Catena di lana

Viaggia
Coperto dal vento il tuo ricordo,
Ed io non so
Se mi è compagno
Se mi è nemico
Perché mi sorregge
E al contempo mi intrappola,
Mi fa vivere il presente
Ma mi àncora al passato.
Ed io non so
Se ciò che mi avvolge
È una coperta di lana
O una catena d’acciaio.

Francesco Pullella

*Immagine in evidenza: illustrazione di Giovanni Pullella

Miguel Cervantes: una memoria dimenticata

Fra le tante personalità che ormai sono cadute nell’oblio della memoria cittadina, troviamo quella di Miguel de Cervantes Saavedra.

Uno degli scrittori più importanti del panorama europeo e mondiale di tutti i tempi, autore del Don Chisciotte della Mancia, nato nel periodo messinese dello scrittore spagnolo.

Pillole di vita

Cervantes nasce ad Alcalá de Henares nel 1547, una cittadina vicino Madrid da una famiglia di modesta estrazione sociale. A causa della precaria condizione economica è costretto a spostarsi continuamente. Nel 1570 fugge in Italia per evitare la condanna del taglio della mano, pena computata per aver ferito un certo Antonio de Segura.

Dalla Spagna al soggiorno messinese

Arrivato in Italia, s’impiega come cortigiano alla corte del Ducato di Atri, degli Acquaviva, in Abruzzo. Nello stesso anno, si arruola nella compagnia guidata da Diego de Urbina,  capitano del reggimento di fanteria di Miguel de Moncada, che allora serviva sotto Marc’Antonio Colonna: al figlio di quest’ultimo, Ascanio (divenuto poi cardinale), dedicherà La Galatea.

Nel 1571, è testimone dell’ingresso a Messina di Don Giovanni d’Austria, luogo dove si stavano concentrando le forze navali della Lega Santa per la spedizione contro la flotta turca.  Imbarcato come soldato sulla galea Marquesa, parteciperà alla famosissima Battaglia di Lepanto, dove rimane gravemente ferito, perdendo l’uso della mano sinistra.  Fatto ritorno dalla vittoriosa battaglia, viene ricoverato per sei mesi all’Ospedale Civico di Messina. Lo stesso appellativo Saavedra, che scalzo il suo cognome materno, deriva infatti dalla parola araba shaibedraa, che nello spagnolo dell’epoca significava gergalmente “monco”.

 

Ritratto di Miguel Cervantes. Fonte: libriantichionline

Dall’odissea di Cervantes al ritorno in patria

Nel 1575 parte da Napoli verso la Spagna ma, la nave su cui viaggiava la galea Sol, viene assalita dai pirati. Egli verrà  tenuto in stato di cattività per cinque lunghi anni fino al pagamento del riscatto ad opera delle missioni dei trinitari.  Negli anni di prigionia stringe amicizia con il poeta siciliano Antonio Veneziano, a cui dedicherà un’epistola reinserita nella commedia El trato de Argel.

L’ammirazione da parte di Cervantes per Veneziano, si può dedurre dalla novella El amante liberal, che narra di un prigioniero siciliano che magnificava la bellezza della sua donna con versi sublimi, chiaro riferimento alla Celia di Veneziano. Finalmente liberato con l’aiuto delle famiglia, ritorna in Spagna, vivendo un periodo di umiliazioni e ristrettezze economiche. Dal 1587, si occupa delle provvigioni dell’Armada invencible e poi come percettore d’imposte. La requisizione di un carico di cereali e di beni della curia andalusa, gli valgono ben due scomuniche quell’anno.

Ultimi anni

Nel giro di cinque anni viene arrestato due volte, la prima nel 1597 per bancarotta fraudolenta e la seconda per illeciti amministrativi. Negli anni immediatamente successivi va a Valladolid insieme alle due sorelle e alla figlia Isabella, nata da una relazione con una certa Anna de Rojas. Nel 1605 subisce una nuova vertenza giudiziaria poiché, nelle vicinanze di casa sua, viene ritrovato il cadavere del cavaliere Gaspar de Ezpeleta, facendo cadere i sospetti sullo scrittore. Indagato e subito prosciolto, passa il resto della sua vita nell’amarezza del dubbio che il delitto, possa essere riconducibile alla moralità dei suoi famigliari.

Nonostante i continui stenti segue la corte di Filippo III di Spagna a Madrid, dove si dedica a un’intensa attività letteraria e alla scrittura dei suoi più grandi successi.

Miguel Cervantes muore il 22 aprile del 1616 a 68 anni e viene sepolto nel convento dei Trinitari Scalzi a Madrid. L’ubicazione della tomba di Cervantes perduta negli anni successivi, viene ritrovata nel 2015 e spostata nella chiesa di San Ildefonso.

Incisione di epoca barocca in cui si vede l’Ospedale Maggiore di Messina, opera di Andrea Calamech, attuale tribunale. Fonte: wikipedia

Cervantes, Don Chisciotte e Messina

Lo scrittore e biografo catalano Sebastià Arbò, nel suo Cervantes del 1954, attribuisce al periodo della permanenza a Messina, la nascita del capolavoro di Cervantes il  Don Chisciotte della Mancia e suggerisce l’idea che alcune scene l’autore le abbia riprese dal paesaggio dello Stretto.

Racconta egli stesso: “Per mesi Miguel de Cervantes fu confinato in un letto di ospedale a Messina, aspettando la guarigione delle ferite. […]  Desiderava ardentemente la pace della campagna siciliana per fargli dimenticare l’incubo della violenza che si celava dietro di lui. […] La sua immaginazione univa i ricordi di questi giorni felici in Sicilia con le impressioni della campagna andalusa, e da qui creava la scena del suo Don Chisciotte in cui il cavaliere, dopo aver condiviso un pasto scarso con i grezzi e primitivi caprai, parla loro dell’Età d’Oro dell’umanità.” 

Anche l’altra celebre scena di Don Chisciotte dove confonde una triste locanda con un castello incantato, profetizzando vita eterna a poveri e oppressi, sarebbe da accreditare alle fantasie messinesi di Cervantes.  La città di Messina citata nel racconto dello schiavo che, nel passaggio dello Stretto per unirsi alla flotta di Don Giovanni d’Austria, viene fatto prigioniero da Uccialì (il corsaro calabrese convertitosi all’Islam), unico comandante dello schieramento ottomano a sopravvivere allo scontro di Lepanto.

