Il giornalismo, un mestiere da rubare

Oggi il giornalismo è un lavoro complicato, poiché sono diminuite le possibilità di accedere alla professione ed è diminuita anche la libertà del giornalista. Attilio Bolzoni, giornalista che da oltre cinquant’anni lavora nel settore, ha un’ampia conoscenza del mestiere, in particolare del lavoro del cronista. In questi giorni ho avuto il piacere di intervistarlo, al fine di raccontare la sua esperienza nella Palermo degli anni ’70-’80, capire come sia cambiata la professione oggi e cogliere qualche consiglio su questo mestiere.

Come è cambiata la professione del giornalista dagli anni ’70-’80 ad oggi?

La professione del giornalista è cambiata completamente perché i nuovi media l’hanno stravolta, rendendola più galleggiante, superficiale e anche meno credibile. Questo dal punto di vista della forma, perché nella sostanza il giornalismo non cambia mai, in quanto esso si fa sempre nello stesso modo, che si stia nel cortile di casa o a chilometri di distanza. Non è vero che i giornalisti giovani non sanno fare il loro mestiere, perché ce ne sono tanti bravi. E i giornalisti vengono spesso trasformati in polli d’allevamento, come operai nella catena di montaggio che non sanno cosa accade attorno a loro. I giornalisti riescono a fare il loro mestiere stando lontani dal giornale e senza la protezione assicurativa o professionale. Fanno il loro lavoro. Il giornalismo si è rivoluzionato.

Dottor Bolzoni, Lei ha iniziato subito con la cronaca nera. Era esattamente quello che voleva fare?

Assolutamente no. Io mi sono ritrovato a fare il giornalista a Palermo, nel 1979, durante una guerra di mafia. Non avevo mai letto un libro di mafia prima d’allora né mi ero mai interessato di mafia. Un giornalista però si occupa di quello che ha intorno, non di pane e panelle. Di Sciascia hanno detto che era un cronista antimafia, ma in realtà fu uno scrittore che si occupò di ciò che aveva intorno, quindi anche della mafia. Fu lui a far conoscere agli italiani la mafia per la prima volta con quel famoso libro “Il giorno della civetta” del 1961.

Giorno 3 Aprile 2024 è andata in onda la puntata “Mafie”, di un podcast, “La Serranda”, diretto da alcuni giornalisti. Lei, assieme alla sua collega Mastrogiovanni, è stato ospite della puntata. Si è discusso del rischio che un giornalista corre, specie quando costretto a proteggersi, nel proprio lavoro. Come si convive con questo?

La protezione non è solo fisica, perché la maggior parte delle volte l’aggressione è mentale. Io non ho avuto paura delle pallottole che mi inviavano, avevo paura quando sentivo vicino a me gli AK-47. Io ho avuto più paura degli amici della mafia e ne ho ancora oggi.

Chi sono gli amici della mafia?

Quelli che dovrebbero combattere la mafia ma che invece stanno al suo fianco. Sono la rete di protezione e di complicità dei mafiosi.

Sigfrido Ranucci ha raccontato di aver avuto come maestro del giornalismo Roberto Morrione, il fondatore di RaiNews24. Lei ha mai avuto qualche figura di maestro?

Io credo che questo lavoro per impararlo bisogna rubarlo, ai più vecchi e bravi. Io ogni giorno lo rubavo a tanti colleghi bravissimi, spianandoli per la loro autorevolezza e bravura e per come si muovevano in quella Palermo. Ho provato a rubare il mestiere anche a colui che per me è stato il migliore giornalista del dopoguerra, Giorgio Bocca.

Nel suo ultimo libro, Controvento, racconta oltre quarant’anni di mestiere, nei quali Lei è stato anche inviato sul fronte di guerra. Come è l’esperienza dell’inviato?

Il giornalismo è sempre lo stesso, che si faccia a casa propria o a chilometri di distanza. Non mi piacciono le oggettivazioni come “Giornalista d’inchiesta” o “Inviato di guerra”. Io sono stato corrispondente di guerra a casa mia, Palermo, durante la guerra di mafia. Se si vuole fare il giornalista bisogna diffidare di questi aggettivi. Riguardo la favola del giornalismo d’inchiesta, esso piace quando è lontano da casa propria e non quando è vicino.

Lei ha avuto anche la possibilità di lavorare con Letizia Battaglia, reporter e fotografa pluripremiata, donna simbolo della Fotografia. Mi racconta un aneddoto?

Maggio 1981. 43 anni fa. Avevano appena ucciso il secondo capo mafia di Palermo, Salvatore Inzerillo. Io e Letizia siamo andati a Passo di Rigano, la borgata dove c’era il funerale. Da un’auto bianca scese la vedova Spatola. La Chiesa era piena di fiori, i politici allora non si nascondevano e inviano i fiori ai funerali dei boss. Migliaia di picciotti, tanti avevano la pistola. Faceva caldo e lo si vedeva sotto la camicia. Un uomo si avvicina e allontana Letizia perché aveva la macchina fotografica. Ad un certo punto ho sentito un’espressione, “andare in materassi”, che avevo già sentito nel film “Il Padrino”. Significava essere in guerra, buttare i materassi a terra, non dormire a casa. Letizia fu allontanata, ma dopo pochi giorni in prima pagina uscì una bellissima foto, che Letizia fece di nascosto.

Ultimamente il caso dei cronisti del Domani vede indagati alcuni suoi colleghi, i quali si sono difesi appellandosi anche alla libertà d’informazione. La stampa italiana al momento è sola?

Ci sono stati anche giornali che hanno attaccato i miei colleghi. I giornalisti che fanno il loro mestiere sono spesso soli, anche se fanno il loro lavoro. Questi magistrati non sembrano sempre fare la cosa giusta. La parola “concorso” deraglia. Si, la stampa al momento è sola. C’è una stampa molto partigiana nel nostro paese.

Secondo molti oggi è difficile parlare della mafia, smascherarla. Si dice che essa non spari più, anche se diversi avvenimenti sembrano dimostrare il contrario.

La mafia non spara più, no. Il 1991 fu l’anno record di omicidi di mafia, precisamente 760 in un anno. I morti di Terrorismo nero e rosso dal ’69 all’85 sono poco più della metà, circa 400. La mafia non si manifesta all’esterno, ha ripreso la sua natura, il suo DNA. Essa, oggi , evolve sempre. Certo, è difficile raccontarla perché non si vede. Alcuni magistrati la definiscono come mafia 1.0, o 2.0. La mafia è sempre la stessa, l’anomalia erano i corleonesi, quelli che sparavano durante i 25 anni che hanno attaccato lo Stato.

