I parlamentari d’Italia eletti a Messina: Francesco Crispi

Torna il filone legato ai Parlamentari d’Italia eletti a Messina con il primo Presidente del Consiglio meridionale della storia del Regno: il siciliano Francesco Crispi, candidato ed eletto nel collegio plurinominale (sono eletti diversi -non soltanto uno- candidati) di Messina alle elezioni della XVII legislatura, il 23 novembe 1890.

Come succede ancora oggi con il meccanismo delle pluricandidature, l’allora Presidente del Consiglio fu eletto anche in altri quattro collegi siciliani -tra cui quello di Palermo-; per questo motivo qualche mese dopo a Messina si svolsero le elezioni suppletive, vinte da Ernesto Cianciolo, deputato della città dello Stretto dalla XVII alla XX legislatura.

Origini e gioventù

Francesco Crispi nasce nel 1818 a Ribera, paese nei pressi di Agrigento, da una famiglia di origini albanesi. Il nonno Francesco era di Palazzo Adriano, cittadina costruita alla fine del XV secolo da esuli albanesi in fuga dai turco-ottomani.

Nel 1829 Crispi diventa alunno del famoso seminario italo-albanese di Palermo; durante questo periodo -grazie alla supervisione del cugino Giuseppe, rettore del seminario- riceve una formazione prettamente classica e si appassiona fortemente alla Storia.

Dopo qualche anno si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Palermo e qualche anno dopo conosce Rosina D’Angelo, sua futura moglie.

Nel 1839 una tragedia scuote la vita di Crispi: la moglie -già madre della prima figlia Giuseppa- muore poco dopo aver dato alla luce il secondogenito Tomasso, che sarebbe morto qualche giorno dopo essere nato; nel mese di dicembre dello stesso anno anche Giuseppa perde la vita.

Qualche mese prima della grave tragedia familiare, Crispi aveva fondato un giornale, “L’Oreteo”; tramite questa esperienza era entrato a contatto con il mondo politico del tempo e, soprattutto, con gli ambienti antiborbonici.

Dopo aver conseguito la laurea nel 1843, tenta l’avvocatura a Napoli, considerata a quel tempo tra le città più liberali della penisola.

L’elezione di papa Pio IX (1846) aveva fatto crescere il fermento negli ambienti liberali e rivoluzionari  di cui faceva parte Crispi, tantochè nel 1847 viene mandato a Palermo per organizzare -appunto- la rivoluzione in Sicilia.

Francesco Crispi- Fonte: agi.it

La rivoluzione siciliana

La sommossa contro i Borboni scoppia il 12 gennaio del 1948 ed il governo provvisorio, presieduto da Ruggero Settimo, assegna a Crispi la guida del Comitato della Difesa.

Dopo i primi successi in campo militare, i comitati vengono riorganizzati diventando una sorta di ministeri provvisori e Crispi viene posto al comando del comitato di “Guerra e Marina”.

Contestualmente fonda il suo secondo giornale, chiamato “L’Apostolato, per esprimere le proprie tesi riguardo il futuro prossimo dell’Isola. Crispi sosteneva che la soluzione migliore sarebbe stata quella federale e sottolineava l’importanza di dare una base legale alla rivoluzione siciliana; in tal senso propone il ripristino della vecchia Costituzione siciliana del 1812.

Queste posizioni, che abbracciavano una svolta federalista, creano non pochi attriti tra Crispi e i componenti dei comitati rivoluzionari, fautori di una soluzione totalmente indipendentista.

Il 29 marzo del 1849 i Borboni sferrano un nuovo attacco per reimpossessarsi della Sicilia. I comitati rivoluzionari  -a causa di numerose spaccature interne- si fanno trovare impreparati ed il 14 aprile l’ammiraglio Baudin offre, a nome del governo francese, una mediazione per la pace;  la Camera siciliana è fondamentalmente costretta ad accettare, viste le pesanti sconfitte militari subite.

Crispi amareggiato e contrario alla pace si imbarca su una nave diretta a Marsiglia, lasciando provvisoriamente la Sicilia.

Francesco Crispi (1818-1901) a metà ottocento – Fonte: wikipedia.org

La spedizione dei Mille  e la svolta “unitaria “

Dopo aver girovagato per l’ Europa, tra Piemonte, Malta e Londra, Crispi intensifica la sua corrispondenza con Mazzini e con altri esuli di parte democratica; questo lo porta ad abbandonare l’ideale dell’autonomismo siciliano ed ad abbracciare la soluzione unitaria.

Nel 1860 contribuisce significativamente a convincere Garibaldi riguardo la spedizione dei Mille: Crispi è -difatti- la mente politica della spedizione, sia per la sua esperienza da amministratore sia per la sua idea di ritardare l’annessione dei territori conquistati fino alla liberazione di Roma e Venezia.

