Sant’Eustochia Calafato

Il centro storico di Messina lodava tesori di varie epoche, molti dei quali erano istituti religiosi spazzati via dal terremoto del 1908 che ha ridotto drasticamente il patrimonio storico e architettonico che era possibile contemplare. Il sisma risparmiò però gran parte della chiesa dove è conservato il corpo incorrotto di Santa Eustochia, una venerata santa messinese, il cui culto viene celebrato annualmente nel Monastero di Montevergine .

 

NASCITA ED EDUCAZIONE

Suor Eustochia, nata col nome di Smeralda Calafato, nacque in una famiglia agiata. Figlia di Bernardo, un ricco mercante messinese, e di Mascalda Romano Colonna, venne al mondo il giovedì santo del 1434 nel villaggio Annunziata, a Messina. La madre, indotta da Matteo di Agrigento, si era affiliata al Terz’Ordine di S. Francesco e trascorreva una perfetta vita cristiana; così Smeralda fu indirizzata verso la pratica religiosa, alla quale lei si sentiva molto attratta. Ma di quest’opinione non era il padre che, all’età di undici anni, la fece fidanzare con un mercante molto più grande di lei; questo morì il giorno precedente della cerimonia nuziale. Il padre, irremovibile, dopo due anni la promise in sposa ad un altro giovane che trapassò ancor prima di conoscerla.

S. EUSTOCHIA SMERALDA CALAFATO COMPATRONA DI MESSINA  Fonte:www.odigitria.org

LA CONVERSIONE

All’età di quindici anni, la giovane Smeralda decise, contro la volontà del padre, di prendere i voti. Entrò in monastero di Basicò e vi rimase per dieci anni con il nome di Suor Eustochia. Una sua preghiera al Crocifisso dimostrava da quale desiderio di soffrire fosse animata: “O dolcissimo mio Signore, vorría morire per lo tuo santo amore, cosí come Tu moristi per me! Forami il cuore con la lancia e con i chiodi de la tua amarissima Passione; le piaghe che tu avesti nel tuo santo corpo, che io le abbia nel cuore. Ti domando piaghe, perché mi è grande vergogna e mancamento vedere Te, Signore mio, piagato, che io non sia piagata con Te”.

 

LA VITA MONASTICA

Decise allora di intraprendere il suo percorso in totale povertà e scelse un sottoscala come cella; viveva in penitenza, dormiva sul pavimento e portava il cilicio. Suor Eustochia era molto risoluta e supponeva che nel convento non si seguisse alla lettera il principio delle Clarisse. Questo la portò ad avere molte divergenze con le consorelle e la badessa; Eustochia decise quindi di progettare una riforma, accolta con un decreto da Papa Callisto III. Grazie agli aiuti economici della madre riuscì a trasferirsi nel nuovo convento di S. Maria Accomandata; insieme a lei si trasferirono la madre, la sorella Mita, la nipote Paola, suor Lisa Rizzo e suor Jacopa Pollicino. Anche in questo convento Suor Eustochia ebbe da ridire nei confronti della badessa e di tutto il clero, e solo Pio II riuscì ad obbligare i frati minori osservanti a seguire la vita spirituale delle suore del monastero.

Montastero di Monevergine  Fonte : www.metemitimeteoriti.myblog.it

 

UN NUOVO MONASTERO

Il numero delle suore si ampliava velocemente e i locali del monastero diventarono inadeguati; grazie così alla generosità di Bartolomeo Ansalone, nel 1463, le Clarisse Riformate si poterono stabilire a Montevergine, in un nuovo monastero tuttora esistente. La beata, per esortare le consorelle alla virtù e all’amore del Crocifisso, scrisse un libro sulla Passione che andò perduto e fu recuperato grazie ad appunti nella sua agenda. Il 20 gennaio 1485 suor Eustochia morì lasciando la sua ultima raccomandazione: “Prendete, figlie mie, il Crocifisso per Padre, ed Egli vi ammaestrerà in ogni cosa” Durante la vita, ed ancor più dopo la morte, si attribuirono alla suora vari miracoli. Il due luglio 1777 il senato della città promise di recarsi ogni anno a Montevergine. Il 20 gennaio e il 22 agosto, nel 1782, infine, la Calafato fu beatificata da Pio VI.

Il corpo della beata oggi Fonte: www.messinareligiosa.it

 

SANT’EUSTOCHIA NELLA CULTURA DI MASSA

L’arcivescovo di Messina, nel 1690, scriveva alla S. Congregazione dei Riti: “Il suo corpo, da me diligentemente veduto e osservato, è integro, intatto e incorrotto ed è tale che si può mettere in piedi, poggiando sulle piante di essi. Il naso è bellissimo, la bocca socchiusa, i denti bianchi e forti, gli occhi non sembra affatto che siano corrotti, perché sono alquanto prominenti e duri, anzi nell’occhio sinistro si vede quasi la pupilla trasparente. Inalterate le unghie delle mani e dei piedi. Il capo conserva dei capelli e, quello che reca maggiore meraviglia, si è che due dita della mano destra sono distese in atto di benedire, mentre le altre sono contratte verso la palma della mano -accenno ad una benedizione che la beata avrebbe dato con quella mano, dopo la sua morte, ad una suora-. Le braccia si piegano sia sollevandole che abbassandole. Tutto il corpo è ricoperto dalla pelle, ma la carne sotto di essa, si rileva al tatto disseccata”.

Ancora oggi si può vedere intatto il corpo della beata ed in piedi nell’abside della Chiesa di Montevergine, esposto alla venerazione del popolo, che in folla vi accorre il 20 gennaio. L’iconografia rappresenta la beata in ginocchio dinanzi al Sacramento e, più frequentemente, con la Croce nelle mani. Il culto per Santa Eustochia è celebrato annualmente nel Monastero di Montevergine il 22 agosto, durante il quale le autorità messinesi offrono 38 libbre di cera lavorata. Infine, secondo alcuni storici dell’arte, lo stesso Antonello da Messina scelse presumibilmente il volto della beata per dipingere la sua “Annunziata”.

Marika Costantino

 

Fonti:

http://wikipedia.org

https://www.facebook.com/SANTA-EUSTOCHIA-SMERALDA-CALAFATO-Clarissa-Messinese-1434-1485-118729339211/

Erasmus+ ICM: pubblicato il bando

Come sempre l’Università degli Studi di Messina si fa promotrice dell’internalizzazione e della ripresa delle attività di studenti e docenti, pubblicando il bando “Erasmus + ICM” per mobilità studenti UniMe.

Cos’è l’Erasmus+ ICM?

L’Erasmus ICM (International Credit Mobility) è un progetto dell’Unione Europea che prevede l’assegnazione di borse di mobilità per studio e tirocinio verso paesi Extra-Europei partner del programma. Prevede 42 borse di mobilità per studio e 4 mobilità per tirocinio, borsa di mobilità mensile pari a € 700,  contributo una tantum a parziale copertura delle spese di viaggio (70% dell’importo totale all’inizio della mobilità considerando la distanza raggiunta, il 30% calcolato in base ai giorni di permanenza).

Quali sono le sedi?

La scelta è molto ampia, ben 12 sedi fra Albania, Argentina, Armenia, Cile, Cina, Georgia, Giordania, Israele, Malesia, Marocco, Palestina e Ucraina. Ciascun candidato potrà scegliere una sola sede in funzione del Corso di Studio di appartenenza e sulla base dell’offerta didattica disponibile (consulta il bando per scoprire per quale sede sei idoneo).

Chi può partecipare?

Sono ammessi gli studenti in possesso dei seguenti requisiti:

  • essere regolarmente iscritti a tempo pieno ad un Corso di Laurea di I ciclo, II o III ciclo, al momento della candidatura (A.A. 2020-21) e per tutta la durata del soggiorno all’estero (A.A. 2021-22);
  • competenza linguistica richiesta dalle Università partner in cui si intende effettuare il periodo di mobilità;
  • non aver già usufruito del numero massimo di mesi di mobilità consentito dal Programma
    Erasmus+ nel proprio ciclo di studio (massimo 12 mesi per ciascun ciclo di studio (massimo 24 mesi per la Laurea Magistrale a Ciclo Unico).

