Rigenerazione del sistema nervoso: le applicazioni della nanomedicina

La medicina non ha mai smesso di progredire, poiché la scoperta di nuove malattie cammina di pari passo con le strategie intraprese per curarle, per arrivare all’obiettivo primordiale di mantenere il corpo in salute. Le nuove tecnologie, che lavorano su scala atomica e che hanno dato origine al campo della nanomedicina, ci hanno quindi permesso di esplorare alcune strade un tempo inimmaginabili, come la rigenerazione del sistema nervoso.

  1. Potenziare la rigenerazione
  2. I danni del sistema nervoso centrale
  3. I nanocontenitori contro la barriera ematoencefalica
  4. Conclusioni

Potenziare la rigenerazione

I meccanismi di riparazione del sistema nervoso, rispetto a strutture come il sistema scheletrico, sono molto più limitati. Ecco perché la rigenerazione di strutture nervose danneggiate rappresenta un’enorme sfida. A lungo questi danni sono stati considerati irreparabili perché i neuroni, una volta raggiunta la piena maturazione, non si accrescono più. Inoltre, si dava per certo che la neurogenesi, ovvero la formazione di nuovi neuroni, non avesse luogo negli adulti. Questa idea si dimostrò sbagliata quando furono identificate delle cellule staminali neuronali capaci di generare neuroni in determinate condizioni. E’ pur vero che queste cellule non sono affatto numerose e, in condizioni normali, le loro capacità proliferative sono ridotte. Certamente la loro scoperta ha rappresentato un nuovo strumento per la riparazione del tessuto nervoso.

In diverse situazioni, come alcune patologie o certi traumi, un nervo può dividersi in due, e la trasmissione del segnale nervoso si interrompe. Un nervo è costituito da fasci di assoni, lunghi prolungamenti del corpo cellulare dei neuroni. Dopo la rottura, per ottenere la crescita dei capi assonali nella giusta direzione e senza l’interferenza dei mediatori dell’infiammazione, è necessario una sorta di instradamento, un condotto costituito da fibre opportunamente orientate che agisca come sistema guida dei nuovi neuroni. Questa struttura richiede un certo grado di porosità per permettere l’arrivo di nutrienti e l’eliminazione di prodotti di scarto. Questa porosità può essere utile anche per poter somministrare i fattori di crescita necessari per stimolare la crescita dei nuovi neuroni.

Terapie a base di idrogel con cellule staminali per disturbi o lesioni del sistema nervoso. Fonte:

Attualmente per ottenere questo effetto si utilizzano collagene, acido poliglicolico e composti complessi con acido lattico, caprolattone e collagene.

I danni del sistema nervoso centrale

Realizzare ponti che servano da guida tra le due estremità del nervo danneggiato permetterà di ristabilire la funzionalità nei casi relativamente semplici. Ma in caso di danni al sistema nervoso centrale, dove l’orientamento dei neuroni presenta una complessità maggiore e i livelli di connessione sono differenti, la strada dei condotti tubulari che guidano gli assoni non è più percorribile.

Per la ricostruzione si dovrebbero utilizzare impalcature di idrogel nelle quali impiantare cellule staminali. E’ importante però che l’idrogel non induca una risposta immunitaria da parte dell’organismo (la microglia è considerata il sistema immunitario del sistema nervoso centrale). Infatti una sua attivazione causa una rapida distruzione dell’idrogel. Si è pensato allora di caricare l’idrogel con le cellule staminali neuronali del paziente, i fattori di crescita e alcuni inibitori della risposta immunitaria in modo da evitare il rigetto, cioè una risposta aggressiva da parte del sistema immunitario.

Schematizzazione del sistema di somministrazione di idrogel nel trattamento di lesioni del midollo spinale. Fonte:

Questa struttura può favorire la generazione di nuove reti neuronali diverse da quelle iniziali ma che, grazie alla plasticità di molte zone del nostro tessuto nervoso, permetterebbero di recuperare almeno in parte le funzioni perse.

