Festa della mamma: 5 film sul rapporto con la madre

Come ogni anno, il 14 maggio ricorre una festa molto importante: la Festa della mamma. E noi di UniVersoMe abbiamo deciso di festeggiarla stilando una Top 5 di film (totalmente diversi tra loro) dedicati a tutte le super-mamme del mondo!

Da Una mamma per amica a serie come Little Fires Everywhere, dalle sitcom anni 80 al monologo di Chiara Francini a Sanremo, il rapporto con la figura materna può apparire idilliaco o terribile, ma rimane sempre e comunque complesso e delicato da affrontare. 

Per rispondere alla vostra domanda: “ma per questa festa della mamma che guardiamo di bello?”, ecco per voi la nostra lista!

1. Lady Bird (2017) 

Se avete visto la pellicola in questione è molto probabile che cliccando su questo articolo vi sia subito balenato in mente Lady Bird, primo successo della Greta Gerwig di Piccole Donne e dell’attesissimo Barbie, a luglio nelle sale e disponibile per la visione su Prime Video. 

Christine “Lady Bird” è una diciassettenne all’ultimo anno del liceo a Sacramento, in California, che sogna la vita frenetica e stimolante della costa orientale per sfuggire al rapporto turbolento e opprimente con la madre Marion

Il rapporto tra Christine e la madre è estremamente complicato. Le due si vogliono bene ma hanno difficoltà a conciliare le loro visioni del mondo: Christine con la sua impulsività e Marion con la sua incapacità di entrare a contatto con la figlia.

Nel corso del film vediamo alcuni momenti chiave di confronto e avvicinamento tra madre e figlia che portano Marion a cercare una linea di dialogo, complicata  dal rapporto a sua volta tormentato con la propria madre, finché in chiusura non è la stessa “Lady Bird” ad accettare il nome datole alla nascita e ad aprire le porte per una riconciliazione alle soglie del suo ingresso nell’età adulta.

 2. I segreti di Osage County (2013) 

Film drammatico diretto da John Wells e tratto dalla pièce teatrale Agosto, foto di famiglia di Tracy Letts, I segreti di Osage County vanta un cast incredibile con Meryl Streep nel ruolo della matriarca Violet e Julia Roberts nel ruolo della figlia maggiore Barbara. Per guardarlo correte su Prime Video. 

Riunitasi la famiglia Weston nella casa di Osage, Oklahoma, per un funerale, le tre figlie Barbara, Karen ed Ivy sono costrette a fare i conti con il rapporto con la madre Violet, che fa uso smodato di medicinali e che inizia ad attaccare verbalmente l’intera famiglia durante il pranzo. 

Violet è una donna che appare crudele e che sembra non sopportare l’idea della sofferenza lasciatale dalla madre al punto da doverla riversare sulle tre figlie in un ciclo infinito di trauma intergenerazionale. Come diretto risultato le donne finiscono per odiare se stesse nel caso di Ivy e Karen o per essere a sua volta dura e intransigente nel caso di Barbara. Sicuramente nell’incapacità di trovare amore per tutte e tre. 

 3. Red (2022) 

Direttamente dagli studi Pixar e distribuito su Disney+ un coloratissimo film d’animazione ambientato nei primi anni 2000 e con temi che si spostano su una fascia adolescenziale pur rimanendo adatto a tutte le età.

Mei Lee è una ragazzina di 13 anni di origini cinesi nella Toronto del 2002 che una mattina si sveglia trasformata in un panda rosso gigante. Mei ha la possibilità di annullare quella che percepisce come una maledizione ma l’adolescenza incombe e porterà stravolgimenti inaspettati. 

Il rapporto tra Mei e la madre Ming non si limita allo stereotipo della madre apprensiva e rigida ma risuona sincero e dinamico nelle sue sfaccettature fino a commuovere. Il rapporto madre-figlia d’altronde non è spesso al centro di pellicole d’animazione e quasi mai trattato così bene. Consigliato se per la festa della mamma (e non solo) desiderate passare una tranquilla serata in famiglia!