Come partecipare?

Gli studenti interessati dovranno compilare la candidatura tramite il portale ESSE3, indicando le competenze linguistiche, l’eventuale partecipazione pregressa ad altri periodi del programma Erasmus+, learning agreement ed eventuali esigenze speciali. Troverete la documentazione sul sito UniMe.

Entro quando si potrà partecipare?

La candidatura dovrà essere presentata entro le ore 23:59 del 16 luglio 2021, pena l’esclusione.

Maggiori informazioni

Consultate di seguito il bando per la scelta della sede ed ulteriori delucidazioni – Bando Erasmus+ ICM

Unità Organizzativa Programmi Internazionali tel: 090 676 8539 8533, mail: progetti.erasmusicm@unime.it

Livio Milazzo

L’obelisco egizio del Duomo di Messina

Messina è una città antichissima: la tradizione (per calcolo del grande Francesco Maurolico attraverso la cronologia di Eusebio da Cesarea) pone la sua nascita nell’anno 1765 a.C. (!), una datazione confermata dall’odierna ricerca archeologica (alla quale per la prima volta appunto in tema di preistoria diedero grande impulso i membri del Circolo Archeologico Codreanu tra cui Franz Riccobono). Eppure, a Messina scarseggiano lasciti dell’antichità, monumenti che riportino al tempo più lontano della sua esistenza, e quelli che ci sono sono praticamente nascosti o poco valorizzati o non divulgàti.

Un pezzo importantissimo e antichissimo, nonché misteriosissimo, della nostra storia si trova proprio sotto i nostri occhi, ma forse l’avremo visto innumerevoli volte senza accorgercene (assurdo per quanto sia!): avete mai guardato sopra le colonne angolari oltre le quali si apre l’abside, nel nostro Duomo? Se non l’avete fatto, fatelo: troverete due “pietre egizie”.

L’abside del Duomo di Messina e le due pietre egizie – Fonte: colapisci.it

Pietre egizie a Messina?

L’occhio sano e dotato, e un buono zoom d’una macchina fotografica, possono facilmente osservare due piccoli obelischi che si ergono proprio al di sopra di quelle colonne, sorreggendo l’arco a sesto leggermente acuto dell’abside.

Delle due, solamente una reca scolpite figure di chiarissimo stile egizio, e ben visibili, oltre a dimostrare una perfetta levigazione del materiale; l’altra, meno precisa nella fattura ma comunque aggraziata, è ornata da figure di stile chiaramente diverso, somiglianti più vagamente a quelle dell’arte egizia.

Leggere queste cose può risultare impressionante, sono parole difficili da credere, ma si tratta della verità. Se vi capitasse d’osservare da vicino, vi accorgereste che c’è una figura d’Iside o Hathor con le corna di mucca, un’altra forse di Maat con le ali spiegate, e che i riquadri sono tutti circondati da geroglifici.

È risaputo che molti materiali con cui fu eretto il Duomo in principio furono recuperati dall’area dei laghi del Peloro, presumibilmente smontando l’antico tempio che si ergeva nel “terzo lago”; la diffusa consapevolezza di questo fatto ha dato da pensare che dunque questi pezzi d’“arte egizia” possano provenire proprio dai laghi, e che dunque lo stesso edificio dedicato all’ignota deità acquatica o ctonia (di cui parlava Solino) fosse allora un tempio egizio. Se questo fosse vero, la storia di quell’area s’infittirebbe.

Ora che avete letto e probabilmente la vostra curiosità è stata fomentata, vi svelo un’altra cosa: quelle che ci sono dentro il Duomo non sono gli originali, ma due copie, là collocate in sostituzione degli originali, che ora si trovano al Museo Regionale di Messina.

©Daniele Ferrara – Uno dei due obelischi, Museo Regionale di Messina 2021

Sconosciute anche ai sapienti

Rincresce estremamente e profondamente dovere dire che la posizione in cui si trovano non è lontanamente adeguata a reperti di tale importanza: si ergono nei giardini, a sinistra rispetto all’ingresso principale, davanti alle porte dei magazzini. In poche parole, le due pietre egizie sono poco accessibili all’attenzione di chi visita il riposo della nostra storia, e per giunta esposte alle intemperie, che a lungo andare deteriorano e deterioreranno la fine e antica opera scultorea di quegli obelischi. È una posizione, occorre dirlo, che riflette perfettamente e fedelmente lo scarsissimo interesse dei nostri organi ufficiali di cultura per questi due monumenti, o meglio residuo di monumento. Una curiosità: accanto, nel medesimo luogo, c’è forse l’unica statua esistente di Madonna della Lettera, che non a caso gode d’egualmente povera attenzione.

Oltretutto, questa, è la condizione generale in cui versa il patrimonio storico di Messina in troppi casi: abbandonato dalle istituzioni che possono salvarla, ma costantemente indicato e trattato da altri studiosi, che poi però vengono sistematicamente attaccati e tacciati di tuttologia.

Sono stati effettuati pochissimi studî su questi importantissimi reperti; tra questi occorre segnalare quello del noto storico messinese Alessandro Fumia, instancabile autore di molteplici ricerche sulla nostra identità in tutte le direzioni. Conducendo un’attenta analisi, egli ha rilevato elementi accostabili al periodo achemenide dell’Egitto e tracciato ipotesi sul tempio che qui sorgeva.

Finora tuttavia la risposta definitiva (o quasi) sui reperti è ben lontana, probabilmente proprio per l’assenza di un vero confronto sull’argomento tra le menti erudite che possa, a via d’aggiustamenti e compromessi sui varî dati rilevati, mediare fino alla conclusione più probabile di questo enigma storico, del quale trarrebbe giovamento Messina stessa, che languisce per la poca conoscenza che ha di sé stessa la sua popolazione.

Fonte: strettoweb.com

Un obelisco egizio… ellenistico

Senza la presunzione d’avere il parere risolutivo ma con l’assoluta sicurezza di quanto affermo, voglio fornire anch’io una teoria su questi due obelischi, che ho potuti osservare entrambi da vicino durante una visita. Uno solo degli obelischi è veramente antico, ma non bisogna farsi ingannare: non è veramente egizio, o almeno non appartiene ai secoli dell’Egitto “classico”, ma è di periodo ellenistico (fra 323 a.C. e 500 d.C.). Questo mi sento di dirlo per un dettaglio inequivocabile: tra le figure ce n’è una maschile rappresentata frontalmente nell’atto dell’anasyrma, ossia la sollevazione della veste che in questo caso scopre i genitali, tipico del dio Afrodito o Ermafrodito, maschio dall’aspetto femmineo, che si accompagna ad Afrodite, non certo un dio egizio bensì greco e diffusosi in età ellenistica. Quanto ai geroglifici, finora mai interpretati, sono forse quelli l’elemento che più di tutti urge studiare, per comprendere se contengano davvero concetti di senso compiuto o se siano invece semplici ornamenti scolpiti in un tempo in cui nessuno più capiva gli originali; ma senza uno studio egittologico, e senza porre al riparo questi manufatti dalle intemperie, la verità non verrà mai raggiunta. Probabilmente, questo piccolo obelisco è stato direttamente intagliato in questa città o nelle vicinanze per ornare un tempio adibito a qualche culto egizio (ce n’erano in tutto l’Impero Romano) oppure è stato scolpito in Egitto ma sempre in epoca ellenistica e poi è stato trasportato qui; l’altro pezzo, invece, è probabilmente una copia modellata da un ottimo scalpellino in periodo normanno, forse nella fabbrica del Duomo, per fare coppia con l’altro e a sua immagine.

