Babylon: gli eccessi della Hollywood dei roaring twenties

Babylon è tutto: eccentrico, a tratti eccessivo, fedele alla realtà, ma soprattutto mantiene salda l’attenzione dello spettatore. Voto UVM: 5/5

 

In un turbinio di luci, musica, balli e piaceri, Babylon è un’esperienza audiovisiva che porta lo spettatore in un’epoca di sfarzo e lussuria: la Hollywood degli anni ’20. Scritto e diretto Damien Chazelle, più giovane vincitore del premio Oscar per miglior regia fino ad ora (Whiplash, La La Land), Babylon è, con i suoi 189 minuti, un’opera imponente. Il film ha riscontrato già da subito una buona accoglienza da parte della critica, aggiudicandosi numerose candidature ai Golden Globe, Critics’ Choice Awards e BAFTA. Ciononostante, la pellicola non ha riscontrato il successo sperato in fatto di incassi, probabilmente per via del grande successo di Avatar- la via dell’acqua.

Nel cast si ritrovano alcune delle più grandi stelle del cinema Hollywoodiano contemporaneo: Brad Pitt (Mr e Mrs Smith) nei panni di Jack Conrad, Margot Robbie (Amsterdam) nel ruolo di Nellie Leroi e Tobey Maguire in quello di James McKay.

Babylon
Nellie Leroi in una scena del film. Fonte: Paramount Pictures, Marc Platt Productions, Material Pictures, Eagle Pictures

Babylon: dal cinema muto all’avvento del sonoro

Il film si apre nel culmine degli eccessi: in una strabiliante festa. Tutta la ricca Hollywood si rifugia la sera in un circolo di droghe di ogni tipo, libertà sessuale ed eccessi di ogni tipo; qui si intrecciano le storie di tre figure focali del film. Jack Conrad è una stella del cinema muto, con una certa passione per l’alcol ed alcuni problemi nelle relazioni di coppia; Manuel Torres è un giovane cameriere di origini messicane, con l’ambizione di lavorare nel cinema, di sentire di far parte di qualcosa di più grande. Come Manuel anche Nellie Leroi, bella e determinata, vuole farsi strada nel mondo del cinema, fino a diventare una star.

Proprio nel quieto devasto dopo la festa, Nellie otterrà il suo primo ruolo, trampolino di lancio per la sua carriera. Anche Manny (Manuel) ottiene un biglietto di entrata al parco giochi, che è il set cinematografico, grazie allo stesso Conrad, che lo prende in simpatia e lo aiuta a raggiungere le sue aspirazioni. Ma in una società che cambia, in un cinema che cambia con l’avvento del sonoro, anche le grandi star possono tramutarsi in stelle cadenti e finire nel dimenticatoio.

La parabola del successo

“Ti è stato fatto un dono, avevi i riflettori. Vivrai per sempre nella pellicola.” – Elinor St John a Jack Conrad

Babylon presenta quattro differenti storie di successo: quattro figure che, una volta raggiunto l’apice, decadono miseramente dimenticate dal pubblico. Prima fra tutte Jack Conrad; attore desiderato da tutti i registi, star del cinema muto, non riesce ad adattare il suo talento con l’avvento del sonoro. Determinante è la scena in cui Conrad, osservando gli spettatori in una sala di un cinema guardare un momento particolarmente commuovente della pellicola, semplicemente ridono. La stessa critica amica dell’attore Elinor St John (Jean Smart) lo abbandona, dipingendolo come una star decaduta. La St John considera il destino di Conrad ormai segnato: ciò nonostante, pur avendo perso il suo successo, l’attore rimarrà impresso nella storia del cinema grazie ai suoi film.

La stessa Nellie non riesce a sopportare il peso delle critiche e finisce in un vortice di alcol, droga e gioco d’azzardo, trasportando con sé Manny, innamorato di lei. L’unico che si mantiene indenne dalle influenze dell’ambiente hollywoodiano è il trombettista Sidney Palmer (Jovan Adepo).

Babylon
Manny e Nellie alla festa. Fonte: Paramount Pictures, Marc Platt Productions, Material Pictures, Eagle Pictures.

Da Babilonia ad una società moralista

Un altro fattore focale in Babylon è l’evoluzione che si crea nella Hollywood dagli anni ’20 agli inizi degli anni ’30. Se prima vigevano gli eccessi e la libertà assoluta nei piaceri, si nota come, con l’avvento del sonoro, anche la società tende a modificarsi. Il pubblico stesso inizia a richiedere una maggiore moralità nel cinema e negli attori, e molte figure, come Nellie, hanno difficoltà ad adattarsi ad una nuova società moralista ed ipocrita. Pur cercando di modificare il proprio comportamento, considerato ora rozzo e volgare, l’attrice finirà per rigettare la nuova moralità.

