La città sull’acqua

Era la città sul mare,

non aveva un nome

se non quello della nave

 

Era di strade galleggianti fatta

si ballava, si beveva e si mangiava

ondeggiando sulla marea più alta

 

Era la città sull’acqua,

non esisteva nulla intorno

nemmeno un’isola di terra astratta

 

Era piccola in confronto a qualunque ammiraglia

tredici piani all’interno tra la prua e la poppa,

gonfiava le sue vele immaginarie all’aria

e danzava sull’oceano di tappa in tappa

 

Una sinfonia sciabordante di schiuma

lascia una scia che si vede dall’alto

mille e una notte trascorrei dondolando

su una città che di sale profuma

 

Alessandra Cutrupia

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Samir e il mare

Samir non era più Erik da qualche mese ormai. La primavera precedente, infatti, aveva avviato le procedure per il cambio di nome. Avrebbe descritto quel momento come l’istante in cui si era concesso una vita nuova.
La verità, però, era che di quel fatto non parlava. Era un uomo senza passato, come coloro che lo accompagnavano in quella che era ormai diventata la sua quotidianità.

Le giornate si susseguivano celeri e il sudore si mischiava alla salsedine del mare.
Samir voleva fare questo da tutta la vita. Da bambino aveva visto un documentario sui pescatori del mare del Nord e da allora quell’immagine era rimasta nella sua mente. Quegli uomini gli apparivano come qualcuno da imitare. Ne vedeva la forza di coloro che vanno contro la natura.
Crescendo, però, aveva preferito scegliere la sicurezza di una vita normale. Aveva studiato col solo obiettivo di trovare un buon lavoro e avviare una famiglia. Si era innamorato e sposato.
Ben presto, però, si era accorto che qualcosa non andava. Lui e sua moglie litigavano in continuazione e, passato appena un semestre, si guardavano già l’un l’altro con noia.
Dopo il secondo anno fu il silenzio. Non avevano più voglia di addentrarsi nella mente dell’altro, quindi si parlava solo della normale amministrazione della vita familiare.
Nei mesi successivi perse il lavoro e sua moglie.
Lei abbandonò la sua vita in seguito a un divorzio consensuale. Erano ancora giovani e non aveva senso combattere per qualcosa che non funzionava.
La ditta per cui lavorava fallì qualche tempo dopo lasciando che lui e gli altri dipendenti perdessero l’unica sicurezza che avevano.
Iniziò il periodo incerto del lancio del curriculum, ma dopo qualche mese questo non era stato afferrato da nessuno.
Fu in quei giorni che passando dalla via del mare si diresse verso il molo a guardare le onde della tempesta. Si accorse di aver perso qualcosa: in lui non c’era più l’oceano. Non vi era più un tumulto che riuscisse a scuoterlo. Sarebbe andata bene anche una piccola scintilla negli occhi a causa di un gabbiano che gli volava accanto. Il vuoto, invece, sembrava ricoprirlo.
Un moto di rabbia si diramò nel suo corpo. Dove aveva sbagliato? Quando esattamente si era autosomministrato la pillola che lo aveva reso un’ombra vivente?
Rimase sul molo fin al tramonto e decise di ricominciare dal mare.
Abbandonò quel poco che gli era rimasto della sua squallida esistenza e divenne il nuovo membro di un peschereccio.
Credeva di aver dato la svolta definitiva alla sua vita. A distanza di qualche mese dal giorno dell’assunzione, invece, si pentiva di nuovo di una sua scelta.

Sulla nave non vi era una netta distinzione tra giorno e notte. Si lavorava quando si doveva e nelle poche ore rimaste ci si abbandonava a un sonno galleggiante e tumultuoso.
Vi erano giorni in cui Samir sentiva gli occhi ardere e guardandosi allo specchio vedeva come questi lo osservavano rossi e pieni di vene. In compenso, però, non soffriva più la nausea.
La prima volta che aveva messo piede su quella nave non si aspettava che quel continuo oscillare gli avrebbe dato chissà quanto fastidio. Era bastata qualche ora e il primo maleodorante pescato perché si ricredesse. Lo avevano mandato nella stiva a pulire le interiora di quanto raccolto. I suoi colleghi erano svelti: un taglio netto, una mano nelle budella e il pesce risultava già pulito. Lui aveva provato a imitarli e per un po’ di tempo era anche andata bene. Il problema più grande era l’olezzo che si levava da quella massa di cadaveri squartati. Dopo appena un quarto d’ora aveva chiesto che gli fossero concessi cinque minuti fuori, all’aria aperta, e mai aveva respirato con così tanta gratitudine.
Adesso si sentiva solo stanco, i ricordi infantili dei pescatori del Nord erano persi.
Con le mani insanguinate e puzzolenti si chiedeva se fosse questa la vita che desiderava; tirando le reti con tutta la forza che aveva in corpo si diceva di non poter accettare di aver sbagliato ancora.
“Mettete in sicurezza la stiva e la cabina di comando” urlò il capitano dell’imbarcazione. Samir guardò di fronte a sé, pronto ad osservare il cielo scuro e il mare agitato. Gli ordini del comandante, infatti, erano quelli da mettere in atto in caso di bufera. In ciò che osservava, però, non ve ne era traccia. A parte qualche nuvola sembrava una bella giornata.
“Deve aver sentito qualcosa nel vento” pensò e si adoperò a fare quanto gli era stato detto. La nave tornò indietro, verso il porto.
Nella loro calma frettolosa stavano cercando di fare tutto e al meglio. Samir mal sopportava l’ansia di quel cielo che di minuto in minuto si chiudeva ai raggi del sole. Il mare iniziava a gonfiarsi. Di contro assaporava rapido la sua adrenalina. Questa sensazione nuova lo inebriava, era una prova concreta della sua esistenza.
Giunsero alla terra ferma quando quell’ammasso d’onde cominciava a diventare insaziabile e, borbottando, divorava il cielo a morsi d’acqua e sale.
Ormeggiarono la barca in un posto diverso da quello della loro partenza e balzarono via a toccare di nuovo terra.
Al sicuro, con solo la pioggia a bagnarli, osservarono la loro nave combattere contro quel gigantesco mostro. Ogni onda che la colpiva era uno schiaffo che la spostava da un lato. Galleggiava, lasciandosi avvolgere a tratti dall’acqua, eppure rimaneva intatta. Proprio quando sembrava che l’onda l’avrebbe inghiottita la nave la divideva: una parte gli passava sotto, mentre l’altra la copriva. Lei rimaneva quasi integra, al centro della tormenta.
“Siamo stati fortunati a trovare un posto dove attraccare, ma in futuro capiterà di dover affrontare il maltempo in mare aperto” disse il capitano a Samir, unico novizio dell’equipaggio.
Samir si chiedeva se fosse questa la fortuna. In quei giorni non avevano pescato praticamente nulla ed era un miracolo che la nave non fosse ancora affondata mentre loro inermi la guardavano. I soldi del carburante sprecato, gli stipendi di tutta la truppa e le riparazioni che adesso andavano fatte sembravano impossibili da sostenere.
Passò circa un’ora e il cielo si riaprì in un processo inverso al precedente, il mare si acquietò, come se avesse finito l’ira che prima lo scuoteva. Tornarono a casa.

