La Medicina di un tempo al Museo “Dott. Ottavio Badessa” territori da scoprire..

Fonte:©FilippoCeli, Museo di storia della medicina “Dr. Badessa”

Non operare mai per operare ma con la ben fondata giustificata speranza di poter giovare” così vi è scritto innanzi all’entrata di una sala operatoria del Policlinico Universitario Messinese, frase e massima a lui attribuita, fu del Bassini.

Bassini nel 1882 era il direttore della cattedra di patologia chirurgica presso l’Università di Padova e, successivamente, nel 1888 diviene direttore di quella di clinica chirurgica; cattedra che mantenne sino al 1919 e che gli portò tanti successi professionali. Bassini fu anche senatore del Regno d’Italia.

Una frase, logica ed esternata con il cuore, che colpisce i quanti ogni giorno, professionisti sanitari e utenza, solcano la linea di demarcazione tra le aspettative, le ansie e le paure di chi opera e di chi concorre al fregiarsi nell’essere “operato”. Un segno di quei medici che come molti dell’oggi, ancora danno valore al paziente in quanto essere umano e proprio simile, con la stessa umiltà che proprio dal Bassini arriva ai nostri medici nella quotidianità del presente sanitario. Eccoci a Messina, nella sua provincia più prossima, quella che oggi, sotto la guida e ottica della città metropolitana si appresta a diventare forcina di cultura e base operativa di crescita socioculturale, eccoci quindi a Villafranca Tirrena, comune della costa nord orientale tirrenica messinese, la Villafranca che da sempre e con orgoglio nutre nella cultura valori e sentimenti di pregio, terra natia di molteplici saggi e uomini di storia, storia di qualsiasi settore. Anche sanitario ed è qui che esiste qualcosa che ci riguarda da vicino, riguarda il corpo studentesco di medicina e chirurgia ma anche il dipartimento di medicina clinica e sperimentale in seno questi entrambi all’ateneo Peloritano.

Fonte: ©FilippoCeli, Museo di storia della medicina “Dr. Badessa”

Qualcuno diceva un tempo che “la funzione di un museo dovrebbe essere non quella di mostrarci delle cose, ma di permettere di vedere in noi stessi attraverso le cose, di misurarci in relazione agli oggetti esposti”.. ebbene è proprio quello che abbiamo fatto durante la nostra visita presso il Museo della Medicina di questa meravigliosa località in provincia.

Questo museo è dedicato alla memoria del Dottor Ottavio Badessa. Nato nel 1898 a Bauso, l’odierna Villafranca Tirrena, si laurea in Medicina a Napoli per poi frequentare la Clinica Ostetrica dell’Università di Messina ed essere, per circa trent’anni, medico condotto di Villafranca Tirrena. Professionista stimato e conosciuto, svolse la sua opera con tecnica e competenza molto avanzata per il tempo e l’ambiente in cui operava, rivelando sempre un’attenzione straordinaria per l’aspetto umano e le condizioni di vita di ciascun paziente. Lo ricordano ancora mentre si reca in visita agli ammalati spostandosi instancabilmente con il suo calesse che, proprio per questo, è stato scelto come simbolo del museo.”

Fonte: ©FilippoCeli, Museo di storia della medicina “Dr. Badessa”

Ad accoglierci i ragazzi del Servizio Civile UNPLI Pro Loco d’Italia (la sede della pro loco locale è all’interno del Palazzo museale) che lungimiranti nella spiegazione minuziosa di tutti gli strumenti al suo interno custoditi ci hanno spiegato che tutti gli oggetti esposti provengono dalla collezione privata del figlio, Dottor Paolo Badessa, già primario di ruolo di Anestesia e Rianimazione negli ospedali di Solleftea (Svezia), Niscemi (Caltanissetta) e Patti (Messina). Ancora durante la visita, i volontari SCU ci raccontavano che nel museo sono esposti numerosi strumenti medicali, perfettamente funzionanti, di ogni genere e specialità, raccolti con passione per oltre quarant’anni in molti paesi occidentali. E ancora che in memoria dell’opera di medico svolta dal padre, Dottor Ottavio Badessa, la collezione è stata donata alla città di Villafranca Tirrena perché fosse esposta in un museo aperto a tutti a beneficio della cittadinanza, dei visitatori e degli appassionati.

Il museo a Villafranca Tirrena si trova in via Rovere ed è il Museo della Medicina o chiamato Museo Badessa, aperto nel 2004 e ospitato all’interno di un palazzo in stile liberty.
Esso contiene duecento reperti risalenti al periodo compreso tra il settecento ed il 1940, la rarità e l’unicità delle collezioni rende il luogo di grande prestigio ed alto valore scientifico.
Spesso, alcuni degli strumenti contenuti, sono talmente fragili o deperibili che vengono conservati con la massima cura e attenzione, tra questi l’estrattore di calcoli vescicali costruito con crini di cavallo, per via delle sue caratteristiche oggi è possibile rinvenirne solo al Museo del Royal College of Surgeons, ed in questo di Villafranca.
Altro utensile deteriorabile è il pallone respiratore delle maschere di Ombredanne realizzato con le vesciche essiccate di maiale; nel museo della Medicina è possibile ritrovarne ben quattro esemplari.