Red è una storia di crescita personale, che fa i conti con quei momenti in cui ognuno di noi inizia a crearsi una sua personalità e delle opinioni che differiscono da quelle dei nostri genitori, con tanto di piccole o grandi ribellioni, e di come troviamo un nuovo equilibrio con i nostri cari. 

 4. Juno (2007) 

Successo straordinario al nostrano Festival Internazionale del Film di Roma, la pellicola di Jason Reitman disponibile su Disney+ racconta la maternità su tre fronti diversi:
– un’adolescente che non è pronta ad essere madre;
– una donna che desidera esserlo disperatamente;
– una madre non biologica che ama senza fronzoli. 

La sedicenne Juno rimane incinta del suo migliore amico e decide di far adottare il bambino ad una coppia trovata tra gli annunci di un giornale, Mark e Vanessa. Se il rapporto con Mark sarà fin troppo amichevole, quello con Vanessa faticherà a svilupparsi, mentre Juno inizierà aa apprendere alcune importanti verità su se stessa e sulle persone a lei vicine. 

Juno ha il grandissimo pregio di parlare di maternità in modo non convenzionale e molto reale al tempo stesso. Juno è una ragazza che si ritrova in una posizione vulnerabile ma che ha il coraggio di scegliere per sé, Vanessa è una donna che si nasconde nella sua diffidenza per non sperare troppo e Bren è una matrigna-madre perfettamente credibile e non banale, pragmatica e inamovibile nel supporto a Juno ma pronta a far notare alla ragazza i suoi errori. In sintesi una storia che parla di maternità in modo onesto e completo, senza perdere colpi.

 5. Matrimonio all’italiana (1964)

Concludiamo con un classico intramontabile di Vittorio De Sica con Marcello Mastroianni e Sophia Loren, per lasciarci con una madre italiana d’eccezione.

Domenico Soriano intreccia con un’ex prostituta, Filumena Marturano, una relazione lunghissima che relegherà la donna al ruolo di semplice amante. Così Filumena arriverà a fingere di essere in punto di morte per chiedere come ultimo desiderio di sposare l’uomo per poi, una volta sposati, rivelargli di stare bene e di avere tre figli, di cui uno proprio dell’uomo, ma senza dirgli quale dei tre. 

Matrimonio all’italiana non è solo un film iconico che offre uno spaccato dell’Italia del tempo, ma anche la storia di una madre italiana emblematica di quello spirito di sacrificio, di quell’amore sconfinato e incondizionato che a volte diamo per scontato e che vediamo nelle nostre famiglie.

Filumena ama Domenico ma non smette per un secondo di lottare per far affermare i figli, soffrendo lontana da loro e sotto il peso dello stigma per il suo passato, tanto da essere disposta a rinunciare alla sua vita e al suo matrimonio pur di garantire finalmente loro una famiglia senza che sia importante chi sia figlio di chi. 

Non penso ci sia modo migliore di concludere questa lista di film dedicati alla festa della mamma, se non con una madre come lei, che soffre e non è perfetta, un essere umano come tutte le mamme, ma che ama profondamente e senza paura i suoi figli.

Dalla redazione di UniVersoMe, auguri a tutte le super-donne del mondo. Buona festa della mamma!

 

Chiara Tringali

Pieces of a woman: tra arte e dolore

Vanessa Kirby suprema nel trasmettere al pubblico il dolore di una madre – Voto UVM: 4/5

Continuiamo la nostra rassegna sugli Oscar con la pellicola Pieces Of a Woman disponibile su Netflix e diretta da Kornél Mundruczó. Stavolta non tratteremo la categoria “miglior film”, bensì quella “miglior attrice protagonista”: infatti la splendida Vanessa Kirby è in gara per l’ambita statuetta con altre grandi attrici. Il suo talento e la sua interpretazione l’hanno portata fino al più famoso red carpet al mondo: il film è stato infatti presentato per la prima volta alla settantasettesima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia dove la Kirby si è aggiudicata il premio per la miglior interpretazione femminile

Trama

Chi se ne importa cosa pensano? Si tratta di me. Si tratta della mia vita.