Quando la nave tornò a squarciare le onde Samir osservò come l’acqua rifletteva il sole, il vento gli scuoteva i capelli. Avrebbero raccolto un buon pescato, ne era certo. Nei suoi occhi c’era la speranza che avrebbero raccolto pesce a sufficienza anche per ripagare i danni della volta precedente.
Adesso le domande sul suo futuro erano sparite. Rimanevano lui e il mare a osservarsi da vicino, a specchiarsi l’uno nell’altro. Doveva guadagnarsi questa nuova giornata e prepararsi alla prossima tempesta.

Alessia Sturniolo

*immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia*

Mare


Mare

inizio e fine di tutte le cose.

Culla della civiltà.

Da te, leggenda narra,

nacque la Dea Afrodite,

dea della bellezza

e dell’amore,

a testimoniare

la tua magnificenza

e grandezza.

Sei al centro delle

storie più grandi.

I tuoi fondali

nascondono

i più antichi segreti.

In te nasciamo,

in te vogliamo morire.

Chiara Fedele

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Acidificazione del Mar Mediterraneo e la distruzione della biodiversità marina

Ogni specie animale presenta delle caratteristiche specifiche che gli permette di vivere all’interno di un determinato habitat. Ogni habitat si distingue quindi per fauna, flora, temperatura e molti altri fattori. Andando a turbare uno di questi parametri, la sua biodiversità si altera e subisce gravi danni. Sono tanti gli ecosistemi a rischio nel 2023, ma forse non sai che uno di questi è proprio sotto i nostri occhi. Stiamo parlando del nostro amato Mar Mediterraneo.

Indice dei contenuti

  1. Cos’è l’acidificazione dell’acqua?
  2. Le conseguenze
  3. La soluzione

Cos’è l’acidificazione dell’acqua?

L’acqua di mare ha la capacità di tamponare il suo pH, ovvero riesce a mantenere l’acidità dell’acqua entro determinati parametri. Il carbonato di calcio, neutralizza l’acido carbonico, mantenendo il pH a valori di 8,2 circa.

Ma cosa succede se si supera la capacità tamponante? Il tampone smette di funzionare e si ha una variazione brusca di pH. Nel momento in cui si hanno maggiori emissioni di CO2 nell’atmosfera, il sistema non riesce più a controllarle e avviene l’acidificazione degli oceani. Le ricerche condotte da Donata Canu e Serena Zunino, ricercatrici dell’OGS e Cosimo Solidoro, Direttore della Sezione di Oceanografia dell’OGS, dimostrano come il pH degli oceani tra qualche decina di anni possa scendere fino a 7.

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Ciclo del carbonio 

Le conseguenze

Le ripercussioni della drastica variazione di pH sul Mediterraneo (e non solo) sono state elencate anche nel progetto SEAstainable di Worldrise (una ONLUS ideata dalle nuove generazioni).

L’acidificazione ha impatti negativi sulla vita della fauna marina, in particolare influenza la sopravvivenza di qualsiasi specie dotata di un guscio di carbonato di calcio. Ostriche, capesante, ma anche coralli, sono soggetti ad una corrosione che diventerà via via maggiore. Proprio per questo motivo, molti paesi Europei come Francia, Spagna e Italia, che sono grandi produttori di molluschi, potrebbero entrare in contatto con il problema dell’acidificazione entro il 2100. L’Oceano Artico sarà sicuramente il primo a percepire i disagi derivanti da questo fenomeno. Le acque dell’Oceano Artico, essendo molto fredde, permettono un’assorbimento maggiore della CO2 dell’acqua aumentando ulteriormente la sua acidità e rendendo impossibile la formazione degli scheletri di carbonato di calcio necessari per la sopravvivenza di molti organismi.

Il corallo rosso del Mediterraneo mostra segni di ricrescita | Il Bo Live UniPD
Corallo rosso del Mediterraneo

Un’altra problematica è la proliferazione di alghe tossiche per i pesci e uccelli marini. La loro crescita potrebbe essere talmente incontrollabile, da minacciare perfino le acquacolture. Inoltre, l’olfatto di molte creature marine (tra cui pesci, granchi…) potrebbe alterarsi, rendendole delle prede facili o facendo diminuire la loro capacità di trovare cibo e di riprodursi. Persino i gusci delle larve di granchio, sono soggette a corrosione, rendendo impossibile la loro crescita.