L’oblio della memoria

La storia di Miguel Cervantes e del suo soggiorno a Messina, è solo l’ennesima di tante storie cadute nell’oblio della memoria. Ben più lieta sorte è toccata al Don Giovanni d’Austria, la cui pregevole statua di Andrea Calamech domina il largo di via Lepanto.

Ci auguriamo che ben presto la memoria di personaggi illustri come Cervantes possa prendere il posto che merita nella storia culturale della città.

Gaetano Aspa

Unime ricorda Giovanni Falcone, a 30 anni da quel terribile 23 Maggio

“Ninetta mia, crepare di maggio
Ci vuole tanto, troppo coraggio”

Era una mattina come le altre, nell’autostrada sopra Capaci:  le macchine percorrevano le strade come sempre e il rumore degli pneumatici veniva interrotto ogni tanto da un colpo di clacson. Ad un tratto il tempo venne spezzato da una bomba. Un semplice click aveva creato una nube di polvere, il rumore dei veicoli lasciò il posto alle urla e ai pianti dei passeggeri e degli autisti; l’artefice di tale orrore si chiamava Totò Rina. Un omuncolo piccolo piccolo aveva appena tolto la vita a Giovanni Falcone, un uomo dai grandi valori, morto per il proprio lavoro e per l’amore del proprio Paese.

Murales dedicato a Falcone e Borsellino a Palermo. Dall’archivio UVM

Sono passati 30 anni da quel 23 Maggio del 1992. Dopo nemmeno due mesi, anche il suo collega Paolo Borsellino venne assassinato. In quell’anno perdemmo due grandi uomini, uccisi per mano della codardia.

“Il ricordo e la memoria di Giovanni Falcone”: l’incontro organizzato da Unime

A trent’anni esatti dalla Strage di Capaci, nella giornata del 23 Maggio 2022, presso l’aula magna del Rettorato di Messina, si è tenuta la celebrazione del ricordo di Giovanni Falcone, assassinato dall’organizzazione criminale Cosa Nostra. Nell’attentato perse la vita pure  la scorta, che era diventata ormai l’ombra del giudice, e  Francesca Morvillo,  anche ella magistrato e moglie di Falcone. L’incontro è stato organizzato dall’Università di Messina, assieme al Consiglio degli Ordini degli Avvocati e l’Ufficio Scolastico Provinciale.

Da sinistra verso destra: Domenico Santoro, il Rettore Cuzzocrea, Laura Romeo, Stello Vadalà. © Gianluca Carbone 

Dopo i saluti istituzionali del Rettore, prof. Salvatore Cuzzocrea, del Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Messina Domenico Santoro, della Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati sez. Messina Laura Romeo e del dirigente Scolastico Provinciale di Messina Stello Vadalà, ha aperto la conferenza il Prorettore Vicario, prof. Giovanni Moschella.

Gli ospiti che sono intervenuti sono stati: il Procuratore della Repubblica Maurizio de Lucia, la Studentessa Unime Noemi Munter, il componente del Consiglio Nazionale Forense Francesco Pizzuto, il Procuratore  della Repubblica di Reggio Emilia Gaetano Paci, la Studentessa Unime Simona Calabrese e Angela Nicotra dell’Ordine di Diritto Costituzionale dell’Università degli Studi di Catania. La cerimonia si è conclusa con un dibattito portato avanti dai liceali di Messina.

Il giorno in cui l’Italia capì cos’è la mafia

Ad aprire la cerimonia dedicata a Falcone è stato proprio il ricordo del Magnifico. Ci ha confessato che trenta anni fa era diretto verso Capaci, quando la sua macchina fu fermata: no ne capiva il motivo, nell’aria avvertiva confusione e notava nei volti delle persone un’espressione interrogatoria. Dopo un po’ gli giunse la notizia della strage, e in quel preciso momento comprese fino a che punto potesse arrivare la mafia, in quel momento tutta Italia intuì cosa fosse veramente.

Ha ricordato inoltre a tutti noi studenti, che questo morbo va combattuto ogni giorno e la vera libertà è scegliere, come la scorta di Falcone, che ha deciso di rischiare la propria vita, rimanendo accanto a lui e a tutta la Sicilia.  Proprio per questo, dobbiamo essere orgogliosi e grati a tutti coloro che hanno combattuto la mafia, e che continuano farlo. Falcone e Borsellino ci hanno insegnato che non dobbiamo mai voltarci indietro.

«Falcone è un punto di riferimento per tutti noi magistrati.» Queste sono state poi le parole della dott.ssa Laura Romeo, che ci ha spiegato che solo grazie a Falcone e a Borsellino l’Italia ha una Procura Nazionale, l’organo che dirige la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, fondato il 20 Gennaio del 1992. Ogni ente dell’antimafia è nato grazie ai due magistrati.

Il pubblico presente alla commemorazione nell’Aula Magna del Rettorato. © Gianluca Carbone

Parole che hanno colpito il pubblico sono state anche quelle del Dirigente Scolastico e Provveditore agli Studi di Messina, il prof. Stello Vadalà, che ha accompagnato i suoi studenti alla commemorazione in onore di Falcone.

“Pure chi salta la fila ha una mentalità mafiosa. Chi ha l’aria da prepotente, chi se la prende con i più deboli. La mafia sarà sconfitta, solo quando lo Stato stesso e i cittadini saranno la scorta “

Buttare la carta a terra, non avere rispetto per il prossimo o semplicemente saltare la fila denota un senso di prepotenza, che è intrinseco all’essere umano  ma è anche il primo credo della mafia. Le parole del professore, ci fanno capire che pure noi a volte sbagliamo, non curandoci della nostra comunità e delle persone. Parole non banali che invitano al coraggio di ricordare tutte le vittime di mafia, non solo durante i loro anniversari.

Sono stati tanti i discorsi pronunciati durante l’evento da voci che hanno ridato anima non solo alla memoria di Falcone ma anche a tutti noi. Viviamo in un Paese in cui la mafia ancora detiene un potere, anche se non come quello di una volta. Falcone e Borsellino sono stati sconfitti, ma il loro agire e il loro pensiero ancora restano e continuano a combattere quel morbo. Per una prospettiva nuova, per le generazioni sedute nei banchi scolastici perché siano testimoni loro stessi di queste memorie in modo che la mafia un giorno diventi solo una storia da film horror.

