C’erano una volta i Maneskin: “RUSH!” sinonimo di esagerazione?

I Maneskin questa volta hanno osato troppo, facendo notare la loro mancanza di creatività. – Voto UVM: 2/5

 

Eccentrici, profondi, creativi e per nulla scontati: questi sono i Maneskin, o meglio, lo sono stati ai tempi dell’uscita del loro primo album, Il ballo della vita (2018).

All’epoca erano dei semplici kids from Rome appena usciti da X-Factor, con tante idee e con la voglia di “prendersi tutto”. Ora invece si sono presi tutto ma non hanno più idee. Dove sono finiti i nostri coatti e simpaticissimi Maneskin? A quanti, come me, mancano quei ragazzi?

“Se lo prendi con leggerezza, per quel che è, Rush! è un giro in una di quelle feste orgiastiche”. – (da un articolo di Rolling Stone)

È un po’ curioso il fatto che ascoltando RUSH! venga subito in mente Babylon, l’ultimo film di Damien Chazelle (qui la nostra eccentrica recensione). Quindi mi sono chiesto cosa mai possano avere in comune questi due prodotti, oltre a raccontare di orge intendo…

Capitolo 1: Marlena torna a casa…che il “brutto” qua si fa sentire!

Mi sorprende di come la band made in Rome sia passata dal fare canzoni come Torna a casa o Le parole lontane a pezzi tipo BLA BLA BLA (no, purtroppo non è quella di Gigi Dag)

“I wanna fuck, let’s go to my spot
But I’m too drunk and I can’t get hard”

Il brano altro non è che un imbarazzante susseguirsi di versi, di “fuck” e di “cock”. Insomma, siamo ormai lontani dai tempi in cui i Maneskin si facevano portavoce di sogni e di paure, d’amore e di libertà. Siamo lontani dai tempi in cui cantavano di Marlena.

E se dal punto di vista dei testi l’album è poco fantasioso anche musicalmente non rende. Detto ciò, mi trovo costretto a fare, nemmeno a metà recensione, un plauso all’assenza di creatività che è davvero di altissimo livello! L’unica canzone, forse, in grado di alzare l’asticella del disco poteva essere GOSSIP, che vanta il featuring di Tom Morello alla chitarra. Ma purtroppo, la collaborazione si limita ad un assolo di nemmeno 20 secondi.

Fa un po’ sorridere il fatto che l’unica sperimentazione forse mezza decente di tutto l’album sia stata KOOL KIDS. Una canzone dal retrogusto punk e con un intro di basso abbastanza convincente (brava Victoria), ma che purtroppo non è per niente in linea col resto dell’album!

Capitolo 2: Maneskin con o contro il sistema?

“Sarai qualcuno se resterai
diverso dagli altri”

Era il 2020 quando il fidanzato di Giorgia Soleri (ora sono pari) e la sua banda recitavano queste parole in VENT’ANNI, un altro dei loro successi inserito poi in Teatro d’ira – Vol. 1 (2021). Per molti l’album della ribalta, per me e pochi altri l’inizio del tracollo.

Damiano & Co, all’epoca usciti vittoriosi dal Festival di Sanremo e poi anche dall’Eurovision Song Contest, se le sarebbero dovute tatuare queste parole, dato che già ad un primo ascolto, la maggior parte delle canzoni di RUSH! danno la sensazione di essere un qualcosa di già sentito. E non me ne vogliate se ritengo che TIMEZONE sembri proprio la brutta copia di una canzone di Billie Eilish.

Sarà una conseguenza del fatto che ormai da tempo i Maneskin puntano al mercato internazionale, cercando di creare un nuovo tipo di pubblico. E non a caso la produzione dell’album è stata affidata proprio a Max Martin (già producer di Britney Spears, Taylor Swift, Lady Gaga, Katy Perry, ecc).

Capitolo 3: “RUSH!” è anche peggio di un film di Baz Luhrmann

Lo sapevate che i Maneskin si sono sposati? Ottima come strategia di marketing per l’album, – se solo ne fosse valsa la pena, – e ottimo anche per dimostrare a tutto il mondo (ancora?) quanto il look, quello esagerato, sia importante per loro.