La soluzione

Gli scienziati Europei spiegano che si tratta di un problema reversibile. Attuando le giuste manovre è possibile riottenere una maggiore basicità delle acqua marine, e di conseguenza la sopravvivenza della fauna e il ripristino dell’ecosistema del Mar Mediterraneo e non solo.

L’alternativa più intuitiva, è stata avanzata dal Politecnico di Milano e dalla Fondazione Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) con il progetto di ricerca DESARC-MARESANUS. Si tratta di basificare i mari con lo spargimento di calce spenta attraverso le scie delle navi. Rimane però il quesito di come introdurre la calce spenta in modo da non turbare ancora di più quello che è il sottile equilibrio delle acque marine.

La Dottoressa Helen Findlay, parte attiva del Plymouth Marine Laboratory (PML), spiega che sono in corso delle ricerche su delle macroalghe e praterie sottomarine e la loro capacità di ridurre l’acidificazione delle acque. Il Copernicus Climate Change Service (C3S) e il PML stanno studiando anche un metodo per cercare di convivere con tale minaccia attraverso una pesca sostenibile o la mappatura delle zone più a rischio e il loro monitoraggio, ma purtroppo ad oggi non è noto nessun modo per contrastare il fenomeno se non quello di diminuire le emissioni di CO2.

Asia Arezzio

 

Bibliografia

springer.com

www.nationalgeographic.it

lescienze.it

 

Nord Stream: gas in mare e danni all’ambiente

Il caso Nord Stream ha avuto un forte impatto a livello mediatico, principalmente a causa delle implicazioni politiche dell’evento. Vi è, però, un altro aspetto importante da analizzare, relativo alle conseguenze ambientali. L’accaduto si inserisce, infatti, in un quadro ben più grande che è quello della già critica situazione climatica attuale.

Elenco dei contenuti

Nord Stream: di cosa si tratta

I gasdotti Nord Stream sono condutture che partono dalla Russia attraversando il Mar Baltico per oltre 1200 chilometri per poi giungere in Germania. Possono trasportare fino a 110 miliardi di metri cubi di gas, sufficienti ad alimentare 26 milioni di case.
Tra il 25 e il 26 settembre di quest’anno i sismologi danesi e svedesi hanno registrato due forti esplosioni in mare nei pressi dell’isola di Bornholm. La prima alle 2:03 di notte con magnitudo 1.9, la seconda di 2.3 alle 19:04. Le cause della perdita sono ancora da discutere, nonostante circolino varie speculazioni sull’evento, che si interseca nel complesso panorama politico mondiale.
Nei giorni successivi sono circolate numerose immagini del gas che ribolliva sotto la superficie marina.
In totale sono state ben quattro le perdite rilevate, di cui due hanno interessato il Nord Stream 2 e il Nord Stream 1. Nessuno dei due gasdotti era operativo, ma entrambi contenevano gas pressurizzato. Nel Nord Stream 2, in particolare, scorrevano al momento delle perdite 177 milioni di metri cubi di gas naturale.
Gli strumenti di monitoraggio hanno identificato, già dai primi giorni, enormi nubi di metano in movimento verso la Svezia e la Norvegia.

Fonte: https://www.google.com

Il problema della manutenzione

Gli incidenti ai gasdotti Nord Stream hanno portato in primo piano il tema della difesa delle infrastrutture critiche.
Quelle sottomarine, infatti, possono essere particolarmente vulnerabili ai danneggiamenti, sia per cause naturali che per attacchi fisici.
Hans Tino Hansen, amministratore delegato di Risk Intelligence, sostiene che per proteggere le infrastrutture sottomarine è necessario creare sistemi capaci di rilevare automaticamente i guasti e i problemi delle apparecchiature. Inoltre, è fondamentale assicurarsi che ci siano strumenti, come i droni subacquei, in grado di raggiungere i siti per ispezionarli nel caso di danni.
Anche l’italiano Paolo Cristofanelli, ricercatore presso il Cnr-Isac concorda, sostenendo che “I processi di estrazione e distribuzione del metano rappresentano una delle sorgenti più rilevanti di emissione e le perdite di questo gas richiedono determinate attenzioni, perché hanno un effetto significativo sul peggioramento dell’effetto serra. Episodi come questo evidenziano l’importanza di poter contare su strumenti di monitoraggio validi”.

Fonte: https://www.google.com

Danno ambientale

Gli scienziati stanno ancora discutendo quali saranno i danni provocati all’ambiente dalle perdite Nord Stream. In particolare,emergono pareri contrastanti riguardo la gravità che l’evento avrà sull’atmosfera e sui cambiamenti climatici .
Joe von Fischer, esperto di biogeochimica dell‘Università del Colorado, spiega come “Quando il metano è rilasciato nella parte inferiore di un bacino molto profondo, viene quasi completamente ossidato dai batteri metanotrofici (che si nutrono, cioè, di metano) presenti nella colonna d’acqua”. Potrebbe, quindi, degradarsi in parte prima di arrivare in atmosfera, lasciando dietro di sé “solo” CO2, molto inquinante, ma meno potente come gas serra.
La quantità può, però, fare la differenza. Secondo Grant Allen, scienziato ambientale dell’Università di Manchester, le perdite potrebbero essere così ingenti e la colonna di gas in acqua così pura e violenta da rendere difficile ai batteri una qualunque azione mitigatrice.

