel teatro. Durante quel periodo però ho incontrato una persona incredibile, Anna Laura Messeri, una pedagoga. E’ stata lei a farmi fare uno switch nel mio percorso. In quei due anni e mezzo mi ha fatto capire qual era la mia naturale tendenza recitativa, che non si sposava più con il teatro, come credevo all’inizio.

Dal momento in cui hai deciso di cambiare, come sei riuscito ad entrare nel mondo del cinema?

Ho inviato il curriculum a circa 20 agenzie: 19 non mi hanno nemmeno risposto, una sola si è mostrata interessata. Dopo diversi colloqui ed esami mi hanno preso. La vita di un attore è così, un costante mettersi alla prova del giudizio altrui.

E poi come fai ad ottenere una parte in un film?

Fai provini su provini. Nel mio caso magari pensi che, avendo avuto questo ruolo io abbia alle spalle una carriera di successi. Questo, in realtà, è il secondo “SI” della mia carriera. Avrò fatto in totale 60 provini e ho ricevuto 58 no. Devi sempre fare i conti con il rifiuto: nel 97% dei casi prendi un “no” e quindi passi interi mesi completamente solo, senza un soldo. Ma ciò che è veramente difficile è che, in questa situazione di disagio emotivo e di insicurezza economica, devi rimanere lucido e pronto per un’ eventuale chiamata, pronto a convincere la produzione del caso che sei la persona giusta per quel ruolo.

©DaniloCurrò – Messina, Gennaio 2020

Dopo tutti questi rifiuti sarebbe davvero facile mollare. Mi chiedo, a questo punto, dove trovi la motivazione e la forza di andare avanti dopo tutti questi “NO”.

Quando ti arriva un “SI” e fai quell’esperienza lavorativa costruisci un ricordo che ti spinge ad andare avanti sempre. Fare della tua passione un mestiere ti infonde una sensazione di benessere che è totalizzante. Capisci di essere in possesso di qualcosa di raro, qualcosa che vuoi proteggere e vivere per sempre. Anche io però, in quanto artista, devo fare selezione tra le varie offerte che possono arrivare. La carriera si fonda anche su tutti i “no” che riesci a dire tu, oltre ai “no” che ti diranno gli altri. 

In che senso?

Se sei disponibile ad accettare tutto, il tuo percorso è quantitativo. Magari lavori tantissimo, hai soldi e sei famoso, ma non stai raccontando nulla. Se invece riesci ad essere anche tu selettivo nelle scelte che prendi, sai di stare aspettando l’occasione giusta per raccontare qualcosa e dare valore a ciò che fai.

©GettyImages , Giuseppe alla 76esima edizione del Festival del Cinema di Venezia – 2019

Andiamo ora su qualche domanda più classica. Come sei stato scelto per questo ruolo?

Prima del mio provino ho deciso di passare una settimana qua a Messina, per fare un carico di “meridionalità”. Ho anche fatto un giro con un amico in determinati quartieri periferici della città, per conoscere e parlare con le persone del posto. Ho fatto un carico di espressioni, mi hanno colpito gli sguardi, i tempi delle frasi, la diffidenza. Sono questi dettagli che poi riescono a fare la differenza.

Raccontami del provino allora…

Ho recitato di fronte a Laura Muccino, che mi ha fatto riprovare la stessa scena per 12 volte, ma sempre con dei piccoli accorgimenti. Non smetterò mai di ringraziarla perché ha visto in me il potenziale ed è riuscita a farlo emergere. Poi ho fatto il provino con il regista, Stefano Sollima, e la produzione, Cattleya.

Eri intimorito da questi nomi così importanti nel mondo cinematografico?

Ero molto concentrato. Non mi sono concesso la possibilità di pensare cosa stessi facendo. Loro erano più consapevoli di me della grandezza del progetto, per fortuna!

Frame tratto dal trailer della serie “ZeroZeroZero”

Beh, alla fine però li hai convinti!

Non subito. Si preoccupavano del fatto che io fossi troppo “giovane” perché non avevo mai avuto un ruolo da protagonista, temevano che non fossi ancora pronto. Così l’ultimo provino è stato una vera e propria prova di forza, fisica e psicologica.