Fonte: ©FilippoCeli, Museo di storia della medicina “Dr. Badessa”

Quanto è bello questo luogo, non è descrivibile se non andando a vederlo personalmente, specie per gli addetti ai lavori ma anche per i più curiosi della scoperta, quella scoperta genuina figlia della semplicità dell’uomo, nostalgia di un tempo ormai andato, della società antica e di ciò che furono gli attrezzi con i quali i nostri nonni, i nostri avi si curavano e cercavano di migliorarsi per migliorare, le proprie aspettative di vita e le proprie conoscenze, le stesse che oggi noi, su queste basi, ci soffermiamo umilmente alla conoscenza del curare per essere a nostra volta curati.

Cultura e sanità, un connubio imprescindibile, un intento di forze nella fede, questa scientifica.

“Ci sono infermieri che ti curano, altri, che si prendono cura di te, come alcuni medici vivono la professione per procurarsi il rispetto dei malati, altri rispettano i malati e vivono come uomini.”

Il Dott. Badessa era uno di questi.

Fonte: ©FilippoCeli, Museo di storia della medicina “Dr. Badessa”

                                                                                                                                                           Filippo Celi

Omeopatia: tra scienza e menzogna

La diagnosi di tumore è sempre una tragedia che sconvolge la quotidianità di un soggetto e di tutti coloro che gli stanno intorno, cambiando la prospettiva sulla vita e sul mondo.
È una malattia sociale, per così dire, che può condurre la persona in un profondo stato di prostrazione mentale e spingerla alla ricerca di medicine alternative che possano in qualche modo smentire o sovvertire la sentenza del medico curante.
Tra coloro che in buona fede si elevano ad araldi delle parascienze, c’è anche chi lucra sulla sofferenza dei disperati.
A svettare sulle pratiche non convenzionali troviamo la chiacchieratissima omeopatia, che da anni rimbalza da giornali a salotti televisivi, spaccando l’opinione pubblica in due fazioni agguerrite.
Ma cos’è esattamente?

Un po’ di storia

È un metodo basato sul principio per cui il rimedio a una malattia è la sostanza, diluita e agitata, che in una persona sana dia gli stessi sintomi della malattia in questione.
Hahnemann, il medico che teorizzò l’omeopatia, affermava che per curare la malaria servisse una pianta che se assunta provocava sintomi simili, ma senza febbre.
Caso volle che quella pianta fosse la Cinchona succirubra, da cui si estrae il chinino.
A quei tempi era l’unico rimedio a tale patologia, quindi effettivamente i pazienti guarivano, e l’uomo ritenne di aver compiuto una scoperta eccezionale.


Ad oggi nessuno è riuscito a dimostrare l’applicabilità degli studi di Hahnemann, tuttavia sono ancora molti coloro che voltano le spalle alla scienza, in una cieca adorazione dei vari “guru” che promettono cure miracolose.

Cosa dicono i dati?

Tra i tanti studi effettuati, in uno del 2007 vennero arruolati due gruppi di pazienti oncologici (tra essi il più simili possibile dal punto di vista della malattia per evitare di incorrere in errori), al fine di verificare se ci fosse o meno una correlazione tra l’omeopatia e il miglioramento della qualità della vita dei soggetti.
Un gruppo ricevette la terapia convenzionale, l’altro il trattamento omeopatico unito o meno a terapia convenzionale.
Alcuni pazienti in trattamento omeopatico rifiutarono la terapia convenzionale.
E’ da notare che coloro che si rivolgono all’omeopatia sono di solito più giovani e con uno stadio della malattia più avanzata e che hanno terminato i cicli di radio e chemioterapia.
L’obiettivo principale della ricerca era il miglioramento della qualità della vita dopo un anno, mentre gli obiettivi secondari erano la diminuzione dell’astenia, della depressione e l’aumento della soddisfazione del paziente.
Alla fine, lo studio riportò che i soggetti che avevano assunto il supplemento omeopatico mostravano un miglioramento della qualità della vita rispetto al gruppo di controllo, una diminuzione dell’astenia, ma nessuna variazione sulla progressione della malattia.

L’effetto placebo

Il funzionamento dell’omeopatia potrebbe essere spiegato con il ben noto effetto placebo.
Si tratta di un meccanismo per cui un soggetto che assume una molecola non attiva, migliora grazie al rilascio di sostanze endogene che agiscono sul sistema nervoso.
Importante per la buona riuscita di questa procedura è che il paziente sia convinto di assumere una medicina e soprattutto che l’operatore che la sta somministrando sia capace di infondere un totale senso di fiducia.
Ed è su questo che molti giocano la propria partita, spacciando come efficaci dei preparati così diluiti da non poter avere ormai alcun impatto sulla salute del soggetto.
I risultati ottenuti sull’omeopatia sono molto simili in tutti gli studi condotti fino a ora; ciò induce a pensare che non ci sia alcuna utilità terapeutica in queste molecole, ma soltanto un blando e momentaneo beneficio psicologico.
Il problema è, forse, che non sono state messe in atto adeguate campagne di informazione su larga scala al fine di istruire il pubblico e aiutarlo a riconoscere eventuali truffe o inganni, celati dietro la falsa promessa di rivelare segreti, che la medicina tradizionale non vorrebbe elargire.