Il film si apre con la stagione autunnale e  racconta la storia di una donna di nome Martha (Vanessa Kierby) che assieme al suo compagno di nome Sean (Shia LaBeouf) sta aspettando il suo primo figlio o – in questo caso –  figlia. Martha, ha deciso che il lieto evento sarà a casa, lontano dal “bianco” dell’ospedale.

Vanessa Kirby e Shia LaBeouf in una scena del film. Fonte: screenmovie.it                           

I due futuri genitori si sono affidati a una levatrice di nome Barbara, ma quest’ultima non si presenterà e manderà una sostituita di nome Eva (Molly Parker). Da quel momento in poi il film assume una piega inaspettata; si percepisce tensione: lo spettatore è proiettato all’interno della stanza accanto ai protagonisti, ma allo stesso tempo si sente come se fosse costretto a guardare senza far nulla.

 Martha comincerà a sentire dolore ed una forte nausea ed Eva noterà che il battito cardiaco della bambina è sceso. Sean e Eva insistono per andare in ospedale, ma Martha è ferma sulla sua scelta e il parto continua a casa. Darà alla luce una bambina: lo spettatore dall’altro lato dello schermo sorride! Attimi dopo però la neonata diventa blu ed Eva cercherà di rianimarla, ma sarà tutto inutile e poco dopo la bambina morirà per arresto cardiaco.  

E non posso farla tornare.

Da quel momento in poi  Martha e Sean percorreranno un tunnel di cui non si intravede la fine, ma solo dolore e angoscia: pian piano cominceranno ad allontanarsi l’uno dall’altra, il loro amore si trasformerà in un odio profondo e finiranno per detestarsi. La perdita profonda si intreccerà con l’egoismo dei familiari che, invece di aiutare, abbatteranno ancor di più Martha, trattando il suo dolore con mera sufficienza. 

In campo clinico certe cose sono un mistero.

Ormai lontana da tutto e da tutti, Martha  dovrà uscire da sola da quella sofferenza disumana.

Martha isolata da tutti. Fonte:s.yimg.com                 

Tra arte e  simbolismo

Il film è accompagnato da tre simboli: la mela, le stagioni e il ponte.

Il ponte rappresenta l’inizio e la fine del film ma, in special modo, l’accettazione della perdita della bambina: difatti in una scena del film vedremo Martha che spargerà le ceneri della sua piccola bimba proprio da un ponte. Proprio qui si comprende che non si può rimanere aggrappati al passato e al dolore, sebbene a quest’ultimo non si può porre fine, ma soltanto cercare di accettarlo.

A volte la forza della risonanza può far cadere anche un ponte.

La mela rappresenta la maternità, che la nostra Martha non ha potuto vivere a  360 gradi. In una scena del film vediamo la protagonista che percorre il reparto di un supermercato e la sua attenzione è rivolta verso le mele: le esamina e le osserva con attenzione. Tantissime sono poi le scene in cui la vediamo mangiare il frutto fino al torsolo fino a conservanee i semi e decidere di farli germogliare: l’operazione finale avverrà con l’accettazione del lutto.

Martha con una mela in mano. Fonte: metropolitanmagazine.it

Le stagioni saranno un nodo fondamentale per tutto l’arco temporale dell’opera: difatti il film inizia con l’autunno che rappresenta la morte, poi arriverà l’inverno che rappresenta la depressione (infatti  vedremo Martha e Sean ormai lontani e freddi fra di loro), infine ci sarà la primavera che rappresenta l’accettazione e, come i germogli della mela, Martha sarà pronta ad andare avanti.

L’arte si intreccia con questo film: Martha sfrutta dei simboli per superare il proprio dolore, giacché è sola e si rifugia all’interno di questi oggetti inanimati, redendoli vivi.

Questo film non ha niente che vedere con la resilienza, ma tutto il contrario. Ci mostra come il dolore delle volte ci trascini fino allo sfinimento, rendendoci degli esseri alienati. Vanessa Kirby è riuscita a far immedesimare il pubblico e renderlo partecipe del dolore di Martha.

                                                                                                                                       Alessia Orsa

Ohana significa famiglia

Ohana significa famiglia e famiglia vuol dire che nessuno viene abbandonato o dimenticato.” 