In Italia ci sono diverse organizzazioni che operano, a detta loro, nella legalità. Eppure il mondo criminale suscita ancora molto fascino. Cosa si può fare per aiutarle?

Intanto molte di esse hanno perso la loro carica progressiva, pensano più a mantenersi che a proiettarsi all’esterno. Hanno poco sapere, sono politicamente orientate, mal guidate. Ad esempio, Libera non ha capito ciò che in questi anni è accaduto al tribunale di Palermo, nel caso Montante, con “Mafia Capitale”, salvo poi costituirsi parte civile nel processo. Libera non ha compreso cosa sta accadendo a Bari. Non mi piace quando queste associazioni sono orientate. Dopo 30 anni dalle stragi del ‘92 però queste associazioni non hanno raggiunto i risultati sperati. E a capo dei progetti di legalità di tutta Italia c’era una persona che è stata condannata qualche mese fa per corruzione. L’Antimafia viene costantemente abusata, come sono abusate le foto di Falcone e Borsellino. La mafia deve uscire dal catechismo del bene e del male, in quanto i risultati ottenuti non hanno prodotto un cambiamento culturale nel paese, che era ciò che speravamo.

Spesso la narrazione che le inchieste danno dei fatti di cronaca vengono etichettati come qualcosa che non educa, ad esempio con Saviano. Cosa ne pensa?

Queste polemiche secondo me sono strumentali. Saviano ha raccontato la camorra, è un raccontatore, fa il suo mestiere, che gli altri facciano il loro. Anche la fiction “Il capo dei capi” è stata molto criticata, e questo lo accetto anche. Gli educatori però devono spiegare meglio cosa è la mafia, senza dividere buoni e cattivi. Riina è cattivissimo, ma non poteva esserlo quando a tre anni la sua famiglia è saltata in aria. Ci sono tanti pregiudizi secondo me.

Per un giornalista spesso è difficile fa coincidere lavoro e vita privata. Ci sono strategie?

Un giornalista vita privata ne ha poca. Questo è un lavoro totalizzante, se si è inviati bisogna stare settimane lontani dalla famiglia. Oggi è molto diverso.

Per concludere, cosa direbbe a un giovane che vuole intraprendere questa carriera, essendo oggi il settore della carta stampata in crisi?

Gli direi di farlo, e con passione, non c’è solo la carta stampata. C’è la tv, il web, tante altre forme di scrittura. Fallo con passione perché ce n’è bisogno.

Roberto Fortugno

“Roma città libera”: XXIX Edizione della Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie

Giovedì 21 marzo, ricorrerà la XXIX Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. “Ricordo” e “Impegno” sono parole simbolo, valori su cui questa giornata si fonda, perché non vi sia rassegnazione dopo la tristezza, ma voglia di cambiamento e di resilienza. L’evento principale a livello nazionale, quest’anno, si svolgerà a Roma.

L’evento nazionale e principale per il 21 marzo 2024, si svolgerà a Roma (fonte: www.libera.it)

La ventinovesima edizione

«Il 21 marzo è Memoria, memoria di tutte le vittime innocenti delle mafie. Persone, rese vittime dalla violenza mafiosa, che rappresentano storie, scelte e impegno. Lo stesso impegno che viene portato avanti dalle centinaia di familiari che camminano con Libera e che ne costituiscono il nucleo più profondo ed essenziale, nella continua ricerca di verità e giustizia.».

Queste sono alcune parole scritte sul proprio sito ufficiale da Libera, l’associazione contro le mafie, fondatrice della Giornata in ricordo delle vittime di mafia.

Dopo la calda giornata estiva in cui, quasi trent’anni fa, avvenne l’incontro tra Don Luigi Ciotti e la madre di Antonino Montinarocaposcorta del giudice Falcone – si decise di dar seguito alla commemorazione delle vittime, perché il loro ricordo possa ispirare legalità.

Venne così istituita la Giornata e ideata la formula ricorrente delle celebrazioni, dalla lettura di un elenco con nomi di persone innocenti uccise dalla mafia, ai momenti di riflessione e di condivisione di testimonianze di familiari di quest’ultime. Si scelse, inoltre, proprio il 21 marzo, equinozio di primavera, per trovare nel parallelismo con la rinascita della natura dopo l’inverno, l’augurio di una rinascita nella legalità.

Visto l’enorme movimento che ormai coinvolge associazioni, scuole, enti e organismi locali e nazionali, e l’impatto che ne consegue sulle coscienze dei cittadini, lo Stato ha riconosciuto ufficialmente la Giornata con la legge n.20 dell’8 marzo 2017.

Alla vigilia del trentennale, Libera ribadisce le motivazioni dietro la causa, che si rinnova ogni anno, e ha spiegato, in un comunicato ufficiale, la scelta di Roma per l’evento nazionale.

“Roma città libera” oltre che aperta

«Consci della forza criminali e forti della ricchezza di questi percorsi di alternativa, saremo a Roma per riaccendere i riflettori sulla presenza della criminalità organizzata nella Capitale e nel Lazio e per combattere la pericolosa e sempre più dilagante normalizzazione dei fenomeni mafiosi e corruttivi. Cammineremo, come ogni anno, al fianco dei familiari delle vittime innocenti, per sostenere le loro istanze di giustizia e verità, per rinnovare la memoria collettiva e manifestare insieme a loro il nostro impegno per il bene comune. […]

A ottant’anni dalla liberazione dell’occupazione nazi-fascista, oggi Roma deve nuovamente aprirsi e liberarsi.».

Un percorso che coinvolgerà migliaia di partecipanti. Roma, scelta come simbolo di questo 21 marzo, sarà lo specchio, in piccolo, di ciò che avverrà contemporaneamente in tutta Italia. Nelle altre città italiane, infatti, si svolgeranno cortei e celebrazioni locali coordinati dalle delegazioni di Libera. Ovunque la lettura dei nomi delle vittime e l’approfondimento su tematiche specifiche e testimonianze di familiari di chi ha perso la vita per mano della criminalità organizzata.