Fonte: https://www.google.com

Le emissioni aumentano

Le stime del Nilu (Norwegian Institute for Air Research) presumono una perdita dai gasdotti Nord Stream variabile tra 40000 a 80000 tonnellate. Se fossero confermate si tratterebbe di circa l’1% di ciò che emette annualmente l’Europa in attività di produzione e uso di combustibili fossili.
Tale dato mette in luce che ogni giorno il nostro continente disperde nell’ambiente circa un terzo di quanto perso dai gasdotti in questo periodo. Si tratta di stime rilevanti che aprono una riflessione più ampia sul tema.
Ogni anno le emissioni aumentano, raggiungendo nuovi record. Nel 2021 vi è stato il picco massimo di 1910.8 ppb, mai avuto prima d’ora.
Secondo le stime della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), il metano oggi è due volte più abbondante in atmosfera rispetto a prima della Rivoluzione Industriale.
A destare preoccupazione, tuttavia, è il ritmo di crescita: tra il 2020 e il 2021, infatti, sono stati registrati aumenti annuali rispettivamente di 15,27 e 16,99 ppb, mai così alti dall’inizio delle misurazioni.
Ciò non riguarda “solo” il riscaldamento globale. Il metano è un potente inquinante atmosferico che incide sulle morti premature, sulle visite ospedaliere legate all’asma e sulle perdite nei raccolti.
A seguito di tali considerazioni viene quasi da chiedersi quale sia il costo della normalità. Le perdite ai gasdotti sono sì ingenti, ma a preoccupare è la situazione generale. Il problema è posto proprio davanti al nostro sguardo con dati che sembrano urlarci quanto la situazione sia drammatica.
Chi ascolta queste grida?

Alessia Sturniolo

Bibliografia

Sea in SHELL: l’evento dell’Ateneo messinese associato alla Notte dei Ricercatori Europei 2021

Venerdì 24 Settembre 2021, a partire dalle ore 16:00 e fino alle ore 23:00, si terrà, presso il Campus di Scienze del Polo Papardo e il Parco Horcynus Orca, l’evento Sea in SHELL. Quest’ultimo termine è in realtà un acronimo che sta per: Science, Health, Environment, Literature, Law & economy. Si tratta delle tematiche attorno alle quali si svilupperà l’evento.

L’obiettivo è presentare l’attività di ricerca dell’Ateneo, che ha come fulcro l’ecosistema e l’ambiente marino, una delle maggiori risorse del nostro territorio. Lo Stretto di Messina è un luogo unico per le sue peculiarità e l’iniziativa ha l’intento di presentare l’attività scientifica prodotta dall’Ateneo sui nostri mari in ambito biologico, legale, economico, ambientale, letterario, chimico, fisico, ingegneristico, archeologico e geologico.

L’evento è associato alla Notte dei Ricercatori Europei 2021. Si tratta di un’iniziativa promossa dalla Commissione Europea fin dal 2005, che coinvolge ogni anno migliaia di ricercatori e istituzioni di ricerca in tutti i Paesi europei. La finalità della Notte dei Ricercatori è creare occasioni di incontro con tutti i cittadini per diffondere la cultura scientifica e la conoscenza delle professioni della ricerca in un contesto informale e stimolante.

Sea in SHELL ha come idea principale quella di illustrare con chiarezza al pubblico il ruolo del Mare come importante cornice ambientale, come fonte di energia, come snodo commerciale ed economico, come oggetto di numerose opere letterarie e come uno dei principali ambienti in cui si muove l’uomo.

Chi fa ricerca scientifica nel contesto di un ambiente così unico può essere in grado di produrre progresso e benefici per tutti i cittadini.

Per ulteriori informazioni, è possibile accedere alla pagina Facebook o al programma della giornata:

Antonino Micari

Plastica e natura: un binomio imperfetto

Plastica e natura: tutto ha inizio nel 1861, quando lo studioso inglese Alexander Parkes brevettò il primo materiale semi-sintetico, la xylonite, a partire da ricerche sul nitrato di cellulosa. Da quel momento in poi si sono susseguite una serie di scoperte che hanno rivoluzionato la vita dell’uomo. Chi penserebbe mai oggi di eliminare la plastica? Sarebbe impensabile separarci dalla comodità e dalla resistenza che ci garantisce un imballaggio o un sacchetto di questo materiale. Eppure siamo arrivati ad un punto di non ritorno: l’inquinamento da plastica costituisce un grave problema ambientale e per la salute di tutte le specie animali del pianeta.

  1. La sorpresa delle plastiche nella placenta umana
  2. Alcuni numeri sull’inquinamento dei mari
  3. Effetti sulle specie marine
  4. L’acqua potabile è sicura?
  5. Come combattere quindi l’inquinamento da plastica?

La sorpresa delle plastiche nella placenta umana

È di qualche mese fa la notizia che sono state riscontrate tracce di microplastiche (particelle polimeriche solide di dimensioni inferiori ad 1 mm) nella placenta umana. A rivelare la triste notizia è uno studio osservazionale condotto all’ospedale FateBeneFratelli di Roma, che si è svolto schematicamente in queste 5 fasi:

  1. Strutturazione di un protocollo “plastic free” per evitare qualsiasi contaminazione da materie plastiche durante il parto o l’analisi della placenta.
  2. Reclutamento delle pazienti in base a criteri ferrei: non dovevano ad esempio presentare patologie infiammatorie croniche, fumare o bere alcol, assumere farmaci che alterano l’assorbimento intestinale. Le donne reclutate sono state alla fine 6 e hanno dato il consenso per donare le loro placente.
  3. Passiamo alle fasi di laboratorio: sezione di ogni campione in faccia fetale, materna e porzione delle membrane coriali, conservate a -20°C.
  4. Digestione di ogni campione e filtrazione, seguita dall’analisi in microscopia ottica del filtrato con individuazione delle microplastiche.
  5. Analisi mediante microspettrografia delle microplastiche localizzate per stabilirne la tipologia.

