Coraggio e libertà di informazione. Ricordo di Peppino Impastato

Quaranta anni dopo il sole ricopre la campagna brulla che circonda il casolare alle porte di Cinisi. In quello stesso spazio in cui, nella solitudine, si compì la tragica mattanza per mano dei sicari di Cosa Nostra, ieri si è riversata una moltitudine di ragazzi e studenti provenienti da tutte le parti di Italia che ha portato con sé striscioni colorati e intonato canzoni per ricordarlo.

Speaker alla radio, giornalista, nonchè militante di Democrazia Proletaria, Peppino Impastato pagò con la vita, ad appena 30 anni, la sua ostinata volontà di eliminare il velo di omertà in cui viveva. Con Danilo Sulis, impegnato oggi nell’associazione Rete 100 Passi e nell’omonima webradio, fondò negli anni ‘70 il Circolo Musica e Cultura, che si trasformò rapidamente in un punto di incontro per tutto il circondario. A questo progetto seguì l’idea di aprire le porte anche ad altri temi di interesse sociale e civile; presero quindi le mosse il collettivo femminile e quello antinucleare, mentre Radio Aut iniziò a trasmettere in FM da Terrasini la rubrica satirica Onda Pazza.

Al presidio al casolare, nel giorno della sua uccisione, ci sono gli amici di un tempo, come Faro Sclafani, c’è Umberto Santino, fondatore del centro Impastato; i volontari di varie associazioni, e l’auto bianca di Peppino, un simbolo al pari della Renault 4 in cui venne ritrovato il corpo di Aldo Moro, qualche ora dopo, in via Caetani a Roma. Giovanni Impastato, il fratello, nel sostenere la necessità di passare ormai il testimone della memoria alle giovani generazioni, sottolinea:

 “vogliamo coinvolgere la Meglio Gioventù con l’impegno, ma anche con l’aggregazione”

Durante il pomeriggio le celebrazioni sono proseguite con un corteo, dove era presente Giovanna Camusso e, tra gli altri, il gruppo 44 di Amnesty International, le Agende Rosse di Salvatore Borsellino e Legambiente, per fare da ponte tra la sede della radio a Terrasini e Casa memoria Felicia e Peppino Impastato a Cinisi, distante cento passi dalla casa di Badalamenti, bene confiscato alla mafia dove sono state poste le attrezzature della radio che trasmette oggi sul web. In serata c’è stato infine un collegamento con la famiglia Regeni.  Luisa Impastato, nipote di Peppino, ha messo in evidenza il legame ideale tra i due giovani, morti entrambi per una causa di verità. Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera in un suo discorso ha parlato soprattutto di giovani e desiderio di legalità:

“combattere la mafia dissacrandola, questa è stata la grande intuizione di Peppino Impastato. Invece di abbassare la testa al potere corrotto, insieme agli altri ragazzi alzavano il volume della radio. Oggi c’è bisogno di Onda Pazza, oggi c’è bisogno di più coraggio, più impegno. Il nome di Impastato significa per noi giustizia, bellezza, sogno, libertà. ”

Il casolare, con la collaborazione del Centro Regionale per l’Inventariazione, la Catalogazione e la Documentazione dell’assessorato regionale ai Beni culturali e il Comune di Cinisi, resterà aperto fino a venerdì sera, quando si terrà la pièce teatrale “Lamentu per la morte di Peppino Impastato”.

 

                                                                                                                                                     Eulalia Cambria 

                                                                                                              Ph: Vanessa Rosano e Liliana Blanda

In Guerra per Amore, un film di PIF

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A tre anni da “La mafia uccide solo d’estate”, di cui riprende protagonisti principali e tema, Pif torna dietro la cinepresa con il suo secondo film che lo vede nuovamente anche protagonista.

Seconda guerra mondiale come sfondo. Arturo Giammarresi (Pif) di origini siciliane ma trapiantato in America, è pronto a tutto pur di ottenere la mano della sua amata Flora (Miriam Leone), già promessa sposa di un altro uomo, anche ad arruolarsi con gli Americani e ad approdare di nuovo nella sua terra d’origine.