©Daniele Ferrara – L’obelisco ellenistico, in cui è raffigutato l’atto dell’anasyrma, Museo Regionale di Messina 2021

Se effettivamente quel piccolo obelisco provenisse dal tempio dei laghi non è facile dirlo, per essere così bisognerebbe porre che esso sia stato costruito direttamente in periodo ellenistico o che in tal epoca il nume adorato sia stato egittizzato e quindi onorato attraverso l’arte egizia, ma prima di quelle di Giulio Solino (III secolo d.C.) non abbiamo altre notizie sul luogo sacro. Dicerie, meno fondate, si sono tramandate anche sull’esistenza d’un antico culto egizio a Santa Maria Alemanna, ma ancòra ce n’è di strada da fare verso la verità.

Che aspettate? Andate a vedere sia le copie nel Duomo che gli originali al Museo!

 

Daniele Ferrara

 

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Fonte: colapisci.it

Corpus Domini: lu Vascilluzzu

La solennità del Corpus Domini è da dieci giorni trascorsa, ma, considerato che la sua massima espressione nella civiltà messinese non si è potuta quest’anno dispiegare, certamente fa bene parlarne ancòra! Mi riferisco alla Processione del Vascelluzzo, che buona parte delle persone a Messina avrà potuto vedere almeno una volta, ma forse senza conoscerne pienamente il significato.

È una processione cristiana, ma come tutte le manifestazioni non va mai fraintesa, mai ridotta al puro significato apparente, mai va guardata come a una superstizione! Ha un’intensità, quest’evento, ch’è saldamente radicata nella storia di Messina, e una spiritualità che rimonta a epoche remote.

Voilà: lu Vascilluzzu

Il Vascelluzzo è la piccola riproduzione d’un galeone a tre alberi, della lunghezza d’un metro, costruito in legno all’interno ma rivestito integralmente di lamina d’argento in ogni sua parte; è inclusa la base, decorata con motivi marini e quattro medaglioni con immagini devozionali. Proprio per questa sua particolarità, esso è lascito della plurisecolare tradizione degli argentieri messinesi, rinomata un tempo in lungo e in largo come una vera eccellenza artistica. In contrasto con il bianco e lucido argento sono stendardi e bandiere rosse bordate d’oro, che in ogni parte adornano il galeone. Dalla coperta, inoltre, emergono floride spighe di grano.

Talvolta il Vascelluzzo annoverato tra le machine processionali, ovverosia quegli apparati festivi complessi (la Vara, il Cammellaccio…), sui quali non sarebbe errato dire che Messina ne abbia il più elevato numero almeno tra tutte le città d’Europa.

Per tradizione devozionale il Vascelluzzo viene diligentemente custodito dalla Confraternita di Santa Maria di Portosalvo (nata più di trecento anni fa), che vi fa per tutto l’anno buona guardia e lo conduce a spalla in processione nel giorno del Corpus Domini ogni anno, sin dall’inizio di questa usanza e dalla creazione della preziosa varetta.

Una curiosità piuttosto rilevante: per la processione del Corpus Domini, sul Vascelluzzo viene sistemato il reliquiario contenente i capelli con cui sarebbe giunta legata la Sacra Lettera scritta da Maria madre di Gesù, i capelli della Madonna stessa. Appare inspiegabile che Messina non sia mèta di pellegrinaggio mariano, considerato che possiede (se si vuole prestare fede alla tradizione) l’unica reliquia consistente in un resto corporeo della Beata Vergine Maria!

Fonte: colapisci.it

Bastimenti miracolosi e provvidenziali

Come mai si porta in processione lu Vascilluzzu?

Secondo la versione più antica bisogna risalire al tempo della Guerra del Vespro. Quando Carlo d’Angiò divenne Re di Sicilia, usurpando il trono di Corrado II (il giovane e coraggiosissimo Corradino) e uccidendolo, e quando impose sulla Sicilia un governo duro insediato a Napoli e le cui direttive venivano eseguite da soldati francesi, le città siciliane decisero di ribellarsi e cacciare gli uomini stranieri del Re, e rovesciare il Re stesso; tra queste c’era Messina, che per la sua posizione sarebbe stata la prima a essere attaccata. Così avvenne: Messina, guidata dal capitano di popolo Alaimo da Lentini, si ritrovò assediata e, ben presto, ridotta alla fame, come certi racconti ci tramandano. In una situazione di tale calamità, dal nulla una nave carica di frumento riuscì miracolosamente a superare il blocco navale e a entrare in porto, mandata dalla Madonna grazie all’intercessione di Alberto degli Abati.

Un’altra versione dell’origine, più recente, rimanda a una carestia verificatasi alle porte del secolo in cui fu commissionato il Vascelluzzo (XVII), ed è quella che in principio fu insegnata anche a me da bambino. Nel 1603 d.C. il territorio fu colpito da una terribile carestia, che purtroppo in quei tempi era un fenomeno che si ripeteva periodicamente e di difficile risoluzione. Questa, in quell’occasione, si presentò per Messina quando un grosso bastimento greco di grano che transitava nello Stretto fu colto da una tempesta e a causa dei danni riportati si ritrovò impossibilitato a navigare. I marinai si ritrovarono allora costretti a chiedere aiuto a Messina pur temendone una razzia, ma, dato che si erano appellati alla Madonna, la nostra città decise comunque d’aiutarli rimorchiando la nave in porto, e in cambio furono distribuiti pani che sfamarono la popolazione. Da quel momento, per decreto del Senato di Messina, si sarebbe per sempre fatta questa processione.

Fonte: strettoweb.com

Le varette naviformi isiache

In generale, come in molti altri casi ricorrenti nelle nostre gloriose festività municipali dei secoli scorsi, qualora il Vascelluzzo non dovesse ricordare alcun miracolo esso rimarrebbe il simbolo della potenza e dell’essenza marinara di Messina, una città sposata con il mare sin dal tempo in cui si adorava l’enosigeo dio Poseidone e che da esso ha sempre tratta tutta la sua ricchezza che in altre epoche fu poderosa e difficilmente eguagliata da altre città.

Ma comunque, nonostante gli eventi storici ben riconoscibili e relativamente a noi vicini che si propongono come cause fondanti di questa nostra consuetudine, bisogna risalire a un tempo ancor più distante per spiegare l’origine di usare navigli come oggetti di devozione e processionali.

L’utilizzo di una varetta a forma di nave era tipico delle processioni ellenistiche in onore della dea Iside, nel tempo in cui il suo culto era diffuso in tutto il Mediterraneo. Si tratta del Nauigium Isidis (“Naviglio di Iside”, appunto) che si celebrava in ricordo del suo peregrinaggio alla ricerca delle membra divise del suo defunto sposo Osiride; la data si determinava astronomicamente, esattamente come e quando ricorre la Pasqua cristiana oggi. Iside è dunque patrona dei naviganti, che si possono anche intendere metaforicamente come coloro che navigano verso una mèta spirituale.

Anche nei paesi iberici si riscontrano diverse reminiscenze isiache proprio nel Corpus Domini. Probabilmente è vero che i popoli hanno memoria così come le persone, e anche se consciamente rimuovono un’esperienza, inconsciamente mai la dimenticano.

Altri due apparati festivi messinesi di forma navale è importante menzionare allo scopo di ricondurre l’usanza alle celebrazioni isiache: la Galea della Lettera che si montava per il 3 Giugno (Gran Madre della Lettera) e il Vascello Granario che si allestiva per il 15 Agosto (Maria Assunta in Cielo), in entrambi i casi si tratta di solennità dedicate alla Vergine Maria, che in moltissime occasioni è proprio la controfigura cristiana della potentissima e soavissima Iside. Anche per queste altre imbarcazioni vale l’interpretazione sopradetta, ossia la glorificazione di Messina sul mare.

Come vedete, nelle tradizioni identitarie ce ne sono a iosa di motivazioni e significati per festeggiare: è perché non sono feste di Cristiani, ma feste di Messinesi, della municipalità tutta. E come ripudiare la propria identità?

