Alzheimer: sarà possibile diagnosticarlo tramite un esame del sangue?

L’Alzheimer è una malattia cronico-degenerativa, caratterizzata da un progressivo impoverimento cognitivo: ad oggi, si stima che il 5% dei cittadini italiani con un’età superiore ai 60 anni, soffre di questa patologia, che comporta enormi difficoltà anche nello svolgere le attività della vita quotidiana.

Durante il decorso di malattia si osserva una progressiva degenerazione neuronale a carico delle aree celebrali. È stato dimostrato come questa degenerazione sia causata dall’accumulo di due proteine tossiche: la beta-amiloide e la tau, con conseguente atrofia delle aree celebrali e compromissione totale.

La sintomatologia dell’Alzheimer

L’esordio di questa malattia è solitamente subdolo, inizialmente non è facile riconoscere i sintomi, che spesso vengono confusi con dimenticanze dovute alla stanchezza o all’eccessivo stress. La patologia è infatti caratterizzata da una progressiva perdita di memoria, che però si manifesta con una sintomatologia talmente sfumata da essere difficilmente riconosciuta e diagnosticata in tempo.

Segno evidente di malattia è invece la progressiva degenerazione delle funzioni cognitive che si manifesta con: perdite di memoria riguardo parole, volti ed eventi recenti o ancora difficoltà prassiche, disturbi comportamentali, alterazione della personalità, disturbi della deambulazione, fino ad un quadro di demenza severa che comporta spesso l’allettamento.

Tali sintomi però sono rilevabili solo quando la patologia è già giunta a uno stadio avanzato, tanto da rendere i trattamenti ad oggi impiegati poco efficaci.

Alzheimer (demenza): disturbi e cause – ISSalute

Come viene trattato clinicamente ad oggi

Anche se non esistono attualmente farmaci in grado di curare la malattia o di arrestarne il decorso, è stato provato da diversi studi come l’utilizzo degli inibitori dell’acetilcolinesterasi all’insorgere della patologia sia particolarmente efficace.

Oltre ai trattamenti farmacologici esistono trattamenti di natura terapeutico-riabilitativa che si sono dimostrati efficaci nel rallentare il deterioramento cognitivo; tuttavia anche in questo caso l’inizio precoce di tali interventi determina maggiori benefici.

Ad oggi è possibile fare diagnosi di Alzheimer ragionando solo in termini di esclusione, con accertamenti medici che aiutano a scartare altre possibili cause, che possono scatenare la stessa sintomatologia. Ad esempio, si utilizzano Tac celebrali e test neuropsicologici, per escludere la presenza di un tumore celebrale, o di qualsivoglia lesione.

La blood biomarker challenge

Per provare a rispondere alle difficoltà diagnostiche e cliniche legate a questa patologia, alcuni istituti di ricerca medica britannici hanno intrapreso una collaborazione per un ambizioso progetto: la sfida dei marcatori sanguigni.

L’obiettivo di questa ricerca è riuscire a individuare nel sangue dei marcatori specifici per la patologia di Alzheimer, così da poter intervenire quando la patologia si trova ancora in una fase iniziale.

Diverse sono le ipotesi dei ricercatori: alcuni di questi esami ricercano nel sangue le tracce delle proteine beta amiloide e tau, altri individuano molecole ad esse connesse o proteine legate alla morte neuronale. Già una parte di questi test, ha mostrato di avere la stessa accuratezza ad oggi garantita dai prelievi di liquido spinale, che fa parte dell’iter diagnostico attuale; tuttavia, servono ulteriori ricerche per assicurarsi che tali esami siano effettivamente in grado di cogliere la giusta combinazione di biomarcatori nel liquido analizzato, a prescindere dalle differenze fisiologiche che caratterizzano ognuno di noi, senza restituire diagnosi errate.

Blood-based biomarker discovery points to early-stage Alzheimer’s test (newatlas.com)

Prospettive future della lotta all’Alzheimer 

La riuscita di questo progetto permetterebbe di accorciare i tempi necessari per dare un nome alla patologia e per intervenire clinicamente: infatti, come già evidenziato, tutti i trattamenti per rallentare il decorso di malattia danno migliori risultati se intrapresi precocemente, quando il danno neurale è ancora contenuto. L’obiettivo di questo progetto da 5 milioni di sterline è di somministrare ai pazienti lo strumento specifico entro 5 anni, ed è quello che ci auguriamo.