Murales dedicato a Falcone a Palermo. Dall’archivio UVM

Vorrei concludere, rivolgendo due parole direttamente al giudice che perse la vita nella strage di Capaci. Dimmi Falcone, non avevi paura assieme al tuo collega e amico Paolo Borsellino?  Vedevamo il timore nei vostri occhi, lo spavento di non rientrare più a casa, di non rivedere più la vostra amata, di non tornare al vostro lavoro. Il vostro terrore, però, lo  assopivate con la voglia di virtù e di giustizia.

Alessia Orsa

 

Il Giorno del Ricordo: il racconto dell’esodo giuliano-dalmata

Ricordare gli italiani cacciati dalle terre dell’Istria, Fiume e Dalmazia, perseguitati, uccisi e infoibati da miliziani per una pulizia etnica, mira a far in modo che questa tragedia storica non si replichi mai più.

L’esodo giuliano-dalmata -Fonte:larucola.org

Il 10 febbraio ricorre il “Giorno del Ricordo”, ovvero la commemorazione civile dell’esodo giuliano-dalmata e il massacro delle foibe, istituito con la legge n.92 del 30 marzo 2004. Si ripercorrono pagine di storia per lungo tempo insabbiate e che videro una popolazione costretta ad esiliare per sfuggire a una pulizia etnica attuata dal governo comunista jugoslavo.

Foibe-Esodo: motivazioni

L’esodo giuliano-dalmata viene spesso limitato al racconto del massacro delle foibe. Sebbene sia ormai saldato nel senso comune il binomio foibe-esodo, l’indagine storico sociale ha evidenziato una vasta serie di motivazioni di natura culturale, ideologica e politica dietro la tragedia, cadute nell’oblio per molto tempo. Si intende, dunque, puntare i riflettori sul racconto di una migrazione forzata che coinvolse migliaia di italiani tra il 1943-1945.

Foibe: il Giorno del Ricordo -Fonte:corriere.it

Gli italiani venivano divisi inizialmente in chi era considerato “idoneo a essere integrato in Italia“, secondo quello che venne definito “politica della fratellanza“, e chi veniva costretto indirettamente a fuggire, poiché il regime jugoslavo rendeva la loro realtà invivibile, anche solo tramite sfratti e licenziamenti.

Esodo giuliano-dalmata: motivazioni -Fonte:fattiperlastoria.it

Poi vi furono anche gli esodi legali, che costituirono la maggior parte dei flussi di spostamento. Chi poteva esercitare il diritto di cittadinanza italiana, si poté trasferire in Italia. Però, facendo riferimento alla storiografia fascista, secondo cui molti cognomi slavi erano stati italianizzati, e nel timore dello svuotamento dell’Istria, il regime jugoslavo avviò una pratica di restituzione all’originaria grafia in slavo e una restrittiva procedura.

L’esodo istriano e giuliano-dalmata: origini e conseguenze

L’esodo corrisponde ad un abbandono forzato di una popolazione che è stata costretta a lasciare un territorio. Sebbene si diversifichi dalle modalità di esecuzione della deportazione o dell’espulsione, analogo è il risultato. Quello giuliano-dalmata, commemorato nel Giorno del Ricordo, avvenne tra il 1943-1945. Sebbene i distacchi siano diversificati per motivazioni e tempistiche, l’esito finale che li accomuna è stato il progressivo crollo della popolazione italiana nei suoi insediamenti storici.

Si intende, dunque, la fuoriuscita dai confini politici del territorio a causa di pressioni esercitate dal governo che lo controllava. Le regioni balcaniche confinanti con l’Italia furono egemonizzate dalle forze comuniste di Josip Broz, detto “Tito”, che presero il sopravvento sui territori di Croazia e Slovenia. In termini di privazione di diritti si assiste ad una violenza diretta, in corrispondenza di un radicale mutamento delle posizioni politiche al potere che investiva le relazioni fra Stati. Sebbene la migrazione forzata non fosse l’obiettivo iniziale dell’Esecutivo, essa risulta l’atto finale che quest’ultimo organizzò.

Giorno del Ricordo -Fonte:quiquotidiano.it

Le cause che hanno originato l’esodo istriano sono da ricercare nell’effetto domino della caduta del regime fascista di Mussolini, dello scioglimento del Partito e nella dissoluzione delle Forze Armate.

La prima ondata di violenza esplose con l’armistizio dell’8 settembre 1943. I partigiani di Tito diedero avvio ad anni di vendicazione contro i fascisti che, colpevoli di aver indirizzato su quelle terre una politica di italianizzazione violenta, erano dei nemici da eliminare.

Dopo una fase di resistenza tedesca, la caduta del Terzo Reich, permise a Tito di occupare l’Istria e la Dalmazia nel maggio del 1945. Il governo comunista si accanì nuovamente contro di italiani, attivando un processo di eliminazione che si svolge con esecuzioni atroci. I condannati a morte legati l’uno contro l’altro con il fil di ferro che attendono la loro fine sugli argini delle foibe e le fucilazioni a raffica sui primi tre o quattro componenti della catena umana, che precipitavano nelle cavità trascinando con loro il resto dei condannati, individuano le linee di una strage di massa. La scelta per i sopravvissuti alla caduta oscillava dunque tra l’attesa inevitabile della propria fine e le sofferenze fisiche indicibili.

Fu con l’istituzione del Trattato di Parigi firmato il 20 febbraio 1947 che la Jugoslavia ottenne l’Istria, Fiume, Zara, la Dalmazia e le isole del Quarnaro. Si diede così avvio alla gestione, con maggior forza, degli italiani sui territori conquistati.

La strategia di un’integrazione subordinata degli italiani

L’intento di Tito si palesava nella strategia mirante a una progressiva integrazione subordinata degli italiani ritenuti meritevoli. Coloro che appartenevano a particolari classi sociali e quelli contrari all’annessione, necessitavano di essere espulsi. Essendo in maggioranza fu dunque stabilito un tragico esodo, motivato dalla necessità di allontanarsi dal clima di terrore in cerca di una speranza e verso condizioni di vita ottimali.