Sono tutto orecchie…

Un giovedì sera, alle 21, mi hanno convocato per fare il provino decisivo l’indomani sera. Al telefono mi spiegavano che il regista e la produzione erano già in Messico, perché le riprese erano già iniziate, e avrebbero seguito il mio provino via Skype. Avevo 24 ore per preparare delle scene di cui due nuove, mai provate, che mi avrebbero inviato di lì a poco. “Ah dimenticavo” mi dissero prima di chiudere “qualora la connessione Skype non funzionasse, domani stesso prenderai un aereo per il Messico e farai il provino lì”. Ero sotto shock. Mi giocavo il tutto per tutto in quelle 24 ore. Le due scene nuove sono arrivate alle 2 di notte. Non ho né dormito né mangiato per un giorno intero, ho continuato a studiare e provare ininterrottamente. 

©SkyTG24 – Giuseppe De Domenico sul set

E tutto questo stress non ha influito sul provino?

Sono arrivato stremato. Ho fatto 2 ore e 40 di provino, senza sosta, con una telecamera fissa davanti a me e Laura Muccino in videochiamata col regista che filmava a 30 centimetri dal viso. Ogni volta che finivo una scena mi dicevano “rifalla”.

Nessun cedimento quindi. Probabilmente la maggior parte di noi si sarebbe arrabbiata e avrebbe mandato tutto all’aria, o forse si sarebbe semplicemente arresa.

Dovevo dare tutto me stesso. Non c’era spazio per la stanchezza, per il nervosismo, per il timore del giudizio. Lì mi sono tornate utili tutte le ore formative di teatro, che mi aveva abituato a rifare più volte la stessa scena. Una carriera solida deve passare necessariamente dalla formazione continua, in qualunque ambito.

Hai condiviso il set con attori hollywoodiani. Che effetto ti ha fatto lavorare al loro fianco?

Iniziare le riprese a New Orleans, “a casa loro”, è stato parecchio stressante. Sapevo che avrei dovuto dare molto di più rispetto a quello che ero abituato a dare. Ho studiato e ristudiato ogni sceneggiatura. Provavo in continuazione i toni, i movimenti, le smorfie. Non ero mai sicuro che fosse abbastanza.

Frame tratto dal trailer della serie “ZeroZeroZero”

Durante le riprese, c’è stata qualche scena che ti ha portato al limite? Una difficoltà che non immaginavi, qualcosa che ti ha fatto dire “non ce la faccio”?

Ci sono stati tanti momenti difficili. Ma forse quello più emblematico è stata una scena in Marocco. Era una scena molto importante che mi richiedeva un grande sforzo emotivo e fisico. L’abbiamo girata per 19 ore consecutive. Alla fine, quando ormai ero con il medico che mi faceva le punture miorilassanti per via dei crampi che avevo, mi chiedono di fare un primo piano dell’apice della scena, assieme a Dane DeHaan. Sentivo addosso la responsabilità di non poter deludere un attore hollywoodiano del suo calibro, ma ero stremato. Quindi faccio questo primo piano dando tutto quello che avevo, cerco di spremermi fino all’osso. Una volta finito, il regista mi dice “Non va bene, era troppo. La dobbiamo rifare”. 

Immagino lo sconforto, la stanchezza.

In quel momento sono scoppiato a piangere, ho avuto un crollo emotivo. Mi sono seduto e continuavo a dirmi “non ce la faccio”. Avevo attorno a me il regista, produzione, truccatori. “Proprio ora vuoi mollare?” continuavano a ripetermi, ma io non li sentivo nemmeno. 