I nanocontenitori contro la barriera ematoencefalica

Le lesioni al cervello o i danni causati dai processi neurodegenerativi presentano un ulteriore problema a cui deve far fronte qualsiasi trattamento: la barriera ematoencefalica. Questo sistema impermeabilizza i vasi sanguigni del cervello in modo che solo poche molecole riescano a passare dal sangue al tessuto nervoso e viceversa. Infatti questi vasi sono privi di fenestrature o porosità, e con poche proteine che agiscono da sistema di trasporto specifico. Quindi i farmaci, che non sono riconosciuti dai trasportatori, non riescono a raggiungere la zona del cervello danneggiata.

Una strategia efficace per attraversare questa barriera consiste nell’incorporare i farmaci all’interno di liposomi o di altri tipi di nanocontenitori. Bisogna però aggiungere altre molecole capaci di legarsi alle pareti dei vasi sanguigni della zona cerebrale. In questo modo possono attraversare la barriera ematoencefalica e trasportare il farmaco fino alla sede del danno. Questo approccio offre prospettive interessanti per lo sviluppo di terapie che controllino malattie neurodegenerative come il Parkinson o l’Alzheimer.

Liposomi funzionalizzati permettono di trasportare i farmaci attraverso la barriera ematoencefalica e raggiungere la rete neuronale all’interno del cervello. Fonte:

Conclusioni

Al momento abbiamo ottenuto solo risultati promettenti in laboratorio, per questo motivo c’è da sperare che in futuro questi approcci comincino a dare risultati concreti, tali da avviare il loro trasferimento nella pratica clinica. Inoltre è stato visto che per attenuare la perdita di neuroni è possibile somministrare fattori di crescita o altri agenti che stimolano la rigenerazione neuronale.

Infine lo sviluppo della nanotecnologia consente oggi di progettare robot di dimensioni molecolari, i nanorobot, in grado di agire all’interno del nostro organismo con intenti riparativi.

Pietro Minissale

Bibliografia

LA NANOMEDICINA – La rivoluzione della medicina su scala molecolare di NATIONAL GEOGRAPHIC – Pagine 7, 96-102, 118

Overcoming Brain Barriers Through Surface-Functionalized Liposomes for Glioblastoma Therapy; Current Status, Challenges and Future Perspective

Frontiers in Bioengineering and Biotechnology – ResearchGate

Recent trends in the development of hydrogel therapeutics for the treatment of central nervous system disorders – nature.com

 

 

Dagli studenti per gli studenti: Placenta, cos’è e a cosa serve

L’intera gestazione spesso viene scambiata da molti per un miracolo. Questa in realtà viene resa possibile, dalla fecondazione al parto, grazie a dei processi chimico-fisici e biologici. In particolare, lo studio della medicina e della scienza divulgativa ci fanno capire l’importanza e la bellezza del corpo umano femminile, in particolare di un organo strettamente correlato alla linea femminile umana: la placenta.

  1. Che cos’è e da cosa deriva?
  2. Da cosa è formata? 
  3. Posizioni della placenta
  4. A cosa serve?
  5. Funzione endocrina della placenta
  6. Secondamento

Che cos’è e da cosa deriva?

La placenta è un organo vascolare temporaneo, nonché uno dei numerosi annessi embrio-fetali (i restanti sono sacco vitellino, amnios, cordone ombelicale, allantoide e corion). Questa dopo il parto, insieme a tutti gli altri annessi, verranno espulsi grazie al fenomeno detto “secondamento”.