La foiba di San Giuliano -Fonte:ideadestra.org

Si comprende pertanto che la scelta di circa 250.000 italiani di abbandonare la propria terra e di optare per la cittadinanza italiana non fu di certo libera da costrizioni.

1947: l’arrivo del treno della vergogna

L’arrivo nella penisola italica fu tutt’altro che benevolo. Gli esuli vennero non solo confinati nei compi profughi allestiti in caserme, scuole e strutture, ma furono soggetti ad atteggiamenti ostili dei connazionali.

L’episodio che passa alla memoria è quello del “treno della vergogna“ del 1947. Si tratta di esuli provenienti da Pola che sbarcarono ad Ancona, per proseguire poi il viaggio in treno fino a La Spezia. La mancata solidarietà degli italiani si manifestò fin dalla prima sosta, in quanto erano convinti che si trattasse di un treno di fascisti in fuga.

Tali credenze portarono al necessario intervento dei militari e ad attacchi contro i convogli organizzati dai ferrovieri comunisti presso la stazione di Bologna. Ciò procurò la mancata fermata, nonostante la Croce Rossa Italiana e la Pontifica Opera di Assistenza avessero predisposto loro la fornitura di un pasto caldo.

Treno della vergogna -Fonte:wikipedia.org

Gli aiuti giunsero dall’istituzione di comitati sorti per fornire asilo temporaneo e precario. Le condizioni igieniche mancanti, le temperature proibitive, le epidemie, la promiscuità e la frantumazione delle famiglie resero difficili le condizioni di vita degli esuli giuliano-dalmati.

L’accoglienza italiana doveva far i conti con gli atti di rifiuto spesso di matrice politica italiana. Quest’ultima si intrecciava con la propaganda comunista che descriveva la Jugoslavia come la realizzazione del paradiso socialista e che vedeva gli esuli come dei fascisti in fuga.

Il calvario degli italiani in Istria -Fonte:mimmobonvegna1955.altervista.org

Perché alcuni italiani non emigrarono?

La permanenza degli italiani nei territori ceduti è celata dietro il velo della storiografia che intende configurare sia la difficoltà di percorrere il labirinto di opzioni, sospendendo il progetto migratorio verso l’Italia, sia la nascita di contemporanee congiure personali che incentivano una sfiducia nelle possibilità offerte dall’Italia.

Molti, tra cui giovani, erano motivati dalla speranza nel futuro socialista e nella formazione dell’ideologia della fratellanza. Si credeva in un avvenire carico di promesse, continuamente colpito da paure, lacerazioni familiari e miserie private.

Esodo giuliano-dalmata -Fonte:wikipedia.org

Le comunità italiane negli anni riuscirono a superare l’analfabetismo linguistico e politico, lottando per non far sparire la propria identità nazionale. Nonostante ciò si dovrà attendere la metà degli anni Sessanta affinché la struttura di una rete di scambi con l’Italia venga attuata, ponendo fine al grave isolamento subito.

Giovanna Sgarlata

 

Dalle macerie nascono musei

Messina, porta della Sicilia, città di sogni e cultura, nobiltà e borghesia, amore e fantasia, che si snodano tra i palazzi liberty; Messina, sviluppata tra il vivido profumo del mare e…. dell’amianto.

Sì, Messina odora ancora di abbandono e attende che le ultime pagine bianche vengano completate di una storia gloriosa.

Baraccolandia

La storia della baraccopoli messinese nasce e si sviluppa all’indomani di uno degli eventi sismici più catastrofici del XX secolo. Dal 1908 buona parte della popolazione messinese vive in pessime condizioni igienico-sanitarie e da ben 113 anni le baracche rimangono simbolo di una continua “lotta di classe”. 

Ad oggi, su una superficie comunale di 213,75 km², si contano circa 2500 famiglie locate in baracche; dal quartiere Annunziata fino al Rione Taormina abitano generazioni di prigionieri, in quella che loro stessi -ormai rassegnati- chiamano casa. 

E chissà se possa mai definirsi casa quella con un tetto in eternit, costruita accanto a discariche a cielo aperto e muffa per carta da parati. Sicuramente non lo è per chi dorme da trent’anni sotto un tetto gocciolante, non lo è per tutte quelle mamme, come Francesca, che convivono quotidianamente con la paura incessante che da un momento all’altro un animale selvatico possa attaccare i suoi figli, e non lo è per tutti i genitori che sognano una cameretta per i loro figli, forse, quella che loro stessi non hanno mai avuto.

La baraccopoli di Messina – Fonte: strettoweb.com

Qualcosa cambia…

Nel 2018, da poco eletto sindaco, Cateno De Luca ordina lo “sbaraccamento”.

Da città con un passato interminabile e  un presente arrendevole, Messina inizia a scorgere il primo spiraglio di luce illuminare un futuro concretamente realizzabile. Progettando demolizioni, rimozioni, smantellamento e risanamento, l’ultima tappa decisiva viene segnata dalla Ministra per il Sud e per la coesione territoriale Mara Carfagna.

L’Onorevole Carfagna nomina Commissario straordinario il prefetto di Messina Cosima Di Stani, e stanzia 100 milioni di euro, derivanti dal Fondo di sviluppo e coesione 2021 – 2027, per eliminare le baracche dalla città e offrire all’intera popolazione un alloggio decente, confortevole e idoneo a sopperire le primarie necessità di una famiglia media. 

Dalle macerie nascono i musei 

Durante i lavori di risanamento all’Annunziata, in presenza della Ministra Carfagna, del Sindaco De Luca, del Prefetto Di Stani e delle altre autorità competenti, il primo ottobre viene ordinata la sospensione dei lavori.

La ruspa, che sta spianando il territorio, interrompe la sua funzione per salvare una baracca di legnoL’ultima baracca sopravvivrà alle ruspe per diventare un qualcosa mai ideato prima.

Non l’avrebbe mai immaginato Letteria Donato che quella baracca, assegnata ai suoi nonni dopo il terremoto del 1908 e casa per tre generazioni, sarebbe diventata un museo.

Il museo della memoria” così lo definisce il sindaco della città, consegnando simbolicamente le chiavi della baracca alla Ministra Carfagna.