Libera ha diffuso il programma dell’evento a Roma, tramite i propri canali ufficiali. Di seguito riportiamo alcune informazioni principali:

  • 8.30 Ritrovo e concentramento in piazza Esquilino;
  • 9.00 Partenza del corteo;
  • 10.30 Arrivo del corteo al Circo Massimo e a seguire saluti di Roberto Montà presidente di Avviso Pubblico;
  • 10:45 Lettura dei nomi delle vittime delle mafie dal palco (oltre 1000 nomi);
  • h 11.45 Intervento conclusivo di Luigi Ciotti;
  • Dalle 14.30 alle 17.00 Seminari di approfondimento.

Anche lì dove il senso di appartenenza a qualcosa di più grande sembra essersi affievolito più che mai, Libera riesce – come abbiamo visto negli anni – a riunire e creare una barriera fatta di verità e giustizia, muovendo cortei affollatissimi e che rinnovano la memoria, dove la mafia ha tentato di cancellare con la violenza.

Quest’anno, dunque, il ritorno del palcoscenico principale di Libera nella Capitale, avviene dopo la prima volta nel 1996. L’intento è quello di far convergere un’attenzione in più sulla città eterna, il cuore dell’Italia, dove varie criminalità organizzate si sono sviluppate e si nutrono del tessuto sociale.

Roma città libera”, titolo scelto per l’evento nazionale, è uno slogan che riecheggia il capolavoro cinematograficoRoma città aperta”. L’augurio tramite questa scelta è quello che la capitale possa trovare ancora la libertà, ribellandosi ancora a un’altra morsa avvelenata, dopo quella del nazi-fascismo.

Oltre la mafia tradizionalmente conosciuta, nel contesto romano vi sono criminalità organizzate autoctone e straniere in espansione, che spingono perché la dinamica mafiosa si insinui e pervada il tessuto sociale, fino a confondere i confini tra sano e marcio, tra legalità e illegalità.

Che Roma diventi simbolo di un’Italia rinnovata nei sani principi delle donne e degli uomini di giustizia.

 

Rita Bonaccurso

La vita di Pio La Torre e la necessità di riappropriarsi della nostra Sicilia

Tra gli enti pubblici a cui sono assegnati il maggior numero di beni confiscati alla mafia , spicca il piccolo comune di Roccella Valdemone in provincia di Messina. Con soli 657 abitanti ha in gestione ben 285 immobili e terreni sottratti a Cosa Nostra. A guidare la classifica è Palermo  con 1558  beni confiscati, seguita da Reggio Calabria con 374 beni.  Sui primi 10 comuni di questa graduatoria ,figlia di uno studio condotto dalla segreteria regionale dello Spi Cgil Sicilia e aggiornato al  novembre del 2023, 6 si trovano in Sicilia. L’isola detiene il 38,81% dei beni confiscati dalle organizzazioni criminali di stampo mafioso.

Una legge che parte da lontano e che bisogna applicare

La via della semplice repressione — che colpisce la escrescenza, ma che non modifica l’humus economico, sociale e politico nel quale la mafia affonda le sue radici — non ha portato e non poteva portare a risultati definitivi.

Così si esprimeva Pio la Torre nel 1976 ,nella relazione di minoranza per la commissione d’inchiesta antimafia. Una visione che metteva al centro la vita dei cittadini e cittadine ed il loro diritto al lavoro e al futuro, da perseguire anche grazie alla costruzione di spazi di giustizia sociale . L’attività politica e di sindacalista di Pio la Torre ha sempre avuto come faro la Sicilia e lo ha portato a diventare deputato del partito comunista italiano.

È lui che si fa portavoce di una proposta normativa innovativa : una definizione precisa  del reato di associazione criminale di stampo mafioso e l’introduzione delle misure di prevenzione patrimoniali.  Le quali permettevano di sottrarre tutto ciò che è stato strumento o profitto di azioni illecite agli indiziati  di azioni criminali di stampo mafioso. Sulla base della proposta di legge da lui presentata, venne promulgata la legge 13 settembre 1982, n.646 detta Rognoni-La Torre.

Pochi mesi dopo muore a Palermo , su mandato di Totò Riina e Bernardo Provenzano, come tutti gli uomini e le donne di cui la mafia ha avuto paura.

La mobilitazione di Libera

corteo di una manifestazione “Libera”

Libera è una rete di associazioni coinvolte in un impegno, non solo “contro” le mafie ma anche “per” la giustizia sociale, la ricerca della verità, per la tutela dei diritti. Sintomo di questo impegno propositivo è stata la raccolta firme iniziata nel 1995 e terminata un anno dopo, per presentare una petizione popolare a sostegno di un disegno di legge per il riutilizzo sociale dei beni confiscati ai mafiosi e ai corrotti. Dare nuova linfa alla visione sociale e comunitaria della lotta alla mafia introdotta da Pio La Torre, consentendo che queste ricchezze tornino alla comunità, sotto forma di opportunità di sviluppo economico e coesione sociale.  La proposta di legge verrà poi approvata il 7 marzo del 1997.

Da quel giorno molti passi in avanti sono stati fatti affinché questa legge trovi piena applicazione, attraverso la tutela dei lavoratori e delle lavoratrici delle aziende sequestrate e la trasformazione dei luoghi sequestrati in luoghi parlanti, segni di una nuova comunità, di impegno e reazione.

 

Giuseppe Calì

 

 

 

 

 

Cosa Nostra: Le storie di Ignazio e Beppe. Il dovere nel ricordo

Spesso si parla di quanto la mafia sia responsabile dell’impoverimento della Sicilia e di come si infiltri nel tessuto socio-economico nutrendosi delle sue risorse. Talvolta però, in questo slancio di invettive generiche seppur corrette, si tende a dimenticare chi ha pagato il prezzo più alto di tutti.

Così dal 1996 Libera, una rete di associazioni e movimenti contro le mafie e per la giustizia, si impegna a mantenere attiva la memoria nei confronti delle vittime della criminalità organizzata. Le si ricorda il primo giorno di Primavera, come simbolo di rinascita, in nome della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Fin troppi nomi di questi martiri provengono dalla provincia di Messina, le cui storie necessitano di essere preservate e raccontate affinché il loro impegno non resti vano. Diviene così un dovere sociale ascoltare il dolore dei loro cari, attraverso l’estremo coraggio che trasuda dalle loro parole.

