Recovery Fund, le novità delle ultime settimane. Il sindaco De Luca diffida il governo: pochi fondi per il Sud

Il Recovery Fund, il “fondo di recupero” formulato per il rilancio delle economie schiacciate dalla pandemia, ha dovuto e sta affrontando durante l’iter per la sua approvazione numerose sfide. I 27 Stati membri dell’Unione europea si sono spesso scontrati, nonostante la prima parte del 2020 si fosse chiusa con una flessione del Pil per molti di essi. Ancora molti sono i punti di rottura che si creano al riguardo. In questi giorni, si parla di equa divisione dei fondi europei all’interno dell’Italia, per evitare che ancora una volta il Sud si ritrovi svantaggiato.

(fonte: money.it)

Cos’è il Recovery Fund e perché se ne discute tanto

Inizialmente, la discussione si è aperta tra i rigidi Paesi del Nord, restii a ogni forma di debito pubblico condiviso perché meno colpiti dalla pandemia, e quelli del Sud, più penalizzati, come l’Italia.

Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità) ed eurobond sono gli altri due punti su cui ci si è molto confrontati.

In un secondo momento, la strada ha iniziato ad esser spianata da Francia e Germania, le quali hanno avanzato una prima proposta basata esclusivamente su concessioni di denaro a fondo perduto. Poi sono subito arrivati un progetto di Olanda, Austria, Danimarca e Svezia, e uno della Commissione europea, nel quale sono stati inseriti sia finanziamenti che concessioni a fondo perduto.

In estate ha visto la luce anche la proposta di Charles Michel, a una settimana dal summit del 17-18 luglio. Il presidente del Consiglio europeo, presentò una nuova bozza negoziale, nel tentativo di trovare un compromesso. Il testo prevedeva un sottile bilanciamento tra gli interessi nazionali, una riduzione del bilancio – da 1100 miliardi a 1074 miliardi di euro – e un nuovo meccanismo di controllo sull’uso del denaro europeo a livello nazionale.

Successivamente, si è verificato un braccio di ferro con Polonia e Ungheria, contrarie alla condizione del rispetto dello Stato di diritto e i basilari principi di democrazia, imposto a tutti i Paesi beneficiari. Per superare lo stallo, l’Ue ha assicurato l’impegno ad elaborare linee guida chiare sulla sua interpretazione e la possibilità di invocare la Corte di Giustizia Europea sulla sua validità, arrivando al compromesso nel Consiglio del 10 dicembre.

750 miliardi di euro: 390 miliardi di sovvenzioni, 360 miliardi di prestiti.

Questi i soldi stanziati, che verranno reperiti tramite il meccanismo dell’emissione di debito garantito dall’Ue, in questo primo trimestre del 2021.

Il nuovo capitolo che ora si apre, vede protagonisti i singoli Stati, a cui spetta elaborare dettagliati piani di spesa nazionali. In soldoni, verrà deciso come verranno spesi questi fondi europei.

 

L’utilizzo dei fondi europei in Italia accende i primi scontri

L’Italia sta definendo il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) , nel quale le risorse sono suddivise per diversi ambiti di destinazione, che deve esser finito e presentato a Bruxelles entro aprile.

In questi giorni, è stata sollevata una polemica al riguardo, proprio dal “non-più-dimissionario” sindaco di Messina, Cateno De Luca.

L’1 febbraio, convoca una conferenza stampa, presso il Salone delle Bandiere del Palazzo Zanca, per annunciare l’intenzione di diffidare il governo nazionale e la Regione Sicilia, proprio a causa del Recovery Fund.

De Luca, Previti e Puccio durante la conferenza (fonte: qds.it)

Analizzando i dati, per il sindaco, il Mezzogiorno, sarebbe stato ancora una volta beffeggiato. Nello specifico, i 209 miliardi del Recovery destinati all’Italia, non sarebbero stati divisi seguendo i tre parametri suggeriti dall’Europa, Pil pro capite, tasso medio di disoccupazione e popolazione. Il governo avrebbe sfruttato solo l’ultimo dei criteri; così, solo il 34% dei fondi – dunque 71 miliardi – sarebbero stati assegnati al Sud e il restante 66% alle regioni dal Lazio in su.