Immagine illustrativa del feto con il cordone ombelicale e la placenta, lateralmente. Fonte

La placenta deriva da una struttura embrionale detta blastocisti che prende il nome di sinciziotrofoblasto. Con l’impianto della blastocisti, l’endometrio uterino potrà diventare decidua. Prima di questa fase, che prende il nome di decidualizzazione, noi avremo un altro periodo facente parte strettamente del ciclo uterino che prende il nome di predecidualizzazione, fase in cui lo strato funzionale dell’utero (endometrio) si prepara per divenire decidua. Infatti, in questa fase, l’endometrio assume e trattiene molto glicogeno e lipidi che saranno di fondamentale importanza per la nutrizione embrionale. Il sinciziotrofoblasto, una volta penetrato all’interno della decidua, potrà emettere delle propaggini digitiformi che prendono il nome di villi coriali i quali, evolvendo, daranno vita ad un forte sistema vascolare capace di poter permettere l’afflusso di sangue all’interno di cavità, dette lacune, presenti nella placenta ormai formata.

Da cosa è formata?

La placenta è formata da due facce:

  • La faccia fetale (o corionica): presenta un aspetto traslucido (dato dall’epitelio amniotico), l’inserzione del cordone ombelicale e alcuni vasi placentari;
  • La faccia materna (o basale): qui notiamo un aspetto del tutto diverso. Vediamo che essa appare opaca e ruvida e avrà un aspetto molto particolare dato da strutture “irregolarmente poligonali”, detti cotiledoni.

I cotiledoni saranno divisi tra di loro esternamente da dei solchi intercotiledonali, internamente da dei setti intercotiledonali. Le due facce non si scolleranno tra di loro grazie a dei villi aderenti. L’altra tipologia di villi, presenti nelle lacune tra i villi aderenti, prendono il nome di “villi fluttuanti”. La differenza tra i due sono i punti di partenza e di arrivo: quelli aderenti nascono dalla faccia corionica e si fermano a quella basale, mentre quelli fluttuanti partono dalla corionica senza immettersi nel piatto basale.

Villi immersi nelle lacune della placenta. Fonte

Posizioni della placenta

La posizione dipende dal punto in cui si impianta l’embrione durante la “finestra d’impianto” (ottimale per un concepimento tra la 19esima e la 24esima giornata del ciclo uterino). Fisiologicamente la placenta potrà formarsi adesa alla parete posteriore o anteriore dell’utero, laterale destra o sinistra, fundica (cioè alla porzione apicale dell’utero, il fondo). Se la placenta dovesse coprire parzialmente o completamente l’orifizio uterino interno si chiamerà placenta previa. Questa si forma dopo il corpo dell’utero, all’altezza del collo di questo, ed è presente nel 3% delle gravidanze singole. Questa può indurre mortalità materna, emorragia antepartum, intrapartum o postpartum (prima, durante o dopo il parto), isterectomia e sepsi. La diagnosi viene effettuata grazie ad una ecografia transvaginale dopo la 32esima settimana di gestazione. Visivamente è riconoscibile, se la donna è sintomatica, a causa di un sanguinamento di color rosso acceso e non doloroso.

Immagine illustrativa di una Placenta previa. Fonte

A cosa serve?

Siamo abituati a vedere la madre come uno dei nostri punti di riferimento, e questo possiamo confermarlo già in “vita intrauterina”; la placenta infatti potrà:

  • mediare il passaggio di molte sostanze nutritive presenti nel sangue della madre e di fondamentale importanza energetica per il feto, come: glucosio, trigliceridi, acqua, proteine, ormoni, Sali minerali, vitamine;
  • sostituire alcuni organi che non sono momentaneamente attivi, come il polmone e i reni. Infatti, la placenta potrà favorire uno scambio di gas e quindi avvicinare l’ossigeno e allontanare l’anidride carbonica; inoltre, potrà garantire la depurazione e l’omeostasi, ovvero la tendenza dell’organismo di autoregolare l’ambiente interno nonostante le variazioni di quello esterno, solitamente data dal rene;
  • consentire la formazione di un sistema immunitario con il passaggio di anticorpi; sfortunatamente, però, a causa della stessa placenta potremmo favorire il passaggio anche di strutture dannose per il feto stesso come alcol, droga, nicotina e sostanze cancerogene (presenti nella sigaretta), virus e batteri;
  • fornire una funzione endocrina, di cui parleremo adesso.
La placenta estratta. Fonte