Damiano e Thomas nella parte degli sposi, Victoria ed Ethan in quella delle mogliettine dall’abito bianco! Alla festa c’erano proprio tutti, dai Ferragnez a Paolo Sorrentino, e non poteva di certo mancare lui: Baz Luhrmann, che di recente se n’è uscito con un biopic su Elvis (se neanche questo è stato di vostro gradimento leggete qua), per cui i Maneskin hanno realizzato la canzone If I Can Dream.

E proprio come Luhrmann con i suoi film, i Maneskin con RUSH! hanno osato troppo. E anche IL DONO DELLA VITA, che dovrebbe essere la ballata per eccellenza dell’album, sulla falsa riga di Torna a casa e CORALINE, non convince abbastanza: troppo spinta per vestire i panni di una ballad.

Epilogo: siamo tutti (o quasi) troppo vecchi per i Maneskin… 

A differenza di molti altri artisti che presenziano l’odierna scena musicale, i Maneskin non devono dimostrare niente a nessuno, l’hanno già fatto in passato. Ora possono continuare a fare musica senza porsi nessun limite e soprattutto possono farlo a modo loro, divertendosi, come se fossero ad una festa di Damien Chazelle.

Anzi, abituatevi all’idea di ascoltare questi pezzi ovunque. Del resto, per le nuovissime generazioni i Maneskin continueranno ad essere rock e originali. Per il semplice fatto che questi giovani non hanno sperimentato il rock puro, non hanno nessun punto di riferimento. Questa per loro è vera musica perchè è l’unica che conoscono.

 

Domenico Leonello

Chi ha ucciso Elvis? Il film è la risposta

La pellicola non ha i toni dei classici biopic. Il regista non ha paura di osare e rende il tutto troppo pesante. – Voto UVM: 2/5

 

“Da piccolo, ero un sognatore. Leggevo i fumetti e diventavo l’eroe della storia. Guardavo un film, e diventavo l’eroe del film. Ogni sogno che ho fatto si è avverato un centinaio di volte. ” (Elvis Presley)

Baz Luhrmann torna alla regia a nove anni da Il Grande Gatsby, per raccontarci la storia del Re del Rock’n’roll: Elvis Presley (Austin Butler). Il film, uscito nelle sale italiane il 22 giugno, va oltre la stretta etichetta di biopic e si pone l’obiettivo di mostrare al pubblico l’animo tormentato del celebre cantante e showman con un fare eccessivo e intimo allo stesso tempo.

La storia è raccontata dall’agente di Elvis, il sedicente colonnello Tom Parker (magistralmente interpretato da Tom Hanks), imbonitore da fiera, socio e al contempo rivale del cantante, al quale spreme energie e profitti fino all’ultima goccia. Ma per tutto il film ci si pone la stessa domanda: chi è il vero colpevole della morte dell’artista?

Sinossi

Elvis, sognatore fin da bambino, voleva essere come i supereroi dei suoi fumetti, per liberare il padre dal carcere e salvare la famiglia dai problemi economici. Nato nel Mississippi e cresciuto a Memphis, nel Tennessee, era molto legato alla musica e alla cultura afroamericana. Di matrice black erano, infatti, sound, voce e postura del divo.

Elvis in concerto in una scena del film. Fonte: Warner Bros.

 

Negli anni della segregazione razziale fu persino denunciato per le sue movenze e sonorità afroamericane, accusato di favorire quel processo di integrazione tra bianchi e neri, tanto temuto negli Stati repubblicani del Sud. Venne così costretto a rinunciare al suo stile e fu punito con il servizio militare in Germania.

Nella seconda parte della pellicola viene poi raccontato l’ingresso di Elvis nel mondo del cinema, il suo grande amore per Priscilla (Olivia DeJonge), fino ad arrivare agli anni di Las Vegas: la sua prigione d’oro.

Il cinema barocco di Luhrmann

Il film che si potrebbe tranquillamente dividere in quattro atti, dura la bellezza di due ore e quaranta minuti – percepite quattro – che risultano essere fin troppe per un film del genere. Senza contare che a salvarsi è solo poco più della metà della durata della pellicola!

“Quando la narrazione non funziona più, il risultato è la decadenza”  (Aristotele)

Quante volte ci allontaniamo dalle sale cinematografiche consolandoci con un: «Certo, però, la fotografia era stupenda.» Ebbene, questo film potrebbe in parte rientrare in questa casistica, se si pensa alle svariate, e fin troppe, tecniche cinematografiche utilizzate dal regista, che a tratti finiscono per snaturare lo stesso film: dallo yo-yo temporale alle inquadrature sottosopra, per arrivare all’abuso di split screen (divisione dello schermo in più immagini simultanee).