Frame tratto dal trailer della serie “ZeroZeroZero”

Ad un tratto passa Dane, incrociamo lo sguardo per una frazione di secondo, ed il suo sguardo non trasmetteva affatto compassione, tutt’altro! Era quasi scocciato della perdita di tempo. In quel momento, preso un po’ dalla rabbia, un po’ dall’orgoglio, ho capito che non potevo mollare, non volevo buttare tutto all’aria per qualche lacrima. Così mi sono alzato, ho rigirato la scena ma in una condizione psico-emotiva che non avevo mai sperimentato fino ad allora, perché avevo appena superato il mio limite. E alla fine, quel nuovo stato emotivo, si è rivelato essere perfetto per quella scena. Molto spesso, le risposte che cerchi sono solo un centimetro più in là rispetto a quello che è il tuo limite.

Credimi, sono emozionato. Non vedo l’ora di vedere questa scena, e ricordarmi che parlavi proprio di quella!

Anche io sono curioso di guardarla e di sapere da te e da tutto il pubblico se ha funzionato come credo. Le emozioni vanno vissute per poterle trasmettere davvero.

Antonio Nuccio

 

Si ringrazia il fotografo messinese Danilo Currò per la concessione delle foto d’autore.

… a Messina c’è una casa rotante?

Siamo abituati a pensare al concetto di casa come ad uno spazio delimitato da quattro mura, dalle dimensioni variabili ma forme più o meno fisse, ancorate al terreno e – soprattutto – immobili.

E se non fosse sempre così?

Esistono nel mondo infatti case che non rispecchiano esattamente quest’idea. Un esempio del quale ho voluto parlarvi è quello delle case rotanti, che si presentano come un vero e proprio capolavoro di ingegneria: strutture dotate di un motore che permette loro di ruotare in modo da ricevere la luce solare dalla stessa finestra a tutte le ore del giorno, dall’alba al tramonto. Si tratta di una tipologia di case adottata in tutto il mondo, dall’Australia all’Italia, e ognuna nasce da un’idea e da necessità diverse, da un desiderio preciso del proprietario o dell’ingegnere che ha realizzato il progetto.

 

Villa Rotante di San Maurizio d’Opaglio – Fonte: valerossini.wordpress.com

Una delle più famose si trova in Australia e presenta una pianta ottagonale e un sistema alimentato da un motore elettrico che permette alla casa di girare a comando. In provincia di Verona invece troviamo ancora oggi Villa Girasole, costruita nel 1935 su progetto dell’ingegnere Angelo Invernizzi, che si mostra oggi come centro di ricerca sulle energie rinnovabili. Sempre in Italia, in provincia di Cuneo, troviamo un altro esempio di casa rotante, voluto dal proprietario stesso per poter ammirare diversi panorami sempre dalla stessa finestra, sfruttando appunto il momento (forza rotante) della casa.

Villa Girasole – Fonte: epdlp.com

Ma può un capolavoro di ingegneria nascondere anche un messaggio che poco ha a che vedere con progetti e necessità architettoniche?

La risposta a questa domanda la troviamo proprio a Messina, a pochi passi dalla strada Panoramica (località Faro superiore): esiste qui un esempio di casa nata da un vero e proprio gesto d’amore, una necessità di cura e premura, che la rendono più che una semplice, se pur già di per sé spettacolare, opera di ingegneria.

Dietro al progetto si nasconde infatti la storia di un marito che apprende la notizia della malattia della moglie, alla quale viene consigliato di trascorrere più tempo possibile al calore e alla luce del sole. La casa infatti nasce dall’idea dell’uomo, il signor Ganci, che lavora assiduamente al design, mettendo da parte i risparmi mese dopo mese e ordinando i migliori materiali anche da diverse città d’Italia, per far sì che la moglie abbia la possibilità di ricevere la luce e il calore del sole durante tutte le ore del giorno.

La casa, oltre ad essere esempio d’amore, di premura e di cura, mostra anche una differenza rispetto alle altre, che la fanno apparire unica: grazie al moto del vento o all’utilizzo di una manovella, gira su se stessa senza utilizzare un motore elettrico. Purtroppo la casa rimane poco conosciuta,  anche e soprattutto a Messina, città che l’ha vista costruire.

Casa rotante di Messina – Fonte: ilcarrettinonews.it

Rimasta incompleta, si cerca oggi di darle un valore e un utilizzo: la figlia del signor Ganci propone ad esempio di terminarla utilizzando fondi regionali per renderla poi un museo.