Funzione endocrina della placenta

Tra i vari ruoli svolti dalla placenta, uno dei più affascinanti è la regolazione ormonale che ci viene data da questo formidabile annesso. Infatti, questa sarà capace di secernere ormoni come:

  • hCG (gonadotropina corionica umana), ormone molto simile all’LH (altra gonadotropina secreta dall’ipofisi, in questo caso). Questo ormone serve per non far regredire il corpo luteo, presente a livello ovarico, il quale secernerà progesterone fino alla settima settimana circa. Inoltre, il dosaggio della hCG nel sangue serve per il test di gravidanza;
  • progesterone, secreto dalla settima settimana in poi.; questo ormone serve per evitare la fase mestruale del ciclo uterino con la quale inevitabilmente provocheremmo il rigetto della blastocisti (e del feto, in un secondo momento);
  • hPL (lattogeno placentare umano), il quale incide sul metabolismo materno; infatti, questo diminuisce la sensibilità all’insulina e, di conseguenza, favoriremo un innalzamento della glicemia e quindi garantiremo una maggior apporto energetico per il feto stesso; infine, questo ormone può indurre processi metabolici con i quali poter ottenere più precursori utili per la formazione di glucosio stesso (processi come la lipolisi, chetogenesi ecc.);
  • estrogeni, con i quali si eviterà la formazione di altri follicoli; questi ormoni sono fondamentali per garantire la fase estrogenica, prima fase del ciclo ovarico con la quale appunto si otterrà la maturazione di un follicolo secondario pre-antrale a follicolo pre-ovulatorio.

Secondamento

Questo fenomeno rappresenta l’ultima fase del parto. Circa 15-30 minuti dopo la nascita del bambino, si hanno delle contrazioni uterine fisiologiche che favoriscono l’espulsione della placenta insieme a tutti gli altri annessi embrio-fetali. Qualora il parto dovesse perdurare per più di 1 ora, il medico effettuerà una manovra manuale detta Manovra di Brandt-Andrews o ricorrerà all’utilizzo di farmaci.

Dario Gallo

 

Bibliografia:

https://www.msdmanuals.com/it-it/casa/problemi-di-salute-delle-donne/travaglio-e-parto-fisiologici/parto

https://www.my-personaltrainer.it/salute/placenta.html

https://www.nurse24.it/ostetrica/placenta-previa-anomalie-posizione-placenta.html

https://it.wikipedia.org/wiki/Secondamento

https://it.wikipedia.org/wiki/Ormone_lattogeno_placentare

https://www.my-personaltrainer.it/fisiologia/omeostasi.html

Robot in corsia: come la tecnologia aiuta la medicina

La medicina si avvicina sempre di più al suo obiettivo principale: comprendere ‘’la macchina’’ quasi perfetta qual è il corpο umano e scoprire nuovi modi per poterla riparare. Nel ventunesimo secolo, i robot aiutano medici e chirurghi a compiere tale passo. Messina è l’esempio di come si possa effettivamente arrivare dove l’uomo non può.

  1. La macchina intelligente
  2. Dove si trova?
  3. Come funziona?
  4. Dove possiamo utilizzarlo?
  5. Benefici per i pazienti
  6. Vantaggi per medici e ospedale
  7. Le parole speranzose del DG Mario Paino
  8. Tecnologia Medica
  9. Conclusioni

La macchina intelligente

L’ingegneria medica caratterizza questo campo già dalla seconda metà del ventesimo secolo, rivelando quanto fondamentale sia la sua impronta. Lo dimostra un braccio robotico, presente anche nella nostra città, il quale guida la mano del chirurgo permettendo una precisione del 98,9% negli interventi più delicati, tra cui quelli alla colonna vertebrale.  

Dove si trova?