“Se si tiene conto dei tre indicatori che l’Europa ha stabilito, la percentuale arriva al 75% e quindi alle città metropolitana da Roma in giù spetterebbero 156 miliardi. Ma il governo ha ignorato il diktat tenendo di conto di fatto solo del fattore popolazione” ha detto De Luca, sostenendo che, in realtà, la maggior parte dei fondi destinati al nostro Paese, dovrebbero andare al Sud.

Affiancato dal vicesindaco e assessore ai Fondi europei Carlotta Previti e dal dirigente tecnico della città metropolitana di Messina, Salvo Puccio, ha segnalato ulteriori anomalie: molte opere per il Sud, introdotte nel piano che l’Italia ha redatto per l’utilizzo dei fondi, risultano esser già finanziate, come, ad esempio, la nuova linea ferroviaria Messina-Catania-Palermo. Perciò, esigono che le risorse nazionali siano aggiuntive e non sostitutive rispetto a quelle messe a disposizione con il Recovery, rispettando il “principio di addizionalità” previsto dalla Commissione Europea nelle linee guida.

“Il Sud esce penalizzato da queste scelte. E’ un furto bello e buono!” ha dichiarato De Luca.

Il sindaco pensa anche a una diffida collettiva, suggerendo ai sindaci delle sei regioni meridionali – Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia, Campania e Sardegna – di mettere la popolazione a conoscenza della questione affinché possa protestare per una maggiore attenzione.

Una diffida collettiva dalle regioni meridionali per spingere l’Ue a intervenire.

Pesanti le dichiarazioni di De Luca anche contro la Regione che non sembra averlo coinvolto nell’aspetto decisionale della formulazione delle proposte per la Sicilia.

Il sindaco, infatti, ha individuato progetti per Messina e provincia, quantificabili in 632 milioni di euro. Tra questi compare anche il famoso ponte sullo Stretto, mai realizzato. Nove schede progetto, tra cui anche il risanamento delle baracche, misure per la transizione green e quella digitale. Sono stati indicati tutti i dettagli per la realizzazione, compreso un preciso cronoprogramma.

Il sindaco è stato aspramente criticato per questa mossa da Sicilia Futura, che lo accusa di star facendo solo propaganda politica e non il bene della città, nonostante l’essenza stessa del Recovery sia quella anche di misura politica, per evitare che vi siano troppe diseguaglianze nell’Europa post-covid.

Dunque, due diffide: una al governo nazionale sicché apporti tutte le modifiche segnalate, con un aumento della quota di risorse per il Mezzogiorno fino al 75%, e una al governo regionale perché apporti tutte le modifiche da lui indicate nel suo Atto di Diffida, avviando, inoltre, la concertazione di tutti soggetti istituzionali, locali, interregionali e nazionali per la definizione delle linee di intervento, ma soprattutto la condivisione, per lui mancata, di queste.

Sulla scrivania di Draghi anche la bozza del Recovery

Draghi, neo premier incaricato da Mattarella (fonte: lagazzettadelsud.it)

L’avvento di Draghi premier cambierà lo sviluppo del Piano che l’Italia dovrà presentare obbligatoriamente entro aprile a Bruxelles. Ormai conosciamo bene il concetto di debito buono, portato avanti dal neo premier incaricato. L’intento è quello di pensare a interventi che possano giovare a lungo termine, senza lasciarsi tranquillizzare troppo dalla liquidità istantanea che si riuscirà a portare in Europa. Il rischio, infatti, è quello di investire male e finire per ritrovarsi con un debito ancora più grande in futuro. Non solo, dunque, tamponare le emergenze attuali, ma creare nuove reali opportunità per l’Italia.