Maria Elisa Nasso

DEBUNKING – Tutto sull’agopuntura: qual è la verità?

L’agopuntura si basa sul presupposto che ogni malattia sarebbe originata dallo squilibrio di presunte energie del nostro organismo. Per riportare l’equilibrio e guarire serve agire su particolari zone situate lungo il corpo, i cosiddetti “punti di agopuntura”. Questi, anatomicamente inesistenti, sono situati su linee ben precise chiamate “meridiani”. Stimolando questi punti con degli aghi molto sottili, queste energie ritrovano il loro bilanciamento. Ogni meridiano corrisponde, connettendosi ad esso, ad uno zang fu, un “organo“, e ne condiziona le funzioni. Può sembrare superfluo, ma non lo è, puntualizzare il fatto che i meridiani siano linee immaginarie: non esistono anatomicamente, non sono vasi, fasci, nervi, non sono visibili né misurabili (insomma, ci siamo capiti).

Secondo la teoria della tradizione medica cinese l’agopuntura funziona normalizzando il “flusso” del Qi (si pronuncia “chi“), cioè l’energia vitale del corpo.

Agli albori l’agopuntura consisteva nell’incisione di ascessi, in modo da farli drenare, con punteruoli piuttosto grossi rispetto agli aghi che si utilizzano oggi. E’ una metodica tutt’altro che “ancestrale”, basti pensare che l’agopuntura auricolare è nata in Francia nel dopoguerra e che il termine “meridiani” è stato inventato sempre da un francese pochi decenni fa.

Si ritiene che l’agopuntura fu diffusa in Cina soprattutto durante la dittatura del leader Mao Tse-tung in sostituzione della troppo costosa medicina occidentale.

Oggi l’agopuntura è diventata una moda, alquanto costosa dalle nostre parti, e viene utilizzata principalmente nella cura dei problemi dolorosi, come quelli articolari, muscolari, mestruali od ossei. I pazienti riferiscono spesso un miglioramento della sintomatologia.

E’ stato infatti riequilibrato il “chi” del meridiano…ovviamente no!

Esistono diversi studi che hanno misurato gli effetti degli aghi conficcati nella pelle in diverse situazioni. Il risultato è abbastanza scontato: è un placebo. Addirittura si è visto che i trattamenti con agopuntura funzionano meglio nei pazienti che credono nelle sue potenzialità piuttosto che negli scettici. E ancora lo stesso miglioramento è riscontrabile sia con agopuntura vera sia con lo sham, cioè l’agopuntura con aghi retrattili che sembrano infliggersi ma che in realtà non scalfiscono affatto la pelle.

Nel 1990, un’importante organizzazione medica statunitense no-profit, che si occupa di frodi in campo sanitario e che è nota con l’acronimo NCAHF (National Council Against Health Fraud), ha dichiarato:

“Le ricerche durante gli ultimi vent’anni hanno fallito nel dimostrare che l’agopuntura sia efficace contro qualunque malattia…gli effetti percepiti con l’agopuntura sono probabilmente causati da una combinazione di aspettative, suggestione, revulsione, condizionamento e altri meccanismi psicologici”

Da queste parole, la posizione della NCAHF è abbastanza chiara: il benessere che l’agopuntura produce non è reale, ma è dovuto al cosiddetto effetto placebo.

Nonostante la mancanza di prove scientifiche a sostegno dell’efficacia terapeutica dell’agopuntura, il dibattito sulla validità di quest’ultima continua, tanto da essere sperimentata anche da alcuni veterinari su alcuni animali domestici.

Agopuntura su animali domestici, pratica frequente nel Regno Unito

E’ stato dimostrato che un trattamento con agopuntura, come tutti quegli altri eventi che causano dolore (un pugno, una caduta, sbattere il dito del piede contro il comodino) attiva delle risposte del tutto fisiologiche quali:

  • Rilascio di endorfine: sostanze simil-anestetiche rilasciate dall’organismo. In ogni caso esistono metodi molto più semplici e non invasivi per causare rilascio di endorfine (per esempio i massaggi).
  • Rilascio di adenosina: un “trauma” cutaneo (come l’infissione di aghi) stimolerebbe il rilascio di adenosina, una molecola che controlla il dolore a livello cerebrale. In questo modo l’agopuntura diventerebbe blandamente efficace per migliorare alcune patologie dolorose.
  • Distrazione: L’attenzione può essere spostata da un sintomo, stimolando o irritando un altro punto del corpo.
  • Meccanismi psicologici: Includono suggestione, condizionamento dell’operatore ed altri meccanismi psicologici, ognuno dei quali può essere coinvolto nell’effetto placebo.

Dunque? L’agopuntura quindi cura o no?