Fonte: granmirci.it

 

Daniele Ferrara

 

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Fonte: vivasicilia.com

“Duecento giorni di tempesta”: il nuovo romanzo della scrittrice messinese Simona Moraci

 Duecento giorni di tempesta” è l’ultimo romanzo della giornalista e insegnante messinese Simona Moraci. L’autrice, che vanta una lunga carriera ventennale da giornalista (redattrice del quotidiano “la Gazzetta del Sud), intraprende la tortuosa – e meravigliosa – strada dell’insegnamento.  Dopo aver pubblicato i romanzi “I confini dell’anima” (1996) e “Giornalisti, e vissero per sempre precari e contenti” (2014), la scrittrice torna nelle librerie e store online con un romanzo, pubblicato dalla casa editrice Marlin, che affronta il delicato tema della scuola, in particolare della scuola di “frontiera”.

Sonia e i suoi duecento giorni di tempesta

Ed è Sonia, protagonista e voce narrante, che coinvolge il lettore nei suoi duecento giorni di tempesta. La protagonista è una giovane docente che viene catapultata in una scuola particolarmente ostica, all’interno di un pericoloso quartiere siciliano dimenticato dalle istituzioni. Sonia, che ancora combatte con i demoni del suo passato, si rende presto conto della grave situazione di disagio che vivono i ragazzi e le ragazze della scuola. I suoi alunni, o i “suoi bambini” come ama chiamarli, sono gli emarginati, gli ultimi, condannati dal contesto sociale in cui sono nati. Violenza, frustrazione, dolore e rabbia sono i sentimenti che animano i suoi bambini, costretti a crescere in un quartiere – come tanti nel sud Italia – stritolato dalla malavita.  Sonia comprende di essere l’unico punto di riferimento per i suoi alunni, prova a scolarizzarli e a instaurare con loro un rapporto che vada ben oltre il rigido ruolo insegnante – alunno, nonostante le grosse difficoltà e i fallimenti iniziali.

L’autrice racconta la scuola di “frontiera”

Simona Moraci ha il pregio di raccontare non soltanto la sua storia, ma quella di molti insegnanti che ogni giorno sono costretti a lavorare in un ambiente violento e senza alcun tipo di supporto.  Gli insegnanti risultano abbandonati e con mezzi non sufficienti per affrontare le problematiche non solo della scuola, ma soprattutto di un quartiere ai margini della vita civile. Essi sono costretti ad insegnare in un ambiente che non li tutela abbastanza; spesso sono vittime non solo di violenza verbale, ma anche fisica. I docenti rappresentano per questi ragazzi l’unico barlume di speranza e di parvenza di legalità. Compito che risulta estremamente complicato: i ragazzi sono abituati alla violenza, all’illegalità, alla mancanza di rispetto per l’autorità. Molti di loro sono cresciuti all’interno di una mentalità criminale, presentando un comportamento disfunzionale ed evidente, e anche ovvia, è il disinteresse delle famiglie. Una delle chiavi per aprire i cuori dei ragazzi “esplosivi” è l’amore: “l’amore è l’unica via per uscire dal buio”. Sonia ripete più volte questo leit motiv, anche quando lo sconforto e la frustrazione sembrano prendere il sopravvento.

Simona Moraci, l’autrice del romanzo

L’autrice sottolinea: ‹‹questo romanzo nasce dalla mia esperienza maturata negli ultimi anni di “frontiera”, nelle scuole di quartieri a rischio. E’ come un universo a sé stante: tutti i sentimenti, le emozioni sono amplificati e occorre trovare un equilibrio “nuovo”. La mia passione per la scrittura e il mio amore per l’insegnamento mi hanno a raccontare di rabbia e innocenza, di pianto e risate, di questi bambini straordinari e fuori da ogni schema. In particolare, l’affetto nei confronti dei ragazzi è stato uno stimolo potente. L’amore è l’unica via per uscire dal buio.››

Un pericoloso triangolo

Durante l’anno scolastico, Sonia si ritrova in un tempestoso triangolo amoroso che scoprirà soltanto successivamente essere più grande, complicato e intenso di quanto possa inizialmente immaginare. La protagonista, dopo la grandissima delusione del suo precedente e unico amore, cade nella tempesta di questi due amori tanto diversi quanto imprevedibili e coinvolgenti. Andrea, insegnate di Arte di bella presenza e dal carattere fortemente espansivo i cui occhi celano una rabbia nascosta e repressa, e Stefano – anche lui suo collega insegnante – riservato e sfuggente, poetico e disilluso, che rappresenta l’opposto di Andrea, due volti diversi dell’amore. Ma i due colleghi insegnanti nascondono qualcosa di più, già si conoscono e lasciano intendere a Sonia – e di conseguenza al lettore – che il loro passato, cupo e misterioso, è in qualche misura legato. Sonia è ancora tormentata dalle esperienze che ha dovuto affrontare: dal rapporto complicato con la sua famiglia, dal suo primo e unico amore che l’ha distrutta lentamente e dall’immisurabile dolore della perdita di un figlio nato prematuramente. A Sonia serviranno duecento giorni di tempesta per rinascere, trovare un equilibrio interiore e aiutare i ragazzi ad immaginare un futuro migliore e alternativo a quello che il quartiere offre loro.

 

Francesco Benedetto Micalizzi

 

 

Link per il libro: https://www.marlineditore.it/shop/83/83/1879_duecento-giorni-di-tempesta.xhtml?a=117

 

Messina cum Laude: una mappatura psicogeografica della città di Messina

Torna la rubrica “Messina cum laude” con un’analisi psicogeografica della città di Messina, redatta da Antonino Vitarelli.

L’autore

Nato a Messina nel 1992, Antonino ha sempre avuto particolare attenzione per le potenzialità nascoste della città, osservandola YÎU arretrate WW bbn  l’occhio attento  della psicogeografia. Nel 2011 pubblica la silloge di poesie “I colori dell’ombra “, insignita di vari premi internazionali tra cui il premio speciale per la pace universale “Frate Ilaro del Corvo”. Da sempre appassionato a tutto ciò che riguarda l’arte, da circa 8 anni svolge attività teatrali di vario genere, sia come attore che come regista.

Nel 2020 ha conseguito la laurea in “Scienze del Servizio Sociale”, discutendo una tesi psicogeografica sperimentale dall’interessante taglio narrativo, dal titolo ” Sotto l’asfalto la sabbia. Verso una mappatura psicogeografica della città di Messina “, con relatore il prof. Pier Paolo Zampieri. La tesi traccia una mappa psicogeografica della città di Messina, con le sue storture e le sue qualità.

Antonino Vitarelli

L’analisi sociologica e l’esplorazioni urbane

La tesi nasce da un approccio empirico all’analisi sociologica di un centro urbano, in questo caso, Messina. L’obiettivo della tesi è quello di scoprire e studiare a fondo la vera essenza culturale e sociale della città tramite delle vere esplorazioni urbane, esplorazioni viscerali in una città che Antonino definisce contraddittoria. Messina non esprime subito se stessa, anzi tende a nascondere il suo vero essere culturale. Infatti, a causa della ricostruzione successiva al terremoto del 1908, la città  si è vista negare il riconoscimento e la consapevolezza della sua vera identità.

Il primo obiettivo delle esplorazioni urbane è stato quello di individuare quei luoghi, che come “uno strappo nel cielo di carta” rivelano l’identità di Messina, definite ambiances. Le ambiances vengono paragonate ai passages individuati a Parigi dal sociologo Walter Benjamin, e descritti come punti  nevralgici, dei passaggi  spazio-temporali che conducono all’ identità di Messina prima del terremoto.