L’impresa amorosa è il filo conduttore che lega le due realtà presenti nel film: lo sbarco degli Alleati in Sicilia e la presa del potere mafioso nella medesima.

La pellicola racconta con amara ironia una realtà ancora attuale; Pif si mostra all’altezza di affrontare nuovamente tale realtà e tali tematiche conducendo un film con una buona regia, lineare, senza eccessi particolari e senza errori.

Poco presente la linea comica che contraddistingueva invece l’opera precedente, anche se in alcuni punti fa il suo ritorno, come nell’esilarante lotta tra Duce e Madonnina. Buona la recitazione anche se è il protagonista stesso a presentare alle volte piccole sbavature. Ciò che stupisce è la fotografia e l’ottima ricostruzione delle ambientazioni.

Nel complesso è un film che seppur leggero fa riflettere su temi oltremodo importanti e sempre presenti nel nostro paese. Ne è assolutamente consigliata la visione!

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                                                                                                                              Benedetta Sisinni

C’è chi dice NO

Gli studenti dell’Università degli Studi di Messina hanno detto NO alle mafie.

Questa mattina, grazie alla preziosa collaborazione dei professori Chiara e Moschella, si è svolto presso il Rettorato l’evento “I giovani e la lotta alla mafia. In ricordo di Giovanni Falcone.“, che ha visto da programma i saluti del Magnifico Rettore e gli interventi di diverse autorità, accompagnate dagli speech di due studenti e dalla mostra fotografica allestita dagli stessi studenti presso l’atrio del Rettorato. L’evento di per se è stato un chiaro segnale di non sottomissione nei confronti del fenomeno mafioso, e oltre alla commemorazione di una figura fondamentale come quella di Falcone, è riuscito a descrivere i connotati di una mafia che dagli anni ’60 si è impossessata dapprima della sua terra natia per poi espandersi fino ad arrivare a colpire il potere centrale e a farsi carico di azioni spregevoli e atteggiamenti che, se inizialmente venivano visti al sud come qualcosa di “normale”, hanno varcato i confini del Tevere per arrivare fin sotto le Alpi.

Ma l’evento di per se è uno specchietto per le allodole se visto sotto l’ottica pura del ricordo: ci hanno sempre abituati a vedere le cose sotto il punto di vista del “ricordare è giusto, tenere viva la memoria e non permettere più atteggiamenti dello stesso stampo”, bypassando di fatto quello che a mio modo di vedere è il nodo fondamentale della questione, cioè l’educazione.

Troppo facile dire che Falcone, Borsellino, Livatino e tanti altri, magistrati e non, siano esempio per noi se poi a questi propositi non seguono azioni concrete che si sviluppano già in fase pre-adolescenziale. Non siamo educati fin da bambini a schierarci apertamente contro le mafie, e non parlo solo di quelli che sono i media di uso comune ma di educazione civica nel senso più puro del termine. Siamo sempre stati condizionati dalla distinzione “bravo e mafioso” e “scarso ma onesto”, precludendo la via della meritocrazia, del “bravo e onesto”, in favore della più agevole via del clientelismo e dell’interesse personalistico, in un mondo e in una terra dove la mafia si respira ogni giorno, anche oggi, dove la generazione che dovrebbe ribellarsi, in modo più o meno assordante, alle logiche del favoritismo e che rappresenterà la classe politica del domani non fa altro che scendere a compromessi e a giocar al “politico di stampo prima repubblica” in fantomatiche posizioni di potere che a dir la verità di potere ne hanno poco e sono solo il banco di prova per futuri momenti di scelta elettorale.