Draghi non mancherà di definire ogni punto con estrema precisione. Da Bruxelles, infatti, avevano fatto sapere che la bozza italiana mancava di alcune precisazioni significative su obiettivi, entità di spesa, impatto sul PIL. Il capitolo di spesa relativo alla scuola della bozza potrebbe essere modificato, anche quello su pubblica amministrazione, piuttosto “nebuloso” e quello sulle infrastrutture, tema, molto caro anche a tutti i partiti.

(fonte: open.online.it)

Oltre giovani e lotta alla disuguaglianza sociale, parità di genere – soprattutto riguardo l’aspetto occupazionale – istruzione e ricerca sono punti fondamentali per l’ex banchiere. Si vocifera anche dell’istituzione di una task force ad hoc e persino di un ministro per l’amministrazione dei fondi, ma, comunque certa è la supervisione di Draghi e sicuro che con lui il Recovery Fund cambierà e anche velocemente.

 

Rita Bonaccurso

Oggi Conte al Consiglio europeo: il via alla riforma sul Mes. Ancora contrasti sul Recovery Plan

Una settimana impegnativa per il premier Conte, che tenta di tenere il timone dell’Italia destreggiandosi tra il controllo della pandemia, i conflitti per la gestione del recovery fund e lo scompiglio causato dalla riforma sul Mes approvata ieri in Parlamento. Quest’ultima sarà al centro del Consiglio Europeo che si terrà oggi e domani a Bruxelles, durante il quale Conte darà il via libera alla trasformazione apportata proprio da tale riforma all’economia europea.

Che cos’è il Mes? Che cosa prevede la riforma?

Il Mes, ovvero il meccanismo europeo di stabilità, è uno strumento nato nel 2012 per contrastare una possibile crisi del debito dei paesi dell’Unione Europea che hanno adottato l’euro come moneta. Il Mes ha una dotazione complessiva di 700 miliardi di euro, è finanziato direttamente dai singoli Stati membri in base al loro specifico peso economico ed è gestito da un’apposita struttura che ha sede a Lussemburgo. Il Paese in crisi, per ottenere un aiuto, deve accettare un piano di riforme la cui applicazione è sorvegliata da Troika, un organismo costituito dalla Commissione europea, dalla Banca centrale europea e dal Fondo monetario internazionale. Il piano prevede pesanti tagli alla spesa pubblica.

La riforma del Mes, approvata ieri dal Parlamento italiano, prevede tre cambiamenti importanti. Per ottenere un prestito non sarà più necessario sottoscrivere un accordo di riforme impopolari, ma sarà sufficiente una lettera di intenti. Il fattore limitante è che tale regola vale solo per quegli stati che rispettano i parametri di Maastricht.

Inoltre, la riforma tenta di rendere più facile la ristrutturazione del debito pubblico di un paese che chiede aiuto al Mes. Ristrutturare il debito pubblico significa concordare una riduzione del valore del prestito fatto allo stato, il che, per i creditori, vuol dire perdere parte del loro investimento nel momento in cui scatta il pacchetto di aiuti. La riforma introdurrebbe le single limb Cacs, cioè un particolare tipo di titoli di stato che permettono una ristrutturazione tramite un solo voto dei creditori, rendendo le procedure meno complesse. Il timore è che i creditori, consapevoli della possibilità per i debitori di restituire meno di quanto dato in prestito, chiedano interessi più alti, soprattutto agli stati più a rischio, come l’Italia.

La riforma sostiene anche l’anticipazione al 2022 del «backstop» al Fondo unico di risoluzione per le banche. Con backstop si intende la protezione delle banche in dissesto grazie alle risorse provenienti dal Mes.

I contrasti sul Mes hanno avuto come sfondo lo scontro tra europeisti e antieuropeisti. Gli oppositori intravedono nella riforma il pericolo di una forte ingerenza dell’Europa nella politica italiana. Emerge questo dalle parole di Giorgia Meloni:

Il Mes non è uno strumento utile per l’Italia ma un atto di sottomissione al controllo della burocrazia europea”.