Il cambio di rotta a Hollywood si può notare ancora più chiaramente dagli eventi: se prima le feste erano tanto sfarzose da sembrare quasi delle sorta di orge, in un secondo momento si preferiscono eventi più pacati, caratterizzati da una visione snob e classista.

Un tripudio di colori

In questa lunga dedica alle origini del cinema, Babylon è costellato da varie tecniche cinematografiche e sperimentazioni da parte del regista, che rendono il film alquanto originale. Le scene delle vecchie pellicole mute vengono portate sul grande schermo in bianco e nero, rispettando le inquadrature e lo stile dell’epoca.

Ma ciò che rende veramente unica la pellicola è il finale: senza fare alcuno spoiler, si anticipa solamente la presenza di una totale esplosione di colori, con una sequenza di scene che hanno fatto la storia del cinema. Come dice la stessa St John a Conrad nel film “ è più grande di te, è più grande di tutti noi”: non si tratta di un singolo attore, o di una singola pellicola, ma del cinema in se.

A dare un tocco di colore in più contribuisce anche la grande performance di Margot Robbie nel ruolo di Nellie: l’attrice costruisce una nuova diva, dalla bellezza magnetica ed accattivante, ma pur sempre autonoma nelle proprie scelte e dall’animo forte e determinato.

Babylon: tratto da una storia vera

Ciò che rende la pellicola di Chazelle ancora più strabiliante ed un po’ sconvolgente per lo spettatore è il fatto che ci sia un certo grado di verità nei fatti del film. Si pensi alla figura di Nellie Leroi: lo stesso regista ammette di aver costruito la figura della star sul modello della diva Clara Bow. Altro esempio di personaggio realmente esistito è la scrittrice Elinor St. John, nella realtà Elinor Glyn, mentre l’attore Jack Conrad sembra essere ispirato all’attore John Gilbert.

Ma ciò che sorprende più di tutto è la veridicità della Hollywood-Babilonia: questa espressione, coniata dal regista Kenneth Anger, sembra rappresentare la realtà di una Hollywood fuori controllo. Dopo lo scandalo che coinvolse il comico Fatty Arbuckle per l’omicidio di un’attrice durante una festa, gli studios decisero di cambiare rotta, ristabilendo l’ordine. Il sentimento per un maggiore contegno da parte delle star sfociò infine in un vero e proprio Codice di produzione.

 

Ilaria Denaro

Amsterdam, la nuova crime comedy di David O. Russell

Film leggero e piacevole da vedere, ma con un cast del genere non rispetta interamente le aspettative -Voto UVM: 3/5

 

Proiettato per la prima volta il 7 ottobre nelle sale statunitensi, e distribuito in Italia dopo la presentazione al Festival del cinema di Roma il 21 dello stesso mese, Amsterdam è una crime comedy scritta e diretta dal regista David O. Russell. Come spesso è accaduto nel periodo post pandemico (West side story, Nightmare Alley), il film ha ricevuto scarsi incassi già dal primo weekend di proiezione: con il sempre maggiore sviluppo delle piattaforme streaming, sembra che i cinefili non avvertano più lo charme di andare a sedersi nelle poltroncine rosse in sala e vivere l’esperienza di guardare un film al cinema.

Amsterdam è in parte tratto dalla storia realmente accaduta del “Business Plot”, tentativo di complotto avvenuto nel 1933, volto a deporre il presidente Roosevelt per instaurare una dittatura in America.

Un medico, un’infermiera e un soldato in giro ad Amsterdam

Francia, 1918. Qui si ritrovano nello stesso momento un medico, Burt Berendsen, mandato al fronte su consiglio dei cognati (a suo dire probabilmente per liberarsi di lui)e  Harold Woodman, un soldato americano di colore che chiede, insieme ad altri soldati neri, di avere un comando che li guidi e li rispetti. Burt stabilisce un patto con Harold: ognuno si sarebbe assicurato che l’altro sarebbe sopravvissuto.

Da questo patto nasce una forte amicizia; feriti entrambi in battaglia, vengono aiutati e curati da Valerie. Per trovare un occhio nuovo a Burt, i tre partono per Amsterdam, dove Valerie conosce un tale Paul Canterbury, commerciante di occhi di vetro (in realtà agente sotto copertura). Dopo un periodo di perfetta felicità tra i tre (ed amore tra Harold e Valerie), i tre si separano.

Ma con la morte sospetta del loro vecchio comandante Bill Meekins (Ed Begley Jr.) e di sua figlia Liz, le loro vite finiranno per incrociarsi nuovamente: i tre collaboreranno per risolvere il caso e per smascherare le cospirazioni di un misterioso gruppo chiamato “Il consiglio dei cinque”.