Combattere la mafia significa anche debellare questo malcostume, scendere in campo preparati, con l’ardore che dovrebbe contraddistinguere un cittadino interessato a sé ma anche al bene comune, ma soprattutto che dovrebbe attraverso un processo democratico scegliere da che parte stare e chi sostenere guardando esclusivamente al merito, cercando di costruire attorno a se una società fatta finalmente non di gente “brava e onesta”, ma esclusivamente “brava”, perché l’onestà dovrebbe essere terreno comune dove coltivare sogni e ambizioni e far crescere la speranza di una società migliore. Una massa di gente con coscienza e criterio, che la mafia vuole vederla SCONFITTA. Oggi gli studenti Unime, anche attraverso questa iniziativa, hanno avuto la forza e il coraggio di scegliere di intraprendere questa strada, con l’auspicio che nonostante sia particolarmente tortuosa non cambino mai idea, ma che anzi, piuttosto che camminare, possano iniziare a correre.

https://youtu.be/kQdXRxv_QcE

Salvo Bertoncini

Operazione Matassa, che le nostre eccellenze siano gli unici esempi da seguire

confstampa-696x522In riva allo stretto il confine tra la legalità e l’illegalità è molto sottile e sotto certi aspetti quasi impercettibile.

Nel corso degli ultimi mesi le cronache nazionali, hanno scoperchiato il sistema criminoso orchestrato da Massimo Carminati che ha messo letteralmente in ginocchio Roma. Ciononostante tutti noi, eravamo convinti che queste dinamiche delinquenziali fossero limitate ad essere circoscritte nei grandi centri di potere e che non potessero mai attecchire nella città di Messina.

Forse ci sbagliavamo, o probabilmente abbiamo la memoria troppo corta. Non è necessario andare troppo indietro nel tempo, infatti nel 1998 l’allora Vicepresidente della Commissione Parlamentare Antimafia Nichi Vendola definì la nostra città un vero e proprio “verminaio”. La suddetta definizione è ascrivibile ad una serie di indagini che misero in luce una vera e propria compravendita di titoli accademici che vide una serie di intrecci tra mafia, massoneria e vari gruppi di potere. Convinti che l’alba del nuovo millennio fosse stata capace di spazzare via ogni brutto ricordo, ci siamo progressivamente convinti che Messina potesse tornare ad assurgere al ruolo di provincia “babba” che da sempre l’ha contraddistinta. Tuttavia probabilmente all’ombra del pilone non è cambiato nulla. Anzi, forse la corruzione e tutti i metodi da essa derivante si sono affinati e sotto determinati aspetti quasi migliorati.

Infatti non dovremmo scandalizzarci, quando la mattina di giovedì al nostro risveglio i media locali riportavano la notizia dell’operazione portata a termine dalla Questura e dalla DDA che ha smascherato un sistema di compravendita di voti in cambio, di posti di lavoro e di favori a titolo personale. Nonostante la suddetta operazione abbia visto porre  in essere le misure cautelari a 35 persone, tra i quali anche un ex membro ed un attuale membro del civico consenso, il dato più allarmante è identificabile nei rapporti di forza che uno sparuto manipolo di persone ben radicato all’interno della periferia messinese possa esercitare in seno ad un organo rappresentativo dello stato. Premettendo che gli imputati soggetti alle suddette misure cautelari avranno il tempo e le sedi opportune per chiarire, confutare o smentire le suddette accuse. Aggiungendo altresì il principio giuridico della presunzione d’innocenza garantito per prassi dalla Costituzione e secondo la quale un imputato è considerato non colpevole sino a che non sia provato il contrario.

Sarebbe doveroso incentrare il dibattito squisitamente in una dimensione etica e morale. Purtroppo il quadro che emerge dalla seguente inchiesta è pressoché drammatico. Infatti la disperazione, la fortissima conflittualità sociale presente in determinate zone del nostro territorio, l’emarginazione ed una manchevole presenza delle istituzioni fanno si che i soggetti più deboli possano divenire vittime inconsapevoli di un sistema becero e malato. Il dato più sconfortante è che oggi probabilmente alcuni di noi, sono venuti a conoscenza dell’ altra faccia della medaglia della nostra città. A pochi chilometri dalle nostre case, vivono persone come noi ma che forse non hanno avuto la nostra stessa libertà di scelta.