Marta Scuderi

Fonti:
  • Neurologia per le professioni sanitarie (Padovani, Borroni, Cotelli);
  • Focus: https://www.focus.it/scienza/salute/il-primo-esame-del-sangue-per-l-alzheimer-potrebbe-essere-pronto-tra-cinque-anni

Parkinson: la Dnl201 sarà la molecola decollo?

Dopo l’Alzheimer, il Parkinson è la malattia neurodegenerativa più diffusa.
Si tratta di una malattia che coinvolge funzioni quali il controllo dei movimenti e dell’equilibrio, ad evoluzione lenta e progressiva, che rientra tra un gruppo di patologie note come “Disordini del Movimento”.

  1. Cenni storici
  2. Dove è possibile riscontrarla?
  3. Zone del cervello coinvolte
  4. Cause scatenanti
  5. Sintomi 
  6. Come effettuare la diagnosi di Parkinson
  7. Ricerca sperimentale: è possibile guarire dal Morbo di Parkinson?
  8. Conclusioni

 

Cenni storici

Una prima descrizione di questa lenta ma inesorabile malattia fa riferimento ad un periodo intorno al 5.000 A.C in uno scritto di medicina indiana; il nome è legato però a James Parkinson, farmacista chirurgo londinese del XIX secolo che, per primo, descrisse e racchiuse tutti i sintomi in un famoso libretto, il “Trattato sulla paralisi agitante”.

Dove è possibile riscontrarla?

E’ possibile vederla in entrambi i sessi con una leggera prevalenza maschile. Il Parkinson solitamente ha il suo esordio intorno ai 58-60 anni, mentre nel 5% dei pazienti questa farà la sua comparsa nella fase adulta, tra i 21 e i 40 anni. Prima dei 20 anni è particolarmente rara.

Zone del cervello coinvolte

La malattia di Parkinson consiste in una riduzione costante della produzione di dopamina (molecola organica che svolge l’importantissimo ruolo di neurotrasmettitore). Il calo di dopamina è dovuto ad una continua degenerazione di neuroni in una regione del mesencefalo chiamata Substantia Nigra. Si stima che la perdita cellulare sia di oltre il 60% all’esordio dei sintomi e per tale motivo non è attualmente possibile ritornare del tutto alla normalità. Si pensa che l’α-sinucleina, una proteina, sia il motivo di questa ampia diffusione.

Fonte: www.bing.com

Cause scatenanti

Non sono ancora del tutto note le cause della malattia, ma sembra ci sia una moltitudine di elementi che mediano il suo sviluppo. Tra questi abbiamo quelli genetici. Si stima che il 20% dei pazienti abbia familiari con riscontro positivo alla malattia di Parkinson. I geni che concorrono nella sua evoluzione sono α-sinucleina (PARK 1/PARK 4), PINK1 (PARK-6), DJ-1 (PARK7), Parkina (PARK-2), la glucocerebrosidasi GBA e LRRK2 (PARK-8).
Altre cause sono l’esposizione ad alcuni pesticidi, idrocarburi solventi o a metalli pesanti (quali ferro, zinco e rame). Paradossalmente, nonostante le numerose controindicazioni al fumo di sigaretta, questo potrebbe svolgere un ruolo di fattore protettivo nei confronti della malattia.

Sintomi

I sintomi dei pazienti spesso non vengono riconosciuti nell’immediato per via della sua progressione lenta e quasi “mascherata”. Questa viene fuori in punta di piedi, con una manifestazione asimmetrica, quindi solo un lato del corpo è maggiormente interessato. Inoltre i sintomi sono facilmente trascurabili dal paziente inconscio. Tra gli indici di insorgenza ritroviamo: il tremore a riposo, il “tremore interno” – cioè una sensazione avvertita solo dal paziente -, rigidità, lentezza dei movimenti (fenomeno noto come “bracidinesia”) e instabilità posturale.

