Esiste ancora la Goliardia a Messina? I misteri del Sacro Ordine della Zammàra

I giorni della merla possono risultare un periodo surreale. C’è ancora particolarmente freddo, eppure siamo già tornati alla nostra routine, lasciandoci alle spalle pranzi e cene natalizi che tradizionalmente le rallegrano. È proprio durante queste occasioni che mia zia mi raccontò dell’esistenza a Messina di una misteriosa associazione di studenti, che giravano adornati da abiti d’altri tempi e che si rendevano protagonisti di imprese folli, animando la collettività accademica: era l’ordine dei Goliardi.

Ma cos’è la Goliardia? E cosa ne è della Goliardia messinese?

Non stiamo parlando delle confraternite in stile American Pie, ma poco ci manca!

Film “American Pie presents: Beta House” (Andrew Waller, 2007)

Storicamente, la Goliardia viene fatta risalire agli albori dell’Università, come risposta alla chiusura del sapere accademico confinato nei monasteri. Goliardo era il clerico vagante, lo studente che per la ricerca del sapere si recava ubicumque (ovunque, ma non più a casa), vivendo di poco o nulla, se non della questua (piccole offerte concesse ai viaggiatori) e del sostegno reciproco dei colleghi.

Fu così che le comunità accademiche si fecero un’unica forza, sodalizio, associazione: in una parola, Universitas.  È in questo contesto che nasce la Goliardia, termine dall’origine dubbia: c’è chi sostiene che venga da gula, sottolineando lo scolaro goloso ed avvezzo agli eccessi, oppure da Golia, il colossale guerriero biblico. Minimo comune denominatore di queste espressioni è uno stile di vita da studentileggeri di cuore e di borsa“, ma anche “spensierati e goderecci“.

Le vacanze continuavano a passare, così ne approfittai per interrogare quante più persone potessi su quei misteri, e più ricercavo più sembrava che quei luoghi, quelle mura, riprendessero a respirare, iniziando a dialogare con me. E così la storia iniziò a rispondermi, facendomi ritrovare un vecchio berretto appartenuto a mia nonna paterna. Quell’indumento era la tipica feluca (cappello tipico dei goliardi, ornato da ninnoli e piume) che poco ha a che fare con l’imbarcazione per la caccia al pesce spada, sebbene ne ricordi la forma puntuta ed allungata!

Feluca appartenuta a Maria Ermelinda Panagia, studentessa Unime (a.a. 1952-53) – © Salvatore Nucera

Saziata momentaneamente la mia curiosità, iniziai a cercare informazioni sull’Università di Messina, rimanendo sorpreso dalla quantità di storie riscoperte. Appresi infatti che la Goliardia messinese fu particolarmente florida negli anni 50’, con la nascita del Sacer Ordo Zammarae (Sacro Ordine della Zammàra, parola che deriva dall’arabo sebbana, una pianta grassa capace di scacciare il malocchio). Tra canti e scorribande, i Goliardi assicuravano il benvenuto alle nuove matricole imponendo le più varie penitenze, ed impedendo loro di muoversi liberamente nell’Ateneo se non mostravano il papello, un documento in pergamena realizzato da artisti del tempo (tra i quali il celebre Togo).

Mata durante la celebrazione della fondazione della città di Messina-Fonte: La settimana Incom 00150 del 30/04/1948

Appresi dunque che la Goliardia messinese di quegli anni rimase celebre per numerose imprese, come l’organizzazione delle Feriae Matricularum (la festa della matricola), o il tentativo – rimasto tale fortunatamente – di portare la statua di Mata dentro il cortile del Rettorato.

Ma la Goliardia architettò anche di rendere omaggio alla città che la ospitava, come testimonia l’Archivio storico Luce del 30 Aprile 1948: in quell’occasione gli studenti rievocarono la fondazione di Messina, simulando una vera e propria battaglia tra siculi e saraceni in groppa a cavalli e somari, rinsaldando ancor di più il senso di appartenenza alla città, edulcorato dalla sognante leggenda di guerra e d’amore tra Mata e Grifone.

La Goliardia degli anni migliori è stata dunque un movimento di incontro, tra studenti, docenti e comunità locale, uniti da convivialità e reciproco scherno, come testimonia il dialogo tra il Professor Pugliatti ed un suo studente, il quale, pur di passare l’esame di diritto civile, era pronto a trasferirsi all’Università di Palermo:

  • Pugliatti: “Io nei miei principi resto fermo/ caro Le Donne va pure a Palermo”.
  • Nino: “E io le dico con voce da cornacchia/ professore a Palermo c’è la pacchia”.
  • Pugliatti: “Caro Le Donne chi si contenta gode/ ma se ritorni qui le prendi sode”.

