Marracash e l’incomunicabilità: l’Uomo, la Società e il Vuoto Contemporaneo

L’arte, quando è profonda, si manifesta come una riflessione sul tempo in cui nasce e sulle tensioni che lo attraversano. Negli ultimi tre album di Marracash (Persona, Noi, loro, gli altri ed È finita la pace), il rapper milanese ha costruito un percorso concettuale che non è solo autobiografico, ma si allarga a una visione esistenziale e politica della società contemporanea. Questo trittico musicale, nelle sue tematiche e nella sua costruzione narrativa, trova una corrispondenza sorprendente con la Trilogia dell’Incomunicabilità di Michelangelo Antonioni (L’avventura, La notte, L’eclisse), ma anche con film come Persona di Ingmar Bergman.

Persona: la frattura dell’io

L’album Persona (2019) è un’opera-manifesto, in cui Marracash scompone il proprio io come fosse un personaggio pirandelliano o un uomo immerso in un dramma esistenziale alla Bergman. Il titolo stesso rimanda al concetto di persona come maschera, un tema centrale nel cinema di Bergman, e in particolare nel suo film Persona (1966), dove il confine tra sé e l’altro si sfalda fino a diventare indistinguibile.

Non sono come te. Non mi sento come te. Sono Suor Alma, sono qui solo per aiutarti. Non sono Elisabet Vogler. Tu sei Elisabet Vogler.

In Persona, Marracash affronta questa crisi attraverso i titoli delle canzoni, che rimandano a parti del corpo, quasi a suggerire un tentativo di ricomporre un’identità fratturata. Il racconto si fa profondamente intimo: si parla di successo, depressione, amore tossico e della percezione pubblica di sé.

Non so se è amore o manipolazione
Desiderio od ossessione
Se pigrizia o depressione
Che finisca per favore, che esaurisca la ragione

Il parallelismo calza a pennello con il film di Bergman, dove la protagonista, un’attrice che smette improvvisamente di parlare, si sdoppia nella sua infermiera, fino a fondersi con lei. Allo stesso modo, Marracash esplora la sua identità artistica e umana, smascherando le contraddizioni tra ciò che è davvero e l’immagine che gli altri hanno di lui. Il risultato è un’opera che riflette sul tema dell’identità personale nel mondo dello spettacolo e oltre.

Noi, loro, gli altri: il senso di estraneità

Il secondo capitolo, Noi, loro, gli altri (2021), sposta il focus dall’individuo alla società, dalla dimensione personale a quella collettiva. Marracash ragiona su come la realtà esterna influenzi l’identità, analizzando il divario tra noi (chi sente di appartenere a una comunità), loro (l’élite o il potere) e gli altri (gli emarginati, gli esclusi).

Questo discorso trova un parallelo perfetto con la Trilogia dell’Incomunicabilità di Antonioni, in particolare con L’eclisse (1962), film che mostra il progressivo svuotamento emotivo dei personaggi, incapaci di trovare un senso nel mondo moderno.

Così come nel film, anche nell’album di Marracash domina un senso di disillusione: il successo e il potere non colmano il vuoto, mentre la società è sempre più frammentata.

Volevo davvero questo? Tutta la vita che ci penso (Dubbi)

Nel brano Dubbi, ad esempio, si avverte l’angoscia di una realtà in cui le divisioni sociali ed economiche rendono impossibile la comunicazione tra le classi, esattamente come i personaggi di Antonioni che, pur parlando, non riescono davvero a comprendersi.

Chissà perché si fanno tante domande? Io credo che non bisogna conoscersi per volersi bene. E poi, forse, non bisogna volersi bene.

Il finale di L’eclisse, con la dissolvenza su strade deserte e lampioni che si accendono, suggerisce un mondo privo di significato, e lo stesso si può dire per l’album di Marracash, che lascia più domande che risposte.

È finita la pace: il collasso dell’illusione

Con È finita la pace (2024), Marracash completa il percorso spostando il focus sul presente: la pace interiore e sociale è ormai perduta. L’album non parla più solo della crisi dell’individuo (Persona) o delle strutture che lo circondano (Noi, loro, gli altri), ma dell’impossibilità di ristabilire un equilibrio. Il titolo stesso suggerisce un punto di non ritorno, un’irreversibilità della crisi.

