Quando l’all-you-can-eat di serie tv diventa indigesto

Netflix, dopo gli inizi promettenti della sua produzione con la serie House of Cards con protagonista Kevin Spacey nel 2013, si è fatta decisamente largo nella nostra quotidianità. La maggior parte di noi ha oggi un abbonamento attivo, le sue serie di punta sono entrate nel panorama mainstream e il catalogo si è nel tempo ampliato aggiungendo sia serie e film vintage che nuove produzioni della stessa Major. Questo menu però si è col tempo trasformato in un “all-you-can-eat” dalla qualità decisamente altalenante: l’azienda, cercando di procurare sempre più prodotti agli spettatori, ha col tempo disatteso molte aspettative non riuscendo a coniugare la possente macchina produttrice con una buona fattura.

Serie come La casa di carta sono l’emblema di tutto ciò: si tratta di un prodotto che potremmo giudicare come una vacca munta oltre il necessario. Una rapina raccontata dal punto di vista di personaggi che riescono a stare al di sopra del mero stereotipo ci ha inizialmente catturato come idea, ma col tempo questa stessa idea è risultata ridondante e la serie si è lasciata trascinare verso una banalità che ha colpevolmente punito il lavoro iniziale.

Dal trailer de ”La casa di carta”. Fonte: Netflix

 

Stesso discorso anche per un altro prodotto Netflix acclamato da massa e critica: Stranger Things. La serie ha fin dall’inizio avuto un nucleo semplice ma attraente: gli anni ’80 e tutta la cultura pop relativa al periodo, i mostri che si annidano nei sobborghi americani, le azioni di giovani protagonisti che crescono assieme agli spettatori e Stephen King come maggiore ispirazione narrativa.

Il successo di Stranger Things ha riportato in auge anche il ricordo degli eighties sia nel pubblico giovane, che li sta scoprendo, sia in quello adulto che li ha nel cuore e li sta rivivendo. La serie, però, col tempo si è rivelata una miniera di diamanti per il colosso americano e, se da un lato questo sembrerebbe positivo, è diventato in realtà una lama a doppio taglio. La volontà di ingozzare lo spettatore già a partire dalla seconda stagione, introducendo situazioni che espandevano l’universo narrativo, non è stata recepita bene dal pubblico e, con il prosieguo della trama, quel labirinto ha fatto posto ad una strada più lineare.

Ci saremmo augurati però che la storia seguisse un filo più logico e meno isterico!

Dal trailer di ”Stranger Things”. Fonte: Netflix

 

Per ricollegarci ora ad un universo più ampio, si può accennare ad un’altra importante tendenza dello show business hollywoodiano dell’ultimo decennio: il tema supereroistico. La serie Netflix sul personaggio di DareDevil ha per la prima volta spostato questo tema dalla sala alla TV.

Oggi questo percorso sta venendo continuato da Disney sulla sua piattaforma streaming Disney +.  Nel giro di poco meno di due anni sono state aggiunte al catalogootto produzioni: un numero esorbitante se consideriamo che va ben oltre la media della quantità di serie tv di cui lo spettatore medio fruisce in quel lasso di tempo. Inoltre  solo poche storie all’intero di questo miscuglio meritano una valutazione positiva.

L’atteggiamento bulimico che si aspetta la produzione da parte del pubblico potrebbe, a nostro avviso, non essere la strada migliore da seguire.

Sarebbe invece auspicabile un ritorno ad una produzione meno intensiva ma che al contempo porti con sé maggiore qualità nei prodotti destinati al grande pubblico, anche nell’ottica di salvare queste aziende e queste storie dall’orlo di un baratro che col passare del tempo si fa sempre più vicino e più largo.

 

Matteo Mangano, Giuseppe Catanzaro

 

*Articolo pubblicato su Gazzetta del Sud, all’interno dell’inserto “Noi Magazine” il 10/11/2022

MCU fase 4: ancora tanta confusione

Sin dall’inizio della fase quattro si è percepito un alone di confusione e di astrazione tale da non dare allo spettatore alcuna idea di quello che è, e che dovrebbe essere, la nuova Saga del Multiverso dei Marvel Studios. Thor e Miss Marvel, ultimi due prodotti della casa delle idee, non sono riusciti, infatti, a dare una svolta a questa quarta fase.

Thor: Love and Thunder

La nuova pellicola di Taika Waititi incentrata sul dio del tuono era indubbiamente una delle più attese della nuova fase cinematografica Marvel (insieme a Spider-Man No Way Home), che però, mantenendo lo stesso tono comico del capitolo precedente ha continuato a tenere divisi sia pubblico che critica.

La storia del figlio di Odino inizia dalla fine di Avengers Endgame. Thor si imbarca con i Guardiani della Galassia alla ricerca di qualcosa di cui neanche lui è certo, e che lo porterà a recuperare la forma fisica e soprattutto la fiducia in sé stesso, nonostante continui ad avvertire nella sua vita la mancanza di qualcosa: l’amore.

Poster del film “Thor: Love and Thunder” (Marvel Studios). Fonte: fumettologica.it

 

La nuova pellicola sul dio del tuono incarna il regista al 100%. Comicità esagerata e messinscena spettacolare ed esuberante, vanno però a cozzare con il materiale d’origine: la run di Jason Aaron. Senza dubbio la migliore run mai fatta su Thor, intrisa di epicità, crescita e soprattutto umanità. Caratteristiche trasposte all’interno del film ma non con l’impatto che avrebbero meritato.

Il ritorno di Natalie Portman nei panni di Jane Foster (la quale diviene La Potente Thor) ha un sapore agrodolce in quanto tutto il suo percorso nei “sia umani che divini” viene tagliato con l’accetta e non riesce a coinvolgere lo spettatore per come dovrebbe. Chris Hemsworth è invece sempre più calato nella nuova piega presa dal suo personaggio, trovandosi sempre più a suo agio rispetto ai due film iniziali.