Nonostante le avversioni, la riforma ha ottenuto il via libera, ieri in Parlamento, con 156 favorevoli. Entusiasta il ministro dell’economia e delle finanze Roberto Gualtieri:

Grande soddisfazione per il voto di oggi di Camera e Senato. È un’importante conferma della coesione della maggioranza su un chiaro indirizzo europeista e del lavoro positivo svolto dal governo in Europa”.

Il ministro Roberto Gualtieri – Fonte: www.policymakermag.it

 

Il Recovery Plan

Disinnescata la mina del Mes, la maggioranza è invece in fibrillazione sul Recovery plan, il progetto nazionale di gestione del fondo per la ripresa dei paesi europei maggiormente colpiti dal Covid.

Per quanto riguarda i settori di impiego del finanziamento, la domanda guida del progetto proposto da Conte, così come affermato da lui stesso, è stata: “Che paese vorremmo tra dieci anni?”. Il premier guarda al futuro fiducioso di recuperare il ritardo dell’Italia, soprattutto in alcuni settori, rispetto agli altri paesi europei. Le valutazioni dei tecnici del Tesoro lasciano sperare: secondo le previsioni, se il Recovery Plan funzionerà, tra sei anni il Pil italiano sarà più alto di oltre 40 miliardi. Stando al progetto,74,3 miliardi saranno assegnati al green, 48,7 miliardi alla digitalizzazione, 27,7 miliardi alle infrastrutture, 19,2 miliardi ad istruzione e ricerca, 17 miliardi a parità di genere, coesione sociale e territoriale, 9 miliardi alla salute.

Come verrà gestito il Recovery Fund – Fonte: www.genteditalia.org

 

Il Recovery Fund in Sicilia

“Un’occasione unica per riequilibrare il divario tra nord e sud”,

vengono visti in tal modo, dall’assessore all’economia Gaetano Armao, i 20 miliardi che toccano alla Sicilia. Secondo le previsioni della bozza di Conte, il prodotto interno lordo della nostra isola aggiungerà un 4,67% alle stime per il 2021.

Gaetano Armao – Fonte: www.siciliaunonews.com

La bozza del premier delude, tuttavia, la giunta regionale siciliana: non è menzionato né il Ponte sullo Stretto richiesto dal centrodestra, né l’aeroporto intercontinentale che il governo Musumeci vorrebbe realizzare a Milazzo.

Si punta invece alla tutela del patrimonio culturale, alla riduzione del divario sociale, al potenziamento delle due zone economiche speciali, quella occidentale che include parte di Palermo e Trapani, quella orientale che ingloba Enna, Messina e Siracusa. Importante l’intervento sulle ferrovie: l’investimento di 6,8 miliardi permetterà ai treni del triangolo Palermo, Messina, Catania di raggiungere una velocità di 160 chilometri orari.

La frattura della compagine governativa

La questione che ha lacerato il governo è quella della cabina di regia, cioè degli organi a cui è affidata la gestione dei 209 miliardi che spettano all’Italia. La proposta del premier prevede la presenza di un comitato esecutivo composto, accanto a Conte, da Gualtieri e da Patuanelli e una task force di sei manager nominati da lui stesso. Il piano punta anche sulla collaborazione di un “comitato di responsabilità sociale, composto da rappresentanti delle categorie produttive, del sistema dell’università e della ricerca” che possa dare pareri e suggerimenti.

Il no alla bozza del progetto del premier è arrivato soprattutto da Italia viva, il cui leader, Matteo Renzi minaccia: “Io mi sgancio” evocando la crisi del governo. Agli occhi di Renzi, la proposta di Conte priverebbe ministri e regioni di potere decisionale in un progetto che influenzerà il futuro dell’Italia.