Alla luce dei fatti un’inversione di marcia risulta doverosa nel rispetto di quella che è la tradizione culturale di Messina che da sempre ha rappresentato un fiore all’occhiello della civiltà occidentale. Basti pensare al 1866 quando l’intera cittadinanza elesse deputato per due volte consecutive Giuseppe Mazzini, all’epoca esule a Londra e condannato in contumacia alla pena capitale. Prescindendo dalle dinamiche clientelari, dagli appalti, dai posti di lavoro, dai padrini e dai notabili la nostra città e i suoi abitanti meritano molto di più di quello che in questi anni i fatti di cronaca e le inchieste giudiziarie  ci hanno dimostrato. Che la nostra storia, le nostre tradizioni e le nostre eccellenze siano gli unici esempi positivi da seguire.

Simone Coletta

Brancaccio – Storie di Mafia Quotidiana

  “Carme’, tu ci sei mai stato in treno?”
“E per andarmene dove?  C’è qualche posto meglio di Palermo?”
Brancaccio è lo sfondo e l’involucro avvolgente di molte storie. Così come delle vite che al suo interno si incrociano. E’ un luogo stantio e sospeso, separato apparentemente dal resto del mondo, dove gli eventi si ripetono seguendo ciascuno il medesimo corso circolare in un’atavica perpetua immobilità. Di recente la Bao Publishing ha curato questa nuova edizione del fumetto, uscita nelle librerie nel mese di febbraio. Al soggetto scritto da Giovanni di Gregorio che ha ottenuto nel 2007, all’epoca della prima pubblicazione, il riconoscimento Attilio Micheluzzi per la migliore sceneggiatura di un romanzo grafico e il premio Carlo Boscarato, si è aggiunta un’inedita appendice illustrata a colori di Claudio Stassi e una nuova copertina.
Entrambi gli autori, affermati e di fama internazionale, sono nati a Palermo, e già nelle dediche di apertura mettono nero su bianco quel plumbeo senso di nostalgia e di rassegnazione di chi ama la propria terra ma è costretto a lasciarla. Lo stesso destino che in un altro contesto, quello proprio del fumetto e della Palermo della metà degli anni ’90, Nino, l’adolescente protagonista delle illustrazioni, interpreta attraverso il desiderio di partire con il treno che di notte porta nel continente. La fuga verso un futuro diverso e migliore è solo uno degli aspetti che formano l’intreccio delle piccole storie quotidiane che agitano Brancaccio, il quartiere industriale che Pino Puglisi aveva sottratto alla mafia e fatto rivivere grazie alla forza comunicativa delle sue parole prima di venire assassinato nel settembre del 1993. Ma, se la mafia uccide, lo fa anche senza pallottole o bombe: “basta far finta che non ci sia”.
L’esigenza urgente di parlare e raccontare, come Rita Borsellino sottolinea nella prefazione, è la causa che ancora oggi portano avanti Libera, Addio Pizzo ed altre realtà e associazioni che operano nei quartieri della città per contrastare la mentalità mafiosa e interrompere l’immobilità che storie come quelle narrate rappresentano. La  capacità del fumetto di rivolgersi soprattutto ai giovani è interprete efficace di questa esigenza. Le linee dei disegni tracciano con nettezza, come i limiti della ferrovia, i confini di un quartiere schiacciato dalla misera e dalle pieghe dell’omertà: le moto rubate e rivendute nelle officine, le lotte dei cani cresciuti con le bastonate perché imparino ad attaccare, la malasanità e la corruzione negli ospedali, l’acqua che manca per giorni interi, i favoritismi e le mazzette. Dall’altra parte la rivalsa del doposcuola e le figure eroiche che in questa Palermo si incontrano, unite da un filo che le congiunge, ma che finisce per travolgerle:  Nino appunto, un venditore ambulante di panelle, e Angelina.
Il cambiamento può avvenire se non si rinuncia a gridare a gran voce. E ciò vale da sempre per Brancaccio e oltre Brancaccio, come nel titolo della prefazione. Il fumetto è un viaggio intenso e doloroso attraverso i chiaroscuri dei disegni di luoghi che ci sono familiari. E’ un romanzo disegnato che ha ottenuto un ampio consenso da parte dei lettori già nella prima edizione, e che in questa nuova veste torna a parlare di sé, senza smettere di parlare agli altri.
              