Personaggio maggiormente di spicco è sicuramente il Gorr di Christian Bale, che interpreta alla perfezione il ruolo del macellatore di dei, riuscendo ad essere spaventoso ed imponente nei momenti giusti e a rendere le sue scene le migliori del film. Menzione d’onore va al penultimo combattimento nel mondo in bianco e nero di Gorr, dove solamente le armi divine mantengono le proprie colorazioni e danno vita ad un contrasto impattante e ben congeniato!

Ms. Marvel

L’ultima serie tv atterrata su Disney+ ha come protagonista Kamala Khan (Iman Vellani), una giovane ragazza figlia di immigrati pakistani trasferitisi in America in cerca di una vita migliore. Il personaggio di Kamala viene introdotto con una sequenza originale e molto ben architettata di doodle, che compaiono sullo schermo man mano che si alternano le scene e i vari punti che contraddistinguono Jersey City.

La narrazione mantiene un passo concreto nella prima metà della storia, presentando personaggi, le cui interazioni l’uno con l’altro risultano essere l’elemento più riuscito dell’intera produzione. Narrazione che rimanderebbe ad un classico teen-drama con delle venature politiche attualissime.

Poster della miniserie “Ms. Marvel” (Marvel Studios). Fonte: serialminds.com

 

E’ però nella seconda metà che la serie subisce un tonfo nella sceneggiatura. Il cambio di ambientazione è affascinante ma risulta vittima del classici problemi che hanno afflitto le serie Marvel nell’ultimo periodo: la pigrizia e la fretta. Avvenimenti sconnessi e con poco senso, clichè che rendono alcune scene davvero noiose e prevedibili e una CGI non sempre nel pieno della forma. Insomma, una nuova serie riuscita a metà con tante idee interessanti ma sviluppate non proprio nel migliore dei modi.

In conclusione, questa parte finale della fase 4 (ancora in attesa di She-Hulk e Black Panther: Wakanda Forever) continua a convincere a metà senza mai centrare un punto che dia allo spettatore una visione d’insieme per questa nuova maxi saga.

 

Giuseppe Catanzaro

Da un estremo all’altro della follia. Cosa sta succedendo nel MCU?

Dopo ormai 14 anni di MCU, c’era bisogno di una nuova corrente creativa che portasse un po’ di innovazione nel genere supereroistico.

Figli di questa nuovo “filone” sono senza dubbio Doctor Strange Nel Multiverso Della Follia e la serie basata sul personaggio di Moon Knight.

Filo comune tra i due prodotti è il diverso modo di raccontare e sviluppare l’elemento della follia.

Doctor Strange Nel Multiverso Della Follia

La pellicola diretta da Sam Raimi è indubbiamente il film più particolare mai prodotto e apparso all’interno di una cinematografia Marvel finora sempre fedele ai propri schemi.

Descrivere questo prodotto è tutt’altro che semplice, in quanto la trama risulta essere molto lineare e quasi elemento di secondo piano nell’insieme del film.

Il film riparte esattamente dalla fine di Spider-Man No Way Home, continuando a narrare anche gli eventi accaduti in Wanda/Vision.

                                                                                                                                     

Viene introdotto il personaggio di America Chavez (Xochitl Gomez), fulcro degli avvenimenti narrati in quanto ha il potere di aprire portali che conducono in altri universi. Ed è per merito/a causa di questo potere che si ritroverà nell’universo 616 (lo stesso numero utilizzato all’interno dei fumetti per descrivere l’universo principale) dove incontrerà Doctor Strange (Benedict Cumberbatch).

Il regista però è poco interessato agli eventi che deve narrare: lo è molto di più a ciò che deve far vedere allo spettatore e a come lo vuole far vedere.

Attraverso un ritmo incessante, Raimi riesce a realizzare sequenze che raccontano il suo cinema da tutti i punti di vista: quel gore alle volte così diretto da spiazzare lo spettatore, altre camuffato ma impattante al tempo stesso; transizioni così maestose ma anche folli e straordinariamente creative, e citazioni che galvanizzano come non mai i fan delle opere a fumetti (e non solo).

La nuova pellicola sullo stregone supremo risulta avere una trama un po’ soffocata dal ritmo frenetico datogli dal regista, che aggiunge pochi tasselli all’enorme puzzle narrativo del MCU. Ma dato l’estro e l’autorialità di Raimi che confeziona un prodotto eccellente, per una volta ( e ci auguriamo molte altre) va bene così.

Moon Knight

L’ultimo prodotto seriale confezionato in casa Marvel era uno di quelli più attesi dal pubblico, data l’enorme potenzialità del personaggio.

Steven Grant (Oscar Isaac) è un timido ed impacciato addetto ai souvenir nel British Museum, la cui vita verrà presto sconvolta quando il mercenario Marc Spector e la divinità egizia della luna Konshu irromperanno nella sua quotidianità cambiandola per sempre.

Per analizzare la serie possiamo concentrarci su due aspetti: trama e protagonista.

Parlando della prima, all’interno del MCU si sta cercando di dare una scossa agli ormai più che decennali schemi narrativi o di infrangere alcuni dogmi.

Moon Knight riesce parzialmente in ciò, in quanto all’epoca della sua presentazione fu descritta come la serie più dark e violenta vista finora sulla piattaforma Disney. Le aspettative sono state soddisfatte per quanto riguarda la violenza, ma in tutto ciò ancora una volta è la narrazione a risentirne.

 

                                                                                                                    

Si ha una premessa narrativa interessante nei primi due episodi, che però va pian piano scemando nel corso della serie per chiudere con un finale davvero molto debole e che non lascia nulla allo spettatore – che sia qualche emozione o la curiosità di sapere l’evoluzione futura del personaggio.

Ben altro discorso va fatto per la prova attoriale di Oscar Isaac, il quale riesce con una naturalezza disarmante ad interpretare le varie personalità del personaggio protagonista della serie. Una performance che lo eleva a migliore attore protagonista di un prodotto seriale Marvel. La follia connaturata in Moon Knight e nella sua controparte Steven Grant/Marc Spector riesce a trovare la sua massima espressione proprio grazie alla sua interpretazione.