Questa struttura esautora non solo i ministeri, ma anche le Regioni e in sostanza l’intera Pa, mentre il Recovery deve rappresentare una straordinaria occasione di rinnovamento e innovazione della pubblica amministrazione”.

Decisa la renziana Teresa Bellanova che, tra l’altro, Italia Viva avrebbe voluto includere nel triumvirato incaricato di gestire il Recovery incontrando, tuttavia, l’opposizione del partito democratico che non intende cedere alle pretese di Renzi. Dure le parole del ministro Peppe Provenzano:

Già abbiamo Orban che frena. Dividerci anche tra noi per ragioni di visibilità sarebbe molto grave”.

Conte risponde agli attacchi assicurando che la struttura del Recovery plan non priverà i ministri del potere:

la responsabilità rimane sempre nel governo perché servirà l’autorizzazione del Consiglio dei Ministri”.

Oggi Conte al Consiglio europeo

La questione del Recovery Fund è ancora tutta da risolvere. Gli scontri in Italia preoccupano l’Unione Europea: il nostro paese è quello a cui spettano più fondi e, di conseguenza, è necessario un progetto forte ed efficace. Il tempo a Bruxelles stringe: la commissione europea spinge affinché il piano venga approvato e mandato all’Ue, così da metterlo in atto nel minor tempo possibile.

Conte a Bruxelles – Fonte: it.notizie.yahoo.com

Oggi, dunque, si prospetta per Conte un’aria tesa a Bruxelles. Accanto al Mes e al Recovery Fund, sul quale, così come affermato ieri in Parlamento dal premier, si intravede uno spiraglio nel negoziato con Polonia e Ungheria, terranno impegnato il vertice dei leader del Consiglio europeo anche altre importanti questioni: la Brexit, il green deal e i rapporti con la Turchia.

Chiara Vita

Recovery Fund. Ecco cos’è e perché è la chiave dell’intesa UE

Dopo aver parlato nelle settimane precedenti di PEPP e di MES e SURE, adesso è necessario analizzare il Recovery Fund, data l’importanza di effettuare degli investimenti pubblici oculati che permettano una crescita futura del sistema e una sostenibilità del debito pubblico, a fronte del basso tasso d’interesse che dovremo riconoscere in questi anni grazie agli interventi della BCE.

Spesso discusso dai media da quando, lo scorso aprile, il Presidente del Consiglio Conte aveva definito il Recovery Fund come “una parte essenziale nella trattativa con l’UE”, il 27 maggio sono state delineate le basi di questa forma di sostegno economico. La Commissione Europea, con a capo Ursula von der Leyen, ha infatti dato voce ad una proposta da 750 miliardi di euro.

Cos’è il Recovery Fund?

Così come suggerisce il termine stesso, il Recovery Fund è un fondo di recupero per arginare l’impatto devastante del Covid-19, posto a sostegno dei Paesi maggiormente colpiti.

Ancor prima della proposta UE alcuni Paesi, tra cui Francia e Germania, avevano avanzato una prima proposta sul fondo di recupero, prevedendo concessione di denaro a fondo perduto, cioè denaro da non restituire, interessi a parte.

Tuttavia, per i Paesi più solidi dell’UE, tra cui Olanda, Austria, Danimarca, Svezia, ma anche dalla stessa Commissione, il recovery fund non avrebbe dovuto prendere le sembianze di contributi a fondo perduto ma di finanziamenti. Questo perché, altrimenti, si creerebbe un rischio di “debito perpetuo” europeo.

Infatti, è stato designato come un fondo con il compito di emettere Recovery Bond, con la garanzia del bilancio UE 2021-2027 che proprio per questa occasione aumenterà la propria portata, cioè verranno inserite delle imposte comunitarie come la carbon tax e la web tax per raccogliere maggiori risorse. Si tratta di condividere il rischio guardando il futuro, senza mutualizzare il debito passato.

Com’è finanziato?