Un padre, un marito

Il 27 Gennaio 1991 per me è una data da abolire. Non dovrebbe esistere nel calendario. […] Ti hanno comunque anche privato anche della tua adolescenza, perché da quel giorno ti sei trovata a crescere immediatamente, un giorno bambina e il giorno dopo donna, però non puoi essere che fiera di aver avuto un padre così.

Queste sono le parole che in un videomessaggio Donatella Aloisi dichiara in una puntata del maggio 2009 di Mi manda Raitre, riferendosi alla morte del padre. Durante la trasmissione Rosa e Cinzia, rispettivamente moglie e figlia di Ignazio Aloisi, hanno raccontato con umanità e delicatezza il loro tragico vissuto.

Ignazio Aloisi era una guardia giurata e come ogni sera trasportava l’incasso giornaliero da un casello autostradale messinese con un furgone blindato. Il 3 settembre 1979 però è vittima di una rapina a mano armata del quale riconosce subito l’esecutore. Si tratta del vicino di casa Pasquale Castorina, affiliato al clan del boss messinese Luigi Sparacio.

Ignazio si reca dunque in Questura dove, senza esitazioni, fa subito il nome del vicino. Un anno dopo, con l’avvicinarsi del processo, Castorina minaccia Ignazio sparando un colpo di pistola in aria. Seguono altri avvertimenti tramite chiamate telefoniche, che Ignazio e la famiglia denunciano, senza ottenere che siano messi a verbale. Nonostante i tentativi vani del malavitoso, Ignazio non arretra e le sue dichiarazioni portano alla condanna di Castorina, che giurò vendetta. Sconterà la pena otto anni dopo.

Il 27 Gennaio 1991 Ignazio si trovava con la figlia Cinzia allo stadio Celeste, per una partita del Messina, la loro squadra del cuore. Dopo la vittoria, padre e figlia, si recarono come di consueto in una pasticceria di un amico di Ignazio, che però non aveva ancora aperto l’attività. I due, quindi, decisero di incamminarsi verso casa, che stava vicino allo stadio, intraprendendo una scorciatoia. Ad un tratto un uomo incappucciato sbuca dalla strada principale e spara tre colpi a Ignazio lasciandolo a terra esangue. Le grida di aiuto di Cinzia, non cambiarono le sorti del padre già morto.

Castorina venne così condannato a 22 anni di reclusione. Egli tenterà di alleggerire la propria posizione diventando collaboratore di giustizia e nel contempo infamerà la memoria di Ignazio, dichiarando di non essersi semplicemente vendicato di chi lo fece arrestare, bensì di un ex complice che lo avrebbe incastrato, poiché insoddisfatto della spartizione del bottino della rapina del 1979. Accuse che, seppur debolissime (l’unico elemento in comune fra i due era il vivere nello stesso stabile), resero Ignazio vittima due volte: non solo martire, ma anche non riconoscibile dal Ministero dell’Interno, come vittima innocente di mafia.

Ignazio Aloisi: vittima innocente della mafia
Ignazio Aloisi: vittima innocente della mafia (Wikimedia)

Il professore

Fu il cane a portarmi dove c’era il sangue di mio padre. Ebbi la necessità di sentire il suo odore. A distanza di anni è quell’odore che mi spinge a continuare a lottare per ottenere giustizia per la sua uccisione.

Così scrive Sonia Alfano nel suo libro La zona d’ombra (Rizzoli, 2011) circa l’omicidio del padre Beppe Alfano avvenuto nel gennaio 1993. Beppe stava rientrando in casa con la moglie Mimma, quando si accorse che qualcosa stava andando storto. Fermò la sua Renault rossa e chiese alla moglie di salire a casa, lui rimase in macchina. Probabilmente intuì che avrebbe messo in pericolo la sua famiglia se non fosse rimasto da solo. Poco dopo arrivarono le pallottole: tre colpi di calibro al 22 alla testa e al torace.

La figlia Sonia parlava al telefono con i colleghi del padre, corrispondente per il quotidiano La Sicilia: chiamavano per informare Beppe che c’era stato un omicidio vicino a casa, e se dunque potesse andare a vedere per conto del giornale. Sapevano anche il cognome della vittima: “Alfano”.

Beppe era un giornalista ma non si iscrisse mai all’ordine, per protesta contro l’esistenza stessa dell’Albo. Sebbene fosse la sua principale occupazione, lo era diventata per il suo instancabile desiderio di verità e non per professione. Di lavoro faceva infatti il professore di educazione tecnica a Terme Vigilatore, dopo un primo a periodo a Cavedine (Trento).

Era un uomo attivo politicamente, in particolare militava nel Movimento Sociale Italiano. La sua inclinazione alla cronaca lo portò a indagare sulle intricate relazioni fra la mafia barcellonese, politica e massoneria. S’interessò delle ingerenze della criminalità organizzata, nelle grandi occasioni di finanziamento nell’ambito dei contributi e dell’edilizia: fondi all’agricoltura, raddoppio ferroviario e costruzione dell’autostrada Palermo-Messina.

Fu però il suo interesse nei confronti della latitanza barcellonese del boss di Catania Santapaola, che spinse Cosa Nostra a progettare l’eliminazione. Fu Santapaola stesso a chiedere a Gullotti, genero del boss barcellonese Rugolo, di organizzare l’omicidio. In particolare ebbe peso un’altra sua pericolosa investigazione: capì l’interesse mafioso nella gestione di alcuni finanziamenti regionali all’AIAS (Associazione Italiana Assistenza Spastici). Il dirigente Mostaccio aveva infatti numerosi intrecci con la criminalità organizzata locale.

Beppe Alfano: giornalista ucciso dalla mafia (Wikimedia)

Francesco D’Anna

Graziella Campagna: il valore di una vita

La mafia ha strappato la vita a molti ragazzi. Questa è la storia di una di loro: Graziella Campagna non aveva nessuna colpa, ma il caso ha voluto che venisse a conoscenza di alcune informazioni compromettenti. 

Graziella era una tranquilla ragazza siciliana, nata a Saponara, in provincia di Messina, il 3 luglio 1968 in una famiglia numerosa. Abbandonati gli studi, inizia a lavorare come stiratrice presso la lavanderia “Regina” di Villafranca Tirrena, un comune vicino al suo, per aiutare economicamente i genitori.