Insomma, Moon Knight si rivela un’enorme occasione sprecata dal punto di vista narrativo ma che è riuscita a cristallizzare l’ormai affermato talento di Oscar Isaac.

La follia è l’elemento centrale attorno a cui ruotano queste due nuove produzioni. Da un lato abbiamo quella visiva esaltata da Raimi, dall’altro quella mentale perfettamente interpretata da Oscar Isaac. Entrambi riescono egregiamente nel trattare con due modi diversi – ma entrambi validi -un tema tanto difficile.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         

 Giuseppe Catanzaro

 

È davvero possibile? Uno sguardo alla scienza dei supereroi

Non importa se sei giovane o vecchio, uno studente o un avvocato di famiglia praticante, i film sui supereroi sono divertenti, stimolanti e pieni di riferimenti scientifici, che sembrano rendere il film ancorato alla realtà. Tuttavia, non significa che ogni riferimento sia del tutto veritiero. Diamo un’occhiata più da vicino alla scienza dietro questo fantastico mondo.

   Indice dell’articolo:

Spider-Man ferma un treno in movimento

 

Spider-Man fa tutto ciò che un ragno può: ma la sua ragnatela sarebbe abbastanza forte da fermare un treno in movimento?

Fotogramma che ritrae la scena del film www.nerdburger.it

In questa scena, tratta dal film del 2004, l’arrampicamuri impedisce ad un treno sopraelevato in fuga di schiantarsi, lanciando una rete di ragnatele per rallentarlo. Quando l’abbiamo visto per la prima volta, siamo rimasti molto colpiti dalla resistenza alla trazione delle ragnatele.
Quanto sono forti davvero? Considerando la velocità del treno, le sue dimensioni, la massa, la distanza che ha percorso e quanta ragnatela è stata sparata, si può affermare che: affinché quel treno si fermi sui suoi binari, la ragnatela di Spidey dovrebbe avere una trazione di forza di 1.000 mega Pascal o 145.000 psi.

Studi scientifici

Gli studenti di fisica dell’Università di Leicester effettuando un calcolo,  hanno dimostrato che la forza della ragnatela di Spiderman è proporzionale a quella dei veri ragni. Inoltre, hanno scoperto che la forza che le ragnatele di Spider-Man esercitano sul treno è di 300.000 Newton e che il modulo di Young (o rigidità) delle stesse è pari a 3,12 giga Pascal. Questo è molto ragionevole per la seta di ragno, che varia da 1,5 giga Pascal a 12 giga Pascal nei ragni tessitori. La tenacità della ragnatela è stata calcolata in quasi 500 mega joule per metro cubo. Ciò risulta essere in linea con la ragnatela di un Darwin’s Bark Spider, un ragno tessitore che vanta la ragnatela più forte attualmente conosciuta.

Darwin’s Bark Spider

Il ragno

È stato concluso che la tessitura del supereroe è davvero un equivalente proporzionale di quella di un vero ragno e, di conseguenza, sarebbe possibile per lui fermare un treno in movimento. Analogamente, una ragnatela ridimensionata a un campo da calcio potrebbe facilmente fornire il lavoro per fermare un aereo in volo.
Alex Stone, 21 anni, uno degli studenti, ha affermato: “Si dice spesso che le ragnatele siano più forti dell’acciaio, quindi abbiamo pensato che sarebbe stato interessante vedere se ciò fosse vero per la versione ingrandita di Spiderman. Considerando l’argomento, siamo rimasti sorpresi di scoprire che la ragnatela è stata ritratta accuratamente.”
I ricercatori dell’Università del Wyoming hanno sviluppato un modo per incorporare i geni che filano la seta di ragno nelle capre. Sono stati in grado di raccogliere grandi quantità di proteine ​​della seta dal latte delle capre. Chissà se in futuro potremo avere un vero Peter Parker.

Entanglement quantistico

In Ant-Man and the Wasp, siamo stati introdotti al concetto di entanglement quantistico attraverso la connessione di Scott Lang con Janet Van Dyne. Si ritiene che la sua psiche si sia impigliata con quella di Janet, il che gli ha permesso di vederla attraverso se stesso.
L’entanglement quantistico è un fenomeno della meccanica quantistica in cui gli stati quantistici di due o più oggetti devono essere descritti in riferimento l’uno all’altro, anche se i singoli possono essere spazialmente separati. Ciò porta a correlazioni tra le proprietà fisiche osservabili dei sistemi.
Ad esempio, è possibile preparare due particelle in un unico stato quantistico, così che si possa osservare sempre da un lato uno spin-up e dall’altro uno spin-down e viceversa, nonostante sia impossibile prevedere quale insieme di misurazioni verrà osservato.

Rappresentazione dell’entanglement quantistico ©Jacopo Burgio


Di conseguenza, le misurazioni eseguite su un sistema sembrano influenzarne altri istantaneamente coinvolti con esso. Ma l’entanglement quantistico non consente la trasmissione di informazioni classiche più velocemente della velocità della luce.
Le correlazioni previste dalla meccanica quantistica, osservate sperimentalmente, rifiutano il principio del realismo locale, ovvero che le informazioni sullo stato di un sistema dovrebbero essere mediate solo dalle interazioni nelle sue immediate vicinanze.

Evidenze reali in fisica

La cosa interessante è che l’idea dell’entanglement quantistico è un fenomeno reale in fisica. Infatti, se un oggetto si sovrappone alle funzioni dell’onda quantistica di un altro oggetto, si parla di entangled. Pertanto, anche se le due entità fossero allontanate il più possibile senza ingarbugliarle, resterebbero connesse tra loro influenzandosi vicendevolmente.
L’entanglement quantistico ha applicazioni nelle tecnologie emergenti dell’informatica quantistica e della crittografia quantistica, ed è stato utilizzato per realizzare sperimentalmente il teletrasporto quantistico. Gli scienziati, oggi, stanno lavorando con questo principio nella speranza di creare un supercomputer quantistico.