A quanto pare cura quanto un placebo. E’ bene utilizzarla? Se fa stare meglio sì. Non c’è motivo per evitare una pratica inoffensiva (se fatta con procedimenti sicuri) che dona un certo benessere. Se l’agopuntura ha mostrato di funzionare in qualche modo, si guarda soprattutto alle terapie del dolore, delle patologie di tipo ortopedico-muscolare ed a quelle di tipo psicologico (ansia, depressione).

Anche l’agopuntura, come l’omeopatia, è una pratica permessa dalla legge e che può essere eseguita solo da laureati in Medicina abilitati alla professione. Questo apparente controsenso ha in realtà una sua logica: sfruttare l’effetto placebo in tutte quelle malattie che non hanno bisogno di vere cure. Certi stati ansiosi, alcune forme di disturbi intestinali, determinati tipi di mal di testa o dermatiti non hanno una base “fisica” ma psicologica, e sottoporsi a pratiche che sembrano potenti e curative può risolvere una certa percentuale di casi, evitando l’uso di alcuni farmaci che potrebbero risultare inefficaci.

Tuttavia gli agopunturisti sostengono vi sia l’intervento di un riflesso parasimpatico a spiegare l’effetto anti-infiammatorio della pratica. Abbiamo deciso di affrontare questo aspetto in un secondo articolo nei prossimi giorni.

Antonio Nuccio

Dieta mima digiuno per 3 mesi: perdi chili e ringiovanisci le cellule

Studi inediti confermano l’efficacia della dieta mima digiuno, da seguire per 5 giorni e per soli 3 mesi.

La dieta mima digiuno aiuta ad abbassare la pressione, tenere sotto controllo la glicemia e dimagrire, in totale armonia col prorpio corpo.

A svelarlo la nuova ricerca bio-medica che mette in luce, ancora una volta, i benefici di questo regime alimentare basato sul digiuno assennato.

Sviluppata dallo scienziato Valter Longo questa dieta è considerata rivoluzionaria, agisce non solo sulla perdita di peso, ma anche sulla salute di chi la segue.

Un recente studio realizzato dalla University of Southern California, ha dimostrato che bastano tre mesi di dieta mima digiuno per conseguire ottimi risultati.

5 giorni al mese in cui si segue questo regime alimentare, bastano per avere una riduzione della massa grassa addominale e una perdita di peso consistente.

Le analisi hanno dimostrato che la dieta mima digiuno porta anche un abbassamento della pressione arteriosa e della glicemia, aiutando a tenere sotto controllo i trigliceridi, la proteina C reattiva, che causa infiammazioni, e il fattore insulino-simile, che è responsabile dell’invecchiamento cellulare.

“I dati ottenuti su biomarker e fattori di rischio associati a invecchiamento, cancro, diabete e malattie cardiovascolari, unitamente all’elevata compliance alla dieta e alla sua sicurezza di utilizzo – hanno spiegato i ricercatori – indicano che la Dieta Mima Digiuno possa rappresentare una strategia alimentare ad alto potenziale di efficacia nella promozione della salute umana”.

Basta dunque meno di una settimana della dieta mima “Longo” per ritornare in forma e migliorare la propria salute.

Nello specifico si tratta di un regime alimentare con pochissime calorie, basso contenuto di proteine e zuccheri semplici.

Si consumano soprattutto alimenti a base vegetale, senza lattosio o glutine, come zuppe, tisane, snack, barrette, minestre, integratori o tè.

Lo scopo di questi cibi è “ingannare” l’organismo, che si comporta come se si trovasse in una situazione di digiuno, attivando particolari meccanismi reattivi.

Questo comporta una perdita di peso, ma anche una rigenerazione e protezione dell’organismo.

Mediamente, in 3 mesi si possono perdere sino a 2 kg e mezzo, con una diminuzione considerevole della circonferenza addominale.

Un passo avanti rivoluzionario nella tematica che lega, ancora una volta, l’alimentazione al benessere ed al bio-equilibrio.

                                                                                                                                             Antonio Mulone

Seminario “Psicologia e Psicopatologia della felicità”

L’insegnamento di Psicologia Clinica e di Psicoterapia  del prof. Salvatore Settineri  proporrà  un seminario  aperto su “Psicologia e psicopatologia della felicità”. L’evento  si terrà nell’ Aula Magna Torre Biologica Policlinico Universitario Messina il 23 marzo 2019 dalle ore 8,30 alle 12,30, in occasione della giornata internazionale della felicità e della giornata della pace interiore.

La conquista della felicità che in molte Costituzioni è un diritto, un progetto ed un fine dell’umanità, pone problemi di carattere psicologico in quanto rapporto tra soggetto e oggetto nella relazione che la genera.

In clinica, la malattia, il disagio, il disadattamento possono creare un ostacolo oggettivo al raggiungimento e al mantenimento dello stato d’animo. La riflessione sulla felicità è allora promozione di salute come insegnano molte discipline da punti di vista diversi inoltre uno stato d’animo felice negli ambienti lavorativi ha mostrato come la presenza di questo sentimento migliora il rendimento ed il benessere dei lavoratori per cui è necessaria una formazione interdisciplinare.