I risultati mostrano il riscontro di 12 frammenti di microplastiche in 4 delle 6 placente analizzate, ma lo studio è veramente molto limitato per poter pensare a delle conseguenze sulla salute dei nascituri.

Alcuni numeri sull’inquinamento dei mari

Se sicuramente i dati precedenti destano solo preoccupazione, il rapporto nocivo tra plastica e natura viene messo in evidenza dalle immagini degli oceani. Le conseguenze sugli organismi marini, sul loro ecosistema e la loro catena alimentare sono evidenti.

Stando ai dati del WWF il Mar Mediterraneo, pur rappresentando solo l’1% delle acque mondiali, contiene il 7% della microplastica marina. Sui fondali del mare nostrum sono stati rilevati livelli di microplastiche elevatissimi: circa 1,9 milioni di frammenti in un metro quadro.

Ma non finisce qui: sapevate dell’esistenza del Pacific Trash Vortex? Noto anche come Great Pacific Garbage Patch, si tratta di un’area vastissima dell’oceano Pacifico formata da rifiuti plastici galleggianti. Le dimensioni stimate vanno da 700.000 km2 a 10 milioni di km2, potendo rappresentare circa il 6% della superficie del pacifico.

Pacific Trash Vortex: la convivenza forzata di plastica e natura

Effetti sulle specie marine

Date le loro dimensioni ridotte, le microplastiche vengono facilmente ingerite dai pesci, dai molluschi e dagli altri abitanti dei nostri mari e ciò può comportare un danno a vari livelli.

Partiamo dal piccolo: a livello sub-cellulare causano una riduzione dell’attività enzimatica e dell’espressione genica, aumentando lo stress ossidativo: ciò si ripercuoterà a livello cellulare con uno stato di infiammazione ed un aumento dell’attività apoptotica. Infine, favoriscono lo sviluppo di neoplasie, riducono la fertilità e modificano i normali comportamenti all’interno dell’ecosistema marino.

Il danno da microplastiche, inoltre, non è solo diretto da ingestione, bensì anche indiretto legato alla degradazione delle stesse e conseguente liberazione di sostanze inquinanti nell’acqua marina.

L’acqua potabile è sicura?

Diversi studi hanno evidenziato la presenza di microplastiche anche nell’acqua che beviamo normalmente. Facile spiegarlo visto che nella maggior parte dei casi la conserviamo proprio in bottigliette di plastica, anche se si sta diffondendo la buona pratica dell’utilizzo di borracce “plastic free”. Elementi che favoriscono il rilascio di microplastiche sono rappresentanti dagli stress meccanici sulla bottiglia (anche il semplice atto di “girare il tappo” per aprire/chiudere) e dal suo frequente riutilizzo, pratica quindi fortemente sconsigliata.

Una review pubblicata a maggio 2019 sulla rivista Water Research ha analizzato tutti gli studi disponibili sulla presenza di microplastiche in acqua potabile e nelle acque dolci. Così facendo, si sono stabiliti i tipi di polimeri presenti e le loro forme. I polimeri più frequenti, come potete vedere dal grafico, sono: polietilene (PE), polipropilene (PP) e polistirene (PS).

In ogni caso, per dimostrare effetti negativi sulla salute umana servirebbero ulteriori approfondimenti.

Come combattere quindi l’inquinamento da plastica?

La risposta alla domanda sarebbe molto ampia e difficile da argomentare in questa sede, però bisogna innanzitutto sapere che ognuno nelle piccole azioni quotidiane può fare qualcosa di buono per l’ambiente, ricordandoci sempre che dell’ecosistema “Pianeta Terra” facciamo parte anche noi.

Pensiamo a quei casi in cui l’uso della plastica potrebbe essere evitato, anche quando potrebbe sembrare banale. Ad esempio cosa ci costa portare una busta da casa per la spesa piuttosto che comprare i sacchetti al supermercato? Evitiamo l’uso di posate, piatti e bicchieri di plastica e cerchiamo di seguire una corretta raccolta differenziata. Plastica e natura non devono diventare un binomio indissolubile e, se lo capiremo, la natura ci ringrazierà.

Antonio Mandolfo

 

Per approfondire:

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1382668918303934?via%3Dihub

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0048969720321781?via%3Dihub

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0269749116313306?via%3Dihub

https://www.mscbs.gob.es/biblioPublic/publicaciones/recursos_propios/resp/revista_cdrom/VOL93/C_ESPECIALES/RS93C_201908064.pdf

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0043135419301794?via%3Dihub

https://journals.sagepub.com/doi/10.3184/003685018X15294876706211?url_ver=Z39.88-2003&rfr_id=ori%3Arid%3Acrossref.org&rfr_dat=cr_pub++0pubmed&

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0043135419308565?via%3Dihub

Intervista a NessuNettuno: lo street artist messinese che ama il mare

Camminando per le strade delle nostre città spesso rimaniamo ipnotizzati dalla bellezza di opere d’arte a cielo aperto. Stiamo parlando dei capolavori della street art. A Messina la street art è legata ad un’artista dal nome abbastanza suggestivo: “NessuNettuno. Nicolò non ha bisogno di presentazioni prolisse: le sue opere parlano da sole. E lui stesso, oltre a saper usare la pittura per comunicare, pesa bene le parole, che gli vengono dal cuore.

Sono un siciliano a cui piace andare a mare. E che ama il mare, che ama la sua terra tantissimo. Per la Sicilia mi farei ammazzare.

Noi di UniVersoMe abbiamo avuto il piacere di incontralo davanti a un caffè e ad una birra e di intervistarlo.