L’armatura di Iron Man e il suo funzionamento

L’idea della tuta di Iron Man è plausibile e in qualche modo realistica. Il problema, tuttavia, è che la nostra attuale tecnologia non è così sviluppata da consentire le abilità mostrate da Tony Stark. Per volare Iron Man usa stivali da jet e raggi repulsori. Gli stivali jet forniscono la maggior parte della spinta necessaria tale da fargli raggiungere velocità supersoniche. I raggi repulsori, situati nei palmi delle mani, forniscono stabilità insieme a lembi dispiegabili posti in varie sezioni della tuta.

Rappresentazione dell’armatura di Iron Man ©Jacopo Burgio

La propulsione

La terza legge di Newton afferma che “per ogni forza c’è una forza uguale e contraria“. È proprio questo principio che fa avanzare gli aerei a reazione e i razzi che vanno sulla Luna. Affinché il razzo raggiunga la destinazione, ha bisogno di una forza opposta che sia più forte della gravità. In pratica, tale forza, si ottiene utilizzando gas ad alta velocità che vengono espulsi verso il basso.
Per Iron Man è la stessa cosa: affinché la tuta si muova verso l’alto, deve espellere i gas verso il basso. Questo sembra accadere nel momento in cui vediamo polvere e fogli di carta volare quando Iron Man è sospeso in aria, durante i primi test della sua tuta.

I gas

Ma da dove vengono quei gas? In un razzo, il gas è vapore acqueo che proviene dalla combustione dell’idrogeno e dell’ossigeno contenuto nel serbatoio del carburante, ma per Iron Man non c’è produzione di gas poiché la potenza dell’armatura deriva da un ordigno nucleare. Possiamo però notare alcune scie di fumo nero dietro la tuta volante: questo non è molto coerente.
Dal momento che non ci sono emissioni di gas con un reattore nucleare, rimane l’opzione dei turboreattori: un reattore che aspira l’aria dall’alto e la spinge verso il basso. Fondamentalmente è ciò che fanno gli elicotteri. Ma ancora una volta, questo non è possibile quando, nel primo film di Avengers, la tuta sta andando nello spazio dove non c’è aria per spingere o addirittura sott’acqua.

Propulsore ionico

L’unica opzione rimanente è quella di un propulsore ionico, che utilizza un elettromagnete per accelerare gli ioni (particelle cariche) e spingerli. Quindi, la propulsione del dispositivo è generata dalla spinta degli ioni. Questo potrebbe funzionare a patto che Stark abbia un’enorme riserva di ioni nella sua tuta e un propulsore ionico estremamente potente: una spinta tipica di un tale motore equivale a 50-250 millinewton, che è bassa quanto la forza di soffiare con la tua bocca!
Ci vorrebbero circa 4000 propulsori ionici per sollevare un uomo di 100 kg, senza alcuna corazza e senza le 500 tonnellate di carburante ionico che sarebbero necessarie a tutti questi propulsori.
L’ipotesi dell’utilizzo di un propulsore ionico non è quindi plausibile. Funzionano solo nello spazio, dove non c’è resistenza dell’aria: la spinta potrebbe essere molto bassa, ma se alimentata abbastanza a lungo, accumula la velocità e dopo alcuni giorni la navicella si muove a velocità letteralmente astronomiche.

L’alimentazione

Il problema, tuttavia, è l’energia necessaria per il volo sostenuto. Non solo volare in giro costa una notevole quantità di energia, ma anche la tuta stessa. Il computer con cui Stark parla (Jarvis) deve costantemente utilizzare tonnellate di energia oltre a quella necessaria per far muovere l’armatura. Una versione reale dell’armatura di Iron Man richiederebbe più energia di quella che può produrre una centrale nucleare. Ma le tecnologie di oggi non sono sicuramente a quel livello di complessità ed efficienza. Tanto è vero che lui utilizza come fonte di energia un reattore Arc, un reattore nucleare a fusione fredda, che abbiamo già trattato in un precedente articolo.

Considerazioni finali

Detto questo, la forza richiesta per dare sollevamento a un oggetto di diverse centinaia di libbre sarebbe considerevole. Con l’equazione F=ma, sappiamo che per accelerare l’oggetto la forza dovrebbe essere più forte. Di conseguenza, con il progredire del volo, l’accelerazione dovrebbe essere ancora continua se non più forte. Dato che l’energia che la tuta richiede è enorme e considerando la legge di conservazione dell’energia (nessuna energia può essere prodotta o distrutta), non è possibile avere abbastanza energia da produrre/convertire per l’uso dell’armatura.
Concludendo, la propulsione dell’armatura di Iron Man come viene fissata nei film rimane un mistero per la scienza, ma non ancora per molto. Infatti Adam Savage qualche anno fa, ha creato un prototipo funzionante dell’armatura formata da quattro minisuperturboreattori.

Conclusioni

I film sui supereroi ci hanno fatto e continueranno a farci sognare e ad essere fonte di ispirazione per la scienza. È solo questione di tempo che tutto ciò che non è ancora realtà, lo diventi.

Ogni grande progresso scientifico è scaturito da una nuova audace immaginazione.

 

Gabriele Galletta

Hawkeye: un graditissimo regalo per chiudere il 2021

 

      Un ottimo regalo firmato Marvel per le feste natalizie   – Voto UVM: 4/5

 

Arrivata al suo quarto prodotto seriale, Marvel offre agli spettatori un prodotto molto più leggero rispetto agli intricati Wanda Vision e Loki ed al più politico The Falcon and The Winter Soldier (uscite sempre nel 2021).

La serie Hawkeye, trasmessa dal 24 novembre al 22 dicembre scorso su Disney +, vede per la prima volta come protagonista – dopo oltre 10 anni di film del MCU – Clint Barton (Jeremy Renner) alias Occhio di Falco, affiancato da una freschissima new entry, Kate Bishop (Hailee Steinfeld).

Clint (Jeremy Renner) con il classico costume viola. Fonte: Disney +

Gli eventi hanno luogo – come di consueto nelle ultime produzioni Marvel – dopo Avengers Endgame (2019), e sono per la prima volta piuttosto semplici e tranquilli.