Interverrano:  P. F. Scalia o.j., Prof. V. Cicero, Dott. F. Frisone, Prof. S. Settineri . E’ previsto un intervento preordinato di Radio UniversoMe.

L’organizzazione  è curata  dal Dott E. M. Merlo. (Journal Menager di MJCP).

La giornata del rene spiegata dal professor Domenico Santoro

17 marzo 2019. Messina. Piazza Cairoli.  La Scuola di Nefrologia dell’Università di Messina dalle ore 9:00 alle 17:00, con un gruppo di medici, coordinati dal professor Domenico Santoro, professore associato di Nefrologia nonché dirigente medico dell’UOC Nefrologia e Dialisi presso il Policlinico universitario, per offrire alla città informazioni gratuite e screening sulla funzione dei propri reni, in occasione, appunto, della Giornata mondiale del rene 2019.

Il professore Santoro, per primo, ci ha fornito alcuni dettagli di approfondimento in merito all’evento attraverso un alternarsi di domande e risposte:

Professor Santoro, come mai oggi ci troviamo qui, in piazza?

“Come ogni anno, dal 2008, si dedica una giornata al rene, che prende il nome di giornata mondiale del rene, GMR, e ogni anno propone un tema diverso.  Il tema del 2019 è: “Salute per i Reni per ciascuno ed ovunque – Kidney Health for Everyone Everywhere”. Si dedica questa giornata perché le malattie renali sono più comuni di quello che si pensi, e in generale, colpiscono l’8/10% della popolazione. Nel sito internazionale della GMR ci sono numeri interessanti, che dovrebbero far allertare la popolazione, infatti, 825 milioni di persone in tutto il mondo soffrono di insufficienza renale cronica. Se noi facessimo un confronto con diabete, malattia molto più conosciuta, ci renderemmo conto che colpisce molte meno persone, solo 380 milioni, ma ha comunque un eco maggiore tra la popolazione. L’insufficienza renale è una malattia con una mortalità abbastanza importante, basti pensare, che ogni anno muoiono 2,4 milioni di persone di insufficienza renale cronica. Poi è presente la forma acuta della malattia (IRA): 13 milioni di persone al mondo, ne soffrono. Con una mortalità molto più alta: il 13%. L’85% dei pazienti con questa malattia proviene dai paesi poveri, ergo, con più difficoltà all’accesso all’acqua, poiché i reni funzionano se si ha un determinato apporto idrico. Anche le classi sociali meno abbienti presentano percentuali più alta di rischio di contrarre tale patologia. Il tutto si riallaccia al tema di quest’anno “disuguaglianza in sanità”. L’allerta che noi vogliamo dare è soprattutto di cercare di portare la salute dei reni per ciascuno e ovunque come cita il nostro motto Kidney Health for Everyone Everywhere.”

Cosa fate in piazza per l’esattezza?

“Facciamo dei controlli gratuiti, accessibili a tutti. Per controllare se si è affetti da malattie renali basta veramente poco: controllare la pressione arteriosa, un esame delle urine, la misurazione delle creatinina e un’ecografia ai reni. Per fare uno screening sulle malattie renali ci vuole un attimo. Ricordo che l’8-10% ne soffre. Penso che sia davvero importante farlo annualmente.”

Ha qualche appello da fare?

“Sì. Si dice che la sanità dev’essere uguale per tutti, ma questo non è così. Soprattutto al sud. Ed è un problema. Non qualitativo, il problema non è un’incapacità della classe medica del meridione, ma la questione è di tipo politico nazionale. Un settore che risulta molto carente nel nostro territorio è quello dei trapianti di reni. Il trapianto renale costituisce la migliore arma che abbiamo quando la funzione renale tende a spegnersi e costituisce sicuramente la più valida alternativa alla dialisi. E mentre siamo in grado di affrontare ogni sfida nel nostro territorio per cercare di salvare la salute dei reni quando arriva il momento della terapia sostitutiva, per ottenere un trapianto siamo costretti nuovamente a viaggi della speranza. L’attività dei trapianti si presenta fortemente disomogenea sul territorio nazionale. Esiste una forte differenza territoriale nella attività di donazione che genera profondi divari regionali.“

Oggi qui con voi c’è il sism?

“Sì. Oggi, qui con noi, c’è il Sism. Roberta Minasi, presidentessa del Sism, ci accompagna da alcuni anni insieme al gruppo della Nefrologia. Presente anche la fondazione del rene policistico. Ed il rappresentante della fondazione è qui con noi.”