La citazione, tratta dal cartone Disney “Lilo & Stitch”, rimanda all’idea di famiglia secondo la cultura hawaiana. Con il termine ohana si intende la famiglia non solo in senso lato (legame di sangue), ma anche come rapporto adottivo o intenzionale che unisce le persone amiche in funzione dell’affetto e dei valori di cooperazione, condivisione e rispetto. Significa prendersi cura gli uni degli altri scegliendosi e accettandosi reciprocamente così per come si è.

Questa concezione sta alla base della tradizione dei nativi hawaiani, ma in fondo la si potrebbe estendere anche ad altre culture, che ne condividono il valore. Ad esempio, spostandosi di continente, la famiglia è molto sentita e vissuta anche in Italia, e rappresenta un elemento fondante della cultura e della società. È emblematico e interessante pensare, ad esempio, che in una delle attività di formazione che l’associazione Intercultura (onlus che si occupa di scambi interculturali) organizza per i ragazzi in partenza all’estero, la maggior parte di questi ultimi, nel dover stilare la loro scala dei valori, tenda a posizionare tra i primi proprio quello della famiglia, attribuendovi importanza primaria.

Tornando al concetto di ohana: le parole del personaggio di Lilo potrebbero essere tornate in mente facilmente mentre la scorsa settimana ci si imbatteva negli aggiornamenti quotidiani dei tg in merito al XIII congresso mondiale delle famiglie (World Congress of Families) che si è svolto dal 29 al 31 marzo a Verona. Tra i relatori spiccano personalità più o meno note del panorama politico nazionale e internazionale. Cos’è la famiglia per una parte di Italia hanno tentato di spiegarcelo loro, argomentando delle tesi a supporto di teorie pro vita che contemplano l’esistenza di un solo modello di famiglia riconosciuto come unicamente valido poiché costituito dalle figure genitoriali di madre e padre. Ecco perché, leggendo e ascoltando queste parole, se ne possono pensare di altre diametralmente opposte, come quelle di Lilo, che se interpretate con un principio di inclusione, alludono a una realtà dove nessuna tipologia di famiglia, seppur non tradizionale, viene dimenticata o non celebrata. Una famiglia per essere definita tale deve rispondere a poche ma essenziali condizioni: il sentirsi a casa e l’amore disinteressato e incondizionato. Quali altri canoni dovrebbe rispettare una famiglia ideale? Quali criteri determinano un modello di famiglia migliore rispetto a un altro? Quali dovrebbero essere i tratti distintivi che costituiscono una famiglia cosiddetta “normale” e naturale? Le altre sono anormali? Altre forme d’amore e altri modi d’amare sono impensabili?

Laddove c’è amore, c’è famiglia: ed è proprio questo lo slogan proiettato nelle facciate di alcuni monumenti a Verona, in occasione di una manifestazione di protesta avanzata da All out, movimento globale che lotta a favore dei diritti LGBT+, a cui hanno aderito anche altri enti ed associazioni che sposano la stessa mission. L’intento era quello di trasmettere, attraverso l’azione non violenta, il seguente messaggio: “è l’amore che fa una famiglia e tutte le famiglie contano!”. Questa insurrezione non deve essere confusa e fraintesa con una pretesa di voler imporre a tutti i costi idee opposte a quelle portate avanti dal congresso, ma è dettata dal principio della libertà di espressione di posizioni diverse su alcuni temi. Così come al congresso delle famiglie si dibatteranno alcune opinioni, allo stesso modo si deve poter esercitare il diritto di controbattere, ribellandosi a una determinata corrente di pensiero.