Questo braccio robotico si trova solo in 4 città in Italia, di cui 3 al Nord Italia: Bologna, Venezia e Torino. Anche l’Azienda Ospedaliera Papardo gode di questa brillante opera ingegneristica. Messina è l’unica città a poter usufruire di questa tecnologia, la quale rende il Papardo un Centro sanitario di eccellenza del Centro-Sud Italia.

infobreast.it

Come funziona?

Il braccio robotico è una delle invenzioni tecnologiche in campo medico più fruttuosa e intelligente mai realizzato. Inoltre, semplifica enormemente interventi che per le capacità e conoscenze limitate del chirurgo sono molto complesse. Il medico segue alcuni step prima di eseguire l’intervento, tra cui l’analisi delle immagini tridimensionali ottenute dalla TAC e l’utilizzo del Gps. La macchina robotica, grazie alle immagini ottenute e alla localizzazione data dal Gps, sa con precisione millimetrica dove operare e posizionare le viti.

Dove possiamo utilizzarlo?

La patologia traumatica, così come quelle neoplastiche vengono interessate dal suo utilizzo. Queste ultime sono trattate, in particolar modo, a livello del sacro e dell’anello pelvico. Il braccio permette di trattare sfaldature dell’osso causate da traumi di una certa intensità e tumori particolarmente aggressivi. Infine, può essere d’aiuto anche nelle malattie degenerative della colonna vertebrale.

Benefici per i pazienti

Questa innovazione rende meno invasivo l’intervento. Il medico spesso deve ricorrere a tagli lunghi e cicatrici che rovinano in alcuni casi l’aspetto estetico del paziente, prolungando notevolmente l’ospedalizzazione. Il robot esegue dei tagli di qualche centimetro, senza sfigurare la pelle e permettendo un recupero veloce. Infatti, può essere dimesso entro 72h dall’intervento.

Vantaggi per medici e ospedale

Il robot costituisce lo strumento ideale per permettere ai giovani medici, soprattutto specializzandi, a familiarizzare con la chirurgia spinale. È possibile ottenere le immagini in 3D da una TAC intraoperatoria molto particolare, un’altra invenzione tecnologica di cui dispone lo stesso Papardo: O-Arm. La macchina ha delle funzioni molto simili a quelle di una TAC, ma emana minori radiazioni, evitando di sottoporre alle stesse gli operatori sanitari. Anche l’ospedale trova numerosi vantaggi, tra cui i costi ridotti. Qualora l’intervento umano non dovesse andare bene, l’ospedale viene sottoposto ad un lungo e tortuoso processo legale. Con il braccio robotico si hanno meno errori e quindi la percentuale di costi riparativi viene diminuita sensibilmente.

Le parole speranzose del DG Mario Paino

Il Direttore Sanitario dell’Azienza Ospedaliera Papardo, Mario Paino, commenta questa innovazione tecnologica:

Gli investimenti in tecnologie come queste, rappresentano l’argine migliore contro la migrazione sanitaria. Ancora troppe persone del Centro-Sud Italia, ogni giorno, salgono su treni ed aerei diretti al Nord per andare a curarsi. Noi invece, pensiamo che trattamenti sicuri e di qualità siano un diritto per tutti e in tutto il Paese. Il Papardo rafforza la propria vocazione all’eccellenza. Personale medico-sanitario altamente formato assieme alle tecnologie mondiali più innovative sono la formula per garantire le cure migliori ai pazienti”.