Ma l’idea sembra davvero così assurda?

La verità è che oggi l’idea di museo supera il passato e cerca di adattarsi alle necessità e al sentire del tempo: troviamo ormai musei in cui il messaggio contenuto nelle opere supera le opere stesse, in cui importante è la storia delle cose, il significato emotivo a cui sono legate. Bisognerebbe valorizzare e dare voce a tutto ciò che viene realizzato e che porta con sé una storia, che rischia invece di rimanere inascoltata e di finire con l’essere dimenticata.

Bisognerebbe valorizzare le cose belle, le cose vere, permettergli di rimanere, di diventare punti fermi di tutta la comunità. Noi, come redazione della rubrica Cultura locale, proviamo a mettere in luce queste storie poco conosciute che, a mio parere, andrebbero ascoltate e rese parte di un patrimonio culturale che vada al passo coi tempi, si evolva e non rimanga ancorato al passato, ma riceva nuova vita ogni giorno.

E se oggi ovunque nel mondo viene valorizzato ciò che appare unico, storico e significativo, sarebbe bene che la città riconoscesse ciò che di unico possiede e sappia darne valore, proprio perché – senza dubbio – l’unicità di questa storia merita di essere valorizzata.

Cristina Lucà

 

Fonti: 

https://www.ilmessaggero.it/casa/news/casa-news/case_girevoli/3684407.html

https://www.ilcarrettinonews.it/una-casa-nata-per-amore/ 

Immagine in evidenza: ilcarrettinonews.it

Esiste ancora la Goliardia a Messina? I misteri del Sacro Ordine della Zammàra

I giorni della merla possono risultare un periodo surreale. C’è ancora particolarmente freddo, eppure siamo già tornati alla nostra routine, lasciandoci alle spalle pranzi e cene natalizi che tradizionalmente le rallegrano. È proprio durante queste occasioni che mia zia mi raccontò dell’esistenza a Messina di una misteriosa associazione di studenti, che giravano adornati da abiti d’altri tempi e che si rendevano protagonisti di imprese folli, animando la collettività accademica: era l’ordine dei Goliardi.

Ma cos’è la Goliardia? E cosa ne è della Goliardia messinese?

Non stiamo parlando delle confraternite in stile American Pie, ma poco ci manca!

Film “American Pie presents: Beta House” (Andrew Waller, 2007)

Storicamente, la Goliardia viene fatta risalire agli albori dell’Università, come risposta alla chiusura del sapere accademico confinato nei monasteri. Goliardo era il clerico vagante, lo studente che per la ricerca del sapere si recava ubicumque (ovunque, ma non più a casa), vivendo di poco o nulla, se non della questua (piccole offerte concesse ai viaggiatori) e del sostegno reciproco dei colleghi.

Fu così che le comunità accademiche si fecero un’unica forza, sodalizio, associazione: in una parola, Universitas.  È in questo contesto che nasce la Goliardia, termine dall’origine dubbia: c’è chi sostiene che venga da gula, sottolineando lo scolaro goloso ed avvezzo agli eccessi, oppure da Golia, il colossale guerriero biblico. Minimo comune denominatore di queste espressioni è uno stile di vita da studentileggeri di cuore e di borsa“, ma anche “spensierati e goderecci“.

Le vacanze continuavano a passare, così ne approfittai per interrogare quante più persone potessi su quei misteri, e più ricercavo più sembrava che quei luoghi, quelle mura, riprendessero a respirare, iniziando a dialogare con me. E così la storia iniziò a rispondermi, facendomi ritrovare un vecchio berretto appartenuto a mia nonna paterna. Quell’indumento era la tipica feluca (cappello tipico dei goliardi, ornato da ninnoli e piume) che poco ha a che fare con l’imbarcazione per la caccia al pesce spada, sebbene ne ricordi la forma puntuta ed allungata!