Amsterdam
Burt, Harold e Valerie ad Amsterdam. Fonte: Regency Enterprises, Dreamcrew, 20th Century Studios

Un patto per la vita

Pur incentrandosi su una trama a tratti tendente al crime, Amsterdam mantiene dei toni leggeri ed ironici. In particolare, alcuni personaggi vengono costruiti in maniera molto comica, quasi caricaturale, primo fra tutti Burt. Burt è un medico con un occhio di vetro ed un rapporto molto contrastante ed altalenante con la moglie Beatrice ed il suocero, un rispettabile medico di Park Avenue.  Burt ha una clinica per veterani, dove sperimenta, prima di tutto su sé stesso, nuovi farmaci spesso fallimentari. Molto ironica è anche la scena finale, ricca di suspense, in cui Burt, colpito e sotto effetto di alcune “strane gocce”, si distacca dalla realtà, in una sorta di monologo interiore.

Altra figura caricaturale è Libby Woze, moglie di Tom. Per quanto si comporti in maniera odiosa nei confronti di Valerie, risulta essere allo spettatore una figura quasi satirica.

La tematica principale di Amsterdam è l’amicizia che lega Burt, Harold e Valerie. I tre, dopo aver passato il periodo migliore della loro vita insieme in Europa, restano legati dal patto di proteggersi sempre, patto che mantengono anche dopo molti anni.

Una piccola curiosità: nelle prime scene del film Burt canta, o meglio avrebbe dovuto intonare, una breve canzone con Liz Meekins – interpretata dall’attrice e cantante Taylor Swift – in onore del padre. In un intervista al The Hollywood Reporter, Bale ammette di essere stato molto emozionato dal dover cantare con una tale pop star, che anche sua figlia rimase molto sorpresa dal fatto che lui dovesse cantare con la Swift.

Tuttavia, alla fine nel film, è solo Liz a cantare principalmente, in quanto anche il regista David. O. Russell notò come Bale offuscasse il talento della Swift.

Amsterdam
Gil Dillembeck e Burt. Fonte: Regency enterprises, Dreamcrew, 20th Century Studios

Amsterdam: un cast stellare e tante aspettative

Uno degli elementi che faceva di Amsterdam una pellicola molto promettente, sia riguardo gli incassi sia riguardo eventuali riconoscimenti, era la presenza di un cast d’eccezione. Oltre Christian Bale  (Vice) , John David Washington (Tenet, Malcom & Marie) ed un’affascinante Margot Robbie nei panni dei tre protagonisti, Burt, Harold e Valerie, vi sono molte altre le stelle del cinema in Amsterdam.

Il premio Oscar Rami Malek (Bohemian Rapsody) interpreta Tom Woze, mentre l’attrice e modella Anya Taylor Joy (Ultima notte a Soho, La regina degli Scacchi) interpreta Libby. Il fantastico Robert De Niro qui è nei panni del generale Gil Dillenbeck. In ruoli secondari abbiamo Zoe Saldana come Irma, l’infermiera, la nota cantante Taylor Swift come Liz Meekins, figlia del comandante Meekins, e Chris Rock nel ruolo di Milton, veterano amico di Burt e Harold.

Amsterdam risulta essere una pellicola con una sfumatura comica e piacevole da seguire, caratterizzata da personaggi ironici e performance interessanti. Ciononostante, non è esattamente il capolavoro che magari ci si aspettava con un cast di questo genere.

Ilaria Denaro

Maid: dall’annullamento alla riconquista di sé, un inno alla maternità firmato Netflix

Una serie veramente incredibile e ben fatta, che nulla dà per scontato e si rivela capace di emozionare – Voto UVM: 5/5

 

Tra le innumerevoli opzioni che il catalogo di Netflix ci offre, non troppo raramente capita d’incappare in vere e proprie perle d’autore: la miniserie drammatica del 2021 Maid (ideata da Molly Smith Metzler e prodotta da Margot Robbie!) è una di quelle. E vi diremo anche perché!

La serie, ispirata dal bestseller Maid: Hard Work, Low Pay and a Mother’s Will to Survive dell’autrice Stephanie Land, racconta la storia di Alex (un’incredibile Margaret Qualley, che forse ricorderete accanto a Brad Pitt in C’era Una Volta ad Hollywood), una ragazza madre nel pieno dei suoi vent’anni alle prese col duro lavoro di domestica e con tutti gli ostacoli che dovrà superare per riuscire a dare un’infanzia serena alla sua piccola Maddy (Rylea Nevaeh Whittet), avuta col compagno Sean Boyd (Nick Robinson).