La facondia di Pugliatti ebbe, anche in questo caso, l’ultima parola.

La storia della Goliardia ha avuto non pochi episodi di discontinuità, con alti e bassi a seconda della diversa fase storica. Come dovette sopravvivere durante gli anni del fascismo, così risorse nel 2° dopoguerra sfoggiando costumi anticonformisti ed irriverenti. Dopo il 1968 iniziò una nuova fase discendente per la Goliardia (a Messina come in altre città) a causa del processo di politicizzazione delle Università.

A 50 anni da quegli eventi ed in un momento storico in cui gli studenti si trovano davanti ad un mondo in repentino cambiamento per cui il futuro è adesso, immergerci nella storia delle proprie origini può essere non solo un modo per comprendere meglio la relatività che ci circonda, bensì una chiave di volta per riaccendere nuovamente lo spirito accademico.

Un senso di appartenenza che appare talvolta rarefatto, ma che continua a spirare latente tra le mura dell’Università, in attesa del tempo propizio.

Salvatore Nucera

Fonti:

Immagine in evidenza – cappelleriamalaguti.com

Ballanti Gallanti, Pietro Abelardo, La rinascita scolastica del XII secolo, La Nuova Italia.

Di Giacomo Sergio, Gli ultimi fuochi della Goliardia messinese.

Graziosi Elisabetta, Gaudeamus Igitur, Studenti e Goliardia (1888-1923), Bologna University Press, 1995, pp.142.

Griffo Maurizio, Per una storia della goliardia politica, il Mulino Vol. 313, no. 5 (settembre-ottobre 1987), 847-854.

Istituto Luce, La settimana Incom 00150 del 30/04/1948, Goliardi messinesi celebrano la fondazione della città, disponibile su https://www.youtube.com/watch?v=qyaTioJputc.

Loteta Giuseppe, Messina in bianco e nero: la Goliardia negli anni 50, disponibile su http://www.messinaora.it/notizia/2016/01/29/messina-in-bianco-e-nero-la-goliardia-negli-anni-50/70789.

Principato Nino, Il Sacro Ordine della Zammara, disponibile su http://www.mutualpass.it/post/1017/1/il-sacro-ordine-della-zammara.

Museo di Messina: l’Italia è fatta, adesso bisogna fare gli Italiani

Il sabato scorso, dopo mesi e mesi di attesa trepidante, ho finalmente potuto varcare la soglia della sede definitiva del Museo Regionale di Messina, che dalle 20:30 alle 22:30 apriva i suoi battenti gratuitamente al pubblico: la prima apertura completa della struttura museale, a distanza di oltre cento anni dalla sua nascita. Insieme a me una folla notevole (lascio ai contabili del giorno dopo la stima dei numeri, per me erano e resteranno sempre “chio’ssai d’i cani i Brasi”, come si dice a Messina) composta da gente di ogni età, ceto e condizione sociale accorsa da tutta Messina e anche da fuori, anche a seguito della notevole campagna pubblicitaria che questa volta ha coinvolto anche le reti televisive nazionali.

Nel mio personale sentire, il Museo Regionale di Messina, fin dalle prime volte in cui lo visitai da piccolo, è sempre stato un luogo speciale, quasi sacro. Uno scrigno della memoria, come ebbi modo di scrivere in un articolo in occasione della apertura parziale di Dicembre. Un grande tempio laico dedicato a Messina. Mi piace pensare che nessun altro museo al mondo possa vantare una storia simile, anche se forse non è così. La sua storia si intreccia indissolubilmente con quella del Terremoto del 1908: prima era poco più che una pinacoteca comunale sorta dal confluire di collezioni private.

Poi accadde il disastro, e secoli interi della storia e del patrimonio artistico di Messina furono cancellati dalla faccia della Terra. Il moderno Museo Regionale nasce da quelle macerie, dal lavoro paziente di tanti messinesi che si misero a frugare in quelle rovine, a tirarvi fuori tutto ciò che potesse avere un qualche valore storico e artistico, ed ad ammucchiarlo, accatastarlo nella antica sede del convento del SS. Salvatore dei Greci, dove si trovava la filanda Barbera-Mellinghoff, che per tanti anni ne è stata la sede provvisoria. Il loro sogno era che un giorno tutto potesse tornare a vivere, che la antica Messina dei secoli d’oro, la Messina che il terremoto aveva sfregiata, distrutta, annichilita, potesse in parte tornare a esistere. Melior de cinere surgo: come l’araba fenice, anche Messina con la sua storia e la sua cultura sarebbe un giorno risorta dalle sue ceneri.