Feluca appartenuta a Maria Ermelinda Panagia, studentessa Unime (a.a. 1952-53) – © Salvatore Nucera

Saziata momentaneamente la mia curiosità, iniziai a cercare informazioni sull’Università di Messina, rimanendo sorpreso dalla quantità di storie riscoperte. Appresi infatti che la Goliardia messinese fu particolarmente florida negli anni 50’, con la nascita del Sacer Ordo Zammarae (Sacro Ordine della Zammàra, parola che deriva dall’arabo sebbana, una pianta grassa capace di scacciare il malocchio). Tra canti e scorribande, i Goliardi assicuravano il benvenuto alle nuove matricole imponendo le più varie penitenze, ed impedendo loro di muoversi liberamente nell’Ateneo se non mostravano il papello, un documento in pergamena realizzato da artisti del tempo (tra i quali il celebre Togo).

Mata durante la celebrazione della fondazione della città di Messina-Fonte: La settimana Incom 00150 del 30/04/1948

Appresi dunque che la Goliardia messinese di quegli anni rimase celebre per numerose imprese, come l’organizzazione delle Feriae Matricularum (la festa della matricola), o il tentativo – rimasto tale fortunatamente – di portare la statua di Mata dentro il cortile del Rettorato.

Ma la Goliardia architettò anche di rendere omaggio alla città che la ospitava, come testimonia l’Archivio storico Luce del 30 Aprile 1948: in quell’occasione gli studenti rievocarono la fondazione di Messina, simulando una vera e propria battaglia tra siculi e saraceni in groppa a cavalli e somari, rinsaldando ancor di più il senso di appartenenza alla città, edulcorato dalla sognante leggenda di guerra e d’amore tra Mata e Grifone.

La Goliardia degli anni migliori è stata dunque un movimento di incontro, tra studenti, docenti e comunità locale, uniti da convivialità e reciproco scherno, come testimonia il dialogo tra il Professor Pugliatti ed un suo studente, il quale, pur di passare l’esame di diritto civile, era pronto a trasferirsi all’Università di Palermo:

  • Pugliatti: “Io nei miei principi resto fermo/ caro Le Donne va pure a Palermo”.
  • Nino: “E io le dico con voce da cornacchia/ professore a Palermo c’è la pacchia”.
  • Pugliatti: “Caro Le Donne chi si contenta gode/ ma se ritorni qui le prendi sode”.

La facondia di Pugliatti ebbe, anche in questo caso, l’ultima parola.

La storia della Goliardia ha avuto non pochi episodi di discontinuità, con alti e bassi a seconda della diversa fase storica. Come dovette sopravvivere durante gli anni del fascismo, così risorse nel 2° dopoguerra sfoggiando costumi anticonformisti ed irriverenti. Dopo il 1968 iniziò una nuova fase discendente per la Goliardia (a Messina come in altre città) a causa del processo di politicizzazione delle Università.

A 50 anni da quegli eventi ed in un momento storico in cui gli studenti si trovano davanti ad un mondo in repentino cambiamento per cui il futuro è adesso, immergerci nella storia delle proprie origini può essere non solo un modo per comprendere meglio la relatività che ci circonda, bensì una chiave di volta per riaccendere nuovamente lo spirito accademico.

Un senso di appartenenza che appare talvolta rarefatto, ma che continua a spirare latente tra le mura dell’Università, in attesa del tempo propizio.

Salvatore Nucera

Fonti:

Immagine in evidenza – cappelleriamalaguti.com

Ballanti Gallanti, Pietro Abelardo, La rinascita scolastica del XII secolo, La Nuova Italia.

Di Giacomo Sergio, Gli ultimi fuochi della Goliardia messinese.

Graziosi Elisabetta, Gaudeamus Igitur, Studenti e Goliardia (1888-1923), Bologna University Press, 1995, pp.142.

Griffo Maurizio, Per una storia della goliardia politica, il Mulino Vol. 313, no. 5 (settembre-ottobre 1987), 847-854.

Istituto Luce, La settimana Incom 00150 del 30/04/1948, Goliardi messinesi celebrano la fondazione della città, disponibile su https://www.youtube.com/watch?v=qyaTioJputc.