Le ultime, preziose, informazioni ce le da Roberta Minasi, presidentessa del Sism Messina che si ricollega con il discorso del Dottor D. Santoro ponendo nuovamente l’accento sulle disuguaglianze sociali:

“Oggi di sente tanto parlare di “disuguaglianza in salute”, Lo stato di salute di un individuo o di una popolazione è determinato da molteplici fattori strettamente correlati tra loro, quali istruzione, assistenza sanitaria, reddito, occupazione, tipologia dell’abitazione, situazione familiare, stili di vita. È come se il posto occupato da ciascuno di noi in relazione a tutti gli altri sia rilevante…chi si trova sopra di noi nella scala sociale gode di una salute migliore, chi sta sotto soffre di condizioni peggiori. Avere uguaglianza nell’accessibilità alle cure significa ridurre le disparità dei tenori di vita dei membri della società. Attraverso dunque questa attività di prevenzione “primaria” in piazza, chiunque può avere la possibilità di ricevere informazioni, consigli, chiedere un parere ad un professionista… In fondo, la “mission” che ci proponiamo è proprio questa: Affrontare tematiche di salute in maniera semplice, con linguaggio comune cercando di superare o abbattere totalmente il muro del timore e del disagio che tanto spesso si rileva come altro ostacolo per le proprie cure: l’instaurazione di una proficua relazione tra individuo e professionista sanitario.”

Gabriella Parasiliti Collazzo

 

Il Policlinico di Messina si tinge di Lilla!

Venerdì 15 marzo 2019. Policlinico di Messina. Aula Magna. Padiglione F. Ore 15.00. In occasione della Giornata del Fiocchetto Lilla si è tenuto un congresso sui disturbi alimentari. L’importante evento è stato organizzato dall’ U.O. Disturbi Alimentari Asp di Messina, in collaborazione con il Sism (Segretariato Italiano Studenti Medicina) finalizzato ad informare e sensibilizzare il territorio su tutte le sfaccettature legate alla diffusione delle problematiche psicologiche che concernono il rapporto tra gli individui e il cibo.

La dottoressa Teresa Tricomi, Psicologo-Psicoterapeuta del Centro semiresidenziale il Cerchio d’Oro, ci spiega come e da chi è nata l’idea per la realizzazione di una struttura di tale portata:

Il Cerchio d’oro (Dipartimento salute mentale – Messina) è nato nel 2004 a Messina come progetto sperimentale e nel 2007 è diventato un’unità operativa ambulatoriale. Opera per la diagnosi, la cura e la gestione integrata dei Disturbi del Comportamento Climentare (Dca), offrendo un livello di assistenza di tipo ambulatoriale e, dal 2011, grazie alla vincita di un finanziamento regionale, è diventato un centro semiresidenziale. La struttura è coordinata dalla dottoressa Rossana Mangiapane, dirigente medico e psichiatra: è da lei che è nato tutto, da una sua idea. L’equipe presente è formata da circa 10 figure specializzate suddivise così: un medico psichiatra, un nutrizionista, due psicologi, tre tecnici della riabilitazione psichiatrica, due dietisti e un infermiere professionale. Insieme collaboriamo alla diagnosi e alla stesura dei trattamenti individuali specifici per ciascun paziente e per ciascun disturbo. Le terapie comprendono la riabilitazione nutrizionale progressiva, i pasti assistiti, la psicoterapia individuale e di gruppo, le visite mediche e psichiatriche, i gruppi per i familiari, le attività riabilitative, espressive e occupazionali. L’accesso alla nostra struttura è libero e si può effettuare tramite prenotazione telefonica. Attualmente ospitiamo circa 290 pazienti.

Roberta Minasi, presidentessa del Sism Messina, ci spiega su cosa verte l’intero congresso, quale e perché la scelta del tema principale:

Il fiocchetto lilla ha origine in America e rappresenta da più di 30 anni la lotta contro i disturbi del comportamento alimentare. Come ogni anno, abbiamo deciso di celebrare questa giornata tematica nazionale, ma quest’anno un’attenzione particolare verrà rivolta al mondo dei social. Perché questa scelta? I disturbi alimentari, sono considerati una vera e propria epidemia sociale. Internet è sicuramente un grande dono che offre infinite opportunità, ma, oggi della medaglia del “social” vorremmo anche mostrare l’altra faccia, quella “negativa”. Attraverso i social si può accedere a qualsiasi contenuto, ci si può connettere con chiunque. È così che “Questa malattia” si può “trasmettere” da una pagina all’altra dei social più importanti a livello mondiale, da una foto all’altra, da un hashtag all’altro. È come se a rappresentare una nuova scala dei valori, i social suggerissero: “Dieta-fitness-stile di vita sano-perfezione”. È chiaro che ormai i contenuti mediali possano veicolare e stimolare comportamenti rischiosi caratteristici dei disturbi alimentari. Per farvi un esempio pratico cito la DIETA BLUE JEANS che implica l’assunzione massima di 300 kilocalorie al giorno: è un gruppo chiuso di Facebook, dove ci si scambia consigli per raggiungere la fantomatica “perfezione”.”