In questa fase, il parallelo cinematografico potrebbe essere con La notte (1961) di Antonioni, dove il rapporto tra i protagonisti (una coppia in crisi) riflette un malessere esistenziale più ampio.

Se stasera ho voglia di morire, è perché non ti amo più. Sono disperata per questo. Vorrei essere già vecchia per averti dedicato tutta la mia vita. Vorrei non esistere più, perché non posso più amarti.

Anche Marracash affronta il tema della fine delle illusioni: le relazioni affettive sono logorate, il sistema è irrecuperabile, il tempo non porta redenzione.

Escono di casa uno straccio, senza neanche un abbraccio, con il cuore d’intralcio quelli come me.

Un altro parallelo interessante è con Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini (1975), in cui il potere e la violenza diventano l’unica legge. È finita la pace sembra suggerire che la realtà attuale, tra guerre, disuguaglianze e alienazione, è diventata un luogo in cui non si può più trovare una via d’uscita.

Marracash

Marra Stadi 25: Messina attende il King del Rap

È l’artista delle sfide, dei record e delle ambizioni sempre più alte. Marracash non smette mai di superarsi, conquistando pubblico e critica con ogni nuovo traguardo. Dopo aver vinto la Targa Tenco e creato un festival unico per il rap italiano, è pronto a scrivere un’altra pagina di storia: con MARRA STADI 2025, sarà il primo rapper a portare un intero tour nei grandi stadi italiani.

Anche la Sicilia sarà protagonista di questo evento straordinario. Il 5 luglio 2025, Messina accoglierà la tappa imperdibile del tour allo Stadio San Filippo – Franco Scoglio, pronta a trasformarsi in un’arena di pura energia.

L’evento è organizzato da Puntoeacapo, in collaborazione con il Comune di Messina, sotto la guida del Sindaco Federico Basile, e l’Assessorato agli Spettacoli e Grandi Eventi Cittadini, rappresentato da Massimo Finocchiaro.

Gaetano Aspa

Ernia: senza armatura contro le paure contemporanee

Un viaggio dentro l’anima di un artista che raggiunge, finalmente, la piena libertà d’espressione del proprio sé. – Voto UVM: 5/5

In un clima dettato dal canone consumista, Ernia ritorna con il suo quarto album in studio sfondandone il muro. Io non ho paura è un concentrato di ansie e paure che scava a fondo nell’anima di Matteo Professione (vero nome di Ernia), riflettendosi alle orecchie dell’ascoltatore e raggiungendo così un livello di maturità sorprendente, forse superiore al lavoro precedente, Gemelli (2020). La paura è un elemento che ha sempre accompagnato l’artista, poiché vista come condizione necessaria con cui ha imparato a convivere.

Il disco, pubblicato venerdì 18 novembre, riprende il concept del libro di Niccolò Ammaniti e la locandina del film di Gabriele Salvatores. Curato da produttori di tutto rispetto come 6IXPM e Junior K, si districa sincronicamente tra puro rap – sono un esempio tracce come Cattive Intenzioni e Non Ho Sonno – e pop italiano, che caratterizza da sempre lo stile del rapper milanese. A questo proposito non possiamo fare a meno di ricordare il successo ottenuto da Superclassico che vanta quattro dischi di platino. Scendiamo adesso nel dettaglio parlando di quelle canzoni che più risaltano in quest’ultimo capolavoro!

Le verità disarmanti di cui “tutti hanno paura”

Lo scenario è lo stesso raccontato da Marracash in Noi, loro, gli altri: una società frammentata e caotica. E come si fa a non avere paura se a poco più di vent’anni ci si ritrova con in mano un destino precario? Perché sforzarsi di leggere Goethe, Kant et similia senza però sapere cosa fare della propria vita?

È da questi interrogativi che il rapper di Milano parte per raccontare, nella traccia d’apertura (ft. Marco Mengoni), l’ansia di una generazione ormai alle strette. Giovani che devono trovare la loro strada in una società destinata al collasso, in un pianeta morente che, tra crisi pandemiche e crolli di borsa, farebbe invidia ad un qualsiasi libro di Stephen King. Per i superstiti le prossime rivoluzioni si faranno in smart working. Ma una cosa è certa, e per quanto noi possiamo sforzarci di nasconderlo, Ernia non usa mezzi termini: tutti hanno paura.