Clint si prepara a trascorrere un felice Natale con la sua famiglia fino a quando non vede in televisione un oscuro fantasma del suo passato. Qualcuno sta indossando il suo vecchio costume di Ronin, identità adottata da Clint dopo il “Blip” (conseguenza dello schiocco di dita di Thanos avvenuto in Avengers Infinity War), in cui l’arciere, divorato dalla perdita della sua famiglia, diviene un giustiziere di criminali assetato di sangue.

Clint scoprirà immediatamente che chi si cela dietro la maschera non sarà altro che Kate Bishop, e da lì la serie impennerà verso vette qualitative decisamente elevate. Descritta così la storia potrebbe sembrare caratterizzata da quei toni cupi da cui Hawkeye in realtà si distanzia subito.

Infatti, la sceneggiatrice Katrina Mathewson pesca a piene mani dalla storia migliore dello scanzonato arciere ossia l’Occhio di Falco di Matt Fraction e David Aja, da cui riprende interamente i “nemici”: la Tracksuit Mafia (Mafiosi in Tuta), versione tremendamente caricaturale di qualunque associazione criminale.

 

Clint e Kate in una scena della serie

Ma l’aspetto per cui Hawkeye brilla di più non è la trama (che resta comunque piacevole e ben congeniata) bensì il legame tra Clint e Kate.

Con il succedersi degli episodi il loro rapporto maestro-allieva progredisce sempre di più fino a diventare quasi quello che c’è tra un padre e una figlia. L’entusiasmo di una novizia Kate e la stanchezza di un Clint, ormai sovraccarico di tutte queste dinamiche, spiccano in un dualismo ben caratterizzato.

Ogni loro dialogo è impattante, sia che si soffermi sulle tematiche più profonde sia che tocchi quelle più leggere e divertite. Le prove attoriali dei due protagonisti, poi, rendono la serie la gemma che chiude un 2021 ricco di produzioni Marvel.

Da sottolineare anche le coreografie di combattimento totalmente inedite nel panorama MCU data la massiccia presenza di arco e frecce che rende i combattimenti mai ripetitivi.

La serie non è tuttavia esente da difetti, seppur divertente e spensierata. Non si percepisce mai un vero senso di pericolo che coinvolga i due protagonisti: la già citata Tracksuit Mafia è del tutto innocua e funge solo da esilarante “punching ball” ( valvola di sfogo), mentre l’introduzione di Echo (Alaqua Cox) risulta troppo frettolosa e volta esclusivamente a presentare al pubblico il personaggio per il suo futuro spin-off.

Infine un ritorno graditissimo potrebbe risultare quello di un personaggio reso magistralmente nelle sue precedenti apparizioni su Netflix, ma che qui viene decisamente “svilito”. Di chi si tratta non saremo noi a svelarvelo!

 

Da una copertina della serie di Fraction e Aja – Fonte: Marvel Comics

 

In conclusione, Hawkeye è una serie che scorre via piacevolmente chiudendo linee narrative senza lasciare buchi, ma che pecca un po’ di ingenuità nella costruzione della trama. Ciò nonostante, resta un ottimo regalo per le feste di Natale.

Giuseppe Catanzaro

Spider-Man: No Way Home, la chiusura del cerchio

Tra grandi crossover e coreografie mozzafiato, Spider-Man No Way Home è un film che tocca nel profondo i fan dell’uomo ragno – Voto UVM: 5/5

 

Dopo quasi 20 anni di filmografia Sony sul “tessiragnatele”, Jon Watts col terzo capitolo della sua trilogia chiude un enorme cerchio narrativo.

Il film riprende esattamente dove si era concluso il precedente (Spider-Man Far From Home), quando grazie ad un trucco, Mysterio riesce a svelare l’identità di Spider-Man facendolo anche passare per l’autore della sua morte e conseguentemente scatenando una ripercussione sull’immagine del ragno.      Peter Parker (Tom Holland) decide così di andare a trovare Doctor Strange (Benedict Cumberbatch) per cercare un incantesimo tramite il quale tutti potessero dimenticare l’identità di Spider-Man.

L’incantesimo viene però alterato da Peter risultando nell’effetto opposto, ossia diversi villain appartenenti ad altri universi che sono a conoscenza che Peter Parker è Spider-Man, vengono teletrasportate nel MCU.  Rivediamo dall’universo narrativo dello Spider-Man di Sam Raimi dei ritorni illustri quali quello di Doc Ock (Alfred Molina), l’Uomo Sabbia (Thomas Haden Church) e Green Goblin (di un William Dafoe assolutamente strepitoso).

Alfred Molina di nuovo nei panni di Dottor Octopus dopo 17 anni

Mentre dall’universo narrativo dell’Amazing Spider-Man di Marc Webb, vediamo il ritorno di Electro (Jamie Foxx) e di Lizard (Rhys Ifans).

Gli eventi narrati nel film proseguono – come già detto – la storia da dove si era interrotta nel precedente capitolo e si sviluppano in modo assolutamente prevedibile nella prima parte della pellicola, con un Peter Parker che cerca di porre rimedio a ciò che Mysterio ha compiuto al termine di Spider-Man Far From Home.

Ma è nella seconda parte che il film diventa dirompente specialmente a livello emotivo.

Spider-Man si ritroverà a combattere nemici per lui sconosciuti, ma che al tempo stesso conoscono bene l’Uomo Ragno ma soprattutto Peter Parker.

Saranno proprio loro a spingere Peter verso una crescita emotiva esponenziale, ma non priva di possibili ricadute che potrebbero trascinare il nostro eroe in un tetro baratro senza possibilità di risalita, crescita messa in mostra dal miglior Tom Holland mai visto nelle vesti del ragno.

Un percorso di crescita che nessun altro film appartenente al MCU è stato in grado di portare in scena, un percorso affrontato anche dai personaggi secondari, tra i quali più di tutti brilla una Zia May (Marisa Tomey) alquanto commovente.