Durante il convegno, oltre alle varie esposizioni dei relatori presenti, sono state lette delle testimonianze di persone affette da Dca, e sono stati proposti due laboratori interattivi: “La connessione” e “Lettura attenta”. Sono state selezionate 12 persone volontarie dal pubblico, di entrambi i sessi, che si sono sottoposte ad esperimenti sociali aventi il fine comune di dimostrare come oggigiorno non siamo più abituati ad osservare. Siamo poco attenti e non ci accorgiamo di ciò che ci succede intorno. Troppo spesso viviamo con la testa china sul telefono in uno stato di coma perenne. In questo clima diventa impossibile salvare chi ci sta intorno. Spesso, ai nostri occhi, il problema è invisibile, in quanto non ce ne accorgiamo. Ed è per questo che il dottor Giuseppe Rao, in accordo con la dottoressa Rossana Mangiapane, suggeriscono di fare rete. Rete intesa nel senso più totale del termine.

Gabriella Parasiliti Collazzo

Giornata Internazionale del Sonno: “Dormire sano per invecchiare bene”

Un buon sonno previene l’invecchiamento patologico, il declino cognitivo e la morbilità cardio-cerebrovascolare.
Inoltre, dormire bene concorre ad evitare ipertensione arteriosa, intolleranza agli idrati di carbonio, steatosi epatica non alcolica, alterazioni ormonali e del tono dell’umore.
Tra i servizi diagnostico-assistenziali offerti nell’AOU “Policlinico G. Martino”, è attivo da parecchi anni il centro AIMS (Associazione Italiana di Medicina del Sonno) quale punto di riferimento regionale per i disturbi sonno-correlati. Vi opera un’equipe di medici, una psicologa ed un tecnico di neurofisiopatologia, che si occupano della diagnosi e della presa in carico di varie patologie, quali insonnia, narcolessia, ipersonnie idiopatiche ricorrenti, alterazioni del ritmo circadiano e disturbi respiratori e dei movimenti in sonno.

Il Centro, che ha recentemente avviato un percorso diagnostico-terapeutico per l’apnea ostruttiva nel sonno, si avvale di una rete di consulenze interaziendali (pneumologica, otorinolaringoiatrica, cardiologica, endocrinologica, ecc.) al fine di completare un corretto iter assistenziale.

L’accesso alle prestazioni del Centro è estremamente agevole tramite il Centro Unico di Prenotazione (CUP), disponendo della richiesta del medico curante e/o dello specialista di riferimento con impegnativa per “visita neurologica per disturbi del sonno”. In seguito, a ciò gli specialisti del Centro potranno richiedere e prenotare tutti gli esami diagnostici necessari, incluse polisonnografia e visite di controllo.  L’attesa massima per ottenere la prestazione richiesta non supera 2 settimane dal momento della visita, con ulteriore riduzione temporale se il paziente si trova già ricoverato nell’AOU.

Nell’ultimo anno il Centro ha seguito oltre 1600 pazienti, il 40% dei quali è costituito da casi di nuova osservazione. Tale presidio terapeutico di qualità è caratterizzato da semplicità di accesso, rapidità diagnostica, approccio multidisciplinare e garanzie di presa in carico nel follow-up, unitamente ad una professionalità certificata da società scientifiche nazionali ed internazionali. La direttrice del Centro è la prof.ssa Rosalia Silvestri, docente di Neurologia ed esperta riconosciuta nel settore della Medicina del Sonno.

 

Al Policlinico la presentazione di un “Centro Estetico” per le donne del reparto oncologico

Venerdì 8 Marzo alle ore 10:00 nell’aula Saverio d’Aquino al 5° piano del Padiglione H sarà illustrata dal Direttore, prof. Giuseppe Altavilla, un’iniziativa sociale rivolta alle pazienti in cura presso l’UOC di Oncologia Medica con Hospice del Policlinico Universitario “G. Martino”.
L’evento si inserisce nell’ambito del Programma di umanizzazione delle cure, già in atto presso l’Oncologia del Policlinico il cui fine è coniugare la migliore terapia con una globale presa in carico della Persona malata di tumore.
La terapia medica dei tumori può determinare una serie di effetti collaterali che spesso modificano il profilo estetico delle donne che vi si sottopongono. Proprio per rispondere alla esigenza di “bellezza” delle donne che affrontano la battaglia più difficile della loro vita, verrà messo a loro disposizione un “punto di estetica” presso il reparto ove eseguono la terapia.

Alla presentazione dell’iniziativa interverranno il prof. Salvatore Cuzzocrea, Rettore dell’Università di Messina; il Commissario straordinario della A.O.U. Policlinico “G. Martino”, dott. Giuseppe La Ganga; la prof.ssa Giovanna Spatari, Delegata alle Politiche di genere di Ateneo, promotrice dell’idea, e la giornalista Patrizia Casale, organizzatrice dell’evento “Una Mimosa per Te”, patrocinato dalla Città Metropolitana di Messina, che domenica 10 marzo nel salone degli specchi di Palazzo dei Leoni sosterrà la promozione e la diffusione dell’iniziativa.

Antibiotico-resistenza, un’emergenza che potrebbe diventare più pericolosa del cancro

 

Il ventesimo secolo merita di essere ricordato per la scoperta di una delle sostanze che più contribuì ad aumentare l’aspettativa di vita della popolazione: la penicillina, il capostipite dei moderni antibiotici.