Scena del film in split screen. Fonte: Warner Bros.

 

Ma parlando di Baz Luhrmann non poteva essere altrimenti. Il regista di Romeo + Juliet (1996), fin dagli esordi si è contraddistinto per un uso frenetico del montaggio.

Irriverenza ed eccentricità: sono queste le parole chiave del cinema di Luhrmann che potrebbe essere paragonato ad un saggio di danza fatto di scenografie enfatizzate e una fotografia brillante e colorata.

Chi ha ucciso Elvis?

Ma a volte anche i migliori fanno cilecca. E Baz arriva a “dopare” tutto a colpi di trovate che, anziché attualizzare la storia, finiscono solo per appesantirla.

“Chi è abituato come me a sperimentare e pensare fuori dagli schemi è destinato a essere criticato.” (Baz Luhrmann in un’intervista)

Si Baz, ok, però anche tu attento a non esagerare troppo con il “think outside the box”, sennò finisci per accennare sullo schermo a un mucchio di cose senza svilupparne nemmeno una!

Perché se la storia di Elvis non può essere cambiata, di certo cambia il modo in cui viene raccontata.
E va bene scegliere il colonnello Parker come narratore, ma va meno bene accennare appena a tutto ciò che accadeva nel frattempo. Eventi come l’eccidio di Cielo Drive – l’omicidio condotto dalla “Famiglia Manson” che ha visto come vittima l’attrice Sharon Tate -, le uccisioni dei Kennedy o di Martin Luther King hanno dovuto lasciare spazio, anche fin troppo, alle infinite variazioni del claustrofobico “universo” di Elvis.

Elvis: The Enhanced Album

Solo quando partono le musiche ci ricordiamo davvero perché siamo andati a guardare un film su Elvis. Un plauso anche ai brani anacronistici presenti nella colonna sonora che vanno ad innalzare l’asticella del film. Come l’inedito di Eminem The King & I, prodotto da Dr. Dre in collaborazione con CeeLo Green, o la rivisitata Vegas di Doja Cat. Devastante è anche la cover di If I can dream riletta magistralmente dai Maneskin.

 

In definitiva, il film di Luhrmann riesce a “pizzicare” tutte le corde della personalità del divo. Mostra il suo dolore, la solitudine e il forte attaccamento alla black music. Ma ad emergere è purtroppo la crisi di un certo modo di fare cinema. Ormai da troppo tempo storie fragili, che vogliono disperatamente catturare l’attenzione del pubblico, degenerano in pellicole esibizioniste e patinate.

Eppure, con una storia come quella di Elvis il regista avrebbe potuto fare molto di più!

 

Domenico Leonello

Maneskin: dalla strada fino al tetto del mondo

Dopo un’annata di record e premi, ieri sera alla prima serata di Sanremo 2022 hanno fatto ritorno i Maneskin, aprendo il Festival con il loro stile, infiammando il palco di quell’Ariston che ha dato il via alla loro ascesa. “I pischelli de Roma” sono tornati con la loro grinta, il loro anticonformismo e la voglia di rompere gli schemi, esibendosi sulle note di Zitti e Buoni e Coraline, emozionandoci e rendendoci fieri di essere italiani. 

I Maneskin trionfanti a Sanremo 2021. Fonte: dilei

Bohemian Rhapsody con la sua favola bhoeme ci aveva incantato; come dimenticarsi poi di Brown Sugar, Purple Rain, Dream on, All You Need Is Love? Sono tutte canzoni che hanno fatto la storia e creato leggende. Chi non vorrebbe tornare indietro nel tempo e partecipare a un concerto di Jimi Hendrix, Elvis, Bee Gees,Led Zeppelin, Pink Floyd o partecipare al festival di Woodstock, il primo grande raduno rock della storia? 

Il rock aveva raggiunto il proprio apice tra colori psichedelici e rivolte a suon di chitarra. La trasgressione era la prima regola per infrangere l’ordinario. Ma signori e signore, vi sbagliate se credete che il rock è morto, perché non lo è. Piuttosto in Italia, negli ultimi anni, è stato poco considerato. Abbiamo band come Lacuna Coil,  Afterhours e tanti altri, gruppi che hanno avuto successo anche al di fuori del nostro Paese.