Sono solo un middle child che non riposa
Che non sa che scelte fare perché tutti hanno paura di qualcosa

Ad anticipare questa paura ci aveva già pensato Montale quando, in risposta alle indagini sui mezzi di comunicazione di massa tenute dal semiologo italiano Umberto Eco nel suo volume Apocalittici e integrati (1964) si chiedeva quali fossero i fini dell’uomo per tali mezzi: “Qui si naviga nel buio”.

Con un sample di Stupidi della Vanoni, in Così stupidi, Ernia ci racconta di una società governata dai media e in cui l’uomo, schiavo di quel consumismo capitalistico, ha deciso di rincorrere un “sogno frustrato”, rinunciando all’essere per apparire. Questa caratteristica è endemica della scena hip hop italiana, intrisa di artisti che affrontano delle tematiche senza viverle veramente, al fine di accontentare il gusto del pubblico attuale e dell’industria musicale. Non manca, dunque, una critica all’attitudine imbarazzante di questi artisti:

‘Sti rapper come Amazon, che miseri (Bu!)
[…] La mia generazione di bugiardi, son finti dinamitardi
Pensare che c’è il pubblico che abbocca
Vedi tu quando non vendon più che la merda viene su

Paure e ansie di un amore generazionale

Bella fregatura è la terza traccia del disco, puramente pop, che si presenta come una ballata romantica ma senza perdere il focus sulla paura. In questo caso, il tema riflette la consapevolezza dei rischi e i limiti che una relazione può comportare, specialmente se si è giovani. Nel cuore dell’artista, probabilmente, l’insieme è correlato anche alle conseguenze del successo che per certi versi distrae l’uomo dietro il personaggio, portando i due a non decidersi su determinate scelte e posizioni da adottare, da come si evince dal ritornello:

Io penso cose che tu non t’aspetti
Perché ho ancora più sogni che cassetti
Ma se dagli occhi tu apri i rubinetti
Fanno contrasto con la pelle scura

Tuttavia, al cuor non si comanda e il rapper conclude che la fidanzata Valentina Cabassi, affettuosamente parlando, è la sua “bella fregatura” poiché non riesce a rinunciare all’amore che prova per lei. La tematica viene poi ripresa da Ernia in Il mio nome (dodicesima traccia dell’album), costruita sulla falsa riga di Phi, quest’ultima contenuta in 68 (Till The End).

Nella società odierna, a diventare mutevoli ed imprevedibili sono, infatti, anche le relazioni sociali e i rapporti d’amore. Uomini e donne sono ansiosi di costruire dei legami ma al tempo stesso hanno paura di restare bloccati in relazioni “stabili”, definitive, rischiando di perdere quella libertà di instaurare altri rapporti. Perché anche l’amore, come ci fa notare il rapper, non solo non si sottrae da quelle costanti ansie e paure che la generazione Z è costretta ad affrontare quotidianamente ma molto spesso ne diventa la causa principale.

Il sogno interrotto di Sveva

Cosa succede quando dinanzi a un dolore così grande, ci si ritrova spogliati da ogni preconcetto? Dove si trova la forza di andare avanti? Questo è ciò che traspare da Buonanotte, la punta di diamante del disco prodotta dalla mirabile penna di Ernia, riflettente l’uomo dietro il personaggio nel suo carattere più sensibile e puro.
L’artista tratta il delicato tema dell’aborto, rivolgendosi al figlio o figlia che avrebbe avuto con la compagna, spiegando il perché di una tale difficile e sofferta decisione:

La paura di sbagliare, sai, paralizza la scelta
Perdonami davvero, ma se abbiamo preso questa
È stato anche per non doverci ritrovare ostaggi della stessa

Un po’ come se fosse la sua “lettera a un bambino mai nato”, o meglio, la lettera alla sua Sveva, – è così che l’avrebbe chiamata – che ora riposa tranquilla nei sogni del papà. La paura che Ernia racconta in questa traccia è quella dei millennial e della Gen Z di mettere al mondo dei figli a causa di una sempre più instabile condizione economica e sociale di un futuro catastrofico. Come si fa a parlare di vita e di speranza vivendo in un mondo del genere?