Proclamata l’Unità, viene eletto alla Camera dei deputati; inizialmente tra le fila dei mazziniani, successivamente aderisce alla Sinistra storica, ritenendo ormai la Monarchia unica garanzia di unità. Con la caduta della Destra storica diventa Presidente della Camera (1876) e, successivamente, Ministro degli Interni (1877), carica da cui si dimette per l’accusa di bigamia, avendo sposato Lina Barbagallo nel ’78 e Rosalia Montmasson nel ’54 a Malta.

La “spedizione dei Mille” in un celebre quadro di Guttuso – Fonte: quotidiano.net

Gli ultimi incarichi e la morte

Torna al Ministero degli Interni nel 1887 nel governo di Depretis, al quale succede poco dopo come Presidente del Consiglio. Al governo sostiene la Triplice Alleanza e combatte fortemente la Francia; inoltre è promotore dell’espansione coloniale italiana in Etiopia (trattato di Uccialli del 1889), rivelatasi fallimentare in seguito alla pesante disfatta di Adua.

Mosso da una forte considerazione di sè e dell’ Italia, ma racchiuso dentro ideali ormai in via di superamento, Crispi esaurisce le sue forze in vani conati di grandezza, anticipando, in un certo senso, motivi ripresi successivamente dal nazionalismo e dal fascismo.

Muore a Napoli ad 83 anni nel 1901, dopo anni di sofferenze e gravi problemi alla vista.

 

                                                                                                                                                   Emanuele Paleologo

Fonti:

it.wikipedia.org

treccani.it

dati.camera.it/apps/elezioni

 

Omicidio Daphne Caruana Galizia. Dopo 4 anni, Muscat confessa e la verità viene a galla

Martedì ventitré febbraio, Vincent Muscat, una delle tre persone accusate di aver ucciso, nel 2017, la giornalista maltese Daphne Caruana Galizia, ha ammesso le proprie responsabilità: il tribunale della Valletta lo ha condannato a quindici anni di carcere.

L’arresto, avvenuto in giornata, è senza dubbio una svolta nel processo per omicidio che aveva suscitato indignazione non solo a Malta ma in tutto il mondo.

Secondo il Times of Malta, che ha seguito il processo da vicino, i fratelli George e Alfred Degiorgio, gli altri due accusati dell’omicidio, si sono dichiarati non colpevoli.

(fonte: adkronos)

La storia di Daphne Galizia

Daphne Caruana Galizia era una delle reporter più famose a Malta grazie alle sue inchieste sulla corruzione che avevano permesso di accendere i riflettori su numerosi scandali compromettenti per i politici locali.

Suo era il blog “Running Commentary”, scritto in inglese, che era uno dei più letti dell’isola, anche più dei giornali nazionali.

Era titolare dell’inchiesta “Maltafiles”, filone dello scandalo conosciuto come “Panama Papers”, dove denunciava diversi membri del governo maltese dell’epoca: il ministro dell’Energia, il capo di gabinetto e perfino la moglie del primo ministro Joseph Muscat- il quale si dimise per lo scandalo nel gennaio del 2020– sono stati sospettati di aver aperto conti bancari offshore.

Si occupava anche di molti altri casi: come quello dei cosiddetti passaporti d’oro, documenti venduti a cittadini stranieri senza controlli o a individui coinvolti in attività illegali; i traffici illeciti, come l’acquisto da parte di Malta del gas proveniente dall’Azerbaijan a costi fuori mercato. Malta era tristemente divenuta crocevia della finanza nera internazionale, operava per mezzo di una banca di proprietà iraniana e clientela russa e azera, la Pilatus, con filiale sull’isola.

Le inchieste di Daphne non passavano inosservate: l’avevano trascinata quarantasei volte in tribunale per diffamazione, le congelavano i conti in banca, veniva addirittura additata come “strega da bruciare”, e così fu.

(fonte: l’informazione)

Daphne è morta, all’età di 53 anni, il sedici ottobre del 2017 a Malta, a seguito dell’esplosione di una bomba nell’auto sulla quale viaggiava; tre uomini sono finiti sul banco degli imputati: Alfred e George Degiorgio e Vincent Muscat. Tutti sospettati di essere membri di un’organizzazione criminale e di aver materialmente fabbricato e piazzato l’ordigno.

Ma è nella politica che vanno ricercati i reali mandanti dell’omicidio di Daphne. Quell’autobomba esplosa nella campagna di Bidnija era stata quasi presagita: la sua informatrice principale, la russa Maria Efimova, che lavorava nella filiale della Pilatus Bank- che sarà inseguita fino in Grecia con un mandato di arresto– ha raccontato di un loro dialogo: “Un giorno dissi a Daphne che temevo che la uccidessero. Lei, sorridendo, mi rispose: “E come? Con un’autobomba?”.