Ma solo un gruppo italiano finora è riuscito a raggiungere la fama mondiale e si tratta dei Maneskin, che con la loro grinta giovanile sono arrivati sul tetto del mondo.

I Maneskin in un’illustrazione di @rdmdesign. Fonte: Instagram

Ma da dove inizia la loro storia? I Maneskin sono una rock band fondata nel 2015, il cui nome in danese vuol dire “chiaro di luna”. Come ogni artista che si rispetti, il gruppo romano comincia a esibirsi  per le strade della città eterna, dilettando i passanti con la propria musica (chissà quanti hanno avuto l’onore di vedere i quattro ragazzi, quando ancora erano dei “normali” adolescenti!). Dopo qualche anno, decidono di partecipare ai provini dell’undicesima edizione di X-Factor (2017), superando le selezioni e classificandosi al secondo posto (niente vittoria per questa volta!). Da lì in poi per il gruppo inizierà la propria scalata. La band, infatti, dopo pochi mesi apparirà in televisione e nelle radio. 

Da Sanremo all’ Eurovision

 Sono la band del momento: da Sanremo fino agli Stati Uniti, la loro musica sta raggiungendo un sacco di record. Dopo la vittoria al 71° Festival della Canzone Italiana col brano Zitti e Buoni, i Maneskin sembrano non fermarsi arrivando primi in tutte le classifiche. Il successo planetario arriva però con l’ Eurovision, dove si aggiudicano il primo posto. Da lì in poi per la band romana inizierà il “sogno rock”.

I Maneskin trionfanti all’Eurovision Song Contest 2021. Fonte: metalskunk.com

Il sogno italiano” in America

Damiano e i suoi compagni finora hanno venduto più di due milioni di singoli: un successo eccezionale che li ha portati negli Stati Uniti come special guest al concerto dei Rolling Stones, dando loro l’onore di stare accanto a delle leggende. Ma non è finita mica qui!

La band è stata ospite di show americani come The Ellen De Generes Shows, Saturday Night Live e nel “salotto” più famoso degli States ( Jimmy Fallon infatti li ha voluti al suo talk-show). I Maneskin si sono candidati agli American Music Award 2021, dove si sono esibiti sulle note di Beggin– conquistando la prima posizione nella classifica US Rock Airplay e rimanendo al primo posto per 10 settimane. Hanno portato a casa sei dischi di diamante, centotrentatre dischi di platino, trentaquattro dischi d’oro, 4 miliardi e 300 milioni di streaming. E per ultimo, ma non meno importante, è stata annunciata la loro partecipazione al Coachella: saranno la prima band rock italiana a suonare al famoso festival californiano.

 

I Maneskin assieme a Mick Jagger. Fonte: Cosmopolitan

I Maneskin vanno riconosciuti non solo per la loro musica e il loro talento, ma anche per come espongono la loro arte. Infatti i ragazzi nei loro show portano ciò che in Italia pochi osano, l’essere alternativi con la provocazione, ma sempre rispettando il prossimo. Un po’ come fece la mitica Loredana Bertè, che nel lontano 1986 si presentò al festival di Sanremo con col pancione finto , esibendosi con la sua grinta da rockettara. Molti la giudicarono per l’errore commesso, ma per lei fu una sorta di performance a favore dei diritti delle donne. La stessa cosa vale per i Maneskin, che con il loro stile provocano il pubblico, andando ad abbattere le barriere di un tradizionalismo che l’Italia si porta ancora dietro. 

“E farà male il dubbio di non essere nessuno, sarai qualcuno se resterai diverso dagli altri”

                                                                                                     Alessia Orsa

Osaka ha acceso il braciere: i Giochi Olimpici Tokyo 2020 sono ufficialmente iniziati

La cerimonia d’apertura dei Giochi della XXXII Olimpiade (informalmente noti come Tokyo 2020) si è tenuta nel pomeriggio di venerdì allo Stadio Nazionale di Tokyo: l’Imperatore Naruhito ha dichiarato aperti i Giochi, Naomi Osaka ha acceso il braciere olimpico.

(fonte: SkyTg24)

Precedentemente programmati dal 24 luglio al 9 agosto 2020 sono stati posticipati a causa della pandemia di COVID-19, si stanno svolgendo a Tokyo dal 23 luglio all’8 agosto 2021 e le gare si svolgeranno in gran parte a porte chiuse.