La paura smascherata

L’impostore è una chiusura – a nostro avviso – perfetta, un vero e proprio j’accuse che pone l’ascoltatore nelle condizioni di riflettere in modo immersivo, come se lo stesso artista ci invitasse a mettere in dubbio la propria identità. È una traccia interessante e personale poiché va a riprendere la Sindrome dell’impostore. Concetto, già sviluppato in La Paura e Bugie, contenute rispettivamente in 68 (disco d’esordio) e Gemelli (un disco a metà tra la spontaneità e la maturità artistica). La traccia finale del disco rappresenta la presa di coscienza definitiva di un’artista smascherato delle sue stesse contraddizioni, generate dalla paura di fallire:

Forse è grazie al cervello che ho reso grande il mio nome
Ma la musica è di pancia, io non ho duro l’addome
Forse metterlo in piazza riesce a darmi un po’ di pace
O è per distrarvi prima che notiate

Con queste barre, il rapper si chiede se i propri risultati siano frutti di bravura o meno: lui ha cervello ma la musica è arte che va oltre la logica e forse non è in grado di capirla. Dunque, l’artista cerca giustificazioni che vogliano screditare il suo merito, così da uscire da questo paradosso che vive costantemente. Sicuramente sentiremo parlare di questo disco anche perché, diciamoci la verità: un individuo riesce davvero a sfuggire dalle sue paure?

 

Federico Ferrara
Domenico Leonello

Fabri Fibra è pronto a mettere ordine al “Caos” che lo circonda

L’album racchiude tutti gli elementi che caratterizzano la figura complessa del rapper: tecnica brillante, ironia, verità pura e semplice, linguaggio diretto – Voto UVM: 4/5

 

Dopo una lunga pausa è tornato l’artista che ha permesso al rap di sfondare in Italia. Sono infatti passati ben cinque anni dalla pubblicazione di Fenomeno, e Fabri Fibra sceglie di celebrare i suoi vent’anni di carriera con un nuovo full album: Caos.

Il disco è stato reso disponibile su tutte le piattaforme streaming musicali dal 18 marzo. Si sa che Fabrizio Tarducci, vero nome del rapper, non prova grande stima o simpatia nei confronti dei media tradizionali e in particolare della categoria giornalisti. Proprio per questo sceglie di raccontare e spiegare lui stesso l’album, attraverso una playlist apposita su Spotify con 17 file audio, uno per ogni traccia.

Sulla copertina di Caos, Fabri Fibra passeggia sulle spiagge di Grado. Fonte: Soundsblog

“Quanto successo devo fare per sentirmi amato?”

Questo è forse uno dei punti chiave dell’intero album. Il caos di cui Fibra parla non è solo quello che caratterizza la sua vita personale o il suo percorso artistico. È un caos generale, del mondo intero, presente ovunque: nella musica, nella politica e nei sentimenti.

L’album contiene 17 tracce e moltissime collaborazioni. Spiccano quelle con Marracash, Guè Salmo. Menzioni speciali meritano il brano Liberi con Francesca Michielin e la title track con Lazza e Madame. Ovviamente non poteva mancare il feat con Neffa, grande amico di Fibra, che compare in Sulla giostra.

La traccia che pubblicizza l’ultimo lavoro del rapper di Senigallia è Propaganda, in collaborazione con Colapesce e Dimartino. Il brano invita a riflettere sul comportamento di alcuni politici e sul loro modo di disilludere gli elettori. Caos si apre con un Intro, sul campionamento di “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli, in cui Fibra ripercorre tutti i suoi vent’anni di carriera, e si chiude con un Outro, che racchiude i ringraziamenti sinceri dell’artista a tutti coloro che hanno lavorato con lui alla realizzazione dell’album.

L’energia dirompente di Fibra

I temi che Fibra affronta in questo nuovo lavoro sono tanti. Prima di tutto è palese la critica ad altri non ben definiti rapper (anche se possiamo facilmente immaginare a chi si riferisce), colpevoli di non essere autentici e di cercare solo fama e soldi. Ma la cosa che veramente disturba Fibra è il consumismo che caratterizza i nostri giorni e che sembra divorarci senza freni. Ne sono vittime anche i rapporti sentimentali che non possiamo più permetterci di vivere a pieno.