Fin qui le premesse sono abbastanza generiche: ci saranno migliaia di opere che affrontano lo stesso tema, dunque cos’ha Maid di tanto speciale?

L’elemento particolare di questa produzione è l’estremo realismo con cui i tragici avvenimenti della protagonista vengono narrati. La commistione di più temi centrali, quali quello della povertà, quello degli abusi domestici ed, infine, quello della maternità viene realizzata nel quadro di una dura critica sociale alla borghesia medio-alta con un occhio aperto sulle difficoltà, per chi parte dal basso, di riscattarsi per ottenere una posizione sociale migliore.

Povertà

Alex Russell è, sostanzialmente, povera. Non che in precedenza fosse ricca (anche per via dell’eccentricismo della madre Paula, interpretata dalla vera madre della QualleyAndie MacDowell), ma una scelta che andrà a compiere la porterà – di fronte alla crudele realtà – a trovarsi sprovvista di ogni mezzo ed incapace di adattarsi velocemente alle esigenze del mercato del lavoro.

Alex intenta ad annotare alcuni pensieri durante un turno di lavoro

All’inizio della serie, la protagonista viene presentata come un personaggio privo di talenti, il cui unico obiettivo sembra essere quello della sopravvivenza. L’effetto – laddove non fosse voluto, ma lo dubitiamo – è di rendere lo spettatore leggermente disinteressato per i primi tre o quattro episodi.

Effettivamente in molti hanno avvertito lentezza nello svolgersi degli eventi nelle prime puntate, ma semplicemente perché il mondo interiore di Alex non ci era stato ancora mostrato. Esso si rivelerà lentamente, tramite la riscoperta della sua passione per la scrittura creativa.

Fondamentale in questo passaggio è il rapporto con la ricca ma infelice Regina (interpretata da Anika Noni Rose), di cui sarà domestica. Tra le due all’inizio vi sarà diffidenza reciproca, ma poi si instaurerà un’amicizia leale e duratura.

La povertà è il punto di partenza per la rinascita della protagonista, ma questa viene tenacemente osteggiata da un secondo ostacolo.

Abusi domestici

In Maid non aspettatevi di vedere una trattazione in bianco e nero di questo tema così delicato. Forse è questo l’elemento che ci ha catturato di più: la delicatezza con cui lo spettatore viene posto in ascolto delle vittime di violenza.

In particolare, quella subìta da Alex è violenza emotiva, una forma più subdola e meno evidente di abuso che tuttavia la vincola al compagno.

Alex (Margaret Qualley), Sean (Nick Robinson) e Maddy (Rylea Nevaeh Whittet) in una scena della serie

Sean Boyd, padre di Maddy, è un personaggio complesso (dicevamo prima che il tema non viene presentato in bianco e nero). Ebbene, anch’egli vittima durante l’infanzia di violenze da parte della madre, finirà per sfogare le proprie frustrazioni sulla compagna e nell’alcool. Benché, di base, la sua indole non sia cattiva, egli si renderà autore di numerosi abusi emotivi su Alex: tra questi, la priverà dei supporti economici esterni, accentrando la ricchezza del nucleo familiare nelle proprie mani.

Ecco perché la scelta di Alex di addentrarsi nel mondo senza neanche uno spicciolo in tasca, sarà il punto di partenza per la sua rinascita. Una scelta sofferta, certo, perché significa mettere a rischio anche ciò a cui tiene più al mondo: sua figlia.

Maternità

Prima ancora che una critica sociale, una serie targata Netflix o un bestseller, Maid è un inno alla maternità, allo sforzo ed ai sacrifici di una madre che compie la scelta di dedicare tutta sé stessa a sua figlia.

E fondamentale è il rapporto tra genitori e figli: di Alex con sua figlia, di Sean con sua figlia, di Sean con sua madre, ma soprattutto di Alex con la madre Paula: quest’ultima, afflitta da un disturbo di personalità borderline e profondamente segnata da esperienze passate, sarà il personaggio che più di tutti metterà alla prova la sua forza mentale.

Potremmo definirla come il punto debole della protagonista: Paula è estremamente complessa e fragile e, benché ami Alex, non riesce semplicemente a renderle le attenzioni che meriterebbe. Tuttavia, è anche in lei che la giovane troverà la forza di andare avanti nel suo percorso.

Paula (Andie MacDowell) in una scena della serie

 

In ultima analisi, Maid è una miniserie che ben si presta all’istruire su circostanze di vita delicate e lo fa senza troppe ambizioni – forse è proprio questo il suo punto di forza. Si mastica facilmente, ma va consumata con lentezza e parsimonia. In sostanza, va metabolizzata. Il lavoro del cast è stato incredibile sotto questo punto di vista e la chimica tra i personaggi è ben visibile.

Valeria Bonaccorso