Nobel per la fisica 2022: il segreto della disuguaglianza di Bell

Il Nobel per la Fisica 2022 è stato assegnato a Alain Aspect, John F. Clauser e Anton Zeilinger «per i loro esperimenti con l’entanglement dei fotoni, che hanno permesso di stabilire la violazione delle disuguaglianze di Bell e i lavori pionieristici nella scienza dell’informazione legata alla quantistica».
Se vuoi sapere di più sull’entanglement quantistico, l’abbiamo affrontato in un nostro precedente articolo.

Indice dei contenuti:

  1. Introduzione alla scoperta
  2. Teorema di Bell
  3. Il realismo locale
  4. Storia della scoperta
  5. Conclusioni
Fonte immagine: nobelprize.org

Introduzione alla scoperta

“Sono ancora un po’ scioccato, ma è uno shock molto positivo”, ha detto Zeilinger durante una conferenza stampa.
Tutti e tre i vincitori sono stati premiati per i loro contributi al lavoro sulla meccanica quantistica, che prevedeva esperimenti che utilizzavano fotoni, cioè particelle di luce entangled o connesse in un fenomeno che Albert Einstein ha notoriamente definito “azione spettrale a distanza“.
È stato dimostrato il teletrasporto quantistico per cui le informazioni possono essere trasmesse istantaneamente su distanze infinite.
“Einstein presume che la natura sia costituita da cose, distribuite nello spazio, inclusi frammenti di informazioni e simili. Sembra molto ragionevole. E, in effetti, la relatività generale si basa su questo. Quello che mostrano gli esperimenti è che non è vero”, ha detto Clauser martedì Non è possibile localizzare frammenti di informazioni in un volume piccolo e finito. Quel semplice risultato ha quindi applicazioni che si estendono alla crittografia quantistica e ad altre forme di teoria dell’informazione quantistica“.

Teorema di Bell

Ciascuno dei vincitori ha effettuato un test, nella vita reale, di un teorema matematico proposto per la prima volta dal fisico John Bell nel 1964, chiamato teorema di Bell. Esso tenta di capire se la meccanica quantistica è come il modello della palla da biliardo della meccanica newtoniana, in cui una cosa deve seguirne un’altra su scala locale o se le particelle separate da qualsiasi quantità di spazio possono influenzarsi a vicenda.
Il teorema di Bell mostra che la meccanica quantistica standard non è coerente con il realismo locale. Con ”realismo locale” si intende un principio molto generale che originariamente non si pensava potesse fare previsioni fisiche verificabili. Una parte importante dei suoi risultati è stata la dimostrazione che la disuguaglianza di Bell è implicita nel realismo locale, mentre le previsioni la violano.
Esperimenti come quello di Aspect hanno dimostrato che le disuguaglianze di Bell vengono violate nella realtà, confutando il realismo locale, in un modo coerente con la meccanica quantistica standard.

Il realismo locale

Il realismo locale afferma che ciò che accade in qualsiasi momento può essere direttamente influenzato dallo stato nelle sue immediate vicinanze, qualsiasi effetto a lungo raggio deve essere mediato da particelle o disturbi del campo che viaggiano a velocità (sub)luminali (superiori alla velocità della luce) e che tutto il comportamento sia deterministico.
Se le particelle entangled sono abbastanza distanti da poter eseguire misurazioni su entrambe in modo da garantire che gli eventi di misurazione siano separati da un intervallo simile allo spazio, il realismo locale richiederebbe che le particelle portino abbastanza variabili nascoste per predeterminare il risultato di ciascuna possibile misurazione. Questo perchè qualsiasi effetto di una misurazione non avrebbe il tempo di propagarsi all’altra per rafforzare le osservazioni correlate.

Le previsioni vengono ricavate dall’interpretazione standard a partire dallo stato del sistema ed dalle leggi di evoluzione dello stato casuali e non-locali. Le stesse previsioni non sono compatibili con una visione “realista” e “locale” dell’evoluzione dello stato utilizzato nella interpretazione standard. Si evince che lo stato è incompleto. Deduciamo un completamento dello stato che conduca alle stesse previsioni della interpretazione standard con leggi di evoluzione “realistiche” e “locali”. Alcuni fisici cercarono questo completamento attraverso le variabili nascoste. ©Jacopo Burgio

 

La proposta di Bell prevedeva la misurazione delle proprietà di due particelle entangled in un sistema isolato da qualsiasi altra cosa che potesse influenzare i risultati, come un osservatore che influenza inavvertitamente un partner entangled attraverso la misurazione, per vedere se superano un certo valore, creando una disuguaglianza matematica e dimostrando che gli effetti locali da soli non possono spiegare la meccanica quantistica.