  Eulalia Cambria           

Messina si prepara alla Giornata della Memoria e dell’Impegno: Don Ciotti incontra “la meraviglia” degli studenti.

Si è tenuta ieri alle ore 15:30 presso l’istituto Jaci la conferenza con il presbitero Don Luigi Ciotti, in vista della grande ricorrenza che la nostra città è stata designata per ospitare quest’anno: la Giornata Nazionale della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.

Un impegno alla memoria, non un semplice evento” ci tiene a sottolineare Don Ciotti. “Il primo diritto di ogni persona è quello di essere chiamata per nome” dice ancora il sacerdote. Sarà proprio a questo che si dedicherà la mattinata di Lunedì 21 Marzo: dopo un grande corteo, saranno nominate ognuna delle persone appartenenti alla lunga e dolorosa lista dei morti innocenti per mano delle mafie, in presenza di oltre 600 familiari. Il pomeriggio, invece, sarà dedicato ad attività seminariali di approfondimento.

Un appuntamento che si ripeterà per la ventunesima volta proprio nel giorno dell’equinozio di primavera, scelto da “Libera” (la rete di associazioni iniziata da Don Ciotti stesso), poichè simbolo nell’immaginario collettivo di rinascita e speranza.

L’Italia dovrà umilmente fermarsi“: Messina sarà, infatti, solo il polmone dell’evento, il “ponte” di dialogo con tutta Italia. In contemporanea, in oltre 1000 luoghi italiani sarà letta la medesima lista. La Rai ha scelto di documentare i cortei di solo quattro centri d’Italia: Torino, Perugia, Napoli e, ovviamente, Messina. La rete di Libera si pone come obiettivo il cambiamento nella coscienza italiana, un”autoriforma” come il fondatore stesso la chiama. E non è un caso che gli studenti siano diretti interessati di questo messaggio.

“Mi rivolgo a voi che siete qui e siete una meraviglia: Riempite la vita di vita!”, questa l’incitazione che, con sentimento, rivolge il padre alla giovane audience di ieri.“Cominciai il mio percorso quando avevo solo 17 anni. Ero un ragazzino molto imbranato, ma il mio essere testardo e curioso mi portò dove sono oggi”, ci dice raccontando la sua vita. Tanti i racconti, tanta l’emozione che scaturisce dalla sua voce. Due gli incontri determinanti nella sua vita e due le associazioni da lui iniziate (prima di Libera, il Gruppo Abele). Un caso? Assolutamente no.

Molte le aspettative per la grande manifestazione di lunedì; “Stanate i messinesi” ci dice scherzosamente.

Noi Studenti dell’università di Messina e lettori di UniversoMe, ci saremo. E’ stata, infatti, indetta la sospensione dell’attività didattica in tutto l’Ateneo per permettere agli studenti la partecipazione alla giornata.Giornata che si accinge a diventare ufficiale: al Senato e alla Camera dei Deputati, sono in atto, da ieri pomeriggio, le votazioni riguardo il testo sull’istituzione della giornata in memoria delle vittime delle mafie.

 

Martina Galletta

Io non taccio: combattere con vigore per la libera informazione

Mai smettere di parlare, investigare, raccontare la verità senza paura, come ogni buon cittadino. Queste le motivazioni principali ma ancor di piu, i temi scottanti che hanno animato la presentazione di ieri, lunedi 28 Dicembre, presso la Feltrinelli Point in via Ghibellina, del romanzo”Io non taccio: l’Italia dell’informazione che dà fastidio” edito da CentoAutori, casa editrice di Villa Ricca, a Napoli, dove denunciare e portare aria nuova è difficile. Scritto da otto giornalisti, accomunati dall’aver subito tutti minacce e intimidazioni, con tanto di aggressioni fisiche, per aver fatto sempre il loro dovere al servizio della libera informazione, il libro ha ricevuto il Premio “Paolo Borsellino” 2015 e e nelle varie storie raccontate cerca di tratteggiare il quanto mai vituperato mestiere del giornalista: pagato poco o niente, difeso a intermittenza dalle Istituzioni, in un paese dove la corruzione e il malaffare pervadono ormai incessantemente la vita pubblica. Storie di umiliazioni, sofferenza: tutto per difendere il proprio diritto a parlare, a non tacere di fronte alle ingiustizie che avvengono nel proprio territorio. Presente Paolo Borrometi, coautore del libro, con il quale hanno dialogato le giornaliste Gisella Cicciò (RTP) Rosaria Brancato (Tempo Stretto), che al termine dell’incontro ha accettato di scambiare quattro chiacchiere con noi.