A partire dalla metà del secolo scorso, infezioni che generalmente si concludevano nel peggiore dei modi, divennero improvvisamente controllabili e ben curabili; malattie come polmoniti e meningiti fecero sempre meno paura e non furono più sinonimo di una morte preannunciata.

Il progresso scientifico portò alla scoperta di sempre più tollerabili ed efficienti antibiotici tanto che, nel decennio compreso tra il 1983 e il 1992, la FDA (Food and Drug Administration, ente statunitense che si occupa della regolamentazione dei farmaci) approvò più di 30 nuove molecole per l’uso clinico.

Sir Alexander Fleming, inventore della penicillina, tuttavia, in una intervista successiva alla vincita del Premio Nobel nel 1945, ci lasciò un messaggio molto importante:

Chiunque giochi con la penicillina senza pensare alle conseguenze, è moralmente responsabile del decesso di chi morirà per una infezione sostenuta da un microrganismo resistente alla penicillina

anticipando quello che sarebbe stato uno dei più gravi e pericolosi problemi del ventunesimo secolo: l’antibiotico-resistenza.

Secondo una review del 2017 infatti, in Europa, i batteri resistenti sono responsabili di circa 33 mila morti ogni anno. Emerge un dato drammatico in Italia dove, nel 2015, si sono verificate ben 10762 morti, tanto che il nostro, insieme alla Grecia, rappresenta il peggior paese per rischio infettivo in Europa. Si stima che le infezioni resistenti provochino lo stesso numero di morti dovute a tubercolosi, HIV ed influenza messe assieme.

In particolare, in un recente lavoro pubblicato su The Lancet Infectious Diseases è stata eseguita un’analisi su otto specie batteriche più frequentemente rinvenute in liquidi biologici, tra cui: Pseudomonas aeruginosa multifarmaco-resistente; Klebsiella pneumoniae carbapenemi e cefalosporine di terza generazione-resistente; Pneumococco penicilline e macrolidi-resistente; Stafilococco aureus meticillino-resistente. Tutti batteri responsabili di infezioni diffuse alle vie urinarie, apparato respiratorio, apparato digerente e dei siti chirurgici che, nei peggiori casi, possono portare a setticemia (condizione grave caratterizzata dalla presenza di batteri nel sangue).

Abbiamo infatti indotto i batteri ad adattarsi ai nostri tentativi volti a combatterli, tanto che alcune popolazioni batteriche, come riportato, risultano completamente immuni alle terapie. La causa di questo fenomeno si deve ricercare nell’uso sregolato di questi farmaci: spesso vengono utilizzati antibiotici “di ultima generazione” per infezioni banali o anche lì dove non sarebbero necessari.

Occorre infatti precisare che numerose malattie stagionali quali raffreddori ed influenze, non sono generalmente causate da batteri (cellule viventi a tutti gli effetti) ma da virus (macromolecole incapaci di riprodursi fuori dall’organismo ospite), sui quali gli antibiotici non hanno alcuna efficacia e quindi, vanno evitati ad ogni costo. Numerosi studi confermano tra l’altro che l’uso di antibiotici in caso di alcune patologie delle alte vie respiratorie non migliora significativamente né la sintomatologia né la clinica dell’infezione che si risolve nello stesso periodo di tempo, rischiando però di provocare, ovviamente, maggiori effetti collaterali. Quindi, alla prossima influenza, bisogna rifletterci un po’ prima di chiedere l’antibiotico.

La situazione in ospedale non è dissimile: a causa della comparsa di specie sempre più resistenti gli infettivologi sono obbligati ad utilizzare potenti antibiotici di nuova generazione che per adesso danno ottimi risultati, ma ai quali i batteri, in futuro, potrebbero diventare immuni per lo stesso principio. La colpa non è comunque solo di medici e pazienti, infatti più del 65% del consumo di antibiotici annuo è destinato agli allevamenti animali e nell’agricoltura, ambienti nei quali si creano facilmente dei batteri super-resistenti che talvolta possono essere trasmessi all’uomo.

Complessivamente, stando agli ultimi dati, il fenomeno dell’antibiotico-resistenza nel 2018 continua ad essere in crescita. Da poco si è conclusa la settimana dedicata all’antibiotico-resistenza (12-18 Novembre) in cui, oltre ad iniziative mediche, sono state avanzate iniziative sociali e politiche al fine di migliorare la gestione dei farmaci a disposizione. L’obiettivo è quello di promuovere l’uso di linee guida standardizzate per la prescrizione e un servizio attivo di monitoraggio per l’eventuale comparsa di altre specie multi-resistenti.

Purtroppo, nonostante ciò, l’Organizzazione Mondiale della Sanità prevede che, senza adeguate misure di prevenzione, da qui al 2050 i super-batteri killer saranno la prima causa di decesso a livello mondiale, superando cancro, diabete ed infarti.

Il cambiamento dovrà quindi comunque partire da medici e pazienti e da una reciproca fiducia per i farmaci prescritti in quanto, come detto prima, contrariamente alle credenze, l’antibiotico non è comunque il rimedio a tutti i mali. Con l’augurio di trovare meno spesso “mostri” come questo:


Antonino Micari