©Fernando Corinto, Intervista a NessuNettuno – Messina 2020

 

Mario Antonio: Iniziamo con una domanda classica. Da dove è nata la tua passione per la street art?

È stata una cosa naturale. Ho iniziato nel 2015 con il progetto “Distrart”, grazie al quale abbiamo fatto le pensiline del tram. Da lì è nata la passione. E poi a me piace stare in strada, quindi comunque lo trovo naturale.

Corinne: Ci ha particolarmente colpiti un tuo progetto, denominato “Andiamo a mare?”, di cui fa parte una delle tue opere nella zona di Maregrosso. Da dove nasce questo progetto e che messaggio vuoi lanciare? In quali luoghi hai pittato (dipinto n.d.r.)?

“Andiamo a mare?” è un progetto che nasce per salvaguardare il mare. Il mare è l’elemento più significativo per noi messinesi; è sempre presente, perché in qualsiasi luogo di Messina ti trovi vedi sempre il mare. Il progetto vuole invogliare le persone a rispettare il nostro “liquido primordiale”. Perché dal mare nasce la vita, sin da tempi immemori. Di fronte al mare non c’è nessun Dio. L’uomo pensa di poter fare qualsiasi cosa con la natura, di farne una cosa propria, deturpandola, danneggiandola. In realtà non è così. È la natura che è padrona della vita. E allora di fronte al mare non si è nessuno. Il mio nome d’arte, NessuNettuno, deriva proprio da questo.

Una delle opere, appartenente al progetto “Andiamo a mare?”, situate nella zona di Maregrosso – Fonte: @nessunettuno (Instagram)

 

M: Quindi si può parlare di una funzione sociale della street art.

Sì. Inoltre il tuo lavoro deve essere soggetto all’approvazione delle persone del luogo. L’opera di Maregrosso, ad esempio, è nata dall’incontro con alcuni abitanti.

C: Un’altra opera che ci ha particolarmente affascinati è quella che si trova al reparto oncologico dell’ospedale Papardo. Da dove è nata l’idea di dipingere in questo luogo particolare? Cosa vuoi comunicare e trasmettere con questa tua opera?

Ho realizzato quest’opera insieme ad Andrea Spos.art, un mio amico artista di Milazzo, ed è stata commissionata dai dirigenti del reparto oncologico del Papardo. L’intento era allietare e dare un senso di leggerezza all’attesa dei pazienti che entrano a fare terapia. Il messaggio è stato accolto in maniera positiva.

L’opera nel raparto oncologico dell’ospedale Papardo – Fonte: @nessunettuno

 

M: Quindi a volte qualche ente ti commissiona un’opera.

Sì, è capitato. Fra le tante, quella che mi è piaciuta di più è stata commissionata per il carcere di Gazzi, dove insieme a cinque detenuti ho dipinto, per la prima volta, un murales all’interno dell’istituto. Abbiamo raccontato la storia di Giona, il profeta che viene mangiato dalla balena e che all’interno della pancia rielabora tutti gli sbagli e ciò che ha fatto nel corso della sua vita. Dopo averli rielaborati e dopo aver assunto consapevolezza di quello dell’uomo che è, di tutto il percorso che ha fatto, viene sputato fuori. È stata un’esperienza incredibile, perché il carcere è un ambiente al di fuori di qualsiasi contesto sociale.

La balena nel carcere di Gazzi – Fonte: @nessunettuno

 

M: Davvero molto bello. Procediamo con una domanda che un nostro redattore, non presente oggi, teneva molto a farti: l’atto di rovinare un’opera di street art può anche considerarsi esso stesso street art?

Certo! Perché comunque l’opera è alla mercé di tutti e di tutto. Quello che fai in strada non è destinato a un museo e quindi è soggetto all’usura del tempo e delle intemperie; un po’ come la vita, che a poco a poco ti consuma. Oggi c’è, domani no. È questa la bellezza della street art.

C: Quali sono i tuoi progetti artistici futuri, a parte quelli già in atto? Cosa pensi guardando al domani?

Penso di pittare per tantissimo tempo. Ora dovrei andare a Venezia a fare una mostra, dall’8 al 13 ottobre. Voglio continuare a lavorare e pittare soprattutto per il sociale, perché è quello che mi interessa di più.

L’opera “Cariddi”, situata ad Acquedolci (ME) – Fonte: @nessunettuno

 

M: Per concludere una domanda un po’ spinosa. Secondo te da cosa dovrebbe ripartire Messina?

Dal mare, o meglio dagli spazi limitrofi al mare. Messina è una città tutta costruita sul mare, quindi qualsiasi iniziativa si voglia far partire,  deve comunque essere legata alla riqualificazione del mare e delle spiagge. Inoltre bisognerebbe ripartire dall’insegnamento delle nostre tradizioni siciliane a scuola. Perché se conosci la tua cultura sei più propenso ad amarla e a rispettare anche le altre.

 

Corinne Marika Rianò, Mario Antonio Spiritosanto

 

 

Immagine in evidenza:

Una delle opere, appartenente al progetto “Andiamo a mare?”, situate a Maregrosso – Fonte: @nessunettuno. Oggi l’opera non è più visibile a causa dell’erosione che ha subito da parte degli agenti atmosferici, ma l’autore – come evidenziato nell’intervista – ha manifestato l’intenzione di non rimaneggiarla, considerando l’usura “naturale” come facente parte della street art.

Intervista a Giacomo Costa: l’antica arte dei maestri d’ascia

Immaginatevi rilassati sul lago di Ganzirri, seduti su una panchina leggendo un libro. Tutt’a un tratto venite distratti da un paio di turisti intenti a parlare con un anziano signore. I due sono come ipnotizzati dalle sue parole, che narrano segreti, miti e tradizioni di Messina e dello Stretto.