Ci sono voluti oltre cento anni affinché questo sogno divenisse realtà. Oggi, finalmente, Messina ha il suo Museo Regionale. Un percorso espositivo unico, fra i più estesi del Meridione, in grado di raccontarci secoli di storia: dalla Zancle greca al Medioevo arabo-normanno, dal Quattrocento della Scuola fiamminga e di Antonello fino al Rinascimento, Montorsoli, Calamech, Polidoro Caldara, Alibrandi, allievi di Michelangelo e Raffaello. E poi il seicento, Caravaggio e i caravaggeschi, gli splendori del barocco, gli argenti e i marmi a mischio del Settecento, la lenta decadenza dell’Ottocento. Un viaggio nella storia di Messina dalle origini ai giorni nostri attraverso i suoi capolavori più belli e preziosi. 

Insomma, l’Italia è stata fatta (e finalmente, aggiungerei). Adesso, però, si devono fare gli Italiani. L’apertura completa del Museo Regionale è senza dubbio un traguardo: ma deve essere il primo di una lunga serie. Un Museo così grande e importante come quello che ha appena aperto le sue porte rappresenta una risorsa invalutabile per quello che è e che sarà il turismo culturale nella Città dello Stretto e nei suoi dintorni. Non può né deve permettersi di restare confinato al margine della sua vita sociale; deve, al contrario, rivendicare orgogliosamente il ruolo e la posizione di fulcro, di guida e di punto focale per la rinascita culturale della città. 

Questa nuova apertura pone dunque alla direzione grandi responsabilità, apre nuovi orizzonti e offre nuove sfide. Una ad esempio potrebbe essere quella di porre il Museo, da sempre in una posizione periferica rispetto al centro storico, nel posto che si merita all’interno dei già ridotti circuiti turistici della città. La stagione estiva è alle porte, visitatori e croceristi cominciano timidamente ad affollare le vie del centro; se già adesso è difficile che si spingano oltre il “triangolo magico” incluso fra Piazza Duomo, l’Annunziata dei Catalani e Palazzo Zanca, e forse del Museo Regionale ignorano persino l’esistenza, chi li porterà fino al Torrente Annunziata per vederlo?

Insomma, il lavoro è appena cominciato e servirà un rinnovato impegno, e la formazione di nuove sinergie con il Comune e con gli enti pubblici, affinché il nuovo Museo possa sviluppare in pieno le sue potenzialità benefiche per l’intera città di Messina. A noi visitatori resta la speranza che la recente apertura completa si riveli non un comodo letto di allori su cui sdraiarsi a riposare, ma la prima tappa di un lungo percorso di rinascita: un percorso che abbia come obiettivo finale la riscoperta, agli occhi dei messinesi e del mondo intero, di Messina e della sua bellezza. 

Gianpaolo Basile

Ph: Giulia Greco

Macalda di Scaletta: una dama guerriera nella Messina del Medio Evo

Nella folta schiera di personaggi che la Storia ha cristallizzato nella leggenda, trasformandone la memoria in un tutt’uno fra il mito, la diceria, l’aneddoto, l’epopea e la realtà storiografica, non può non rientrare il nome di Macalda di Scaletta. 

La sua è una storia affascinante, una autentica parabola che portò questa donna bella e ambiziosa, ricca e potente ma di umili origini, alla corte di uno dei più grandi monarchi di Sicilia, Re Pietro il Grande d’Aragona. Una storia fatta di intrighi e di tradimenti, sullo sfondo della caotica Sicilia dell’epoca dei Vespri Siciliani. 

Dalla montagna di scritti su Macalda è difficile capire dove finisce la leggenda e inizia la realtà. Si sa che nacque a Scaletta, vicino Messina, intorno al 1240, e che ereditò dal padre, Giovanni, il castello di Scaletta, solida roccaforte strategica sulla strada fra Catania e Messina, che tutt’ora si erge maestoso a guardia di quel tratto della riviera jonica. A differenza di quel che si potrebbe pensare però, le origini di Macalda erano umilissime: il nonno era un militare di bassa estrazione sociale, tanto da essere soprannominato “Matteo Selvaggio”, che aveva acquisito il castello dietro concessione reale e che aveva avuto la fortuna di arricchirsi grazie al rinvenimento di un tesoro nascosto al suo interno. 