Consegna simbolica delle chiavi dell’ultima baracca di legno, presto “Museo della memoria”, alla presenza dell’onorevole Mara Carfagna e il sindaco Cateno De Luca – Fonte: 98zero.com

Letteria, rammentando i suoi ricordi, con fierezza dice: “Mio padre lo ha comunque custodito questo alloggio anche se non vi ha abitato nessuno da 26 anni. Siamo molto orgogliosi il ministro ha detto che si realizzerà qui un museo e lo trovo giusto per non perdere la memoria di quello che è stato“. 

Oggi, grazie a quest’evento inaspettato, possiamo dire che la memoria di Letteria Donato diventerà la nostra memoria e come dice Paulo Coelho: “Riusciamo a comprendere il miracolo della vita solo quando lasciamo che l’inatteso accada”.

 

Elena Zappia

 

Fonti:

https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_di_Messina

http://VIDEO. Vivere fra muffa e amianto: “Mio figlio è morto sognando una cameretta”

https://www.repubblica.it/venerdi/2021/09/24/news/sbaraccopoli_alla_messinese-318595051/

https://www.ansa.it/sicilia/notizie/2021/10/01/a-messina-baracca-del-1908-diventera-museo_abc58704-031f-470a-a555-cbd34f916ac1.html

Immagine in evidenza:

Baracche nel rione Annunziata – Fonte: messina.gazzettadelsud.it

“Ritorno all’Eden”, una graphic novel sull’importanza della memoria

 

Paco Roca ritorna col suo ultimo capolavoro: una storia semplicemente straordinaria- Voto UVM: 5/5

 

Ritorno all’Eden è l’ultima opera a fumetti dell’autore spagnolo Paco Roca, pubblicata da Tunué, tradotta in Italia da Diego Fiocco e disponibile in libreria e fumetteria dal 7 ottobre. Una storia intima e personale, premiata nel 2020 come migliore opera nazionale dalla critica spagnola, “Regreso al Edén” ci catapulta nella vita di Antonia, mamma dell’artista, le cui vicende, vignetta dopo vignetta, osserviamo assumere la forma di un’esistenza.

Trama

Ripercorriamo la giovinezza di Antonia a partire dall’ultimo giorno che trascorse con sua madre e sua sorella, immortalato in una foto di famiglia scattata nel 1946 in spiaggia, a Valencia. Quell’istante cristallizzato nella foto, Antonia lo conserverà per oltre settant’anni nel suo intimo e tra le mura domestiche come un ricordo felice della sua vita, un amuleto per inquadrare la sua storia da una prospettiva diversa.

Ritorno all’Eden, disegno foto di famiglia. Fonte: https://www.elmundo.es/

Scrive Roca nel prequel all’opera per il Corriere della sera:

“Mi parlava spesso con affetto di una fotografia, l’unica che aveva con sua  madre. Io ricordavo perfettamente quella foto perché è sempre stata in camera sua, sotto il vetro del suo comodino, molto vicino a lei. [..] Quella foto era piena di misteri. Il desiderio di saperne di più è la molla dietro la creazione di Ritorno all’Eden.”

La misteriosa assenza del padre di Antonia, in una foto da lei tanto amata e a lungo custodita, interroga l’autore che, disegno dopo disegno, ci guida nella comprensione degli eventi assurdi e drammatici che la storia stava intessendo attorno a lei, anche senza il suo permesso.

Gli anni di infanzia di Antonia sono infatti quelli del dopoguerra spagnolo, della dittatura franchista, del mercato nero. Come la maggior parte delle donne del suo tempo, la protagonista viveva in un ambiente familiare e sociale caratterizzato dalla violenza, dall’ignoranza e drammaticamente autoritario. Ma quella foto le rende dolce il ricordare, estromette dalla sua memoria quel tempo segnato dalla miseria come anche la brutalità del padre, entrambi lasciati fuori dall’inquadratura.

La scelta del titolo

Il titolo, Ritorno all’eden, ci parla di un ritorno ad una dimensione idilliaca, ad un paradiso perso per sempre ma in cui sperare. Un paradiso che Antonia si ricrea giocando con i propri ricordi, aggrappandosi ad una foto che lascia fuori tutto quello che Eden non è. Lo stesso paradiso che Carmen, sua madre, le raccontava in terrazzo tra i panni da stendere e raccogliere, insieme ad altre storie intrise di cultura popolare e fantasia.

Quando Carmen muore, Antonia è ancora giovanissima, ma prenderà il suo posto nelle faccende domestiche, nella gestione della casa e nell’utilizzo dell’immaginazione per evadere da una realtà opprimente.

Ritorno all’Eden, vignette. Fonte: fumettologica.it

La storia che Paco Roca ci racconta appare a prima vista “semplice”, una storia drammatica come tante altre. Ma ciò che rende magistrale ed emotivamente destabilizzante l’opera è proprio questa sua complessa semplicità. In poco più di 170 pagine, assistiamo al delinearsi della vita della protagonista e ci sentiamo trascinati dall’intreccio della sua storia familiare con quella della Spagna.

Roca parafrasando Picasso scrive:

“L’arte, diceva Picasso, serve all’artista per comprendere il mondo, le persone. E la memoria degli altri ci aiuta a conoscere il mondo e noi stessi.”

Conclusioni

Fin qui ci accompagna l’autore, sulla soglia di una maggiore comprensione del mondo che ci circonda, passando per un lavoro artistico che si nutre della riflessione dei figli sulla memoria dei padri.

Possiamo tranquillamente definire Regreso al Edén un’opera splendidamente riuscita, per struttura narrativa, potenza evocativa dei disegni e della colorazione dai toni calmi e malinconici. Anche l’impaginazione orizzontale, con la copertina cartonata scelta da Tunué, prepara il tatto all’esperienza del riportare alla memoria, perché ricorda quei vecchi album fotografici di famiglia, riscoperti pieni di polvere nelle case dei nostri nonni.

 

                                                                                                                                                      Martina Violante

 

I torrenti di Messina: da elementi costitutivi della città a discariche a cielo aperto

Poco più di un mese fa lo Stretto di Messina è stato oggetto di un servizio del Tg1. Sarebbe stato bello vedere un reportage sulla bellezza del nostro tratto di mare, o magari sui suoi mostri ed eroi leggendari, oppure sulla pesca del pescespada. Purtroppo niente di tutto ciò. La notiza riguardava un triste primato, per il quale lo Stretto di Messina è la più grande discarica sottomarina al mondo.