Tecnologia Medica

Le innovazioni tecnologiche non interessano il solo campo chirurgico. Anche durante la pandemia da COVID-19, i supporti robotici sono stati fondamentali per fornire assistenza a medici e pazienti. Ad esempio, i robot hanno aiutato a pulire e mantenere sterili le stanze, riducendo così la possibilità di entrare a contatto con agenti patogeni. I robot possono aiutare anche nello spostamento di letti, diminuendo notevolmente gli sforzi richiesti dal personale sanitario. Esistono, inoltre, tecnologie disposte di una particolare telecamera: il medico la sfrutta per poter vedere all’interno del corpo del paziente. I macchinari robotici possono anche sostituire parti del corpo.

smartworld.it

Conclusioni

I riscontri positivi vengono confermati anche dai trenta mila interventi eseguiti fino ad ora su scala mondiale, i quali risultati sottolineano l’importanza degli avanzamenti tecnologici in campo medico. L’avvento della Tecnologia e delle Biotecnologie, ci ha consentito di rivoluzionare il mondo medico, permettendo di staccarci dalla medicina classica così come noi la conosciamo.

Con la tecnica gli uomini possono ottenere da sè quello che un tempo chiedevano agli dei. Umberto Galimberti

 Dario Gallo

Per approfondire:

Robotica nel settore sanitario: il futuro dell’assistenza medica –… (intel.it)

Chirurgia vertebrale, al Papardo un sistema robotico rivoluzionario (insanitas.it)

Il braccio robotico del DARPA controllato con il pensiero (video) | SmartWorld

Paralizzati: tornano a camminare grazie ad elettrodi nel midollo spinale

La scienza vince nuovamente: dall’impresa di Barnard all’affascinante xenotrapianto

La scienza con i suoi passi da gigante, ci apre la vista a nuove frontiere. Dal 1967 ad oggi abbiamo assistito, grazie all’intraprendenza ed alla passione degli specialisti, ad un susseguirsi di eventi che hanno portato nel 2021 al primo trapianto di rene da maiale ad uomo e il 7 gennaio 2022 al primo xenotrapianto di cuore.

  1. Cenni storici: Christiaan Barnard
  2. Fu eticamente accettabile?
  3. Conseguenze dell’intervento
  4. Il primo xenotrapianto di cuore
  5. Ostacoli
  6. Intervento della Bioetica
  7. Cosa è successo al paziente dopo l’intervento chirurgico?
  8. Conclusioni 

Cenni storici: Christiaan Barnard

Il 3 Dicembre 1967 è una data che ancora oggi viene ricordata ed ampiamente discussa a seguito di un miracoloso intervento chirurgico, reso possibile da un coraggioso medico sudafricano: Christiaan Barnard.  Egli è stato ricordato da colleghi e collaboratori come medico tecnicamente superiore a molti altri, saccente e pronto a sapere la verità, senza porsi alcuno scrupolo. Il trapianto ha riscosso innumerevoli lodi internazionali, ma non mancarono le critiche.

Fu eticamente accettabile?

Barnard eseguì l’operazione segretamente, utilizzando il cuore di una giovane ragazza in coma irreversibile dopo un incidente d’auto. Circa 5 ore dopo dal suo arrivo in ospedale, chiamò il direttore dell’ospedale, il Groote-Schuur di Città del Capo, per comunicargli l’esito positivo dell’intervento chirurgico. Barnard non fu considerato un omicida, nonostante avesse trapiantato il cuore ancora battente di una ragazza in uno stato particolare, definito “Coma depassè”. Mollaret e Goulon nel 1959 coniarono questo termine per poter parlare di “morte cerebrale”, con il quale si identificano in chiave insiemistica tutte quelle persone che, nonostante le loro gravi condizioni, sono tecnicamente vive per molti medici e critici della Bioetica. A lungo sono stati discussi quali fossero i termini entro i quali poter definire una persona deceduta, fino ad arrivare alla conclusione, accettata quasi a livello internazionale, che la morte sopraggiunge con la cessazione irreversibile delle normali funzioni cardiache.