Ha solamente 17 anni quando il 12 dicembre 1985 verrà rapita e assassinata dalla mafia. 

Uccisa per un’agenda

Il 9 dicembre, tre giorni prima della sua morte, avviene ciò che avrebbe segnato fatalmente la sua vita.

Proprio mentre sta lavorando, si reca presso la lavanderia un uomo che si presenta come l’ingegner Cannata. Involontariamente, Graziella trova in una tasca della camicia che l’uomo aveva portato a lavare un’agenda. Questo oggetto porta con sé il segreto che causerà la morte della ragazza, poiché rivela la vera identità dell’ingegnere.

 

Graziella Campagna. Fonte: Wikipedia.org
 

Tony Cannata è in realtà il falso nome dietro cui si nasconde un latitante mafioso: si tratta di Gerlando Alberti junior, nipote appunto di Gerlando Alberti senior, detto “u paccarè” (l’imperturbabile), arrestato anni prima dal generale Carlo Alberto dalla Chiesa.

L’agenda è piena di nomi e numeri di telefono: informazioni che ovviamente mettono in pericolo i due ricercati. Un ulteriore elemento di preoccupazione per i due latitanti è rappresentato dal fatto che il fratello di Graziella sia carabiniere a Gioia Tauro

La collega della ragazza, Agata Cannistrà, toglie dalle sue mani l’agenda e ne fa perdere le tracce.

La scomparsa e il ritrovamento del corpo

La sera del 12 dicembre 1985 Graziella Campagna non ritorna a casa. L’autobus che è solita prendere per tornare a Saponara da Villafranca arriva nel paese senza di lei.

La verità è che la ragazza su quell’autobus non è mai salita.

La famiglia si allarma e chiama i carabinieri, che in un primo momento pensano si tratti di una “fuitina”, ipotesi che comunque non convince i genitori che conoscono la figlia e sanno che difficilmente compierebbe azioni così avventate. Tra l’altro c’è un testimone che afferma di aver visto Graziella salire su una macchina con un uomo al volante. Il ragazzo con cui potrebbe essere scappata, Franco Giacobbe, è a casa sua, viene portato in caserma e interrogato. Si capisce subito che il giovane non abbia niente a che fare con la scomparsa di Graziella.

Due giorni dopo arriva la notizia che nessuno avrebbe voluto sentire: è stato trovato un corpo senza vita fra gli alberi di Monte Campone, vicino Villafranca. Il cadavere, colpito ben cinque volte da una lupara calibro 12, è purtroppo quello di Graziella.

 

Monte Campone. Fonte: ecointernazionale.com


L’inchiesta

L’ omicidio appare abbastanza insolito per un piccolo comune della provincia di Messina dove apparentemente sembra non ci siano grandi problemi legati alla criminalità organizzata.

In realtà nel paese si aggirano due delinquenti sotto falso nome, Gerlando Alberti junior e Giovanni Sutera che lo accompagna durante la clandestinità.

La polizia indaga sull‘omicidio: l’ipotesi è che Graziella sia stata sequestrata, portata con una scusa fino al bosco tramite una strada che sembrava portasse a Saponara, interrogata e uccisa. Il fratello della vittima fa quindi notare che il luogo dell’omicidio rispecchia, attraverso gli oggetti ritrovati, un punto di attesa per un rapimento.

I due mafiosi vengono identificati come colpevoli del delitto solamente dopo quasi vent’anni, nel 2004, e condannati all’ergastolo. Il caso rimane aperto per alcuni anni. Nel 1996 durante trasmissione “Chi l’ha visto?” si scopre che la lavanderia è un crocevia di mafiosi. In questo periodo comunque la giustizia si interessa di nuovo all’omicidio di Graziella.Verranno indagati per favoreggiamento anche Franca Federico, titolare della lavanderia, e la collega Agata, le quali saranno condannate a due anni di carcere.

 

Il caso di Graziella Campagna a “Chi l’ha visto?” Fonte: raiplay.it

La ragazza morì perché vittima di uno sfortunato caso che rivelava la vera identità di un mafioso.

Aveva una vita davanti che le venne strappata per un’ infausta fatalità.

Graziella Campagna non aveva altre colpe, non aveva nessun legame con la mafia, era una semplice ragazza lontana da questo mondo.

Alessia Scarcella

Fonti:

https://ecointernazionale.com/2021/12/uccisa-17-anni-agenda-mafia-vittima-storia-graziella-campagna/

Peppino Impastato, il ricordo di una voce fuori dal coro

Si sa dove si nasce, ma non dove si muore, e non se un ideale ti porterà dolore

Sono passati 45 anni dalla morte di Peppino Impastato, giornalista, conduttore radiofonico e attivista siciliano noto per le sue denunce contro le attività di Cosa Nostra, a seguito delle quali fu assassinato il 9 maggio 1978.

Ribellandosi alla prospettiva di un destino già scritto, Peppino rivendicò il diritto alla libera scelta, espressa attraverso il rifiuto di codici valoriali che non condivideva, gli stessi che appartenevano alla sua famiglia, da cui si allontanò per portare avanti una lotta in nome della legalità e dei propri ideali. 

 

Il coraggio della libera scelta

Giuseppe Impastato nacque a Cinisi, in provincia di Palermo, nel 1948.

La madre, Felicia Bartolotta, aveva sposato Luigi Impastato, cognato del capomafia locale Cesare Manzella. Il contesto familiare in cui il ragazzo crebbe presupponeva un futuro destinato all’affiliazione alla mafia ma, contro ogni previsione, la sua vita imboccò una strada diversa.

Nel 1963 Manzella venne ucciso in un attentato. L’assassinio dello zio portò Peppino, allora quindicenne, ad allontanarsi dalla sua famiglia, dando inizio alla sua militanza antimafiosa.

Ancora ragazzo, nel ’65 si avvicinò alla politica, scelta dettata dall’esigenza di reagire a una condizione familiare ormai divenuta insostenibile.

Mio padre, capo del piccolo clan e membro di un clan più vasto, aveva concentrato tutti i suoi sforzi, sin dalla mia nascita, nel tentativo di impormi le sue scelte e il suo codice comportamentale. È riuscito soltanto a tagliarmi ogni canale di comunicazione affettiva e compromettere definitivamente ogni possibilità di espansione lineare della mia soggettività.