Così abbiamo ucciso Daphne Caruana Galizia

(fonte: times of Malta)

“Così abbiamo ucciso Daphne Caruana Galizia: con un codice inviato via sms: Rel1 = on“ e  circa 30 secondi dopo si è innescata la bomba nascosta nell’auto di Daphne Caruana Galizia.

Queste le dichiarazioni di Vince Muscat agli investigatori. Prima di emettere la sentenza, la giudice del Tribunale della Valletta, Edwina Grima, ha chiesto a Muscat se intendesse ripensare la dichiarazione di colpevolezza: “Non ce n’è bisogno”. Alla fine, la pena per lui è stata di quindici anni di reclusione, proprio grazie alla confessione; infatti, il governo ha negato la sua richiesta di ricevere la grazia.

Secondo il Times of Malta, nelle ultime settimane Muscat aveva collaborato con le autorità e aveva concordato un patteggiamento con i pubblici ministeri, che prevedeva uno sconto di pena se avesse confessato e testimoniato su chi fosse responsabile con lui dell’omicidio.

Dopo l’ammissione di Vincent Muscat, gli altri sospettati di essere coinvolti nell’omicidio sono stati arrestati: sono i fratelli Adrian e Robert Agius e Jamie Vella, che avrebbero procurato la bomba con cui è stata fatta esplodere l’auto. Già nel dicembre del 2017 i tre erano stati arrestati durante uno dei raid che servivano a cercare gli assassini di Daphne.

Murat ha, inoltre, confessato che piano originario era quello di sparare alla giornalista con armi di precisione, fornite proprio dagli Agius e da Vella, ma che poi si erano rivelate difettose. Allora si è deciso di puntare all’utilizzo di una bomba che Muscat ha meticolosamente descritto: era grande la metà delle dimensioni di un foglio A4 e si attivava con un codice da inviare tramite sms.

Tuttavia, c’è anche un quarto uomo sotto stretta sorveglianza da parte dei magistrati. Si tratta di Yorgen Fenech, uomo d’affari proprietario della società 17 Black. Fu arrestato nel 2019 a bordo di uno yacht al largo di Malta mentre tentava di fuggire: si pensa che possa essere a conoscenza di importanti informazioni. Alcuni media l’hanno individuato come possibile mandante; lui subirà un processo separato.

Lo scorso mese, il figlio della giornalista, Matthew, aveva raccontato in aula che, insieme alla madre, aveva indagato nel 2017 su una vicenda di corruzione legata alla costruzione di una centrale elettrica da parte della Electrogas, di cui proprio Fenech è azionista.

La famiglia di Daphne, durante il processo, ha detto di sperare che l’ammissione di colpevolezza fatta da Muscat possa portare alla “piena giustizia” nella vicenda.

Viviamo in una società dove chi cerca la verità è tenuto a combattere fino alla fine: perché il prezzo della giustizia è alto, a volte anche la stessa vita.

Manuel De Vita

Continua l’emergenza migranti: Il caso Malta

I 450 migranti presenti sul barcone partito, probabilmente, da Zuara sono stati trasbordati su due navi militari questa mattina.
Il ministro Salvini mantiene ferma la sua posizione e insiste perché vengano mandati a Malta o tornino in Libia, poiché come ha spiegato in un colloquio con il premier Conte:

“In Italia si arriva solo con mezzi legali. Occorre un atto di giustizia, rispetto e coraggio per contrastare i trafficanti di esseri umani e stimolare un intervento europeo. I migranti si nutrono e si curano tutti a bordo, mettendo in salvo donne incinte e bambini. Non possiamo cedere, la nostra fermezza salverà tante vite e garantirà sicurezza a tutti. Da quando siamo al governo, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, ci sono stati oltre 27.000 sbarchi in meno. Se vogliamo mantenere questi risultati positivi, non possiamo mostrare debolezze”

Il trasbordo dei 450 migranti è avvenuto questa mattina a Linosa: 176 persone sono state messe sul pattugliatore inglese “Protector” inserito nel dispositivo Frontex, e altre 266 sul “Monte Sperone” della Guardia di Finanza.
Alcune donne e bambini sono stati trasportati a Lampedusa per motivi sanitari.
Le condizioni di salute sono infatti particolarmente gravi per alcuni di loro, dopo estenuanti giorni di viaggio.

Le due navi militari sono ancora in attesa di conoscere il Pos, cioè il porto dove approdare e sbarcare. La Capitaneria di porto di Porto Empedocle sta attendendo notizie dal Centro di coordinamento di Roma.

Dopo lunghe trattative con Malta, che si era occupata coordinamento del soccorso senza però mandare navi e senza dare disponibilità per l’accoglienza sull’isola dei migranti, il governo italiano ha fatto intervenire il pattugliatore della finanza e la capitaneria per scortare il peschereccio.

Benedetta Sisinni