Storia della scoperta

Nel 1972, John F. Clauser e il suo collega Stuart J. Freedman furono i primi a testare la disuguaglianza di Bell, misurando i fotoni entangled che provenivano dalle collisioni di atomi di calcio.
I dati di Clauser e Freedman sembravano violare la disuguaglianza di Bell, il primo esempio nel mondo reale a farlo, con un alto livello di accuratezza statistica. Ciò implica che la meccanica quantistica potrebbe davvero avere effetti non locali. Tuttavia, c’erano alcune scappatoie in questo esperimento che presentavano molte differenze rispetto all’idea originale di Bell.
Nel 1980, Alain Aspect e i suoi colleghi dell’Università di Paris-Saclay in Francia, sono riusciti a misurare nuovamente la disuguaglianza di Bell, con un grado di precisione molto maggiore e con meno dubbi, stimando la polarizzazione (o l’orientamento) di coppie di fotoni.
Il team ha utilizzato un dispositivo di commutazione casuale per decidere quale fotone misurare prima che venissero raggiunti i rivelatori. Ciò escludeva la possibilità che un osservatore avesse un effetto, come alcuni critici avevano pensato potesse verificarsi nell’esperimento di Clauser. Molti fisici ritenevano che le misurazioni di Aspect mettessero a tacere l’idea che la meccanica quantistica avesse azione locale.
Nel 1989, Anton Zeilinger dell’Università di Vienna e i suoi colleghi, hanno ampliato la disuguaglianza di Bell oltre due sole particelle entangled a uno stato di tre o più particelle entangled chiamato stato GHZ. Ciò costituisce un pilastro fondamentale per molte tecnologie quantistiche, incluso il calcolo quantistico, che può utilizzare gli stati GHZ per creare bit quantistici o qubit.

Conclusioni

Il fisico teorico Thors Hans Hansson e membro del Comitato Nobel per la fisica, durante la conferenza stampa, ha dichiarato: “Volevamo tornare indietro e onorare le persone che hanno gettato le basi per quella che sarebbe diventata [la scienza dell’informazione quantistica]”.
La teoria quantistica può essere strana e notoriamente astrusa, ma è fondamentale per la fisica moderna.
“Gli esperimenti pionieristicici hanno mostrato che lo strano mondo dell’entanglement e delle coppie di Bell non è solo il micromondo degli atomi , e certamente non il mondo virtuale della fantascienza o del misticismo, ma è il mondo reale in cui tutti viviamo”.

 

Gabriele Galletta

 

 

Bibliografia

https://www.nobelprize.org/prizes/physics/2022/popular-information/

Il paradosso di Hawking: una storia senza fine

Cosa significa “scienza”?  Vogliamo credere ostinatamente che essa significhi certezza, sicurezza, completezza.  Ne sentiamo un assoluto bisogno per poter puntare gli occhi al cielo e dire “la scienza saprà spiegarmi tutto”.

E dall’altra parte troviamo però R. Feynman, il quale diceva: “La scienza è una cultura del dubbio”. La scienza nasce dal dubbio, si coltiva nel dubbio. È il dubbio la scintilla della scienza.

Per capire ciò, pensiamo al modello atomico. Nel corso dei millenni non ha smesso di evolversi e, man mano che gli studi si approfondivano, una nuova particella si aggiungeva al puzzle.

Tutto viene costantemente messo in discussione.

Il paradosso dei paradossi: il buco nero

Può sembrare forse ancora assurdo parlare di scienza e assieme di abissi mai colmati. Ma la scienza è proprio questo, con i suoi innumerevoli paradossi. Per capirlo pensiamo a Stephen Hawking e al suo grande desiderio di dimostrare come “i buchi neri non sono così neri” (Hawking al KTH Royal Institute of Technology).

L’esistenza stessa di un buco nero ha rappresentato un paradosso per alcuni scienziati, come Laura Mersini-Houghton, la quale sostenne che i buchi neri fossero matematicamente impossibili. Una stella, una volta collassata, si sarebbe liberata della sua stessa massa e un buco nero non sarebbe potuto in alcun modo esistere.

Poi, il 10 aprile 2019, la concezione che si aveva dell’universo è di nuovo cambiata, quando per la prima volta si è potuto osservare il buco nero M87, un vero e proprio buco nero, con la sua immensa bocca nascosta nell’oscurità. 

Visualizza immagine di origine
La prima foto dettagliata di un buco nero, prodotta dall’Event Horizon Telescope (EHT)

Questo non ha certo messo a tacere le controversie attorno ai buchi neri. 

Una memoria che fugge

Il paradosso della perdita di informazione nei buchi neri di Hawking, come tutte le teorie sui buchi neri, hanno così assunto un significato ancora più straordinario.