Insegna del centro commerciale “Maregrosso”

Le Ambiances

L’approccio utilizzato per individuare le ambiances è quello della “deriva urbana” ovvero un camminare senza meta e orario, un “camminare per perdersi”. Questo approccio spiazza la razionalità e i percorsi predefiniti dalle istituzioni e dalla burocrazia, le esplorazioni urbane, infatti, si basano anche su delle percezioni irrazionali. Tra i centri nevralgici di interesse socio-culturale individuati e poi mappati troviamoL’occhio di Chiarenza, un suggestivo affresco situato nei pressi dell’ex manicomio Mandalari, e  “La casa dei pupi” di Giovanni Cammarata a Maregrosso, considerata universalmente una delle più belle espressioni dell’ outsider art contemporanea.

Proprio la casa di Cammarata, con “l’ atelier di Linda Schipani”, ex officina trasformata in centro di arte contemporanea di riciclo, e “il pensatoio di Vittorio Trimarchi”, ex magazzino divenuto museo di arte contemporanea, formano il “triangolo delle Bermuda” di Messina, situato nella zona di Maregrosso. Questa zona di Messina si presenta come un centro gravitazionale dell’espressione identitaria della città: l’ accesso al mare totalmente negato e la costruzione di centri commerciali che soffocano il respiro artistico e spontaneo delle ambiances presenti nella zona , sono un chiaro esempio del conflitto tra sistema e esperienza. Per citare l’autore, “Maregrosso oggi è solo un’insegna” riferendosi all’ insegna di uno degli ultimi supermercati nati nella zona.

Mappa psicogeografica della città di Messina, disegnata dall’architetto Bruno di Sarcina

Il conflitto tra il sistema e l’esperienza

La tesi fa emergere uno  scontro che sta alla base della esperienza urbana di Messina: da un lato abbiamo il sistema che indica la ricostruzione post terremoto, la burocrazia, le costruzioni in un certo senso calate dall’alto, l’esperienza invece è il vivere istintivo dei cittadini che creano la vera identità della città. Questo conflitto che viene descritto come una battaglia costante dagli esiti ancora incerti, permette di identificare dei punti di tangenza, degli squarci da dove  è possibile percepire e conoscere il passato, il presente e un eventuale futuro della citta.

Esempio di questo conflitto è la Fiera di Messina: la costruzione viene imposta ai cittadini, negando l’accesso al mare ma soprattutto negando ai cittadini stessi la possibilità di scelta. Spesso alcune di queste imposizioni vengono rigettate della cittadinanza che non le sente proprie e non ne fa l’uso per cui erano state progettate e costruite. Altro esempio di imposizione burocratica è l’utilizzo della famosa zona falcata, zona potenzialmente tra le più suggestive della città, completamente negata ai cittadini che ne hanno fatto il simbolo dell’annosa discussione su ciò che Messina potrebbe essere e ciò che invece è. All’interno della zona falcata troviamo un’ambiance creata dai cittadini, il campo da basket dedicato a George Floyd, manifestazione della volontà della  cittadinanza di riappropriarsi delle zone negate dal ” sistema”.

“The naked Messina”, disegnata dall’architetto Bruno di Sarcina

La tesi si presenta come un’ analisi di quella che è stata e di quella che è l’ identità socio culturale di Messina, ma tale approccio, può essere spunto per un progetto di città futura, che dia più spazio alle sensazioni ed agli impulsi artistici e culturali dei cittadini per provare a trovare un compromesso sociale tra sistema ed esperienza. Per quanto la psicogeografia sia in larga parte soggettiva, come evidenzia la tesi, molte ambiances si prestano ad esperienze condivise; da queste percezioni collettive -da parte della maggioranza dei cittadini- potrebbe nascere il progetto per una città futura.

Tra le citazioni presenti nella tesi una tra le più importanti è quella della poesia Amo i gesti imprecisi di Magrelli. La tesi rappresenta la lotta continua tra apollineo e dionisiaco che  risulta essere qualcosa di più impreciso, istintivo. La poesia citata, si inserisce perfettamente nel ragionamento aiutando a spiegare come da qualcosa di impreciso e nevrotico, tramite la creatività, possa nascere qualcosa di costruttivo su cui basare le scelte future e la rinascita della città di Messina.

Un circolo psicogeografico

L’autore inoltre, tra i tanti progetti e attività che porta avanti, ha in mente di costituire un circolo psicogeografico, di cui i fondatori, oltre lui, sarebbero  due amici e collaboratori che lo hanno accompagnato nelle esplorazioni e di cui riportiamo le rispettive riflessioni sulla psicogeografia:

<<La psicogeografia è perdersi per ritrovarsi, dimenticare per ricordare, morire per vivere, è non essere per poter essere qualcun altro, qualcos’altro. La deriva è un piccolo ciclo della vita che ti dona nuovi occhi e nuovi sensi, uno squarcio nel cielo di carta>> Massimiliano Ori Saitta.

<<La psicogeografia è riscoprire con un occhio diverso, zolle che si muovono improvvisamente e tutto cambia, in un continuo dinamismo emozionale e vorticosi collegamenti sensoriali. Perdersi per ritrovarsi>> Veronica Pino.

 

Emanuele Paleologo

 

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La Fenice capovolta come metafora della città di Messina, definita dall’autore “la città Fenice”

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La Madonna della Lettera: tradizioni e verità di un culto identitario

Quella che vi presentiamo è una storia che troppe persone, purtroppo, soprattutto delle nuove generazioni, sconoscono anche completamente; a prescindere dal sentimento religioso d’ogni messinese, essa costituisce un elemento risolutivo della nostra identità stessa, che non si può spazzare via. Ci riferiamo alla Madonna della Lettera che oggi si celebra, alla sua leggenda, alla sua tradizione e alla sua travagliatamente discussa autenticità.

Chiedo al pubblico che legge di accostarsi serenamente all’argomento, dimenticando, per qualche momento, la propria affiliazione religiosa o la mancanza d’essa. Se aprite il vostro cuore, troverete ciò che segue affascinante.

Fonte: immaculate.one

La lettera venuta dall’Oriente

Ecco cosa narrano gli aedi cristiani…

San Paolo apostolo si trovò a passare dallo Stretto, in semplice viaggio missionario oppure durante la sua deportazione a Roma; scese dalla nave nel porto di Messina, o forse nell’antico approdo di Briga Marina ove oggi ancòra si conserva la pietra sulla quale salì per predicare; e così Paolo parlò ai Messinesi del suo Gesù, crocifisso e risorto un decennio prima, convincendoli a convertirsi al Cristianesimo; consacrò anche il primo Vescovo di Messina, Bacchilo.

Secondo la pia tradizione, l’intera Città di Messina si convertì alla nuova religione, a cominciare dal Senato che la governava in ossequio dei patti con Roma. La popolazione fu talmente colpita dalla figura di Maria madre di Gesù che il Senato decise di mandarle un’ambasciata per incontrarla e chiederne la benedizione. Una tradizione più tarda consegna anche i nomi dei quattro inviati: Geronimo Origgiano, Marcello Bonifacite, Brizio Ottavio e Centurione Mulè.

L’ambasceria, giunta a Gerusalemme, cercò Maria nella casa dell’apostolo Giovanni, ove viveva secondo l’ultima richiesta del figlio morente, e là la trovò. Sull’incontro che avvenne non sappiamo molto, talvolta s’immagina una presentazione dei quattro uomini da parte di Paolo; ciò che sappiamo è che Maria scrisse di proprio pugno una lettera ove accordava a Messina una benedizione perpetua ed elezione a sua città protetta, con la quale gli ambasciatori fecero ritorno in città, accolti trionfalmente dalla popolazione.

Era il 3 Giugno del 42 d.C. quando la lettera fu mandata. Il resto è storia, del culto di quella che divenne nota come Gran Madre della Lettera.

Fonte: immaculate.one

Qual è la verità sulla Sacra Lettera?

Viene da domandarsi quali prove possediamo; nessuna veramente solida, ahimè. Come se non bastasse, il racconto predetto contiene svariate contraddizioni storiche, e per giunta lo stesso testo pervenutoci della Sacra Lettera non sembra affatto scritto in quel tempo e da quella mano. Ora discutiamo tutti gli argomenti, per il bene della più savia conoscenza.