Nonostante ciò, viene mantenuto il nome Tokyo 2020 per ragioni di marketing e di branding. Questa è la prima volta in cui i Giochi Olimpici sono stati posticipati invece che cancellati.

La capitale giapponese (alla sua seconda Olimpiade dopo quella del 1964) è stata scelta durante la 125ª sessione del CIO, svoltasi a Buenos Aires il 7 settembre 2013. La città è stata preferita alle altre due contendenti: Istanbul (Turchia) e Madrid (Spagna).

La cerimonia di apertura

Il primo paese a sfilare sulla pista dello Stadio Nazionale è stato come sempre la Grecia, in quanto ideatrice dei Giochi, seguita dalla rappresentanza degli atleti olimpici rifugiati. L’Italia è entrata come diciottesima delegazione, con in testa i due portabandiera Jessica Rossi ed Elia Viviani. La pallavolista Paola Egonu era invece fra i sei portabandiera del Comitato olimpico internazionale.

Il Giappone ha sfilato per ultimo, in quanto paese ospitante, dopo Francia e Stati Uniti, paesi ospitanti delle prossime due edizioni delle Olimpiadi estive (Parigi 2024 e Los Angeles 2028).

Dichiaro aperti i Giochi di Tokyo“, ha pronunciato solennemente l’imperatore giapponese Naruhito, in uno stadio con soli mille invitati a fronte di una capienza di 64 mila spettatori a causa dell’emergenza pandemica, che ha costretto gli organizzatori a tenere l’evento quasi a porte chiuse.

Verso le 16:20 la bandiera olimpica entra nello stadio– per la prima volta è alimentata ad idrogeno-, i bracieri sono 3, uno allo stadio e due in città: fra i 6 che la reggono c’è anche la nostra Paola Egonu.

Il vessillo del Cio è passato poi in mano a rappresentanti giapponesi, che la portano verso il tripode che dovrà essere acceso dall’ultimo tedoforo. Risuona l’inno olimpico mentre i pittogrammi, i simboli dei singoli sport, usati in ogni edizione dei Giochi diventano umani.

Successivamente passa ad una coppia composta da un medico e una infermiera, la terza coppia di tedofori a prendere la fiaccola: omaggio ai sanitari in prima linea per il Covid. Poi Wakako Tsuchida, un’alteta paralimpica, la porta verso il tripode. Ed infine Naomi Osaka-donna giapponese di colore è l’ultimo tedoforo dell’Olimpiade di Tokyo.

(fonte: calciomercato)

Alle 17:00 Naomi Osaka ha acceso il braciere olimpico. La numero due del mondo del tennis, ferma dal Roland Garros per problemi di depressione, è stata prescelta come ultimo tedoforo.

La cerimonia è finita nella tarda serata giapponese (pomeriggio inoltrato in Italia); secondo i piani iniziali la cerimonia sarebbe dovuta durare oltre quattro ore ma è terminata invece un po’ prima.

Il tema degli spettacoli messi in scena ha riguardato «il mondo in cui Tokyo 2020 prende vita, completamente diverso rispetto a quello di due anni fa», come spiegato dal comitato organizzatore

Apertura atipica delle Olimpiadi, limitata dalle restrizioni covid: non c’era il pubblico, soltanto alcuni invitati e ristrette rappresentanze diplomatiche degli oltre duecento paesi partecipanti.

Cosa aspettarci dall’Italia

Oggi si assegneranno le prime undici medaglie d’oro della manifestazione: nel tiro a segno, nel ciclismo, nel judo, nella scherma e nel taekwondo.

Intanto, il primo oro dell’Olimpiade di Tokyo è della cinese Yang Qian che si è imposta nella gara della carabina 10 metri donne. Argento alla russa Anastasiia Galashina, bronzo alla svizzera Nina Christen.

L’Italia, reduce da un un’annata di vittorie sul panorama mondiale (Eurovision, Europei, ecc),che si è presentata a Tokyo con la delegazione più numerosa di sempre- 384 atleti quasi equamente divisi tra uomini (198) e donne (186)-, avrà già la possibilità di ottenerne otto con oltre quaranta atleti in gara.

Cinque anni fa alle Olimpiadi di Rio de Janeiro l’Italia si presentò con 297 atleti e vinse 28 medaglie, sette delle quali d’oro. Lo stesso numero di medaglie le aveva vinte quattro anni prima a Londra, con 290 atleti.