Conseguenze dell’intervento

Dopo l’operazione del medico sudafricano, molti chirurghi si cimentarono nei trapianti d’organo fino a toccare lo “xenotrapianto”, ovvero l’intervento chirurgico eseguito utilizzando organi o tessuti di una specie diversa dalla nostra, e la società promosse quest’idea della donazione di organi. Si arrivò ad una sorta di regolamentazione bioetica solo nel 1968 con l’Harvard Medical School, il quale promosse una serie di linee guida accettate, quasi a livello internazionale, per permettere tali interventi.

https://lindro.it

Il primo xenotrapianto di cuore

7 Gennaio 2022. Ricorderemo anche questa data per molto tempo, poiché per la prima volta nella storia della medicina il chirurgo Bartley Griffith, insieme alla sua equipe medica all’ospedale dell’Università del Maryland negli USA, ha effettuato uno xenotrapianto a dir poco sensazionale, permettendo al 57enne David Bennett di ricevere il cuore di un maiale geneticamente modificato. In passato altri medici hanno provato un intervento simile con un cuore di babbuino, ma il paziente morì dopo appena 21 giorni. Nonostante la pericolosità della complessa operazione chirurgica, la Food And Drug Administration ha dato il concesso per poter effettuare l’intervento dopo aver ottenuto il concesso informato del 57enne. L’uomo era costretto a dover combattere tra vita e morte con pochissime possibilità di farcela senza la mano medica e, per questo motivo, avava deciso di sottoporsi comunque allo xenotrapianto.

Ostacoli

Sorgevano quattro grandi avversità: la possibilità che dopo l’intervento il cuore potesse continuare a crescere progressivamente e far contrarre numerose infezioni virali, il complicato adattamento dell’organo nella cavità toracica e, soprattutto, l’alta probabilità di rigetto dell’organo da parte del suo organismo.
La manipolazione genetica e la farmacologia hanno permesso di superare brillantemente questi problemi: l’azienda Biotech Revivicor di Blacksburg ha fornito il cuore ed è stato utilizzato un farmaco sperimentale. In questo modo, l’equipe medica ha potuto risolvere tutte le difficoltà.

Intervento della Bioetica

L’intervento fu un gran successo ed ha riscosso numerosi apprezzamenti, poiché potrebbe ufficialmente iniziare una nuova era medica, quella degli xenotrapianti. Tale operazione, però, ha smosso le acque della sfera Bioetica: sfruttare gli animali per poter ricavare componenti anatomici vorrebbe dire privarli di un qualsiasi status morale, andando a sottolineare la diversità di specie. In questo modo, il ventunesimo secolo sarebbe nuovamente caratterizzato dall’antropocentrismo. Promuovendo questo nuovo espediente, il numero di allevamenti di animali crescerebbe esponenzialmente sino ad arrivare ad uno sfruttamento più totale degli stessi; lo specismo renderebbe l’uomo caput mundi un’ulteriore volta.

Cosa è successo al paziente dopo l’intervento chirurgico?

Il coraggioso paziente, dopo quasi 2 mesi dall’intervento, ha avuto rapidi peggioramenti fino a morire l’8 Marzo. Le cause della sua morte sono ancora da scoprire: probabilmente le sue condizioni avverse hanno contribuito alla cessazione delle funzioni cardiache. Nonostante ciò, il suo ammirevole sforzo consentirà al mondo scientifico di poter trovare nuovamente una soluzione anche a questo ostacolo.

https://www.today.it

Conclusioni

In media, un paziente deve attendere circa 3 anni e 8 mesi per poter ricevere l’organo cardiaco. Se utilizzassimo organi e tessuti di specie diverse dalla nostra, potremo ridurre sensibilmente la lunga lista d’attesa o, in futuro, eliminarla quasi del tutto.
L’intervento chirurgico di Barnard e quello di Griffith hanno rivoluzionato il campo medico, permettendo alla scienza di compiere dei grandi passi in avanti. Il gesto del 57enne Bennett è stato lodevole. Era un uomo forte e coraggioso, pronto a sfidare la morte e a combatterla con ogni arma a sua disposizione, ma dalla sua parte aveva quella più forte: la scienza.

Dario Gallo

Per approfondire:

 

 

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