I primi problemi riguardano il vettore della conversione: Paolo di Tarso. Non risulta che l’Apostolo abbia viaggiato oltre l’Egeo prima del 60 d.C., quando fu condotto a Roma per essere processato, figuriamoci nel 42! Anche affermare che la predicazione a Messina avvenne durante l’ultimo viaggio è sbagliato, giacché questo appunto fu attorno al 60.

Poi, appare assurda la conversione al Cristianesimo d’un’intera città nel 42 d.C., già considerando che il Cristianesimo per com’inteso non nacque se non molto tempo dopo la morte di Cristo; prima, era soltanto una corrente eretica dell’Ebraismo. I Gesuani erano ancòra traumatizzati dalla morte del loro Messia (ebraico, non “cristiano”), e aspettavano di vederlo in qualunque momento ritornare in terra per la vittoria finale sui peccatori. La propagazione della nuova dottrina poteva avvenire soltanto in ambienti ove fosse radicata una comunità ebraica, autoctona o immigrata, che eventualmente l’avrebbe accolta (ma non tutta la città, men che meno il Senato).

Quanto ai nomi dei quattro ambasciatori: appaiono più tardi che bizantini, altro che I secolo d.C.! Difatti, furono introdotti nel XVII secolo d.C. da suor Maria Roccaforte, la quale affermò d’averli saputi mediante una visione (taccio).

Il testo della lettera invece evidenzia problematiche strettamente inerenti la sua presunta autrice. Ella parla già come se si fosse instaurata una Chiesa come non la si vedrà fino al Concilio di Nicea (325 d.C.): si proclama vergine, madre di Gesù crocifisso, il quale è sia dio che uomo… tutte cose che non facevano assolutamente parte della mentalità ebraica dei protocristiani, e perdipiù l’ipotetica Maria si attribuisce già il potere di proteggere. Inoltre, la data è, testualmente, il “42° anno dal Figlio”, praticamente con l’Anno Domini inventato da Dionigi il Piccolo (VI secolo d.C.)!

Per finire, possiamo affermare che un chiaro culto della Madre della Lettera non esistesse prima del 1490 d.C., quando fu recuperata e tradotta dal greco al latino la Sacra Lettera dal grande letterato Costantino Lascaris, che molti – ingiustamente! – indicano come vero autore del documento.

Non è un mistero che Messina, dal XV secolo d.C. in poi, cercasse in ogni modo di dimostrare la propria superiorità sulle altre città siciliane, anche facendo carte false, nella lotta spietata per il titolo di capitale del Regno di Sicilia; tra tutte, Messina era indubbiamente la più fiera e i vanti maggiori sono stati suoi.

Fonte: lecodelsud.it

Eppur non può non essere vero!

Di sicuro, la coscienza della propria elezione mariana sin dalle origini del Cristianesimo è stata motore primo della grandezza di Messina nell’ultimo mezzo millennio.

A tutte queste concretissime e giustissime contestazioni, ci sono degli argomenti fondamentali che bisogna contrapporre, ancorché vaghi, per tentare di chiudere la falla.

È vero, la versione della pia tradizione sembra stravagante e antistorica, ma nel corso del XVII secolo d.C. sono fioccate in diverse biblioteche del Mediterraneo delle copie della Sacra Lettera, in diverse lingue e in versioni diverse, anche nelle località più insospettabili (in Siria, perfino!). Viene da domandarsi: sono tutte state scritte e sparse in giro da falsarî al soldo di Messina?, o forse il Senato di Messina pagò eruditi stranieri affinché affermassero d’avere trovate le benedette copie?, o peggio ancòra, furono gl’intellettuali messinesi che riportarono le notizie dei ritrovamenti a inventarsi tali fatti di sana pianta? Sono ipotesi improbabili.

Oso aggiungere una verifica che sento sempre d’applicare in materia religiosa: il “criterio della buonafede”. Partiamo dal presupposto che nel passato la schiacciante maggioranza delle persone credeva davvero e in ogni particolare alla propria religione: mentire per ottenere potere, inventare qualcosa di sana pianta e soprattutto mettere in mezzo la Santa Madre, sarebbe apparso certamente come un terribile peccato mortale con conseguente pena. Solamente una reale convinzione avrebbe potuto generare certe affermazioni.

I devotissimi aggiungerebbero come prove molti miracoli, ma quelli non sono di nostra competenza.

Fonte: strettoweb.com

In conclusione dobbiamo ammettere che qualcosa di vero debba esserci, che gli eruditi del passato non abbiano mentito, ma abbiano soltanto tentato di ricostruire i fatti, eventualmente falsandoli “in buonafede”. Ma la ricerca non può fermarsi qui, deve continuare, affinché sempre più parti di verità possano riemergere.

Buona Solennità della Madonna della Lettera!

 

Daniele Ferrara

 

Per approfondire:

Marco Grassi, La Devozione a Maria SS. della Sacra Lettera – Patrona Principale della Città di Messina, EDAS 2021

Immagine in evidenza:

La Madonna della Lettera – Fonte: messinatoday.it

NextGenerationME: Marco Germanotta, la musica per sentirsi vivo

Nuovo appuntamento con la rubrica “NextgenerationMe”: l’ospite di oggi è Marco Germanotta, giovane cantautore messinese classe 96’.

La musica invade la vita di Marco prestissimo. Già all’età di 5 anni studia chitarra classica per poi entrare nella relativa classe presso il conservatorio “A.Corelli” di Messina. Qui, nel 2019, riesce a conseguire la Laurea Magistrale proprio in chitarra classica.

Per esprimere la sua arte e il suo talento, però, la sola chitarra non è sufficiente, così decide di dar sfogo alla sua voce e pubblica nel suo canale Youtube, nel 2009, la sua prima cover “Gotta find you”.  Marco prosegue pubblicando numerose cover, sia da solista sia con le band “Noi4” e “Last5”.

Il supporto dei suoi fratelli è molto importante, soprattutto la collaborazione con Stefano (in arte “Syzer”).

Nel 2012 i suoi primi inediti riscuotono un buon successo e nel 2015 partecipa alle selezioni di X-Factor, arrivando fino ai boot camp. Nel 2016 ottiene un importante riconoscimento: il testo di un suo brano “L’agonia è di chi ancora non sente” viene pubblicato nella raccolta “CET scuola autori di Mogol”.

La sua attività musicale continua negli anni tra inediti e cover e il 27 Aprile pubblica il suo ultimo pezzo “Sentirmi vivo”, disponibile su tutte le piattaforme digitali. Marco sta attualmente lavorando al suo primo album.

Fin da bambino la musica ha fatto parte di te, ma quando hai capito che era il momento di dar sfogo alla tua voce?

Ho capito di dover dare sfogo alla mia voce quando le frustrazioni per varie vicissitudini nella mia vita si facevano più intense e l’unica cosa che mi venisse naturale fare era prendere una chitarra e cominciare a raccontare, aggiungendo delle note, quello che succedeva dentro di me.

Cosa rappresenta per te la musica?

 Per me la musica rappresenta quanto di più brutto e di più bello allo stesso tempo. È un mondo a cui mi affaccio principalmente per poter esprimermi; è un   mezzo per condividere, comunicare, sentirmi vivo.

Qual è il tuo rapporto con Messina?

Con Messina ho avuto un legame viscerale sin dall’infanzia. Tutto ciò viene fuori dal fatto di averne conosciuto le strade molto presto, probabilmente. Ho sempre voluto di conseguenza puntare a migliorarne tutto ciò che avrei potuto migliorare -entro i miei limiti-, ma non nascondo che ho sentito tantissime volte l’esigenza di “cancellarla” dalla mia memoria, in tutte le occasioni in cui percepivo il suo essere “poco accogliente” con gli artisti, cosa che mi faceva sentire un po’ solo.