Con il successo arrivano anche coloro che vogliono approfittarsene ma Fibra non permette a nessuno di farlo. Anche le amicizie più vecchie e stabili risentono del successo ma, anche in questo caso, tutto è sotto controllo. A volte capita però che, nonostante l’armatura che il rapper si è costruito addosso, arrivino i momenti di sconforto. Questi non devono essere un blocco ma si devono accettare per quello che sono, senza vergognarsene.

Sono presenti anche brani di denuncia verso l’uso di sostanze stupefacenti. Il rapper analizza, in modo critico, gli effetti negativi che la marijuana produce e sottolinea che non c’è nulla di magico o speciale nel consumarla. Divora le tue emozioni e poi ti lascia vuoto, con l’illusione che ti riempia di energia e di vitalità.

Fabri Fibra in concerto. Fonte: Radio 105

In realtà Caos è un album così complesso e ricco di particolari che è impossibile racchiuderlo in una critica logica e sistematica. Già dal primo ascolto ti cattura e ti lascia senza fiato. Il rapper, in un file audio su Spotify, dice che ormai nessuno ascolta un disco dall’inizio alla fine, ed è vero. Io però vi consiglio di farlo e di ascoltarlo come se aveste davanti un film o, meglio ancora, una serie tv: il risultato finale è spettacolare.

Sarah Tandurella

Marracash contro le maschere della società

Marracash ha ormai raggiunto la sua maturità artistica, e senza peli sulla lingua si fa psicanalista di una società ormai in frantumi. Voto UVM: 5/5

 

Noi, loro, gli altri è il riflesso di una società frammentata e caotica: un mondo in cui si rivendica il diritto all’identità, ma allo stesso tempo si perde la visione d’insieme.

Nel nuovo album Marracash sposta i riflettori dalla visione intima e introspettiva di Persona al mondo esterno, contro quel brutale Squid Game in cui ci troviamo costantemente immersi.

Oggi che tutti lottiamo così tanto per difendere le nostre identità
Abbiamo perso di vista quella collettiva
L’abbiamo frammentata
Noi, loro e gli altri
Noi, loro e gli altri
Persone
(“Cosplayer” )

È ancora presente quel senso di vertigine di una realtà fatta d’incertezze, in cui tutti abbiamo l’esigenza di indossare una o più maschere, perché in fin dei conti siamo solo degli attori in questo grande teatro che è la vita. In passato fu Pirandello a dire che ognuno di noi indossa delle maschere: una per la famiglia, una per la società e una per il lavoro, per poi riscoprirsi nessuno quando resta solo. È proprio da questo concetto che il rapper di Barona sembra partire per la costruzione del disco.

Metti una maschera sopra la maschera che già ti metti ogni giorno
(“Io” )

Lo scheletro dell’album

Il brano d’apertura, Loro, fa riemergere alcune ferite del nostro Paese come il caso Aldrovandi e la “macelleria messicana” della Diaz. Mentre Pagliaccio, una traccia dalla tecnica sopraffina, è un attacco ai nuovi rapper-clown e a quella “musica di plastica” contemporanea. Il tutto accompagnato dal campionamento di Vesti la giubba, un’aria dell’opera Pagliacci di Ruggero Leoncavallo. Si prosegue con un pezzo sull’amicizia, Love con l’immancabile Gué e con il sample di Infinity di Guru Josh del 1990.

Marra in quest’album si dimostra più versatile che mai. I pezzi non seguono gli schemi standard. Non c’è necessariamente una strofa, seguita dal ritornello, poi da un’altra strofa e magari dall’outro.

“Ha stabilito un nuovo margine, una nuova ampiezza di comunicazione.”  ( Ernia su Marracash)

Ne è un esempio Noi, la ghetto story dell’album che trasforma il rapper in una sorta di cantautore urbano, un De André della Z Generation.

La sua versatilità emerge anche nel cantato, in particolar modo con Io, un brano intimo ed esistenzialista campionato su Gli angeli di Vasco Rossi, che riflette sempre sul concetto pirandelliano delle maschere.
Non è però l’unico pezzo introspettivo dell’album. Anche in Dubbi e in Nemesi (ft. Blanco), il rapper redivivo torna a dialogare con sé stesso, e lo fa in una maniera lucida e appuntita.

Frase di “Nemesi”. Dal profilo instagram di Marracash

Marracash non rappa: psicanalizza

Il rap nudo e crudo di Marracash torna con Cosplayer, che riassume perfettamente lo spaccato sociale che stiamo vivendo. In questo pezzo il rapper non risparmia nessuno, tanto meno il collega rapper-influencer Fedez che a detta di Marra «sposa la causa solo quando gli conviene», contrariamente a quanto invece farebbero lui o la sua ex ragazza.