Il Recovery Fund riceve i fondi grazie ad una raccolta di liquidità data dall’emissione di Recovery Bond. Una volta ricevute le risorse, queste sono distribuite agli Stati membri. I 750 miliardi di euro saranno suddivisi in 500 miliardi di sovvenzioni e 250 miliardi di finanziamenti, all’Italia dovrebbe spettare il 22,5% di queste risorse poiché è uno dei paesi più colpiti dalla crisi Covid. In termini numerici, all’Italia spetteranno 172 miliardi di euro di cui 90 in prestiti e 82 in sovvenzioni.

Come abbiamo visto la scorsa settimana, MES e SURE sono interventi a breve termine, poiché il loro utilizzo dovrebbe essere quello di potenziare le strutture sanitarie e di erogare i sussidi di disoccupazione per i lavoratori che maggiormente soffrono la crisi. Il Recovery Fund, invece, al contrario di Mes e Sure, guarda più a lungo termine. Infatti, il Recovery Plan che bisogna presentare per ottenere tali fondi deve prevedere un progetto di importanti investimenti in infrastrutture, innovazione e ricerca.

In termini semplici, se l’Italia decidesse di spendere questi fondi in una nuova Quota 100 – ovvero in pensionamenti anticipati – non potrebbe accedervi. Questi fondi devono essere spesi per investimenti che stimolino fortemente la crescita economica, investimenti in infrastrutture, potenziamento del sistema d’istruzione; pensate se ci fossero delle autostrade nuove e senza interruzioni, significherebbe non solo maggiore sicurezza ma anche più facilità e tempi brevi nel trasporto di merci e persone.

Perché è così importate stimolare una costante crescita economica?

Dopo aver esaminato il quadro completo, è possibile addentrarsi in un’analisi più specifica. Da sempre si parla del problema del debito pubblico italiano, come ben sappiamo elevatissimo, con la possibilità di raggiungere quasi il 160% del PIL a seguito di questa crisi. Ma l’importante, secondo gli economisti, non è il livello del debito pubblico sul PIL, quindi il numeratore, ma la sua tendenza, cioè se questo numero tende a diminuire o ad aumentare ancora; da cosa vediamo questa tendenza? Dalla differenza tra il tasso d’interesse pagato sul debito e la crescita del PIL.

Il progetto del Recovery Fund è ancora lontano dall’essere totalmente definito nella sua interezza, ma l’opinione comune dei Paesi è potersi rialzare grazie a strumenti solidi e duraturi in un’ottica di lungo periodo.

Contenuto realizzato in collaborazione con Starting  Finance

Rossana Arcano
Marco Amato

 

MES e SURE. Ecco cosa sono, come funzionano e le criticità che hanno fatto discutere

Dopo aver discusso nel dettaglio la scorsa settimana le caratteristiche dell’intervento effettuato dalla BCE in risposta alla crisi causata dal Covid-19, la linea temporale degli interventi posti in essere dalle istituzioni europee suggerisce come passi successivi il SURE e il MES.

Il 2 aprile Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha annunciato ai microfoni lo strumento SURE (“Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency”), appunto, letteralmente, “supporto per mitigare i rischi di disoccupazione dovuti all’emergenza”.

Considerato come uno strumento con carattere temporaneo, dovrebbe terminare alla conclusione dell’anno 2022, con una dotazione per il periodo considerato di 100 miliardi di euro.

Come funziona?

E’ prevista la creazione di un fondo ad hoc di cui i paesi europei saranno i “soci” e verseranno una garanzia di €25 miliardi; la quota della garanzia versata da un Paese sarà proporzionale alla percentuale del suo PIL rispetto a quello dell’UE – ad esempio l’Italia verserà il 13% di questi 25 miliardi.
Lo stesso fondo, che poggia le sue basi sulla garanzia dei paesi europei, emetterà dei bond per raccogliere i 100 miliardi necessari alla propria capitalizzazione che verranno prestati agli stati che ne presenteranno richiesta.