Loteta Giuseppe, Messina in bianco e nero: la Goliardia negli anni 50, disponibile su http://www.messinaora.it/notizia/2016/01/29/messina-in-bianco-e-nero-la-goliardia-negli-anni-50/70789.

Principato Nino, Il Sacro Ordine della Zammara, disponibile su http://www.mutualpass.it/post/1017/1/il-sacro-ordine-della-zammara.

Epidemia coronavirus. Il ritorno dalla Cina di una messinese

Confermata ieri sera la notizia del i primi due casi di contagio in Italia di coronavirus. Sono una coppia proveniente dalla regione di Wuhan, atterrata nei giorni scorsi a Milano e poi spostatasi in comitiva a Roma. Da ieri i due sono in regime di quarantena allo Spallanzati.

9.692 casi confermati con un bilancio di 213 morti, ma nessun decesso è stato segnalato al di fuori della Cina. Il colpevole di questa epidemia si chiama 2019-nCoV, un virus ad RNA appartenente alla famiglia dei Coronavirus, la cui trasmissione avviene per via aerea come una banale influenza. Una volta che il patogeno ha infettato l’uomo, la malattia presenta un periodo di incubazione che varia dai 2 ai 10 giorni. L’infezione comporta febbre, tosse e respiro corto; tendenzialmente si risolve in osservazione ospedaliera con una terapia sintomatica, tuttavia, in alcuni casi, porta a complicanze quali polmonite grave, insufficienza renale acuta e leucopenia. Al netto degli allarmismi, stando ai report ufficiali, la mortalità non supera il 3% dei casi.

A raccontarci in esclusiva il viaggio di rientro a Messina dalla Cina è una nostra concittadina, Oriana Misitano.

Dopo essermi diplomata al liceo linguistico Archimede di Messina, ho deciso di continuare il mio percorso accademico a Napoli per frequentare l’Università l’Orientale, le lingue che ho scelto sono state inglese e cinese. Dopo essermi laureata nel 2018 ho trascorso un semestre di studio in Cina. Parto a marzo per Hangzhou, nella provincia dello Zhejiang, e torno a luglio. Ho fatto questo corso e mi sono innamorata ancora di più della Cina, tanto che ho deciso di fare domanda per una borsa di studio, nella stessa università. Oggi studio ad Hangzhou, in un corso magistrale interamente in lingua cinese. Non sono rimasta delusa della mia scelta.

Oriana di ritorno da Hangzhou, Cina

Dopodichè?

Mi trovavo benissimo, fino a poco tempo fa. Dopodichè è uscita la notizia, a Dicembre, dei primi casi di coronavirus a Wuhan. (circa 760km dalla mia città). Pian piano il virus si è diffuso in varie città e al momento ci sono circa 170 morti. Ho delle statistiche cinesi che aggiorno ogni secondo, posso darti in tempo reale il numero dei morti, contagiati, dei curati, delle persone sospette. Scannerizzo il QR code attraverso l’applicazione di WeChat (come noi in italia usiamo Whatsapp, in Cina usiamo WeChat) che aggiorna in tempo reale la situazione. I pallini rossi sono i casi confermati, quelli viola sono quelli sospetti, in alto c’è scritto il numero delle persone curate.

Quali sono le misure precauzionali imposte?

La città di Wuhan, da dove è partito il virus, è in quarantena. Le persone non possono uscire da casa e nemmeno dalla città. Sono rimasti circa 50 italiani bloccati lì. Il governo italiano vuole andare a prenderli ma, a quanto pare, la Cina non è disposta ad accettare questo spostamento di persone. Nel caso in cui fossero disposti ad acconsentire il tutto, le persone verrebbero tenute in quarantena almeno due settimane. Ad Hangzhou, e in generale in Cina, ci dicono di uscire il meno possibile, di non frequentare posti affollati come autobus, aeroporti, stazioni, pub, e uscire con una mascherina (impermeabile al di fuori e dentro traspirante) perché questo è un virus che si contagia con la saliva.

Come vivete il livello di allarmismo che si è generato in Cina?