Marco durante le riprese della cover “Superclassico”

Pensi che gli artisti del Sud abbiano meno opportunità di emergere? O l’avvento di internet, grazie a Youtube e ai social network, è riuscito a colmare questo gap?

L’avvento di internet non è riuscito sicuramente a colmare questo gap. Sicuramente però è uno strumento in più, di cui i ragazzi delle generazioni precedenti alla mia, non potevano far uso. Io, detto onestamente, collaboro con le persone con cui sto producendo musica attualmente proprio grazie al fatto di essere stato “scovato su Youtube”.

Poco più di 11 anni fa hai pubblicato il tuo primo video su Youtube e da quel momento hai maturato diverse esperienze: svariate cover, sia da solita sia con le band “Last5” e “Noi4”, i brani con tuo fratello Stefano “Syzer”, gli inediti e l’avventura ad X-Factor. Cosa ti hanno insegnato queste esperienze?

Queste esperienze mi hanno insegnato che c’è sempre da imparare, che ogni piccolo passo che muovi ha l’unica valenza di portarti verso la direzione, la dimensione, che ti è più congeniale. Sicuramente ho avuto tante e tante delusioni. Ma allo stesso tempo, devo dire, che ognuna di queste esperienze mi ha forgiato e mi ha indirizzato verso una forma, seppur ancora grezza, di autenticità.

“Sentirmi vivo”, il nuovo singolo di Marco, disponibile su tutte le piattaforme digitali

Poche settimane fa è uscito il tuo nuovo singolo “Sentirmi vivo”, com’è nato questo nuovo pezzo?

Questo pezzo è nato dalla voglia di esplodere, dopo i tanti e tanti mesi passati dentro casa a causa del Covid. Avevo voglia di catapultarmi in una dimensione caotica, in un palco enorme con tanta gente sotto. Così ho scritto “Sentirmi vivo”, per sognare un po’.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Al momento, l’unica cosa su cui sono concentrato, è il mio primo album. Ebbene sì, sto lavorando a quello.

 

 

Francesco Benedetto Micalizzi

 

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Il nuovo singolo “Sentirmi vivo”: www.youtube.com/

 

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Messina: un’istantanea sull’economia della città

L’obiettivo della ricerca

Obiettivo di questo Report del professore Michele Limosani, dell’Università degli Studi di Messina, è quello di offrire un’istantanea sullo “stato di salute economico” di quella che è la tredicesima città di Italia, Messina. 

Anche se la realtà della città non può essere un riflesso dell’intera situazione dell’economia del Mezzogiorno, bisogna comunque tenere in considerazione l’importanza di una ricerca del genere per capire gli obiettivi verso cui muoversi.

Inoltre, il report è pensato principalmente per rivolgersi ai giovani messinesi, a coloro che stanno per assumere decisioni importanti per il loro futuro è che sono risorsa fondamentale per la città e la sua ripresa dalla crisi generale generata dalla pandemia e da quella preesistente.

La partecipazione al mercato del lavoro 

La popolazione è di circa 230mila abitanti e 99 mila nuclei familiari. Secondo gli ultimi dati disponibili provenienti dall’Agenzia delle Entrate, i contribuenti che hanno presentato dichiarazione fiscale sono il 58% della popolazione residente. Il restante 42% – circa 100 mila persone – dunque, risulta non avere alcun tipo di reddito. Se si escludono da questo gruppo i giovani,  cioè i soggetti di età compresa tra 0 e 19 anni (circa 40 mila persone), l’altra parte di popolazione (circa 60 mila persone) risulta esser costituita da moltissime donne che hanno rinunciato da tempo a cercare lavoro e una cospicua fetta di soggetti che lavorano in nero. 

Dal grafico 1 del report si può evincere la distribuzione dei redditi e quanto guadagnano i cittadini. Il 33% dichiara redditi compresi tra 0 e 10mila euro lordi, ossia tra 0 e 800 euro mensili lordi; il 40% è compreso tra 15mila e 26mila, quindi tra 1.200 e 2.200 euro mensili lordi.

grafico 1

 

Il peso della tassazione sui redditi delle famiglie (IRPEF) in città ricade in massima parte sulla fascia di contribuenti con redditi medio-bassi (50% circa), gli stessi che devono finanziare la spesa pubblica per i servizi per tutta la popolazione residente. Il residuo fiscale, ossia la differenza tra quanto un cittadino versa in termini di tasse (dirette e indirette) e quanto riceve in termini di benefici legati alla spesa pubblica crea una tendenza negativa. I contribuenti inclusi nella fascia bassa (0-15 mila), infatti, pagano poche tasse per via delle esenzioni e delle aliquote più basse; quelli compresi nella fascia alta di reddito (> 75mila), per via del numero esiguo, forniscono uno scarso contributo.

grafico 2

Qual’ è la fonte di reddito? Che tipo di lavoro svolgono i messinesi? Tutto ciò si può evincere dal secondo grafico, il quale mostra “una città di impiegati (dipendenti pubblici e privati) e di pensionati INPS”. I redditi d’impresa e dei lavoratori autonomi sono marginali. Secondo le ultime statistiche della Camera di Commercio, le aziende registrate nel Comune sono poco più di 20mila e la composizione settoriale è mostrata nel grafico 3. Nei settori della manifattura, del commercio, dell’edilizia e della ristorazione sono concentrate gran parte delle imprese, più del 60%.

 

grafico 3

Molte imprese risultano formalmente registrate nell’albo della Camera di Commercio, ma sono inattive. Sono circa 5mila le ditte individuali (il 25% del totale) che registrano perdite di esercizio e quindi un imponibile pari a zero. Invece, 3.700 sono i soggetti che dichiarano redditi da impresa, di cui 307 provenienti da aziende soggette alla contabilità ordinaria (ossia imprese che fatturano più di 400mila euro l’anno nel settore dei servizi o di 700mila negli altri settori) e 3.400 da imprese che operano in regime di contabilità semplificata (prevalentemente artigiani).

Però, in questa apparente fragilità del sistema emergono alcuni dati confortanti. Sono, infatti, circa 126 le imprese di capitale distribuite nella provincia, che fatturano più di cinque milioni di euro l’anno. Queste operano prevalentemente nei settori dell’energia, dei trasporti, del credito, dei prodotti elettronici e per l’agricoltura, della grande distribuzione (alimenti, automobili, prodotti elettronici), nella vendita di materie prime (ferro e derivati del petrolio). Ci sono anche partecipate pubbliche, aziende sanitaria private, imprese di prodotti alimentari (caffè, acqua minerale, lavorazioni carni) e di costruzione. Sei aziende fatturano sopra i 50 milioni di euro e alcune società hanno pensato di quotarsi in borsa.

La ricchezza delle famiglie

Secondo nostre elaborazioni sui dati di Banca d’Italia la ricchezza netta delle famiglie nel Comune capoluogo è stimata intorno a un valore di 20 miliardi. In particolare, poi, il 50% di questa ricchezza è rappresentato dalla casa. Consistente, infatti, è il numero di soggetti che dichiara redditi da immobili, ossia redditi provenienti da affitti di seconde case o di immobili per negozi e attività commerciali (circa 60mila). Il 15% della ricchezza, ancora, è detenuta liquida in conti correnti (3 miliardi circa), il rimanente in altre attività finanziarie, tra cui titoli di Stato.

grafico 4

 

Una fetta consistente del patrimonio delle famiglie (circa il 90%) è detenuto in attività finanziarie ritenute “sicure” – case, depositi bancari e titoli – e investita in attività non produttive. Questo viene segnalato come una problematica nel report.

Il futuro del sistema economico della città

Che città vedremo tra 20 anni, se non cambiano le tendenze attuali? Ipotizzando che il tasso di natalità rimanga uguale al tasso di mortalità e il rapporto tra la popolazione residente e quella attiva (numero di occupati e persone in cerca di lavoro) si mantenga costante, allora è possibile avanzare due previsioni.