Noi di UniVersoMe abbiamo deciso di condividere la sua storia con voi: ecco il Professor Giacomo Costa, Maestro d’ascia e memoria storica della città di Messina.

©Andrea Rapisarda, Diploma di maestro d’ascia rilasciato al Professor Giacomo Costa nel 1962 – Ganzirri, Messina 2020

Buongiorno Professore, ci spiega il mestiere del maestro d’ascia?

Cari ragazzi, il maestro d’ascia è il lavoro del carpentiere, colui che si occupa di disegnare, intagliare ed assemblare le imbarcazioni. È un antico mestiere, che la mia famiglia svolge da cinque generazioni (in principio c’erano i Calbo, poi i Costa, ora di nuovo i Calbo con mio nipote Giuseppe). Io ottenni il mio diploma nel 1962: molte cose sono cambiate da allora.

Un tempo le barche si costruivano con mezzi primitivi, ad occhio. Io ho continuato la tradizione, usando anche nuove tecniche d’ingegneria. Uno strumento fondamentale era il c.d. mezzo garbo, una sagoma di legno ricurva che permette di tracciare le c.d. linee d’acqua e le ordinate del corpo della barca.

©Andrea Rapisarda, Un modellino di luntro realizzato dal Professor Costa – Ganzirri, Messina 2020

Vedete queste macchine? Io le uso da quarantacinque anni, necessitano di manutenzione, senza la quale rischiano di diventare molto pericolose.

Anche il legno deve essere adatto, per evitare che si spezzi durante la lavorazione. Per questo è meglio scegliere un legno curvo, come quello del gelso (raccolto nel mese di Novembre, quando l’albero “dorme”). Durante la seconda guerra mondiale fu difficile da reperire, poiché era l’ambiente ideale per far riprodurre i bachi da seta, necessari per i paracadute. 

©Andrea Rapisarda, Il Professor Costa nel suo laboratorio circondato dalle sue creazioni – Ganzirri, Messina 2020

La sua vita è sempre stata legata al mare: com’era un tempo la pesca a Messina?

La costa di Messina è divisa in 20 postazioni (c.d. poste). Partendo dalla fontana di Paradiso, ogni posta ha un nome: Fontana, Pricupara, Spina, Fossa, Pettu, Rutta, Grotte, Tarea e così via… Ogni anno i c.d. padroni lanzatori (capi dell’equipaggio per la pesca del pesce spada) devono recarsi in capitaneria e sorteggiarsi le poste. Questa è una tradizione che si ripete da secoli: nessun pescatore poteva sconfinare nella posta vicina. L’unica eccezione era aver avvistato il pesce spada nella propria posta: solo in quel caso era possibile inseguirlo nella posta altrui. Un tempo la caccia al pesce spada si praticava con due imbarcazioni: la feluca (usata per avvistare la preda, con un albero alto 22 metri) e il luntro (un’imbarcazione con 4 rematori ed il padrone lanzatore).

Ricordo quando andavo con mio nonno Iacopo Lisciotto a Palmi: era lì che iniziava la pesca, nel mese di Aprile. “Vasusu, vaiusu, vantera, vafora”: quelle che possono sembrare parole magiche sono invece le quattro direzioni che l’avvistatore (c.d. ntinneri) gridava ai rematori del luntro affinché questi potessero letteralmente inseguire il pesce spada. Il padrone lanzatore, con precisione matematica, puntava la preda calcolandone la velocità:”pigghia puntu! pigghia puntu!” (prendi la mira! prendi la mira!), e dopo pochi stanti l’arpione (c.d. ferro) trafiggeva il pesce spada.

©Andrea Rapisarda, Un esempio di luntro realizzato nel laboratorio del Professor Costa – Ganzirri, Messina 2020

Lei ha tenuto dei corsi sia all’Unime sia al carcere di Gazzi: ci racconta queste sue esperienze?

All’Università ero stato designato per il supporto tecnico alla realizzazione e costruimmo una barca a vela per gareggiare a Porto Santo Stefano (in Toscana). Ricordo che tutti gli studenti dell’allora corso di ingegneria navale – insieme ai docenti – lavorarono come una vera squadra: fu una grande occasione di crescita personale e professionale per tutti.

L’esperienza in carcere è stata eccezionale. In quell’occasione il “fattore umano” è stato determinante per me e per i detenuti, i quali – superati l’imbarazzo e la timidezza iniziali – iniziarono a familiarizzare con il mestiere. Costruimmo un luntro ed una piccola feluca, successivamente esposte alla scuola Minutoli.

Queste iniziative (all’Università, nelle carceri) a scopi rieducativi e di istruzione sono state per me motivo di grande soddisfazione e li conservo con affetto.

Finito il tour nel suo laboratorio, ci avviamo per una passeggiata di pochi minuti verso il lago.

©Andrea Rapisarda, Vista sul lago dalla panchina realizzata dal Professor Costa, con la barca paciota (barca a vela) al centro – Ganzirri, Messina 2020

Anche il Lago di Ganzirri si presta alla pesca. Lei, che vive da anni in questo luogo, ha dei consigli per riqualificare la zona?

Il Lago è un posto molto bello, ma sarebbe ancora più vivibile con pochi interventi mirati. Io ci vado spesso ed ho costruito molte barche per pescarci. Un esempio d’imbarcazione che potete trovarvi dentro è la c.d. barca paciota, una barca a vela e priva di motore con la quale un tempo era possibile arrivare fino alle Isole Eolie o a Taormina. Sarebbe bello poter passeggiare lungo il lago, magari con una passerella ed eliminando questi infestanti cespugli di oleandro (pianta non originaria di questo territorio lacustre).