Nello stesso anno Peppino fondò il giornalino L’Idea socialista e aderì al PSIUP (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria), portando avanti le lotte degli edili, dei disoccupati e dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo in territorio di Cinisi.

Nel 1975 costituì il gruppo Musica e cultura, che promuoveva attività culturali come i cineforum, la musica, il teatro e i dibattiti, nell’intento di contrastare la stasi attraverso il cambiamento destato dal libero confronto e dal circolo di nuove idee.

Riproduzione dell’insegna di Radio Aut. Fonte: Commons.wikimedia.org

 

Radio Aut, una voce fuori dal coro

La grande intuizione di Peppino fu quella di combattere la mafia con l’ironia.

Nel 1977 l’attivista fondò insieme ad alcuni collaboratori Radio Aut, una radio libera con sede a Terrasini.

Tra i programmi radiofonici trasmessi si distingueva “Onda Pazza”, una trasmissione satiro-schizo-politica sui problemi locali.

In onda tutti i venerdì sera, rappresentava il momento di più diretto contatto con i problemi della realtà locale, che venivano gonfiati ad arte e proiettati in una realtà apparentemente al limite dell’assurdo, ma, in effetti, drammaticamente presente.

Così Cinisi diventava Mafiopoli, il sindaco Gero Di Stefano era Geronimo Stefanini, il temuto boss Gaetano Badalamenti era Tano Seduto e la rassegna potrebbe continuare all’infinito.

Non si risparmiava nessuno speculatore e venivano denunciati apertamente tutti i piani di sfruttamento dell’amministrazione pubblica a fini personali.

Esempio emblematico della satira di denuncia tipica di Onda Pazza è la radiocronaca di una riunione della commissione edilizia, in cui il giornalista denuncia i mafiosi locali mediante La cretina commedia, parodia dell’Inferno dantesco nei cui gironi si aggirano alcuni personaggi del luogo.

 

Così arrivammo al centro di Mafiopoli,

la turrita città piena di gente

che fa per profession l’ingannapopoli

 

 

Una notte di maggio con le stelle tristi

Il desiderio di giustizia e la lotta contro l’omertà rappresentavano una minaccia sempre più concreta per il mantenimento dello status quo e dell’assetto in vigore.

Così, nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978 Peppino venne assassinato con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia Palermo-Trapani.

Forze dell’ordine, magistratura e stampa parlarono di un atto terroristico in cui l’attentatore sarebbe rimasto vittima. Una seconda ipotesi riguardava il suicidio. A validarla il ritrovamento di una lettera, scritta molto tempo prima, in cui Peppino affermava di voler abbandonare la politica e la vita.

La matrice mafiosa del delitto venne individuata grazie all’attività del fratello Giovanni e della madre Felicia, che fin da subito non credettero alle ipotesi avanzate, rompendo pubblicamente con la parentela mafiosa e adoperandosi per la ricerca della verità.

Il 5 marzo 2001 la Corte d’assise riconobbe Vito Palazzolo colpevole e lo condannò a trent’anni di reclusione. L’11 aprile 2002, a distanza di quasi 24 anni dal delitto, anche Gaetano Badalamenti venne riconosciuto colpevole e condannato all’ergastolo.

Estratto dal brano “Ciuri di campu” di Carmen Consoli e Lautari

 

La bellezza salverà il mondo

Dopo la morte di Peppino sono stati ritrovati degli appunti annotati su un’agendina del ’72 insieme ad alcune poesie, in seguito pubblicati nel volume Lunga è la notte. Poesie, scritti, documenti.

Dalla scrittura di Peppino emerge in maniera limpida il suo malessere interiore per una realtà che si oppone al cambiamento. L’incapacità di comprendere l’indifferenza e l’accettazione passiva di coloro che lo circondano si traduce nella silenziosa e solitaria contemplazione rassegnata della realtà in cui vive.

Seduto se ne stava

e silenzioso

stretto a tenaglia

tra il cielo e la terra

e gli occhi vuoti

fissi nell’abisso.

 

È una notte “lunga e senza tempo” quella attraversata dal suo paese. Una notte che è calata su Cinisi, sulla Sicilia e su tutta la Penisola da tempo ormai, tanto da sembrare infinita.

“Lunga è la notte”, Giuseppe Impastato

 

Il cielo gonfio di pioggia impedisce la vista delle stelle. L’integrità, la speranza in un futuro migliore e nel cambiamento sono fari lontani oscurati dalle nubi, all’apparenza irraggiungibili.

Nemmeno il pianto di un bambino sarà in grado di riportare la luce. Per fare sorgere nuovamente il sole sono necessarie la presa di coscienza, l’azione concreta, la mobilitazione collettiva per un cambiamento radicale e l’educazione alla bellezza.

Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante nel davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre.

È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza, affinché in uomini e donne non si insinuino più l’abitudine e la rassegnazione e rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore.

A quarantacinque anni dalla scomparsa di Peppino, la notte è ancora lunga, ma grazie al suo coraggio e a quello di chi ogni giorno segue il suo esempio, il cielo è punteggiato da qualche stella.

 

Santa Talia

 

Fonti

https://www.centroimpastato.com

Giuseppe Impastato – Lunga è la notte. Poesie, scritti, documenti. Arti Grafiche Palermitane, 2014

Citazione dal brano musicale “I Cento passi”, Modena City Ramblers

Citazione dal film “I cento passi”, regia di Marco Tullio Giordana, 2000

“Saperi per la legalità: Giovanni Falcone”: al via la seconda edizione

Si rinnova per la seconda edizione il Premio  “Saperi per la legalità: Giovanni Falcone” grazie al “Protocollo d’intesa sulla sensibilizzazione e formazione del mondo accademico finalizzato alla promozione della cultura della memoria, dell’impegno e della legalità” sottoscritto da MUR, CRUI, Fondazione Falcone e CNSU.

Pubblichiamo questo articolo a pochi giorni dall’evento tenutosi al Rettorato della nostra Università in occasione del trentesimo anniversario dall’omicidio di Giovanni Falcone e di quanti con lui si trovavano.

A chi è rivolto?