Invece, il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) è un’organizzazione intergovernativa, istituito grazie alle modifiche apportate al Trattato di Lisbona dal consiglio UE nel marzo 2011. Predisposto ad un’entrata in vigore nel 2013, questa fu anticipata al 2012 a causa della crisi dei debiti sovrani.

Normalmente il MES, anche Fondo Salva-Stati, presta denaro ai Paesi che non riescono più a finanziarsi sul mercato emettendo bond, poiché i mercati finanziari nutrono scarsa fiducia sulla loro solidità economica (come già accaduto alla Grecia). Il prestito può essere effettuato attraverso una delle due linee di credito (precauzionale o rafforzata) e può comportare delle condizionalità, concordate attraverso un Memorandum d’intesa.

Nel 2017 era stata proposta una riforma del MES, ma dopo tante riprese la riforma è stata rimandata causa COVID-19.

Il 9 aprile scorso è stato proposto il Pandemic Crisis Support, una linea di credito speciale, in cui i paesi possono richiedere somme fino al 2% del proprio PIL (per l’Italia sarebbero fino a 36 miliardi), con la condizione che i fondi siano utilizzati solo per finanziamenti diretti o indiretti dei costi sanitari dovuti alla crisi Covid-19. Questi fondi potranno essere richiesti fino al 2022 e nessuno Stato è obbligato a richiedere il prestito, ma è assolutamente libero di scegliere se attivarlo e quanto richiedere.

Il modo con cui il MES reperirà i fondi da prestare ai paesi che ne faranno richiesta sarà lo stesso utilizzato dal fondo SURE, emettendo dei propri bond.

I due strumenti appaiono carichi di supporto per fronteggiare la crisi Covid-19 che ha messo in ginocchio i Paesi dell’Eurozona, tuttavia, al loro interno, presentano degli aspetti da analizzare con cura.

Le critiche

In riferimento al MES, la principale critica rilevata è stato l’accordo approvato nell’Eurogruppo di aprile, quando il Consiglio europeo ha proposto come requisito per accedere al fondo senza condizioni, avendo così opportunità di accesso al credito, l’obbligo di utilizzare le risorse ottenute per finanziare le spese sanitarie (mascherine, guanti, respiratori, dispositivi medici, personale, etc.).

Qualche settimana fa Paolo Savona, presidente della CONSOB, ha dato il suo parere riguardo il MES:

Il nodo cruciale è il rapporto tra debito pubblico e Pil: se il rapporto salirà nelle dimensioni previste, il mercato reagirà. Così come reagiranno i cosiddetti Paesi frugali”.

In riferimento a questo, ci sono degli aspetti che non possono essere sottovalutati: tra le tante critiche, una di queste è mossa dai vertici politici italiani: la dotazione è insufficiente, insieme al vincolo di destinazione della spesa, questi risultano essere, infatti, dei paletti alla libera decisione.

Riguardo lo SURE, quali potrebbero essere gli effetti per il futuro date le criticità? Tra queste vi è una probabile insufficienza di capacità finanziaria per rispondere all’emergenza e, anche qui, si parla sempre di prestiti da dover rimborsare. In più, ancora non è stata data piena operatività al sistema: si dovrà aspettare a lungo?

Tuttavia, secondo il professore Carlo Cottarelli, utilizzando questi strumenti, in particolare il MES, “il risparmio sarebbe 9 volte più grande (per 10 anni) di quanto avverrebbe col taglio dei parlamentari, tanto voluto da chi non vuole il MES“.

Nonostante gli accesi dibattiti tra le leadership politiche d’Europa, questi, tra i tanti strumenti eretti nell’area Euro, risultano essere la corda a cui i Paesi in difficoltà si aggrappano, speranzosi che l’Europa possa rivelarsi così come si presentò alla sua nascita: garante e promotrice di continuità allo sviluppo dei Paesi.

Contenuto in collaborazione con Starting Finance:

Marco Amato
Rossana Arcano