In Cina la situazione non ce la mostrano come la mostrano fuori. Io mi sentivo costantemente con i miei genitori che erano allarmati viste le notizie che danno in tv in Italia. In Cina sono tutti abbastanza tranquilli. Prima di decidere se partire o meno ho sentito alcuni miei amici cinesi, che mi tranquillizzavano molto. Dicevano di stare tranquilla e che l’importante era rimanere in camera e non uscire. Ma vivere in camera per non so quanti mesi, perchè la situazione sta degenerando, non mi sembrava il caso. Negli ultimi giorni trascorsi in Cina sono uscita, le strade erano deserte. Loro rimangono in casa, bevendo acqua calda che per loro è il rimedio per tutti i mali, aspettando che si risolva tutto come fu nel 2003 per la SARS. Ora in Cina è vacanza, le università sono chiuse e dovrebbero riaprire al 20 Febbraio, ma posticiperanno l’apertura del semestre a data da destinarsi. Io ho comprato un biglietto per l’Italia solo andata, aspettando notizie positive per prenotare il ritorno.

Cosa succede quando qualcuno contrae il virus?

I sintomi sono quelli di una normale influenza: tosse, raffreddore, febbre. Ci hanno detto di andare in ospedale al minimo sintomo per fare degli accertamenti. Poi, ovviamente, lavarsi sempre le mani e usare disinfettanti.

Pensi che il governo cinese sia sincero in merito al fenomeno?

Sì, penso che il governo cinese sia abbastanza sincero nei confronti della situazione, avendo messo in allerta il mondo. Noi stranieri eravamo molto preoccupati perché il governo cinese tende a nascondere tutto ai cittadini. Tende a mostrare solo le notizie positive. Quando sono arrivate le notizie dei primi contagi nei paesi come Giappone, Corea, Thailandia, hanno dovuto trasmettere la notizia. Il fatto che la Cina abbia trasmesso la notizia vuol dire che la situazione è abbastanza seria. Hanno chiuso parecchi locali, autobus, aeroporti, hanno cancellato tanti voli. Io per esempio dovevo andare in Thailandia a Febbraio ma hanno cancellato il volo. Noi eravamo molto spaventati, ma i cinesi vivono in modo tranquillo. Inoltre, le persone morte erano tutte persone anziane che soffrivano di altre patologie respiratorie che aggiunte al virus ne hanno causato la morte.

Hai avuto difficoltà per tornare in Italia?

Non ho avuto difficoltà a tornare in Italia, ho deciso di partire il prima possibile per paura che chiudessero gli aeroporti. Quindi ci sono riuscita in tempo. Parlando con altri miei amici stranieri siamo ”contenti” che sia successo in Cina, perché secondo noi è un Paese che ha tutti i mezzi per risolvere la situazione. Ovviamente è una cosa che prenderà tempo. Questo è un periodo di vacanza, i cinesi viaggiano e tutti in questo periodo si spostano dalla città dove lavorano per tornare a casa. Aspettano queste vacanze tutto l’anno, lavorano sodo per mettere dei soldi da parte per viaggiare in questo periodo. Ci sarà un ritorno di tutte queste persone, anche se negli aeroporti c’è molto controllo. Io ad esempio prima di tornare a Messina ho fatto i dovuti controlli. In Cina ho fatto un sacco di passaggi in più prima di salire sull’aereo, tutto monitorato da schermi e luci a infrarossi. A Roma non ci hanno fatto scendere subito dall’aereo ma sono saliti dei medici vestiti con le tute bianche, che con il termometro hanno misurato la temperatura a tutti. Nel mio volo non c’era nessuno con la temperatura superiore al dovuto, ma, nel caso in cui ci fosse stata, avrebbero fatto ulteriori controlli. So che le persone sono molto preoccupate, infatti non muoiono dalla voglia di vedermi. La gente si allontana dalle persone dai tratti orientali per paura. Magari quelle persone non tornano in Cina da tempo, o hanno il passaporto italiano, questa è una cosa che mi rattrista un po’. 

                                                                                                                                                                                        Cristina Geraci

NB: Tutte le foto presenti nell’articolo sono state scattate da Oriana