(fonte: ilPost)

L’obiettivo adesso è quindi quello di superare le 28 medaglie ottenute nelle ultime due edizioni. Numerosi gli atleti italiani attesi nelle gare:

  • Elia Viviani, nel ciclismo, portabandiera alla cerimonia inaugurale può riconfermare la medaglia d’oro su pista vinta nell’omnium a Rio de Janeiro. “Una sensazione da pelle d’oca”. Così Elia Viviani, uno dei due portabandiera dell’Italia all’apertura delle Olimpiadi di Tokyo 2020 ha dichiarato: “È stata un’emozione fortissima. Quando hanno chiamato “Italia”, il nostro gruppo è esploso in un boato enorme: Jessica Rossi ed io abbiamo avuto la pelle d’oca. È stato il momento in cui ci siamo sentiti italiani, e in alto”. Lo stadio vuoto ha fatto effetto, dopo: ma ce la siamo goduta dalla partenza per lo stadio, con il messaggio di auguri al presidente Mattarella, fino alla sfilata”
  • Jessica Rossi, portabandiera italiana insieme ad Elia Viviani. Nel 2012 a Londra vinse l’oro nel tiro al volo. Da allora ne ha ottenuti altri due ai Mondiali del 2013 e del 2017, sempre nel trap femminile.
  • Federica Pellegrini, la più grande nuotatrice italiana di tutti i tempi è alla sua quinta Olimpiade, a cui si è qualificata a 32 anni vincendo il titolo italiano nella sua disciplina preferita, i 200 stile libero.
  • Margherita Panziera alla sua seconda Olimpiade può pensare a una medaglia nel dorso, forte dei due ori nei 200 metri vinti agli Europei del 2018 e del 2020 e dell’argento vinto ai Mondiali in Corea del 2019.
  • Gregorio Paltrinieri, uno delle medaglie d’oro italiane a Rio de Janeiro, nei 1500 stile libero. A Tokyo è in gara sia negli 800 che nei 1500.
  • Elisa Longo Borghini a 29 anni è la terza ciclista nel ranking mondiale femminile su strada. A Rio vinse un bronzo nella prova in linea, nel 2020 ai Mondiali di Imola ne ha vinto un altro.

Nell’atletica leggera un po’ tutti aspettavano Filippo Tortu, e invece è spuntato Marcell Jacobs. Lo scorso 9 luglio, nella tappa di Montecarlo della Diamond League, entrambi hanno preso parte alla finale dei 100 metri, cosa già di per sé molto rilevante per gli standard dell’atletica italiana. Jacobs è arrivato terzo, Tortu settimo. Jacobs ha tre anni in più di Tortu, è il recordman italiano nella velocità e a Tokyo gareggia per una medaglia nella gara più attesa e allo stesso tempo breve delle Olimpiadi.

La scherma è da sempre una delle discipline con cui l’Italia ottiene gran parte delle sue medaglie olimpiche. A Tokyo saranno in gara 12 schermidori italiani, con tante possibilità concrete di vittoria, sia nell’individuale che a squadre. I più quotati individualmente sono Daniele Garozzo e Alessio Foconi nel fioretto maschile, Arianna Errigo e Alice Volpi nel fioretto femminile, Marco Fichera e Andrea Santarelli nella spada maschile, Rossella Fiamingo e Mara Navarria nella spada femminile, e Luca Curatoli nella sciabola maschile.

Intanto arriverà sicuramente oggi la prima medaglia per l’Italia alle Olimpiadi di Tokyo 2020: Vito Dell’Aquila si è infatti qualificato alla finale per l’oro del taekwondo, 58 kg, battendo in semifinale l’argentino Lucas Guzman. Scontro finale contro il turco Mohamed Jendoubi alle 21.45 ora locale, le 14.45 italiane.

Intanto la sfortuna ferma Alberto Bettiol mentre lotta nel gruppo dei primi della prova in linea su strada del ciclismo. L’azzurro è stato preso da crampi, e ha dovuto notevolmente rallentare, mentre stava tentando di rientrare sull’americano McNulty e l’ecuadoregno Carapaz che avevano guadagnato una quindicina di secondo di vantaggio a meno di venti chilometri dall’arrivo.

Ma sono, comunque, davvero tanti i nomi in gara da cui ci si può aspettare tanto. In bocca al lupo ragazzi.

Manuel De Vita