Željka Markić, fondatrice e presidente di “Per conto della famiglia” (U ime obitelji) in Croazia, uno degli ospiti del congresso, ha dichiarato: “Preferirei dare mio figlio all’orfanotrofio, piuttosto che in adozione a una coppia dello stesso sesso.”Un pensiero del genere vorrebbe negare dunque a un bambino la felicità e l’armonia di cui avrebbe bisogno in assenza dei genitori biologici, in funzione di quella distorta idea secondo cui i bambini che crescono con genitori dello stesso sesso non abbiano come riferimento un modello educativo solido e stabile, ma deviato. Sempre secondo questa visione, altre conseguenze sarebbero lo stato di isolamento e di discriminazione che il bambino potrebbe subire, sottoposto ai giudizi di chi lo considererà diverso e lo additerà come “fuori dal comune”. È davvero con questi presupposti che ci si vuole rivolgere e approcciare alle nostre comunità? Le esigenze della società si sono evolute e le società stesse hanno imparato ad accettare tipi nuovi di relazioni, le cosiddette unioni civili. Anche la politica e le leggi dovrebbero adattarsi ai cambiamenti sociali, aggiornando il codice civile, introducendo e promulgando nuove leggi a favore dei diritti di tutti, che una volta approvate ed entrate in vigore, garantiscano più equità sociale. Sono stati già fatti molti passi avanti (la legge Cirinnà che dal 2016 riconosce le unioni civili), ma ancora tante altre proposte devono essere oggetto di confronto per nuovi disegni di legge.

©FernandoCorinto, Parco Don Blasco – Marzo 2019

Altro argomento controverso oggetto di pregiudizi e disinformazione è la questione dell’utero in affitto e della maternità surrogata. Agli occhi dei famigerati e fantomatici garanti della vita ospiti del congresso, questi metodi ridurrebbero la volontà di coppie dello stesso sesso di avere figli a un mercato e a una forma di business che mercificherebbe la donna in quanto oggetto utile alla procreazione, in cambio di denaro. Questa pratica effettivamente viene eseguita in alcune parti del mondo ed è una realtà da molti denunciata. Ma occorre ricordare che in Italia non è consentita, e che dopo aver constatato questo dato, è necessario avviare e supportare una corretta campagna informativa, specificando che non si tratta delle uniche opzioni per una coppia gay di avere figli. Esiste la possibilità di ricorrere a tecniche lecite e legali di procreazione assistita.

Sul fronte della tematica della donna, il congresso si è espresso in modo altrettanto retrogrado e maschilista: la donna viene ancora una volta relegata al ruolo di moglie e madre, come fosse una macchina deputata esclusivamente alla riproduzione, senza diritto di occupazione e ambizioni di carriera. È frustrante quanto vero dover riportare il seguente dato, che emerge da statistiche e da testimonianze che corrispondo al vero: è ormai risaputo che l’Italia rientra tra i paesi le cui prospettive professionali per una donna sono ridotte, con salari più bassi rispetto agli uomini, unitamente all’amarezza di una mentalità diffusa che vede le figure manageriali e di potere come prerogativa dell’uomo. Per non vanificare anni di lotte per l’emancipazione, bisogna intraprendere politiche a favore delle pari opportunità e investire su un tipo di formazione che dia una svolta a quell’approccio machista che ad esempio ha indotto Sergio Vessicchio, cronista calcistico attualmente sospeso dall’ordine dei giornalisti, a rivolgere in diretta da una web tv di Agropoli, commenti sessisti e offese nei confronti di una donna che arbitrava ad una partita. Ha cercato poi di difendersi goffamente, definendo i suoi commenti solo come “dei modi per evitare la promiscuità.” Ai suoi occhi, le donne devono arbitrare le donne, e gli uomini devono arbitrare gli uomini, ignorando il fatto che se si procederà sempre seguendo tali parametri di esclusione, si accentueranno i divari di genere e non si combatterà mai l’idea che le donne siano considerate inferiori, o peggio, non esperte tanto quanto gli uomini riguardo a uno sport in prevalenza maschile.

È evidente come ci sia un’emergenza seria che merita la priorità rispetto agli investimenti sulla maternità. Innanzitutto, se proprio si vuole agire efficacemente, si dovrebbero adottare e applicare politiche di investimento sugli asili nido, promesse puntualmente da ogni legislatura e mai realmente messe in atto. Ad oggi è un problema rilevante per tutte quelle famiglie e tutte quelle mamme che, trovandosi in difficoltà a causa della mancanza di sussidi e luoghi sufficienti in cui poter portare i figli durante la loro assenza, trovano inconciliabile maternità e lavoro. Perché inoltre non ci si concentra su politiche concrete mirate a creare posti di lavoro? Il lavoro nobilita l’uomo, e l’uomo, per creare un nucleo familiare sereno, deve prima poter essere messo nelle condizioni di avere una dignità economica per poterne assicurare il sostentamento. Una donna non ha voglia di essere madre se prima non le viene riconosciuto a pieno il suo status sociale di persona, con uguali diritti di un uomo, senza distinzioni di genere. Una donna per sentirsi appagata e realizzata non è costretta necessariamente a diventare madre, e deve poter avere la libertà di scegliere attraverso la contraccezione, che nonostante abbia diminuito il tasso di natalità da un lato, dall’altro ha limitato e prevenuto molte gravidanze indesiderate, e quindi aborti.