Possono quindi svilupparsi sviluppi di tipo motorio e non motorio.
Tra i disturbi motori emergono episodi di ”Freezing Gait” cioè un blocco motorio improvviso; postura curva con braccia flesse e tenute vicine al tronco, il quale è flesso in avanti. Il tronco potrebbe anche pendere da un lato, manifestazione della cosiddetta ”Sindrome di Pisa”; Disfagia, cioè problemi legati alla deglutizione. Possono essere pericolosi, poiché solidi e liquidi potrebbero essere aspirati causando polmoniti. Possono anche incombere fenomeni di Balbuzie, che rendono difficile la comprensione del paziente (in questo aiuta la logoterapia).
Tra i disturbi non motori invece, ne figurano alcuni anche molti anni prima rispetto a quelli motori. Questi possono essere legati alle alterazioni delle funzioni viscerali (disturbi vegetativi), dell’olfatto e dell’umore, ma possiamo avere anche disturbi cognitivi, dolori e fatica. Tra i disturbi viscerali ricordiamo la stipsi, cioè un rallentamento delle funzioni gastro-intestinali, disturbi urinari, disfunzioni sessuali, problemi cutanei e sudorazione. Infine, possiamo notare nei soggetti colpiti anche disturbi comportamentali ossessivi compulsivi, apatia e sintomi psicotici (tra cui deliri e allucinazioni).

Fonte: www.bing.com

Come effettuare la diagnosi di Parkinson

Il neurologo risale al morbo di Parkinson attraverso la storia clinica e dopo un’attenta valutazione dei sintomi. Tra gli esami strumentali si ricorre alla SPECT DATscan, scintigrafia del miocardio e PET cerebrale. L’aiuto strumentale è di fondamentale importanza per allontanarci da una diagnosi sbagliata evitando di inciampare nei cosiddetti “Parkinsonismi”, cioè patologie simili al Parkinson.

Ricerca sperimentale: è possibile guarire dal Morbo di Parkinson?

Su “Scienze Translational Medicine” sono stati pubblicati i risultati riguardanti uno studio terapeutico.
Negli Stati Uniti è stata conclusa la prima fase di sperimentazione su una molecola capace di inibire l’enzima prodotto da LRRK2 (gene tra i più importanti presente nella lista delle possibili cause scatenanti), il quale potrebbe rallentare l’evoluzione della malattia. La terapia a base della molecola Dnl201 potrebbe migliorare la funzione del lisosoma evitando che questo possa accumulare proteine tossiche che portano alla neurodegenerazione.

Conclusioni

Gli studi si occupano del controllo dei sintomi della malattia, ma non ne arrestano lo sviluppo. Questi si concentrano maggiormente sul miglioramento delle terapie e sulla prevenzione, ma ancora non è possibile poter ricorrere ad una vera e propria cura che possa bloccarla definitivamente. Fortunatamente esistono numerosi trattamenti capaci di regalare una vita quasi normale, per guadagnare tempo in modo tale da poter scavalcare l’ostacolo finale: annientare questa malattia.

 

La soluzione si trova attraverso la sperimentazione. Soltanto se si esce dalle vecchie abitudini si possono trovare nuove strade.

Andrew S. Grove

 

Dario Gallo

Per approfondire:

Cos’è il Parkinson

Malattia di Parkinson – Wikipedia

Malattia Parkinson, sintomi, diagnosi, cause, fattori ambientali, fattori genetici, trattamenti (iss.it)

A step forward for LRRK2 inhibitors in Parkinson’s disease (science.org)

Dopamina (my-personaltrainer.it)

“EVALI”, la malattia polmonare delle sigarette elettroniche: un’epidemia poco conosciuta

In periodi di pandemia non puo’ che essere pertinente uno dei pensieri più duraturi del filosofo danese Søren Kierkegaard , il quale per tutta la sua vita sostenne che “la vita deve essere vissuta in avanti, ma in realtà può essere compresa solo guardando indietro”. Questo pensiero riveste un ruolo centrale nelle epidemie.