1. La libera informazione vive oggi un momento particolare. Ma è piu facile essere giornalisti oggi rispetto magari a trent’anni fa?

Bella domanda. Sicuramente trent’anni fa c’era una coscienza civile diversa. La società se sentiva di dover stare vicino ad un giornalista ci stava, oggi probabilmente è diverso ma dipende in un certo senso dai mezzi di comunicazione che abbiamo adesso. Pensando alla mia terra, da Giovanni Spanpinato ( ucciso nel 1972) a me è cambiato realmente poco, soprattutto nella capacità corale di descrivere un territorio o un problema. In questo senso un aiuto fondamentale puo’ venire dai giovani che piu di noi devono lottare e cercare sempre la verità in ogni circostanza.

2. Lei ha parlato spesso dello strumento della querela, fim troppo abusato da chi in un certo senso minaccia i giornalisti chiedendo risarcimenti milionari. Puo’ capitare il contrario?

Non si vuole assolutamente dire che esistono solo querele ingiuste contro i giornalisti ma credetemi, è un fenomeno drammatico. Se guardiamo le statistiche notiamo che oltre il 70% delle querele fatte a chi scrive si risolvono in un nulla di fatto, ma creano tanti problemi. È chiaro che anche noi sbagliamo: sono il primo a dire che la mia categoria deve tirarsi un po’ le orecchie a vicenda diciamo. Penso al titolo di qualche tempo fa sul Giornale “Bastardi islamici”. Il direttore della testata è stato, a mio avviso, giustamente querelato e questo è un esempio sbagliato di giornalismo. Dobbiamo sicuramente avere senso di responsabilità, abbiamo uno strumento, la penna, che dobbiamo sempre utilizzare nel migliore dei modi.

3. E l’opinione pubblica invece? Com’è cambiata rispetto a trent’anni fa?

Io oggi la vedo molto distratta. Ci si blocca spesso su polemiche di piccolo taglio e ci si interessa poco dei temi davvero importanti. Ci vorrebbe uno scatto d’orgoglio dell’opinione pubblica, specialmente per quel riguarda la politica, che se certamente è colpevole , ha però come complice il silemzio e il qualumquismo della gente. C’è un problema con le nostre coscienze e dobbiamo essere consapevoli che se ci giriamo dall’altro lato siamo complici.

4. Si dice spesso che Messina e Ragusa, della quale lei è originario, sono province “babbe”. Ma se i babbi siamo noi, gli intelligenti chi sono?

Dobbaimo capire che ci hanno sempre chiamati “babbi” ma non lo siamo proprio.. I furbetti del quartierino sono stati aiutati in un certo senso dall’ auto- convimzione di essere immuni dalla malavita organizzata. Oggi sappiamo che la provincia di Ragusa è usata come sede d’investimenti per le latitanze degli uomini d’onore e non ultimo, per essere il luogo d’incontro della Camorra, della Stidda, di Cosa Nostra e della ‘ndrangheta, per quanto riguarda il settore dei trasporti e dei mercati ortofrutticoli.

5. Abbiamo di fronte una quotidianetà difficile da vivere, soprattutto per noi studenti. C’è un messaggio che lei vorrebbe dare?

Non credo di esserne capace (ride ndr). Dico solamente quando a un ragazzo gli viene detto “sei il futuro di questo paese” lo si allontana dalle responsabilità. I ragazzi sono il presente di questo paese e debbono essere consapevoli. Non si deve mai delegare ad altri, nè lasciarsi andare, informarsi sempre su quel che succede intorno a noi e coricarsi la sera con la coscienza pulita. È l’unico messaggio che posso dare.