Tom Holland e Zendaya in una scena del film

Le coreografie dei combattimenti sono tra le migliori in assoluto mai viste non solo nel MCU, ma nel mondo dei cinecomics in generale.

Partendo dallo scontro tra Doc Ock e Spider-Man sul ponte fino ad arrivare a quello tra lo stesso e Goblin, quest’ultimo violento e crudo come pochi si sarebbero immaginati.

Non mancano ovviamente i riferimenti fumettistici, soprattutto quelli relativi a Soltanto Un Altro Giorno di Straczynski e Quesada.

 

Spider-Man, One More Day: copertina del fumetto. Fonte: Marvel Comics

 

Parlare di Spider-Man No Way Home è davvero complesso, in quanto ogni parola potrebbe risultare di troppo a chi il film non l’ha ancora visto, e soprattutto perché questa pellicola – più di tutte le altre sul ragno – tocca profondamente il cuore degli appassionati del più grande supereroe.

In conclusione, Spider-Man No Way Home è il film delle origini dell’Uomo Ragno di Tom Holland che ha l’abilità di chiudere molteplici storie, ma soprattutto di dare inizio a qualcosa di nuovo.

Il ragno sarà sempre iconico e quale modo migliore di finire un ciclo se non quello di tornare dove tutto è iniziato?!

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               Giuseppe Catanzaro

Sam Raimi: una favola di regia

Nel corso della storia del cinema possiamo contare diversi esempi di uomini e donne capaci di imporre le proprie idee e farsi amare dal pubblico internazionale partendo da zero.

Compie oggi 62 anni Sam Raimi, regista che ha fatto la storia della settima arte imponendosi autonomamente in un settore estremamente ostico verso chi non possiede le conoscenza necessarie per poterci lavorare.

Noi di UniVersoMe vogliamo celebrarlo andando a ripercorrere le tappe più significative della sua carriera.

Le origini e la trilogia de La Casa

Alla base del successo del regista gioca un ruolo fondamentale l’amicizia con Bruce Campbell. I due si conoscono dai tempi della scuola e fin da adolescenti iniziano a girare dei cortometraggi con una cinepresa regalata a Sam dal padre.

Trascorrono gli anni e la passione per il cinema porta i due a fondare una propria società insieme a Robert Tapert (l’allora compagno di stanza d’università di Raimi): la Renaissance Pictures. Il primo film della nuova casa di produzione fu La Casa (1981).

La pellicola racconta di cinque ragazzi che si recano in uno chalet sito all’interno di un bosco per divertirsi. Qui vi trovano un libro scritto in sumero (il Necronomicon), mediante il quale involontariamente evocano un’entità maligna che li perseguiterà. Toccherà ad Ash Williams (Bruce Campbell) cercare di salvare se stesso e i suoi amici.

Una scena del film – Fonte: Renaissance Pictures

La Casa inizialmente venne accolto da pareri discordanti della critica e non ottenne particolare successo al botteghino. Nel corso degli anni però, grazie alla redistribuzione in home video, venne ampiamente rivalutato fino ad essere considerato uno dei cult movie a basso costo più amati della storia. A causa del budget bassissimo, Raimi dovette arrangiarsi parecchio durante le riprese: molti effetti speciali vennero creati con mezzi di fortuna sul set stesso.

Ciò che colpisce enormemente della regia è sicuramente l’utilizzo della telecamera nei momenti in cui l’entità si muove tra i boschi: il regista ha deciso di effettuare delle riprese in soggettiva del demone mentre insegue i ragazzi. Gli inseguimenti vengono mostrati dal punto di vista dell’entità grazie a una sorta di steadicam (creata dal regista stesso), montata su un supporto mobile che garantisce un movimento fluido e veloce della cinepresa. Il risultato è un effetto tremolante senza alcuna perdita di qualità dell’immagine.

Nel 1987 il regista gira una sorta di sequel/remake, intitolato La Casa 2, con Bruce Campbell nuovamente nei panni  di Ash Williams. Grazie alla distribuzione di Dino De Laurentis e ad un budget 10 volte superiore al film precedente, Raimi riesce a riproporre ciò che aveva già realizzato ne La Casa, innalzando esponenzialmente la qualità della pellicola.

Un elemento estremamente importante della pellicola è certamente l’aspetto del protagonista: Ash ad un certo punto del film è costretto ad amputarsi una mano e poi ad autoimpiantarsi una motosega per sostituirla. Con una mano-motosega da un lato ed un fucile dall’altro, diviene a tutti gli effetti un personaggio iconico nel panorama del genere horror. Un esempio di come Raimi riesca ad aggiungere particolari significativi alla trama che restano impressi in maniera indelebile nella mente dello spettatore.

Ash ed il suo amato braccio-motosega

Nel 1992 esce il seguito diretto de La Casa 2 intitolato L’armata delle tenebre, film visceralmente diverso dai precedenti.  Non ci troviamo più di fronte ad un horror con sprazzi di comicità, ma più propriamente davanti ad un fantasy che vede sempre Ash Williams catapultato nel medioevo dove dovrà fronteggiare le forze del male.

La trilogia di Spider-Man: rinascita del cinecomic

Dopo il successo della trilogia de La casa, arriva un’occasione più unica che rara per il regista: nel 2000 la Sony gli affida il compito di dirigere Spider-Man. Un momento significativo per la carriera di Raimi: se prima il regista aveva tutta la libertà del mondo per esprimere la sua creatività da cineasta senza particolari pressioni, ora si ritrova su un livello estremamente più elevato.

Impostando la pellicola come una sorta di commedia d’azione con spruzzi di romanticismo d’alta classe (il bacio tra Peter Parker e Mary Jane meriterebbe un intero articolo a parte!) e gag esilaranti, il regista gira un film che incassa 800 milioni di dollari.

