Una rivoluzione che parte dalle storie: stereotipi e identità di genere alla masterclass di Maura Gancitano

Una riflessione  profonda e trasversale sul potere delle narrazioni nella costruzione e decostruzione degli stereotipi di genere ha animato l’Aula Magna del Rettorato della nostra università mercoledì 23 aprile. Protagonista della masterclass Maura Gancitano, filosofa, saggista e cofondatrice insieme ad Andrea Colamedici del progetto culturale Tlon

Un’iniziativa che si inserisce nell’ambito della consolidata partnership tra l’Ateneo e Taobuk – Taormina International Book Festival e che mira a intensificare il dialogo tra la cultura contemporanea e la formazione accademica, attraverso momenti di confronto aperto e interdisciplinare.

L’evento si è aperto con i saluti della Magnifica Rettrice Giovanna Spatari, che ha espresso la sua soddisfazione nell’inaugurare un’iniziativa come quella del Taobuk, diventato ormai “un punto di riferimento nel panorama culturale internazionale“, sottolineando come la masterclass di Maura Gancitano affronti “un tema di grande rilevanza in relazione all’attuale costruzione sociale degli stereotipi“. Dopo l’intervento della Presidente e Direttore artistico Taobuk Antonella Ferrara e delle prof.sse Unime Vittoria Calabrò, Storica delle istituzioni politiche e presidente del CUG (Comitato Unico di Garanzia) e Milena Meo, Sociologa politica e vicepresidente del CUG, la saggista ha esplorato il ruolo delle narrazioni nella genesi degli stereotipi di genere, evidenziando le strategie per decostruirli a partire dalla consapevolezza del loro impianto narrativo.

I saluti istituzionali della Magnifica Rettrice Giovanna Spatari, della Presidente del Taobuk Antonella Ferrara e delle prof.sse Vittoria Calabrò e Milena Meo
I saluti istituzionali della Magnifica Rettrice Giovanna Spatari, della Presidente Taobuk Antonella Ferrara e delle prof.sse Vittoria Calabrò e Milena Meo. Crediti: UniVersoMe.

RISCRIVERE CIO’ CHE CI HANNO INSEGNATO

“ Tutti gli stereotipi non sono sempre negativi, ma sono una costituzione sociale. Sono qualcosa che tutte le comunità umane inventano, e che la nostra società complessa ha inventato più di altre”

Come ha osservato Maura Gancitano, noi siamo animali narrativi. Abbiamo bisogno di credere a delle storie. Perché cerchiamo l’ invenzione per dare un senso, capire come funzionano determinate strutture per poi cambiare, modificare la nostra immaginazione. Tuttavia, è fondamentale saper distinguere tra ciò che è frutto dell’immaginazione e ciò che riflette la complessità del reale. Fin da piccoli, attraverso le fiabe, impariamo a leggere le dinamiche della realtà. E per rendere più chiaro questo concetto la saggista porta spesso l’esempio di Maleficent e della sceneggiatrice Linda Woolverton. Nella rilettura del classico Disney, La bella addormentata nel bosco, la Woolverton stravolge la prospettiva tradizionale: Malefica non è raffigurata come la cattiva per eccellenza, ma è la donna che reagisce alla violenza subita, il taglio delle ali. In questo modo, viene mostrato come gli stereotipi possano nascere da narrazioni parziali o distorte, e come sia possibile decostruirli attraverso nuove storie.

DECOSTRUIRE LE NARRAZIONI SOCIALI

Quali sono quelle strutture invisibili che stanno gradualmente emergendo e diventando evidenti? Quali sono i segreti, gli stereotipi collettivi che si celano nelle narrazioni sociali? Si tratta di  quei comportamenti che abbiamo sempre considerato influenti e che esercitano un forte impatto, soprattutto nella nostra società. Il mito della bellezza e dell’estetica femminile ne sono un esempio. La vita delle donne nell’antica Grecia, società ideale ma estremamente misogina. Il Medioevo, che considerava le donne come degli esseri aberranti. E poi la società della post rivoluzione industriale, in cui le persone potevano immaginare o sperare di cambiare la propria condizione, che ha portato ad ansie sociali, numerose spinte per adeguarsi e dimostrare di saper stare al mondo. Questi stereotipi sociali diventano “un limite invalicabile quando si irrigidiscono a tal punto da soffocare la domanda interiore. Chi sono io? Cosa desidero realmente?”

Tutto ciò che non rientra nelle categorie di genere in cui siamo stati socializzati, spesso in modo frammentario e superficiale, viene percepito come estraneo, come una perdita della propria identità di genere. Ciò che è emerso dal dibattito è che le idee che abbiamo sui ruoli di genere, su cosa sia ‘da uomo’ e cosa ‘da donna’, non sono affatto verità eterne, ma piuttosto costruzioni sociali nate in un certo momento storico.

Anche un sentimento che ci sembra così naturale come l’amore di una madre per il proprio figlio, in realtà, ha una sua storia. Ci sono stati periodi in cui le cose andavano diversamente, e l’idea di una madre totalmente dedita alla prole è stata in qualche modo “inventata” e diffusa attraverso storie e racconti, tanto da cambiare profondamente le emozioni e le aspettative.

Questi stereotipi si vedono ancora oggi nel modo in cui consideriamo certi lavori. La saggista ricorda due storie drammatiche di fine ottocento, quelle di Italia Donati e Filomena Mauro, le maestre che vivevano in condizioni terribili e hanno subito ingiustizie indicibili. Queste storie ci mostrano come le regole invisibili della società, quelle legate al potere e al genere, possano fare male davvero.

Spesso, però, ci accorgiamo di questi problemi solo quando c’è una vittima “perfetta”, qualcuno che non ha colpe apparenti. Facciamo più fatica a vedere le ingiustizie quando la situazione è più complessa. Ma la verità è che queste idee sbagliate sui generi influenzano profondamente le nostre vite e limitano la nostra libertà di essere noi stessi. Per cambiare le cose, dobbiamo prima capire come queste “regole” sono state create e come continuano a operare, spesso in modo nascosto, nella nostra società.

Elisa Guarnera