La ricerca è stata condotta dall’Università di Barcellona, in collaborazione con il Joint Research Centre (JCR) della Commissione Europea e altri enti, soprattutto italiani. Attraverso dei robot sottomarini è stato scoperto un enorme deposito di rifiuti -tra cui persino un’automobile-, con una densità superiore al milione di oggetti per chilometro quadrato. La presenza soprattutto di metalli e plastiche è pericolosissimo per la tenuta del sistema ecologico dello Stretto.

L’inquinamento sui fondali dello Stretto di Messina – Fonte: ansa.it

I rifiuti provengono principalmente dai torrenti

Ma da dove proviene tutta questa mole di rifiuti? Sicuramente molti oggetti sono stati gettati direttamente in mare, ma la maggior parte proviene dalle discariche abusive presenti nei numerosi torrenti della città. Infatti, con le grandi piogge, i corsi d’acqua, normalmente secchi, si riempiono e trascinano tutti i detriti, trasportandoli direttamente a mare.

Il problema dell’inquinamento dei torrenti è uno dei principali della nostra città e da anni si susseguono tentativi da parte delle istituzioni per arginarlo. Per verificare i risultati degli interventi svolti siamo andati alla foce di quattro dei numerosi torrenti cittadini. Prima di riportare la nostra esperienza, però, vogliamo viaggiare nel tempo per raccontare, a grande linee, la storia del rapporto tra la città di Messina e i suoi torrenti.

I torrenti nella storia della città di Messina

I torrenti sono stati elementi costitutitivi della città di Messina sin dai primi insedimaneti preistorici; infatti il primo villaggio, vasto e diffuso, sorgeva tra gli attuali torrenti Gazzi e Annunziata. Nel corso dei secoli l’insediamento urbano si è trasformato, ma con il costante ruolo di confine svolto dalle principali fiumare (o ciumare, in dialetto).

I torrenti, inoltre, erano corsi d’acqua fondamentali per la cittadinanza. Il principale era sicuramente il Camaro, raffigurato nella Fontana di Orione insieme ai prestigiosi fiumi Ebro, Tevere e Nilo. Essendo il più vicino al porto, si tentò di deviare il suo corso in diversi rami, tra cui quello corrispondente alla via Santa Marta, un tempo chiamata “a ciumaredda“.

Un altro corso d’acqua d’importanza storica è il torrente Portalegni, chiamato così perché era utilizzato per portare la legna dalle colline a valle. L’antico corso del Portalegni attraversava Piazza Duomo e sfociava nel Porto – nello spazio antistante la Chiesa dei Catalani-; per evitarne l’insabiamento si è provveduto a deviare il corso dove attualmente sorge la via Tommaso Cannizzaro.

Il torrente Boccetta, ancora scoperto – Fonte: normanno.com

I torrenti nella Messina di oggi

Al giorno d’oggi la maggior parte dei torrenti del centro città è stata coperta, sepolta sotto il manto stradale; i più importanti sono diventati assi viari degli svincoli autostradali.

Il problema principale relativo ai torrenti non è tanto legato alle tonnellate di veicoli che li perocorrono, ma al loro utilizzo come discariche abusive da parte di cittadini incivili.

Per arginare questa triste piaga poco più di un anno fa il sindaco Cateno De Luca ha annunciato lo stanziamento di 7,5 milioni per i lavori di messa in sicurezza – fondamentali per una città a grande rischio idrogeologico come la nostra – e di puliza dei 72 torrenti presenti nel nostro comune.

Gli interventi sono iniziati il 26 agosto con la pulizia della foce del torrente Annunziata, a cura della Protezione Civile comunale. L’8 settembre si è conclusa l’opera di messa in sicurezza e di igienizzazione del torrente Giostra. Attualmente i lavori stanno proseguendo, spinte anche da messaggi di denuncia, come quella del consigliere Libero Gioveni sulla “bomba ecologica” del torrente San Filippo.

Il sindaco Cateno De Luca durante i lavori di riqualificazione del torrente Giostra – Fonte: normanno.com

Pochi giorni fa siamo andati a verificare lo stato di salute dei torrenti di Giostra e dell’Annunziata e le condizioni delle foci del torrente San Filippo e del limitrofo torrente Zafferia. La differenza è netta. Nelle prime due fiumare la sporcizia non manca – segno che non bastano gli interventi istituzionali per arginare l’inciviltà di alcuni soggetti – ma non è paragonabile a ciò che abbiamo riscontrato nei due torrenti della zona sud, delle vere e proprie discariche a cielo aperto.

Torrente Giostra

San Filippo

Torrente Zafferia

Un punto di non ritorno

Siamo arrivati ad un punto di non ritorno. Da cittadini siamo rimasti impietriti di fronte allo scempio che abbiamo riscontrato, anche perché l’inquinamento è a pochi passi dalle abitazioni, a pochi passi da dove si stanno svolgendo le vaccinazioni contro il Covid-19, a pochi passi da tutti noi.

Gli interventi per salvare il nostro territorio e il nostro mare devono essere permanenti, ma questo non basta. Il vaccino più potente contro l’inquinamento è la creazione di cultura cittadina, forgiata dalla memoria di un passato glorioso e permeata da una solidarietà collettiva.

Non c’è più tempo da perdere.

Foto di Carlotta Faraci

Mario Antonio Spiritosanto

 

Fonti:

ilfattoquotidiano.it

normanno.com/cultura/cera-una-volta-messina-viaggio-nel-passato-tra-i-torrenti-della-citta-dello-stretto

normanno.com/attualita/pulizia-torrenti-messina

normanno.com/attualita/messina-al-via-la-pulizia-dei-torrenti-interventi-previsti-assessorato-alla-protezione-civile

normanno.com/attualita/messina-il-torrente-san-filippo-invaso-dai-rifiuti-cronache-da-una-bomba-ecologica

normanno.com/attualita/lavori-in-corso-sui-torrenti-di-messina-ma-ce-chi-continua-a-gettarvi-rifiuti

youtube.com

 

 

Chi dorme non piglia pesci, ma voti più alti

Quante volte, prima di un esame o di un’interrogazione, siete costretti a rinunciare a ore preziose di sonno per studiare? Le maratone notturne o la sveglia all’alba spesso si rendono necessarie per portare a termine il programma di studio, ma possono rivelarsi una pericolosa arma a doppio taglio.