Il famoso bacio tra Peter Parker (Tobey Maguire) e Mary Jane (Kirsten Dunst) – Fonte: Columbia Pictures/ Sony Pictures

Fino ad allora i film sui supereroi erano considerati B-movies e le grandi case di produzione – a parte rarissime eccezioni- non investivano in tali progetti. Spider-Man (2002) fu un salto nel buio per la Sony, che grazie a Raimi decise poi di girarne due seguiti dal medesimo stile (in Spider-Man 3 però non sono presenti gag degne di questo nome). Da lodare anche le brillanti interpretazioni di tutto il cast (presente anche l’amico Bruce Campbell in un cameo).

La trilogia di Spider Man trascina una mole gigantesca di persone in sala ad assistere a un film di supereroi, segnando la rinascita del cinecomic e l’inizio di un periodo d’oro per il genere che arriverà fino ai giorni nostri con le pellicole del Marvel Cinematic Universe.

Sam Raimi – Fonte: horrorstab.com

Raimi è un esempio lampante non solo di come si fa cinema, ma di come si possa creare qualcosa che abbia qualità in qualsiasi condizione. Senza soldi gira una pietra miliare del genere horror, con i soldi dà linfa vitale al genere cinematografico più redditizio di sempre. Chapeau Mr Raimi.

Vincenzo Barbera

 

 

Marvel: Croce e Delizia

Il mese di luglio è stato il punto di svolta di questa nuova fase del MCU (Marvel Cinematic Universe) grazie alla conclusione della serie su Loki e del tanto atteso film sulla Vedova Nera.

Loki

La terza serie su Disney+ risulta essere inaspettatamente la più impattante sul nuovo corso narrativo della Fase 4, ma anche quella che vanta una qualità di scrittura maggiore.

Locandina della serie. Fonte: LaPresse

Gli eventi della serie partono dalla fuga di Loki durante Avengers Endgame (2019) avvenuta grazie ad una Gemma dell’Infinito – che portano il protagonista (interpretato da un Tom Hiddleston in grande spolvero) ad arrivare in un pianeta sperduto nel quale verrà arrestato dalla TVA (Time Variance Authority) e condotto nel loro quartier generale.

Qui arrivato, Loki scopre di essere una “variante”, ossia una versione di sé stesso che non è andata incontro alla sorte che il destino gli aveva serbato.

La serie si rivela dunque il fulcro dal quale si dirameranno i futuri di tutti i personaggi dell’universo cinematografico della Casa delle Idee, che delinea e prospetta un imminente multiverso.

Le parti migliori risultano essere i dialoghi, scritti in maniera impeccabile e mai stucchevole o noiosa e che fanno capire in maniera chiara allo spettatore i background di ogni singolo personaggio.

Brillano anche i costumi e tutte le citazioni ai lettori delle varie controparti cartacee.

In conclusione, Loki è una serie fresca e scorrevole, ma di impatto, quella che più di tutte le altre dà l’impressione allo spettatore di leggere un fumetto: sembra proprio che la Disney non abbia intenzione di sbagliarne una!

Black Widow

Totalmente all’opposto qualitativamente parlando è il film incentrato su Natasha Romanoff.

Locandina del film. Fonte: Comics Universe

La pellicola narra gli eventi vissuti dalla Vedova Nera (Scarlett Johansson) nel periodo che intercorre tra Civil War e Avengers Infinity War.

Una Natasha in fuga (in quanto ha violato i trattati di Sokovia essendosi schierata dalla parte di Capitan America) riceve una lettera dalla propria sorella adottiva (anch’essa vedova nera), la quale, una volta incontrata, le chiede aiuto per liberare tutte le altre vedove nere ancora prigioniere della Stanza Rossa.

Il film vuole essere uno spy-movie dai toni un pò più canzonatori e leggeri rispetto ad un Capitan America: The Winter Soldier (2014), riuscendo ad esserne solo una brutta copia in tutti gli aspetti. Cerca di spremere tutto ciò che è rimasto da spremere, da un personaggio che non aveva più niente da dire già in Avengers Endgame.

Dialoghi vuoti e privi di mordente, coreografie dei combattimenti deboli e non spettacolarizzate quanto dovrebbero – tranne in rarissimi casi – e una trama scialba che non aggiunge letteralmente nulla alla visione di insieme del MCU se non per la scena post credit.

Tirando le somme, Balck Widow non è un film pretenzioso ma riesce a far male anche quelle cose in cui dovrebbe brillare un po’ di più, un tributo finale assai amaro ad un personaggio che ha accompagnato i fan dell’universo cinematografico Marvel sin dagli inizi.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               Giuseppe Catanzaro

The Falcon and The Winter Soldier: la potenza dei simboli nell’attualità

La nuova serie Disney, seppur più “tradizionale”, non manca di azione e funge da veicolo per messaggi di grande rilevanza sociale – Voto UVM: 4/5

Dopo la scommessa più che vinta fatta con Wanda Vision nella piattaforma Disney Plus, la Disney ritorna con una nuova serie dai canoni molto più simili a ciò che siamo stati abituati a vedere all’interno del Marvel Cinematic Universe: The Falcon and the Winter Soldier.

La serie continua la narrazione degli eventi accaduti alla fine di Avengers Endgame, e, più nello specifico, il ritiro dalle scene di Steve Rogers con il suo conseguente addio al ruolo di Capitan America e il passaggio dello scudo a favore di Sam Wilson.

 

Sam riflette sul valore dello scudo – Fonte: My Red Carpet

Il fulcro della serie verte attorno alle 3 figure che, fumettisticamente, dopo l’originale Capitan America, hanno ereditato lo scudo in periodi ed in eventi diversi, e, nello specifico: Falcon (Anthony Mackie), il Soldato d’inverno (Sebastian Stan) e il neo introdotto nel MCU John Walker (Wyatt Russell).

Ma cosa significa essere Capitan America? È sufficiente ricevere lo scudo ed un costume e che il governo ti dichiari tale per esserlo?

La risposta è assolutamente no, perché l’essere Cap ha sempre trasceso dall’uomo che porta lo scudo, poiché lo scudo stesso è un simbolo: rappresenta il sogno ma, al contempo, porta con sé responsabilità ed un peso che può schiacciarne chi lo possiede evidenziandone le sue debolezze.