Possono partecipare al bando tutti coloro i quali abbiano conseguito, tra il primo gennaio 2019 e il 23 maggio 2022, uno dei seguenti titoli:

  • titolo di laurea specialistica/magistrale presso qualsiasi Ateneo italiano;
  • titolo di dottore di ricerca presso qualsiasi Università italiana, ivi inclusi gli Istituti di alta formazione dottorale e le Scuole di studi superiori, statali e non statali legalmente riconosciute, purché beneficiarie di contributi ministeriali ai sensi della normativa vigente;
  • diploma Accademico di II livello in alta formazione artistica, musicale e coreutica presso i Conservatori statali, le Accademie di Belle Arti (statali e non statali), gli Istituti musicali ex pareggiati, le Accademie Nazionali di Danza e di Arte Drammatica, gli Istituti Superiori per le Industrie Artistiche, nonché presso ulteriori istituzioni private autorizzate dal Ministero al rilascio di titoli di alta formazione artistica, musicale e coreutica.

Come partecipare?

Per poter partecipare al concorso bisogna mandare la propria candidatura a mezzo PEC all’indirizzo email fondazionefalcone@pec.it..

Bisognerà inserire all’interno:

  • breve descrizione delle motivazioni per cui si presenta la candidatura;
  • descrizione delle eventuali esperienze del candidato nel campo dello studio o della ricerca sul fenomeno della criminalità organizzata di stampo mafioso;
  • abstract o descrizione della tesi per cui si presenta la candidatura;
  • testo completo dell’elaborato in formato PDF;
  • certificato di laurea con l’indicazione del codice di classe di laurea; votazione riportata nelle singole materie e votazione finale, ovvero
    certificato di diploma accademico di II livello con l’indicazione della denominazione del corso;
  • breve CV del candidato in formato Europass;
  • indice di tutti i documenti e titoli presentati, debitamente datato e sottoscritto.
  • copia di valido documento di identità

Bisognerà inoltre dichiarare

  • luogo e data di nascita; di godere dei diritti di elettorato politico;
  • di non avere riportato condanne penali né di avere procedimenti penali pendenti a carico, e, indicando, in caso contrario, quali condanne sono state riportate ed eventuali procedimenti pendenti;
  • di non usufruire o aver usufruito di altre borse di studio, premi, assegni o sovvenzioni di analoga natura, ad esclusione della borsa di studio attribuita per la frequenza del corso di dottorato, in relazione all’elaborato per il quale si presenta la candidatura;
  • di non aver già pubblicato l’elaborato che si presenta, in proprio ovvero attraverso case editrici.

Scadenze da ricordare

Vi ricordiamo che la domanda può essere presentata entro e non oltre il 23 giugno 2022.

Criteri di selezione

I criteri di selezione sono riassunti nella seguente tabella:

Fonte bando ufficiale.

Premi

L’annuncio dei vincitori verrà dato in occasione dell’evento “Università per la legalità” organizzato dalla Fondazione Falcone, in sinergia con il Ministero dell’Università e della Ricerca, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, le Conferenze dei Direttori delle Istituzioni AFAM, il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari e le Conferenze dei Presidenti delle Consulte degli studenti delle Istituzioni AFAM entro il mese di novembre.

I premi sono suddivisi in 3 categorie in base ai destinatari:

  1. Tesi di laurea magistrale:
    1. Il primo classificato otterrà un assegno di 3000 euro e pubblicazione del proprio elaborato.
    2. Il secondo, terzo e quarto classificato otterranno la pubblicazione del proprio elaborato.
  2. Tesi di dottorato di ricerca:
    1. Il primo classificato otterrà un assegno di 5000 euro e pubblicazione del proprio elaborato.
    2. Il secondo, terzo e quarto classificato otterranno la pubblicazione del proprio elaborato.
  3. Tesi comparto AFAM
    1. Il primo classificato otterrà un assegno di 3000 euro e pubblicazione del proprio elaborato.
    2. Il secondo, terzo e quarto classificato otterranno la pubblicazione del proprio elaborato.

Per maggiori informazioni:

Il bando

Fondazione Falcone

Giovanni Alizzi

Unime ricorda Giovanni Falcone, a 30 anni da quel terribile 23 Maggio

“Ninetta mia, crepare di maggio
Ci vuole tanto, troppo coraggio”

Era una mattina come le altre, nell’autostrada sopra Capaci:  le macchine percorrevano le strade come sempre e il rumore degli pneumatici veniva interrotto ogni tanto da un colpo di clacson. Ad un tratto il tempo venne spezzato da una bomba. Un semplice click aveva creato una nube di polvere, il rumore dei veicoli lasciò il posto alle urla e ai pianti dei passeggeri e degli autisti; l’artefice di tale orrore si chiamava Totò Rina. Un omuncolo piccolo piccolo aveva appena tolto la vita a Giovanni Falcone, un uomo dai grandi valori, morto per il proprio lavoro e per l’amore del proprio Paese.

Murales dedicato a Falcone e Borsellino a Palermo. Dall’archivio UVM

Sono passati 30 anni da quel 23 Maggio del 1992. Dopo nemmeno due mesi, anche il suo collega Paolo Borsellino venne assassinato. In quell’anno perdemmo due grandi uomini, uccisi per mano della codardia.

“Il ricordo e la memoria di Giovanni Falcone”: l’incontro organizzato da Unime

A trent’anni esatti dalla Strage di Capaci, nella giornata del 23 Maggio 2022, presso l’aula magna del Rettorato di Messina, si è tenuta la celebrazione del ricordo di Giovanni Falcone, assassinato dall’organizzazione criminale Cosa Nostra. Nell’attentato perse la vita pure  la scorta, che era diventata ormai l’ombra del giudice, e  Francesca Morvillo,  anche ella magistrato e moglie di Falcone. L’incontro è stato organizzato dall’Università di Messina, assieme al Consiglio degli Ordini degli Avvocati e l’Ufficio Scolastico Provinciale.

Da sinistra verso destra: Domenico Santoro, il Rettore Cuzzocrea, Laura Romeo, Stello Vadalà. © Gianluca Carbone 

Dopo i saluti istituzionali del Rettore, prof. Salvatore Cuzzocrea, del Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Messina Domenico Santoro, della Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati sez. Messina Laura Romeo e del dirigente Scolastico Provinciale di Messina Stello Vadalà, ha aperto la conferenza il Prorettore Vicario, prof. Giovanni Moschella.