Hawking ha trascorso l’intera vita cercando di capire come funzionassero questi incredibili oggetti e di dare una spiegazione al paradosso a cui lui stesso giunse. Un corpo “divorato” da un buco nero sarebbe scomparso del tutto? Ci si sarebbe dimenticati della sua esistenza, o sarebbe stata conservata un po’ della sua memoria

In molti hanno sempre creduto che dovesse esistere un modo affinché l’informazione sulle caratteristiche di un oggetto caduto nel buco nero si conservasse. Qualsiasi ipotesi contraria non avrebbe rispettato, innanzitutto, il primo principio della termodinamica, il quale dice che «l’energia non si crea e non si distrugge», che nulla può essere cancellato per sempre.

Hawking la pensò diversamente.

Ma dov’è il paradosso?

Lo scienziato, assieme ad A. Strominger e M. J. Perry, concluse che il buco nero contenesse soft hair, stati eccitati quantici a bassissima carica rilasciati quando il buco nero evapora, ovvero quando emette la cosiddetta radiazione di Hawking.

I buchi neri «non sono le prigioni eterne che immaginiamo. Le cose possono venire fuori da un buco nero e possibilmente raggiungere anche un’altra dimensione. Quando una particella carica entra in un buco nero, aggiunge un fotone. È come se aggiungesse un pelo».

Sono questi soft hair la memoria, seppur minima, riferita alla particella: i soft hair sono l’impronta della particella. Sono l’informazione rilasciata da quella radiazione termica. L’informazione che per lo scienziato si sarebbe poi cancellata per l’eternità, contro il principio di conservazione dell’energia.

Hawking ci rifletté ancora e ancora e alla fine, alla Conferenza di Relatività Generale e Gravitazione del 1997, ridiscusse la sua teoria. Ma non si fermò a dire che l’informazione sarebbe sopravvissuta. Infatti, se l’informazione può essere riportata alla luce e continuare ad esistere, in ogni universo, in ogni dimensione, è anche vero che lungo il tragitto essa viene corrotta, seppur conservata, e quindi in pratica cancellata. E se anche si potesse riottenerla, il processo sarebbe molto complicato.

È in queste parole che sta il paradosso di Hawking. C’è un momento in cui vita e morte dell’informazione si realizzano contemporaneamente, in cui l’informazione è ancora presente ma sta per essere eliminata. In altre parole ciò che resterebbe dell’informazione è un’ombra caotica.

Foto di Sophia Dagnello del “National Radio Astronomy Observatory” e pubblicata dalla NASA

Cosa si è detto…

Susskind, a difesa del culto dell’informazione eterna, propose una soluzione derivata dai principi della meccanica quantistica. Tutto si risolve nell’immaginare l’informazione protetta da una guaina di stringhe che non permetterebbe ad alcun fenomeno di distruggerla. Per Susskind, anche a seguito di un’evaporazione, l’informazione sarebbe sopravvissuta.

Anche R. Penrose si è espresso in merito, sostenendo che l’informazione sarebbe stata immagazzinata all’interno di un oggetto come il bosone, il che avrebbe impedito la sua fuga.

E c’è poi, addirittura, chi ha immaginato che questa informazione si conservasse in un universo neonato separato dal nostro.

…e cosa si dice

Insomma, le idee sviluppatesi sono molte, fino ad arrivare ad oggi. È recente la notizia di un gruppo di scienziati, tra cui Henry Maxfield e Netta Englhardt, che sta lavorando per trovare un’ulteriore soluzione. Già nel 2019 il gruppo aveva concluso che per capire le dinamiche e veder fuoriuscire dal buco nero l’informazione, sarebbe stato necessario sviluppare una teoria della relatività completamente quantistica. Conclusione a cui giunse anche il premio Nobel della fisica Gerardus’ Hooft e su cui si sta lavorando.

Al momento Maxfield e gli altri scienziati hanno determinato che l’informazione non viene resa “nota” fin da subito. Anzi, in un primo momento neppure è presente. Soltanto quando il buco nero comincia a “invecchiare”, la quantità di radiazione emessa accresce, e con essa l’informazione che comincia a venire fuori.

I primi passi fatti confermano quindi l’intuizione di Hawking: l’informazione può fuoriuscire. Tuttavia, come ha detto il gruppo, questa è solo la “punta dell’iceberg”

Il dubbio è sempre lo stesso: saremo mai in grado di recuperare l’informazione?

Giada Gangemi

 

Bibliografia:

https://www.focus.it/scienza/spazio/la-prima-foto-di-un-buco-nero

https://physics.aps.org/articles/v9/62

https://www.focus.it/scienza/scienze/stephen-hawking-e-il-paradosso-dei-buchi-neri

https://www.reccom.org/2020/11/05/paradosso-di-hawking-un-passo-dalla-soluzione/