La serie mostrerà allo spettatore tutto ciò attraverso il personaggio di John Walker, soldato che ha ricevuto molteplici medaglie d’onore per il valore ed i meriti mostrati sul campo, il quale viene eletto dal governo nuovo Capitan America in quanto ritenuto, sia fisicamente che moralmente, degno di essere l’erede di Steve Rogers.

John porterà il fardello di rivestire il ruolo del simbolo maggiore del proprio paese, non riuscendo, però, a gestire tale peso: questo lo porterà a macchiare lo scudo di una colpa indicibile dovuta al sentirsi inferiore rispetto al Cap originale, il tutto reso in modo magistrale attraverso una scena ed una fotografia talmente impattante agli occhi dello spettatore da risultare quasi evocativa.

John Walker – Fonte: Comics Universe

 

Ma qual è il messaggio principale che Malcolm Spellman – autore della serie – vuole darci?

I simboli trascendono l’autorità, Capitan America non è un uomo bianco, dai capelli biondi e dagli occhi azzurri, non è lo stereotipo che il governo vuole far passare come immacolato e puro tanto da rinnegare i meriti di soldati di colore solo perché tali, cercando di cancellarli dalla storia, bensì un uomo che sa cosa davvero rappresenta lo scudo, che combatte per esso e per gli ideali che esso rappresenta.

Il razzismo è una piaga che ancora oggi, purtroppo, attanaglia il nostro mondo, ma personaggi come Sam Wilson e la crescita dello stesso all’interno della serie, servono a veicolare il più importante dei messaggi: il colore della pelle non è mai stato e mai dovrà essere un fattore per giudicare una persona, eroe o meno che sia.

I simboli trascendono dal colore della pelle e dalla religione, e non apparterranno mai a nessuno, tranne a chi li merita davvero.

Possiamo dunque affermare che The Falcon and the Winter Soldier è una serie compatta, a tratti altalenante nei ritmi, che soffre la poca consistenza degli episodi iniziali, ma che vanta coreografie di combattimento ben congegnate e che – soprattutto – cerca di trasmettere dei messaggi sociali degni di nota.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               Giuseppe Catanzaro

Wanda Vision: l’autorialità della cultura pop

Voto UVM: 4/5

A distanza di più di un anno dalla sua ultima produzione, il Marvel Cinematic Universe (MCU) ritorna in grande stile con il prodotto più autoriale mai fatto in questi 13 anni di attività.

Wanda Vision, nella programmazione dei prodotti della fase 4 dell’universo cinematografico Marvel, avrebbe dovuto essere il quinto (Black Widow, Eterni, Shang Chi, Falcon and the Winter Soldier), ma, a causa della pandemia e dei molteplici rinvii del film sulla Vedova Nera, è stato deciso che fosse il prodotto iniziale della suddetta fase.

La serie (ambientata subito dopo le vicende di Avengers Endgame) è stata realizzata nel modo più inaspettato possibile per un prodotto del suo genere: infatti, la parte iniziale della serie è una celebrazione della sitcom americana, che si evolve con il passare degli episodi, passando dagli anni 50 agli anni 80-90, fino alla più che naturale (ma contestualmente di ottima fattura) trasformazione in cinecomic.

 

Poster della serie

Ritroviamo Elizabeth Olsen, nei panni di Wanda, e Paul Bettany, nei panni di Visione, ma con uno spazio ad essi dedicato, ovviamente maggiore, in cui i due talentuosi attori riescono a dare il meglio di loro stessi immergendosi totalmente nel mood mutevole della serie. In particolar modo Elizabeth Olsen riesce a esprimere nel migliore dei modi tutte le sfaccettature del personaggio da lei interpretato, passando dal comico al drammatico con una naturalezza sconvolgente.

La serie ci porta a Westview, dove Wanda e Visione vivono la più classica delle vite da coniugi che veniva rappresentata nelle sitcom di metà secolo scorso, dove, tra battute e situazioni comiche, si insinua sempre più, con il passare degli episodi, un senso di stranezza e surrealtà, con un incedere sempre maggiore, fino al raggiungimento delle molteplici rivelazioni, che faranno capire la reale natura sia di Westview sia delle vite così perfette ma, al tempo stesso, irreali di Wanda e Visione.

Il prodotto segue lo schema di distribuzione, ormai consolidato, della piattaforma di Disney+ di un episodio a settimana, mossa vincente in quanto riporta lo spettatore alla bellezza del teorizzare (in particolar modo dopo l’introduzione di un personaggio specifico) su ciò che avverrà nell’episodio successivo, o su come tutta la serie influenzerà il macroverso del MCU; questi aspetti non si vedevano nel panorama delle serie tv dai tempi di un vero e proprio cult come Game of Thrones.

La Marvel attinge a piene mani dai fumetti più noti dei due personaggi, riadattandoli alla serie e, più in generale, al mondo narrativo cinematografico della Casa delle Idee, dal Visione: Un pò peggio di un uomo/un pò meglio di una bestia di Tom King, al celebratissimo House of M di Brian Bendis.

 

Copertina del numero 1 di House of M – Fonte: Wikipedia

L’insieme non è tuttavia privo di difetti, in quanto l’introduzione di personaggio in particolare (non lo menzioniamo per evitare un enorme spoiler) non viene giustificata e approfondita nella narrazione della serie, lasciando lo spettatore alle più disparate speculazioni o al pensare che il tutto possa risolversi nell’essere del mero fan service; inoltre, il finale non risulta incisivo come il resto della serie.

In conclusione, Wanda Vision è una scommessa più che vinta da parte dei Marvel Studios, che riescono, con il loro prodotto di fascia più pop, a creare una serie autoriale magistralmente scritta e recitata che non manca di tutte le sfere che hanno reso celebre la categoria nell’ultimo decennio abbondante, ma che si evolve nell’avere una propria identità alzando l’asticella delle aspettative verso i prodotti successivi della piattaforma stessa.

Adesso non resta che vedere cosa Marvel e Disney abbiano in serbo per noi con le prossime serie.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               Giuseppe Catanzaro