“Non è una cosa personale. Io e lui abbiamo visioni della vita opposte e antitetiche. Lui rappresenta quelli che si impegnano oggi per una cosa e domani per un’altra senza avere credibilità, senza conoscere il problema. Io posso parlare di galera perché conosco chi ci è andato. Elodie può parlare di gay perché lo sono persone della sua famiglia.” (Marracash su Fedez)                        

Elodie torna poi ad essere la protagonista in Crazy Love, in cui Marra accompagnato da Mahmood (feat nascosto), racconta la loro storia d’amore ormai conclusa. Anche il video diventa un’opera di alto livello, in cui i due si uccidono, coverizzando la performance “Rest Energy” di Marina Abramovich, e chiudendo il loro rapporto nel modo più struggente possibile!

“Ci siamo conosciuti sul set di un video e abbiamo pensato che sarebbe stato bello chiudere il cerchio con un altro video.”  (Marracash a proposito della sua storia con Elodie)

A sinistra Marracash ed Elodie, a destra Marina Abramovich e Ulay. Fonte: informazione.it

Si raggiunge l’apice della perfezione con lo skit Noi, loro, gli altri, in cui Fabri Fibra (che contenderebbe a Marra il trono di king del rap) riassume in meno di un minuto il senso intero dell’album.

Il cerchio si chiude con Cliffhanger, una rappata potente e massiccia sopra un campionamento sorprendente de l’Aida di Giuseppe Verdi.

Le copertine: il cuore del concept

L’album è stato presentato con tre diverse cover, che rappresentano le tre dimensioni possibili.

Nella prima il rapper è insieme alla sua famiglia, oltre che alla manager e all’ex fidanzata Elodie, che gli è stata accanto durante la lavorazione.

Nella seconda è con i discografici, l’avvocato e il commercialista. E a differenza della prima si percepisce una certa tensione.

Nella terza lo vediamo da solo, mentre “gli altri” gli passano accanto.

L’uomo è costretto ad indossare le tre maschere pirandelliane proprio perché le dimensioni con cui entra ogni giorno in contatto sono tre: famiglia (noi), lavoro (loro) e società (gli altri).

L’unico punto in comune delle tre cover è la presenza costante di Marracash, di Fabio che ci vuole far capire che non si può scappare dal confronto con gli altri. L’uomo avrà sempre un legame con il prossimo.

Io so solo che volevo essere uno di loro
Per non essere come tutti gli altri
Ma nella vita mi è successo di essere
Sia noi
Che loro
Che gli altri

Domenico Leonello

Sfera no stop, Famoso profuma già di platino

Famoso, nuovo progetto di Sfera Ebbasta, è già considerato un successo internazionale: l’ennesimo riscatto del rapper di Cinisello che, partendo da zero, si sta progressivamente togliendo grosse soddisfazioni. Voto UVM: 4/5

È il 27 Ottobre quando su Amazon Prime Video sbarca in esclusiva assoluta il music-film Famoso, regia di Pepsy Romanoff, direttore già di ottimi progetti come quelli di Vasco Rossi. Il documentario anticipa un po’ il disco pieno di collaborazioni internazionali.

La pellicola inizia raccontandoci come il giovane Gionata Boschetti (nome vero dell’artista) una sera, riunitosi a cena con i suoi amici al Mc Donald’s, fra cui il braccio destro e producer Charlie Charles, avesse già le idee ben chiare sulla strada da seguire che lo avrebbe portato al successo.

Il beatmaker Charlie Charle racconta che quello che lo colpì subito di Sfera fu la sua determinazione per la musica:

Da quel giorno abbiamo stabilito che ogni settimana lui sarebbe venuto da me il venerdì. Rimaneva lì, registravamo la sera poi dormiva sul divano dello studio e il giorno dopo tornava a casa.

Non è stato tutto rose e fiori per il trapper, come raccontano lui stesso e sua madre all’inizio del film: «Gionata prima di diventare un’artista di successo ha lavorato come barista e stagista elettricista» e solo nel tempo libero riusciva a coltivare, con estrema perseveranza, il suo amore per la musica, raccontando la sua vita a Cinisello Balsamo.