A tal proposito, veniamo al discorso sull’aborto, altro aspetto che il congresso delle famiglie lamenta e condanna. Sorge spontaneo chiedersi se, nei loro ragionamenti, i relatori tengano in considerazione tutte le ragioni che possono portare a un aborto. Per citarne qualcuno: i concepimenti frutto di stupri e violenze o di rapporti non consenzienti; i casi di gravidanza rischiosa per il feto e/o per la madre; l’impossibilità economica di mantenere il feto quando nascerà e diventerà bambino. Abortire non è mai una scelta semplice, per nessuno, ma c’è una legge che lo permette, e regredire non è proficuo. Inoltre, esiste già l’assistenza adeguata che non lascia soli chi desidera portare avanti la gravidanza fino al parto e poi far adottare il bambino. Questa soluzione alternativa all’aborto è il parto in anonimato. Credere di aver costituito un governo politico da appena un anno e poter illudersi di apportare riforme che esistono già è molto inutile, oltre che una pericolosa manipolazione all’insegna del pressappochismo e del buonismo che vorrebbe solo accaparrarsi il consenso della massa.

LGBT+, madri e padri single, e le donne sono le categorie coinvolte nei dibattiti del congresso tenutosi una settimana fa a Verona. Sono nel mirino perché considerate minoranze e gruppi deboli, e che per questo motivo secondo il punto di vista dei partecipanti all’evento, non dovrebbero essere tutelati e godere degli stessi diritti di tutti. Come in ogni fase della storia, in questo momento è toccato a loro diventare i capri espiatori, accusati di essere tra i colpevoli del depauperamento della popolazione. Questa convinzione infondata cela un motivo ben più profondo: rappresenta un comodo deterrente che servirebbe a non ammettere un susseguirsi di sbagli di strategie e logiche politiche, su cui ricadono le principali responsabilità di cali demografici e crisi economica.

Il motto del congresso nonché titolo del manuale di presentazione del programma è “Wind of Change”, cioè “Vento del cambiamento”. È inevitabile il paragone con la celebre canzone degli Scorpions, che cantavano sulle note di “Wind of Change” come simbolo di resistenza e speranza contro la guerra. Non sembra esserci comunanza di intenti nel messaggio che l’organizzazione internazionale delle famiglie (IOC), organizzatrice del congresso mondiale delle famiglie, intende trasmettere e di cui si fa portavoce. Sicuramente non incita esplicitamente alla guerra, ma diffonde idee che sottostanno a un pensiero intollerante e chiuso. E si sa che fenomeni come i totalitarismi, prima di diventare tali, sono partiti in origine da politiche apparentemente accettabili che poi sono sfociate in crimini contro l’umanità e nel secondo conflitto mondiale. Da un’ideologia all’istigazione all’odio il passo è breve. 

Perché Verona e non qualche altro luogo in cui ambientare il congresso? Nel sito ufficiale dell’evento si spiega che Verona è stata scelta “per onorare i suoi cittadini e i loro continui sforzi e azioni in difesa dei valori della vita e della famiglia a livello sociale e politico”. Verona è conosciuta nel mondo per la sua storia e per il suo patrimonio artistico e culturale. Romeo e Giulietta e l’Arena ad esempio sono solo due tra quei simboli che rimarranno sempre predominanti. Non sarà di certo il congresso a rendere la città più speciale. Torniamo a dare il giusto peso e senso alle cose. Per fortuna che c’è la bellezza della cultura e dell’arte a salvare il mondo.

Giusy Boccalatte