Una famiglia di inarrestabili arrampicatori sociali di cui Macalda è degna discendente: dopo aver sposato in prime nozze un nobile caduto in miseria, Guglielmo Amico, alla morte del primo marito dà già mostra del suo carattere spregiudicato e indipendente, finendo a girovagare per la Sicilia travestita da frate francescano, fra espedienti e avventure amorose. 

“Molto bella e gentile, e valente nel cuore e nel corpo, generosa nel donare e, a tempo e luogo, valorosa nelle armi al par d’un cavaliere”: è questo il ritratto che fa di lei un suo contemporaneo, lo storico catalano Bernat Desclot. Qualche anno dopo, questa giovane dama guerriera viene data in moglie ad Alajmo da Lentini, anziano uomo d’arme e politico navigato alla corte angioina; a questo altrettanto spregiudicato e ambizioso personaggio, che già anni prima non aveva esitato a tradire Manfredi di Svevia per ottenere il favore degli Angioini, si deve parte del suo successo.

Di lì a qualche anno, infatti, Alajmo non esita a tradire anche Carlo d’Angiò schierandosi a favore dei siciliani insorti nella rivolta dei Vespri. Quando re Carlo scende alla testa dei suoi uomini per sedare la rivolta, è Alajmo, nelle vesti di Capitano del Popolo di Messina, a frapporsi fra lui e il suolo siculo e sarà lui il grande regista della difesa cittadina durante l’assedio di Messina del 1282, punto di svolta della prima guerra del Vespro e tappa fondamentale della storia della città, mentre alla moglie, in sua assenza, viene affidato il governo di Catania.

All’arrivo nell’isola di Pietro d’Aragona, acclamato dagli insorti Re di Sicilia, Alajmo da Lentini viene premiato per la sua strenua resistenza col titolo di Gran Giustiziere del Regno: lui e la moglie diventano così fra i più alti dignitari della nuova corte di Sicilia. Ma a Macalda non basta: quando il re entra in trionfo a Randazzo Macalda non si fa sfuggire l’occasione per farsi notare e gli viene incontro a cavallo, in armatura, con in mano una mazza d’argento. Ben presto diventano evidenti le sue intenzioni di sedurre il Re per diventarne la favorita: intenzioni che non sfuggono alla moglie, la regina Costanza di Hohenstaufen, legittima erede di Federico II di Svevia, con cui presto inizia una rivalità spietata, una autentica escalation di provocazioni e continui sfoggi di potere e ricchezza.

Così, quando Alajmo da Lentini, sospettato dell’ennesimo tradimento, cade in disgrazia presso il nuovo Re, anche Macalda ne condivide la sventura. Mentre il marito, dopo essere stato convocato in Spagna, viene fatto giustiziare, Macalda finisce i suoi giorni in prigionia, nel castello messinese di Rocca Guelfonia. Anche da prigioniera, i suoi comportamenti restano assolutamente sopra le righe: si racconta che destasse stupore per la vivacità e l’immodestia dei suoi abiti, mentre trascorreva le giornate intrattenendosi a giocare a scacchi con un altro nobile prigioniero del castello, l’emiro Margam Ibn Sebir.

Sublimato nella leggenda, il personaggio di questa straordinaria siciliana anche a distanza di secoli non esaurisce il suo fascino; nel tempo, la si ritrova come protagonista di diverse leggende e racconti popolari siciliani. Nell’Ottocento Michele Amari, storiografo siciliano, la riscopre come personaggio storico e riferisce con gusto prettamente romantico e dovizia di particolari tutti i particolari più rocamboleschi delle sue avventure; qualche decennio dopo, Macalda diventa addirittura la protagonista di poemi e melodrammi.

Femminista ante litteram o ambiziosa femme fatale? Spregiudicata arrivista o valorosa amazzone guerriera? Eroina romantica o donna del suo tempo? Macalda di Scaletta è stata un po’ di tutto questo e un po’ niente. La sua storia si perde nel mito e ne trasforma il personaggio in un archetipo, enigmatico e complesso, di indomita donna siciliana. 

Gianpaolo Basile

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