Copertina del film – Fonte: primevideo

Fresco di piazza dedicatagli nel posto che l’ha cresciuto, Sfera è pronto a tornare in vetta alle classifiche con Famoso, disco omonimo del film, appena rilasciato.

Il disco apre le porte con il singolo rilasciato qualche giorno prima, Bottiglie Privè. Il brano, unico beat prodotto da Charlie Charles, vuole trasmettere all’ascoltatore la capacità di Sfera nel restare sempre lucido senza lasciarsi sopraffare dal successo.

A seguire Abracadabra, le sonorità di Junior K sono veramente impressionanti. Sfera compie un ottimo lavoro di scrittura e non sfigura dinanzi ad un mostro sacro dell’hip hop americano come Future. Terzo brano, Baby con un super J Balvin, classico pezzo reggaeton, Non è il tipo di musica che prediligo, ma la canzone è curata con la massima precisione.

Cover del disco –  fonte: Instagram.com

Le sonorità di questo disco sono molto made in USA, e lo saranno per tutto l’album, come si nota dal quarto pezzo Macarena, feat. Offset, rapper membro dei Migos: uno dei brani che ho apprezzato di più. Hollywood con Diplo, quinta canzone, l’ho ascoltata parecchie volte in più, cattura per la semplicità che ti lascia. Il mixing di Diplo non avrebbe potuto non impressionare.

Sesto brano, Tik Tok con Marracash e Guè Pequeno, produzione di Drillionaire. Sembra di fare un passo indietro nel tempo, alle sonorità di XDVR, primo album dell’artista. La traccia trasmette moltissima cattiveria, elemento fondamentale che fa comprendere quanto Gionata sia abile nel variare così facilmente stili diversi. Marra scrive una buona strofa, ma non a livello di Guè; nel complesso, considerando che il disco è internazionale, collaborazione azzeccata in pieno. Neanche il tempo di omaggiare Tik Tok, che si presenta sul palcoscenico Male. Brano molto intimo per Sfera, da mettere nella lista preferiti di Spotify, hit destinata al successo.

Ottavo brano, altro capolavoro di Junior K, altra hit di Sfera, Giovani Re: è solo una questione di tempo prima che diventi l’ennesimo successo passato in radio. Gelosi, nono brano, conferma che Junior K sta facendo incredibilmente bene, però è un pezzo che personalmente non mi fa impazzire: lo trovo parecchio monotono, in particolare il ritornello. Quando è partita 6 A M ho cominciato seriamente a pensare che fosse una sveglia, l’unica traccia di Famoso da scartare.

Sfera Ebbasta e Steve Aoki in studio – Fonte: @sferaebbasta

Migliore di gran lunga l’undicesimo brano, Salam Alaikum, con il rapper marocchino 7ari ed il gigantesco Steve Aoki. Canzone molto bella, una delle migliori collaborazioni che Sfera potesse fare dopo Tik Tok.

Penultima canzone, altra collaborazione internazionale, Gangang con Lil Mosey. Non è il genere di rap che prediligo ma non si può non notare come la canzone presenti validissimi motivi per stabilizzarsi in vetta alle classifiche. Dulcis in fundo, $€ Freestyle: quanta cattiveria, le sonorità di questo tipo sono le migliori.

Ecco la tracklist completa:

1) Bottiglie Privè, produced by Charlie Charles
2) Abracadabra (feat.Future) produced by Junior K
3) Baby (feat. J Balvin) produced by Sky Rompiendo
4) Macarena (feat.Offset) produced by London On Da Track
5) Hollywood, produced by Diplo
6) Tik Tok (feat. Marracash & Guè Pequeno) produced by Drillionaire
7) Male, produced by Drillionaire
8) Giovani Re, produced by Junior K
9) Gelosi, produced by Junior K
10) 6 AM, produced by Junior K
11) Salam Alaikum (feat. 7ARI & Steve Aoki) produced by Steve Aoki
12) Gangang (feat.Lil Mosey) produced by Drillionaire
13) $€ Freestyle, produced by $€

 

Sfera non risparmia nessuno: ma, in fondo, come potrebbe con la cattiveria e l’insaziabile fame che ancora oggi possiede?

Francesco Maria Lui

Foto di copertina: youtube.com