Conclusa l’intervista abbiamo salutato il Professor Costa, che ha ricambiato il saluto con la stessa gentilezza con cui ci aveva accolto nel suo laboratorio, luogo in cui si apprestava a tornare per continuare la sua arte. In pochi minuti è riuscito a raccontarci gran parte della sua vita e noi speriamo di aver fatto altrettanto con questa intervista. Non ci resta che consigliarvi di recarvi voi stessi sui laghi, ammirarne le sponde e magari fermarvi e rilassarvi sulle panchina in legno – anch’esse costruite dal Professor Costa – alla scoperta di tradizioni e misteri della nostra splendida terra.

Salvatore Nucera

 

Immagine in evidenza:©Andrea Rapisarda, Il Professor Giacomo Costa intento a intagliare un pesciolino ligneo -Ganzirri, Messina 2020

 

 

 

Coronavirus e l’estate: ombrelloni distanziati e spiagge a numero chiuso

In prossimità dell’estate, una delle tante domande poste tra i giovani  e non solo riguarda la possibilità di andare a mare, piscina, o comunque nelle strutture balneari,  a seguito dell’emergenza covid-19. Le risposte non sono certe. Non è stata presentata nessuna disposizione concreta per il momento , ciò che rimane certo è il cambiamento rispetto alla nostra tipica idea di estate. Molto spesso estate è sinonimo di divertimento, lunghi bagni, after in spiaggia, color party, gruppi di animazione per i più piccoli e quant’altro.
Siamo davanti ad un’estate del tutto nuova. Per far fronte al coronavirus l’Istituto Superiore di Sanità e il ministero della Salute ha chiesto la consulenza della Società Nazionale di Salvamento, società fondata 150 anni fa a Genova e oggi presieduta dal professor Giuseppe Marino. La società da una decina d’anni si occupa anche di medicina di balneazione ed insieme al ministero sta studiando un piano ragionato su come poter aprire le attività balneari con regole che verranno poi dettate dal governo.

Chiariamo fin da subito che il mare non è di per se contaminato dal coronavirus , ma è l’uomo che rischia di portarlo. Una delle domandi più frequenti riguarda la possibilità di contagio quando si va a fare il bagno a mare. Innanzitutto c’è da dire che il caldo cosi’ come il mare è un antivirale per eccellenza. Succede come con ogni altro microorganismo, che a contatto con l’acqua il virus non potrà avere una quantità di forza infettante sufficiente.

Vale il discorso di una goccia nel mare, anche se uno lo elimina in acqua, il mare è così grande che non ci saranno problemi di infettarsi, e ciò è valido non solo per il coronavirus ma anche per ogni altro tipo di virus», spiega Matteo Bassetti direttore della clinica di malattie infettive dell’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine, e ora da pochi mesi nuovo direttore dell’Unità operativa della clinica malattie infettive al Policlinico San Martino di Genova.

In sintesi fare il bagno a mare dovrebbe essere un’operazione sicura, dato che le capacità infettive sono fortemente ridotte in mare aperto. Al contrario bisogna evitare determinate zone adiacenti allo sversamento e le acque reflue di scarichi organici , a causa della trasmissione fecale, spiega Alfredo Rossi, medico e direttore sanitario della Società Nazionale di Salvamento. Inoltre il dottore spiega che qualora ci dovesse essere un individuo portatore e uno sano, la trasmissione non avviene attraverso l’acqua, ma attraverso l’acqua espirata. Una persona infetta infatti può rilasciare il virus nella fase espiratoria mentre nuota. E’ molto probabile, però, che il virus non sopravviva e non si diffonda  grazie anche all’azione delle correnti, dei raggi ultravioletti e grazie alla salinità dell’acqua, creando  un ambiente sfavorevole in  grado di far disperdere facilmente la carica virale. Resta importante comunque mantenere le distanze di sicurezza proprio per evitare il contagio esattamente come accade fuori dall’acqua attraverso tosse, starnuti e respirazione ravvicinata.Prime prove di distanziamento al lido Bacino grande di Porto Cesareo in provincia di Lecce

Oltre a quanto scritto sopra, ci sono vari altri accorgimenti da rispettare.
Sono da escludere spiagge super affollate e ombrelloni distanti gli uni dagli altri di qualche mentre – si parla anche di 4 metri di distanza- anche se, come sostenuto dal dottor Bassetti, potrebbe essere eccessivo dato che il virus colpisce in un raggio molto piccolo.
Si è parlato anche di spiagge a numero chiuso, con accessi scaglionati  e prezzi di listino differenti in base alle fasce orarie.

Sanificazione di lettini e sdraio ( possibile fonte di contagio) ogni cambio persona,  attraverso l’ipotesi di tunnel igienizzanti .
Un altro aspetto riguarda l’acceso a queste aree attraverso corridoi abbastanza lunghi , accompagnati da erogatori lungo le pedane, per spruzzare disinfettanti a base di ozono.

Tunnel Sanificanti e Box Igienizzanti - Tunnel sanificazione Covid-19

In attesa delle direttive del governo, i gestori degli stabilimenti balneari si stanno già mettendo in moto per organizzarsi. E’ partita nei giorni scorsi la manutenzione dei lidi per non farsi trovare impreparati alla Fase 2 che dovrebbe partire il 4 maggio. In Puglia, addirittura, in alcuni lidi del Salento sono state fatte già le prime prove di distanziamento.  Bisogna trovare delle soluzioni ideali che permettano di fronteggiare la situazione, soprattutto per un altro aspetto importante: quello economico .

Andiamo in spiaggia anche più tardi ma andiamoci, qui si tratta di proteggere 25 mila posti di lavoro” ha dichiarato Alessandro Berton, presidente dell’associazione Unionmare Veneto.

Eleonora Genovese