Una di queste, che è stata scarsamente posta in risalto, è l’ “epidemia” data dalla sigaretta elettronica e dal danno polmonare associato all’uso del prodotto, che è stato compreso dall’opinione pubblica per la prima volta solo nell’agosto 2019 negli USA.

 

Il complottismo dell’ultim’ora ha perfino cercato di bollare questo allarme come qualcosa di studiato a tavolino dalle lobby del tabacco che con le e-cigarettes stavano perdendo terreno. Ma adesso, poiché questo focolaio si è ridotto di intensità, è opportuno dare uno sguardo indietro alla cosidetta EVALI o “malattia dello svapo” (illegale). Va precisato infatti che a creare il dannopolmonare non è il semplice utilizzo della sigaretta elettronica , ma un utilizzo scorretto e con sostanze illegali a base di THC.

Un recentissimo articolo del dott. Werner sul New England Journal of Medicine pone l’attenzione proprio su questo aspetto. Il 18 febbraio 2020 sono stati confrontati i primi 60 pazienti deceduti per EVALI con 2558 pazienti che sono stati ricoverati in ospedale per lo stesso motivo, ma sono sopravvissuti.

In sostanza, i pazienti deceduti per EVALI avevano una probabilità nove volte maggiore di avere una malattia polmonare ostruttiva cronica e più del doppio delle probabilità di avere asma. Oltre a ciò, presentavano una probabilità cinque volte maggiore di avere malattie cardiovascolari (principalmente ipertensione arteriosa) rispetto ai non esposti. 

Il numero di casi di “malattia dello svapo” ha avuto il suo picco nel settembre 2019 a cui è seguito un forte declino, in coincidenza della spiacevole scoperta che la maggior parte di questi pazienti aveva inalatovapore da liquidi di sigarette elettroniche contenenti la vitamina E acetato, una sostanza apparsa nei prodotti illeciti per e-cigarettes a base di THC negli Stati Uniti nei mesi precedenti.

Fonte: applied radiology.com Le immagini mostrano una lesione polmonare associata all’uso di sigarette o prodotti elettronici con un quadro di polmonite secondario allo svapo di tetraidrocannabinolo (THC) in un uomo di 18 anni.

Questo composto chimico è risultato quasi costantemente nello studio del lavaggio broncoalveolare in questi pazienti, ed è di conseguenza emerso come il principale candidato alla tossicità responsabile di EVALI.

Sembra comunque improbabile che una singola tossina riesca a dare malattie così diverse tra loro. Infatti, come molti degli “svapatori” sapranno (o forse no?) il vapore di sigaretta elettronica può contenere una miscela diversificata di sostanze chimiche, alcune con potenziale tossico o cancerogeno noto, ma molte altre delle quali non sono noti gli effetti dell’inalazione.

Queste evidenze suggeriscono come stiamo assistendo a più di una sindrome della malattia polmonare indotta dallo svapo: una sindrome acuta e grave che colpisce un gran numero di utenti di sigarette elettroniche e un’altra sindrome più lieve che colpisce una percentuale molto più piccola di utenti o richiede un tempo più lungo per manifestarsi (la maggior parte, fortunatamente).

Conosceremo solo in futuro la reale entità del problema, ma le evidenze scientifiche ci dicono con certezza che dobbiamo affrontare questo problema con molta più attenzione. Infatti, sebbene la fase peggiore del boom di casi di questa nuova malattia, l’ EVALI, possa ora considerarsi superata, sono milioni gli utenti di sigarette elettroniche che disconoscono il problema.

Questi non possiedono ancora praticamente alcuna protezione contro i potenziali danni che potrebbero derivare da migliaia di dispositivi e liquidi per sigarette elettroniche in gran parte non regolamentati sul mercato. In questo, sarà necessario che la Food and Drug Administration e agenzie governative simili impongano regolamenti ferrati e ben precisi sulla composizione, fabbricazione, controllo della qualità e test di questi prodotti, rimuovendo ovviamente, tutti i prodotti non conformi dal mercato.

Se così non fosse, non ci sarà nulla per prevenire una potenziale epidemia di malattie polmonari croniche o altri focolai simili a EVALI che emerge dall’uso diffuso di sigarette elettroniche.

Luigi Asmundo