Dormire migliora il rendimento scolastico

Il rendimento non dipende soltanto dalle ore di studio passate sui libri; molti altri fattori, individuali e ambientali, possono contribuire in maniera variabile. Tra i vari fattori, molti studi concordano sull’importanza centrale del sonno ai fini di un miglior profitto universitario e scolastico.

Quanto contribuisce il sonno?

Uno studio del 2015 ha provato a quantificare l’incidenza del sonno nei risultati universitari di circa 600 studenti di economia, seguendone il rendimento per un semestre. Ogni studente ha compilato un questionario che fornisce un punteggio utile a caratterizzare la qualità del sonno (PSQI, Pittsburgh Sleep Quality Index). Esso si ricava da molteplici fattori che dipendono dalla durata e dalla qualità del riposo e dallo stato fisico durante il giorno. Più alto è il punteggio ottenuto, peggiore è la qualità del sonno. Lo studio riporta come ad un aumento del punteggio si associ un peggioramento dei voti universitari di circa il 5%.

Non è importante solo quanto si dorme

Dormire bene non significa dormire solo un numero sufficiente di ore. Una pubblicazione su un’importante rivista evidenzia come la regolarità delle ore di sonno sia importante almeno quanto la durata. A parità di ore di sonno, soggetti che dormono mantenendo gli stessi orari e associando il ritmo sonno-veglia all’alternanza luce-buio, hanno un rendimento migliore rispetto a coloro che dormono in maniera irregolare.

Cosa accade alla nostra memoria durante il sonno

La memoria e il sonno sono due capitoli delle neuroscienze molto complessi e ancora non compresi fino in fondo.

La memoria, dal punto di vista informativo, può essere divisa in dichiarativa e procedurale. La prima consiste nella capacità di ricordare e riproporre verbalmente concetti precedentemente memorizzati; in ambito scolastico viene quindi principalmente utilizzata questo tipo di memoria.

Processazione della memoria durante il sonno
Fonte – Sculpting memory during sleep: concurrent consolidation and forgetting

Durante lo studio le informazioni vengono codificate in stimoli elettrici, raggiungono il nostro cervello e sono inizialmente immagazzinate in una piccola regione che prende il nome di ippocampo. L’ippocampo non rappresenta il sito finale di archiviazione dei ricordi, che dovranno essere ulteriormente consolidati a livello della corteccia cerebrale. Il sonno sembrerebbe avere un ruolo centrale nel “dialogo” tra ippocampo e corteccia che starebbe alla base di questo processo.

Durante il sonno sembrerebbero verificarsi delle riattivazioni ripetute dei circuiti cerebrali formati durante l’apprendimento di nuove informazioni che ne determinerebbero l’archiviazione a livello della corteccia. Questo processo sembra contribuire al potenziamento della memoria dichiarativa.

Il riposo notturno pare stare alla base anche dell’omeostasi della memoria: durante il sonno si osserva infatti uno “sfoltimento” delle connessioni nervose. In particolare sembrerebbe verificarsi una riduzione delle connessioni deboli che lascerebbe spazio all’immagazzinamento di nuove informazioni al risveglio e, allo stesso tempo, al consolidamento dei ricordi importanti. Il principio ricorda molto la potatura di un albero, con l’obiettivo di eliminare le parti più deboli e lasciare spazio allo sviluppo dei rami più forti.

Dormi bene e rendi meglio

Nonostante i ritmi didattici possano essere frenetici e il tempo sembri sempre non bastare, sono numerose le ragioni per cui si debba preferire una sana dormita ad una maratona notturna. Allo stesso tempo, dormire un po’ di più al mattino potrà garantirvi una maggior lucidità e quindi dei migliori risultati.

Adesso che siete a conoscenza dei benefici del sonno mettete da parte i sensi di colpa e concedetevi qualche ora in più di sano riposo.

Antonino Micari

Studiare ascoltando musica conviene?

Sempre più spesso in biblioteche e aule studio possiamo vedere ragazzi con la testa china sui libri e gli auricolari. Ma ascoltare musica mentre si studia è utile alla concentrazione e migliora la performance? O si tratta solo di una distrazione per il nostro cervello e rallenta l’apprendimento? 

La scienza ha provato a dare risposta alla domanda. Così, se sei preoccupato per il prossimo esame che è dietro l’angolo, forse può servirti capire se continuare a studiare con le nuove hit di Sanremo in sottofondo ti aiuterà a raggiungere l’obiettivo sperato!

Come di frequente nella scienza la risposta è: dipende. La soluzione non è affatto univoca e gli effetti della musica sulle attività cognitive dell’uomo mostrano una grande variabilità da individuo a individuo. Inoltre incide molto anche il tipo di canzone ascoltata. Diverse ricerche rivelano che ascoltare musica che piace migliora l’umore e riduce lo stress (secondo uno studio condotto negli Stati Uniti al pari di ricevere un massaggio), permettendo così di raggiungere livelli di arousal maggiori (letteralmente “risveglio”, in pratica significa uno stato di eccitazione maggiore). Questo promuove una migliore concentrazione e ritenzione delle informazioni studiate. Di contro però chi non è portato per il multitasking potrebbe distrarsi più facilmente e vedere le proprie capacità di comprensione ridotte.

Pertanto gli scienziati hanno identificato due principali tipologie di persone, sulle quali l’ascolto di canzoni produce effetti differenti. Persone estroverse mostrano in generale una maggiore capacità nel mantenere l’attenzione anche in situazioni scomode e sono meno sensibili al rumore. Tale popolazione studia più frequentemente ascoltando musica e mostra rendimenti migliori con questa. Coloro che invece tipicamente non studiano con la musica mostrano deterioramento delle prestazioni se vi sono esposti. Il peggioramento è progressivo nelle diverse condizioni: senza musica > strumentale > cantata. A questo gruppo appartengono persone più introverse.

Ciò sarebbe in accordo con la teoria della personalità dello psicologo tedesco Eysenck secondo cui persone estroverse sarebbero sotto-stimolate e ricercherebbero nuove esperienze e stimoli; individui introversi sarebbero invece sovraccaricati ed eviterebbero situazioni scomode.