La prima riguarda il numero dei pensionati che, tra venti anni, si attesterà ancora su un valore superiore al 40%. Gli impiegati di oggi saranno la componente più importante dei pensionati di domani e le pensioni continueranno ad essere la maggiore fonte di reddito della città.

La seconda previsione delinea una situazione in cui gli impiegati che andranno in pensione dovranno essere rimpiazzati da nuovi occupati. Ipotizzando un turn-over pari a 0,80 – 8 nuove assunzioni per ogni 10 pensionati – la quota di lavoratori dipendenti sarà circa del 40%, il 10% in meno di quelli che attualmente dichiarano un reddito. Il rimanente 10%, con buona probabilità, finirà per alimentare il numero di coloro che fuggono dalla città o incrementare la disoccupazione.

Dunque, si andrà incontro a un impoverimento generalizzato, uno spopolamento, un invecchiamento della popolazione e alla fuga di giovani qualificati.

 

Gli effetti della pandemia

La gran parte dei redditi dei cittadini non ha subito forti riduzioni a causa del lockdown e le restrizioni per il coronavirus. Pensionati e dipendenti pubblici hanno continuato ad aver garantiti i redditi dallo Stato. Per dipendenti regolarmente assunti dalle imprese private lo Stato è intervenuto attraverso l’erogazione della cassa integrazione (quella in deroga), anche se con evidenti ritardi, difficoltà e importi ridotti in media del 25%.

Nel caso dei redditi da lavoro autonomo (0,6% dei redditi complessivi) è più difficile delineare la situazione, poiché una parte dei lavoratori lavora a prestazione e dunque è difficile individuare quante prestazioni sono state interrotte in questo periodo e quanta parte del lavoro ha potuto continuare ad essere svolto da casa o da studio.

La tipologia di redditi sicuramente più colpita dalla crisi, sono i redditi da impresa (circa 8000 soggetti in totale) e tra questi soprattutto quelli della piccola impresa, individuale e/o familiare, con pochi dipendenti, rimasta ferma in questo periodo; le piccole attività commerciali (bar, centri benessere, palestre), la ristorazione, gli alberghi, le associazioni culturali (cinema, teatro, cultura sport). Trattasi, comunque, di una piccola quota di soggetti rispetto al totale dei contribuenti.

Colpita duramente, infine, soprattutto tutta la schiera di soggetti che non dichiara redditi, che vive di espedienti, si muove nel mercato nero circa 20-25 mila persone, di cui non si riesce a sapere molto.

Le conclusioni

Dieci sono gli interventi “irrinunciabili” secondo Limosani, per consentire alla città di raggiungere uno standard di vita che sia comparabile con quello di altre città europee:

a) Aumentare le opportunità e la partecipazione al mercato del lavoro delle donne e dei giovani e migliorare la qualità dei posti di lavoro;

b) Maggiore cura dell’ambiente e sostegno alle attività in grado di migliorare l’impatto sulle risorse naturali e ambientali;

c) Emersione della diffusa e straripante economia sommersa e lotta alle

organizzazioni criminali;

d) Rigenerazione urbana e riqualificazione delle periferie; (Baracche)

e) Connessioni infrastrutturali, materiali e digitali, della città al continente

e agli altri centri metropolitani;

f) Difesa del territorio e nuovo assetto idrogeologico;

g) Migliorare l’organizzazione ed elevare la qualità dei servizi pubblici locali

(trasporti, rifiuti, acqua, energia, spazi verdi);

h) Rivoluzionare la macchina amministrativa e migliorare l’efficienza nella gestione dei servizi erogati dalla Pubblica amministrazione. Reclutamento di una nuova classe dirigente e riconoscimento del merito;

i) Migliorare la quantità delle strutture e la qualità dei servizi sanitari, pubblici e privati. Serve una nuova sanità territoriale;

j) Sostenere il trasferimento delle conoscenze tecnologiche dalla università e dai centri di ricerca CNR, INGV alle imprese: Il ruolo degli spin-off.

Il raggiungimento di tali obiettivi potrebbe realizzarsi – si legge nel report – soprattutto grazie a una collaborazione con i governi regionale e nazionale, poiché ad essi la Legge attribuisce le competenze normative. Inoltre, professore ricorda la possibilità di poter far qualcosa nel proprio piccolo, come cittadini, verso la propria città: innanzitutto cambiare l’amministrazione pubblica locale e poi elaborare un piano, una visione, ma con unità, coesione e responsabilità, ponendo così le basi per la “rinascita” della città dalla più grande crisi dopo quella del dopoguerra.

 

Rita Bonaccurso

#moltopiùdiZan: per una società fuori dalle discriminazioni

No all’omolesbobitransfobia!” è l’urlo che si è alzato ieri pomeriggio a piazza Unione Europea, in occasione della manifestazione per #moltopiùdiZan organizzata da Liberazione Queer+ Messina e Arcigay Messina. La manifestazione, organizzata nella giornata internazionale contro l’omolesbobitransfobia , ha ribadito non solo la necessità di approvare il DDL Zan (che ricordiamo essere stato bloccato per mesi al Senato a causa dell’ostruzionismo di alcuni partiti politici della destra italiana) ma anche di intraprendere una nuova stagione di lotte sociali per i bisogni della comunità LGBTQIA+, e dunque per il suo futuro.

©Laura La Rosa

Ma perché proprio #moltopiùdiZan? Lo ha spiegato Daniele Occhipinti, attivista di Liberazione Queer+ Messina, nel discorso di inizio della manifestazione: “abbiamo bisogno di #moltopiùdiZan perché una legge non basterà mai a scardinare questo modello di società e a distruggere le violenze che subiamo”. Tale concetto è stato sottolineato successivamente da altre organizzazioni sociali nel corso degli interventi, passando da Rosario Duca, presidente di Arcigay Messina, a Fabio Filocamo, attivista di Liberazione Queer+ Messina, fino ad Oliver Meo, rappresentante di Rete Lettera A che ha portato all’interno della manifestazione due tematiche importanti: l’inivisibilizzazione della comunità asessuale e aromantica, e la violenza ai danni delle persone intersessuali.

©Laura La Rosa

Anche le associazioni universitarie Link Messina – Studenti Indipendenti e UDU Messina – Sindacato Universitario hanno partecipato alla manifestazione: ricordando il caso di Davide, il ragazzo che ha subito discriminazione e violenza verbale da parte di un professore dell’università di Messina, entrambe le organizzazioni hanno sottolineato quanto siano importanti gli interventi formativi all’interno delle università, luoghi del sapere che hanno bisogno di essere spazi sicuri fuori da qualsiasi violenza o discriminazione. Hanno annunciato inoltre che presto l’università di Messina apporterà delle modifiche al suo codice etico includendo la discriminazione di genere.

©Laura La Rosa

Non sono mancati anche i partiti politici come Rifondazione Comunista, Potere al Popolo e Sinistra Classe e Rivoluzione, ma soprattutto ha preso la parola anche la senatrice del Movimento 5 Stelle, Grazia D’Angelo, impegnandosi a far approvare la legge al Senato.

La piazza di ieri è stata partecipata, colorata e soprattutto rivoluzionaria: la nostra città infatti è purtroppo conosciuta per il suo conservatorismo e assenza di dibattito su questi temi. Una piazza intergenerazionale che ha visto ragazzi, adulti e anziani, ma in particolare i ragazzi, protagonisti di un movimento che nel corso della storia ha saputo cambiare il mondo.

©Laura La Rosa

Collegata da musica, bandiere arcobaleno e cartelloni con rivendicazioni politiche, la piazza di ieri per il DDL Zan ripercorre lo spirito della manifestazione nazionale che si è svolta a Roma il 15 maggio, in cui vi sono state più di 100 organizzazioni che hanno aderito: la comunità prende parola, e anche Messina è pronta per farlo.

Michelangelo Billè