Questi dati sono stati ottenuti esponendo un gruppo di studenti statunitensi al object-number test in diverse condizioni ambientali: senza musica, con strumentale e con musica cantata. Il test valuta l’apprendimento e la memoria a lungo termine.

In un altro studio un gruppo di 38 studenti cinesi della facoltà di infermieristica con età media di 19.4 anni hanno svolto un esame con e senza musica in sottofondo. Gli studenti che hanno svolto l’esame con la musica hanno mostrato una riduzione significativa nell’ansia, misurata attraverso indicatori biologici (frequenza cardiaca e temperatura corporea).

In altre parole, la musica riduce l’ansia e lo stress, modifica la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna migliorando l’ossigenazione dei tessuti. Tuttavia questi effetti positivi dipendono dalla personalità del soggetto e soprattutto dal tipo di musica ascoltata: canzoni senza parole e particolarmente gradite dall’ascoltatore possono funzionare come un boost per lo svolgimento di attività cognitive complesse. Musica vocale distoglierebbe l’attenzione provocando rendimenti peggiori.

Gli effetti della musica sul nostro cervello sono complessi e ancor oggi non totalmente compresi. Quando ascoltiamo una canzone siamo avvolti da un’esplosione di emozioni, ricordi di luoghi o esperienze passate. Questo avviene per l’attivazione della corteccia prefrontale mediale. Si tratta di un’area coinvolta nella formazione di memorie autobiografiche, processi emozionali e relazionali e spiega perchè una canzone può provocare esperienze così intense. Ascoltare musica può inoltre apportare benefici all’umore e al comportamento di persone affette da Alzheimer e altri tipi di demenze. La memoria musicale è infatti spesso preservata nei pazienti con Alzheimer perchè le aree correlate non sono danneggiate dalla malattia.

Gli utilizzi e le potenzialità della musica sono quindi numerosi. Tuttavia solo nuove ricerche potranno chiarire tutti i meccanismi che spiegano gli effetti positivi della musica sul cervello. Quanto allo studio, ascoltare musica con le dovute accortezze può essere utile: il giusto tipo di canzone per il giusto ascoltatore può rappresentare una marcia in più per fare bene al prossimo test!

Mattia Porcino

“Gli uomini passano le idee restano” in memoria di Giovanni Falcone

Giovedì 23 maggio, alle ore 10:30, in occasione dell’anniversario della Strage di Capaci, l’Aula Magna del Rettorato ha ospitato la giornata in ricordo di Giovanni Falcone, organizzata dal Centro Studi sulle Mafie dell’Università di Messina.
Dopo i saluti istituzionali del Rettore Prof. Salvatore Cuzzocrea, un breve discorso di elogio per chi onora il proprio mestiere. Ha avuto inizio il dibattito, moderato dal giornalista Nuccio Anselmo, con il Dott. Maurizio De Lucia, Procuratore della Repubblica di Messina e il Dott. Emanuele Crescenti, Procuratore della Repubblica di Barcellona Pozzo di Gotto.

Il tempo del dibattito è stato scandito da 4 video documentario che trattavano del giudice Falcone e della strage di Capaci.

La strage di Capaci fu un attentato compiuto da cosa nostra, commissionato da Totò Riina il 23 maggio 1992 nei pressi di Capaci, per uccidere il magistrato antimafia Giovanni Falcone. Gli attentatori fecero esplodere un tratto dell’autostrada A29, mentre vi transitava la scorta con a bordo il giudice, la moglie e gli agenti di Polizia, sistemati in 4 auto blindate. Oltre al giudice, morirono altre quattro persone: la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Il sicario Giovanni Brusca azionò una carica di cinque quintali di tritolo, che era stata posizionata in una galleria scavata sotto la strada. Pochi istanti prima dello scoppio, Falcone aveva rallentato per prendere un mazzo di chiavi dal cruscotto della macchina. Lo scoppio quindi travolse in pieno solo la prima auto. I tre agenti della scorta morirono sul colpo.
La macchina di Falcone si schiantò contro il muro di cemento e detriti causati dallo scoppio. Il giudice Falcone morì durante il trasporto in ospedale a causa del trauma, causato dall’impatto. La moglie Francesca morì invece in ospedale più tardi. L’agente Costanza, che si trovava nella macchina con il giudice, rimase illeso. Gli agenti della terza automobile, feriti, ma non in pericolo di vita.

I due procuratori sono intervenuti all’incontro elogiando Falcone, parlando di quanto fosse importante come figura oltre che professionalmente, moralmente. Hanno parlato dei moltissimi progressi che sono stati fatti in Sicilia e in Italia nella lotta alla mafia, grazie al quel modo di intervenire impartito da uomini valorosi come Falcone. Si sono pronunciati su Messina e su come la mafia fosse meno violenta. Si era compreso prima delle altre associazioni a delinquere quanto i morti portassero l’attenzione dei media e delle forze dell’ordine, e questo faceva sì che fosse anche più complicato condurre le indagini. Delle parole sono state spese anche riguardo a Barcellona Pozzo di Gotto e a quanto pure lì le indagini abbiano portato a dei risvolti positivi per la giustizia con molti arresti, un approccio alla lotta alla mafia che deve essere intrapreso anche contro le ’ndrine al nord e le camorre. Infine gli ospiti si sono concentrati sui fatti e non sulle supposizioni sollevate ai tempi della strage dalle testate giornalistiche.

Alle 19:30 è stato proiettato presso il Cineauditorium Fasola il film “Il traditore”, film eccezionale sulla vita di Tommaso Buscetta, ex appartenete di cosa nostra, e collaboratore di giustizia grazie al buon rapporto che aveva instaurato col giudice Falcone. Un film di Bellocchio, che ha Buscetta come personaggio protagonista interpretato da Favino. La pellicola ha riscosso moltissimo successo, realizzata bene sopratutto per quanto riguarda le scene del maxi processo, di cui su YouTube si trovano le riprese originali, e mettendo a confronto recitazione e realtà, ci si rende conto della meravigliosa interpretazione di Favino. Viene analizzata una figura che grazie alle sue dichiarazioni fece arrestare moltissimi esponenti di cosa nostra tra cui Salvatore Riina, mandante della strage di Capaci e di altri molteplici omicidi.

Alberto Cavarra