Gli ospiti che sono intervenuti sono stati: il Procuratore della Repubblica Maurizio de Lucia, la Studentessa Unime Noemi Munter, il componente del Consiglio Nazionale Forense Francesco Pizzuto, il Procuratore  della Repubblica di Reggio Emilia Gaetano Paci, la Studentessa Unime Simona Calabrese e Angela Nicotra dell’Ordine di Diritto Costituzionale dell’Università degli Studi di Catania. La cerimonia si è conclusa con un dibattito portato avanti dai liceali di Messina.

Il giorno in cui l’Italia capì cos’è la mafia

Ad aprire la cerimonia dedicata a Falcone è stato proprio il ricordo del Magnifico. Ci ha confessato che trenta anni fa era diretto verso Capaci, quando la sua macchina fu fermata: no ne capiva il motivo, nell’aria avvertiva confusione e notava nei volti delle persone un’espressione interrogatoria. Dopo un po’ gli giunse la notizia della strage, e in quel preciso momento comprese fino a che punto potesse arrivare la mafia, in quel momento tutta Italia intuì cosa fosse veramente.

Ha ricordato inoltre a tutti noi studenti, che questo morbo va combattuto ogni giorno e la vera libertà è scegliere, come la scorta di Falcone, che ha deciso di rischiare la propria vita, rimanendo accanto a lui e a tutta la Sicilia.  Proprio per questo, dobbiamo essere orgogliosi e grati a tutti coloro che hanno combattuto la mafia, e che continuano farlo. Falcone e Borsellino ci hanno insegnato che non dobbiamo mai voltarci indietro.

«Falcone è un punto di riferimento per tutti noi magistrati.» Queste sono state poi le parole della dott.ssa Laura Romeo, che ci ha spiegato che solo grazie a Falcone e a Borsellino l’Italia ha una Procura Nazionale, l’organo che dirige la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, fondato il 20 Gennaio del 1992. Ogni ente dell’antimafia è nato grazie ai due magistrati.

Il pubblico presente alla commemorazione nell’Aula Magna del Rettorato. © Gianluca Carbone

Parole che hanno colpito il pubblico sono state anche quelle del Dirigente Scolastico e Provveditore agli Studi di Messina, il prof. Stello Vadalà, che ha accompagnato i suoi studenti alla commemorazione in onore di Falcone.

“Pure chi salta la fila ha una mentalità mafiosa. Chi ha l’aria da prepotente, chi se la prende con i più deboli. La mafia sarà sconfitta, solo quando lo Stato stesso e i cittadini saranno la scorta “

Buttare la carta a terra, non avere rispetto per il prossimo o semplicemente saltare la fila denota un senso di prepotenza, che è intrinseco all’essere umano  ma è anche il primo credo della mafia. Le parole del professore, ci fanno capire che pure noi a volte sbagliamo, non curandoci della nostra comunità e delle persone. Parole non banali che invitano al coraggio di ricordare tutte le vittime di mafia, non solo durante i loro anniversari.

Sono stati tanti i discorsi pronunciati durante l’evento da voci che hanno ridato anima non solo alla memoria di Falcone ma anche a tutti noi. Viviamo in un Paese in cui la mafia ancora detiene un potere, anche se non come quello di una volta. Falcone e Borsellino sono stati sconfitti, ma il loro agire e il loro pensiero ancora restano e continuano a combattere quel morbo. Per una prospettiva nuova, per le generazioni sedute nei banchi scolastici perché siano testimoni loro stessi di queste memorie in modo che la mafia un giorno diventi solo una storia da film horror.

Murales dedicato a Falcone a Palermo. Dall’archivio UVM

Vorrei concludere, rivolgendo due parole direttamente al giudice che perse la vita nella strage di Capaci. Dimmi Falcone, non avevi paura assieme al tuo collega e amico Paolo Borsellino?  Vedevamo il timore nei vostri occhi, lo spavento di non rientrare più a casa, di non rivedere più la vostra amata, di non tornare al vostro lavoro. Il vostro terrore, però, lo  assopivate con la voglia di virtù e di giustizia.

Alessia Orsa

 

Che fine ha fatto il Ponte sullo Stretto?

Da tanti anni si discute di una possibile costruzione di un ponte sullo Stretto di Messina. Esso non è stato edificato, non tanto per la non volontà di farlo, quanto per le molte problematiche legate alla sua realizzazione.

Queste problematiche si sono moltiplicate e diversificate nel corso della storia.

Le prime idee di un ponte sullo Stretto

 Gli antichi romani furono i primi a pensare ad un ponte sullo Stretto. Ma l’idea era più quella di un ponte di barche, perché all’epoca non c’erano i mezzi per costruire il ponte. Questo però avrebbe impedito il transito di altre barche sullo Stretto. A ciò si aggiungevano l’irregolarità dei fondali marini e la presenza di venti in una zona sismica. Costruire il ponte era quindi impossibile.

Ponte di barche sullo stretto di Messina – Fonte: Strettoweb.com

Successivamente, anche il Re delle due Sicilie Ferdinando II di Borbone, attorno al 1840, pensò alla realizzazione di un ponte, ma a causa degli alti costi rinunciò al progetto.

Dall’Unità d’Italia fino alla Seconda Guerra Mondiale

Nel 1870 era nata l’idea di un possibile allacciamento sottomarino, della lunghezza di ventidue chilometri, proposto dall’ingegnere Carlo Alberto Navone. Il progetto prevedeva di entrare in galleria a Contesse, scendere a centocinquanta metri, sottopassare Messina e Ganzirri, giungere a Punta Pezzo e risalire a Torre Cavallo.

Mappa dell’allacciamento sottomarino – Fonte: Siciliaintreno.org

Nel periodo precedente i due conflitti mondiali ci fu un evento catastrofico che sconvolse le due città di Messina e Reggio Calabria: il terremoto del 1908. Questo causò enormi danni; nonostante ciò nel dopoguerra il discorso del ponte non era ancora chiuso.

I danni causati dal terremoto del 1908 – Fonte: Focus.it

Il progetto nel Dopoguerra

Nessuna delle proposte fatte durante le due guerre mondiali fu realmente presa in considerazione. Nel 1952 il progetto del ponte fu rilanciato dall’ACAI, l’Associazione dei Costruttori Italiani in Acciaio, che incaricò l’ingegnere David Steinman di redigere un progetto. L’ipotetico ponte avrebbe dovuto scavalcare lo Stretto in tre balzi con due piloni, alti duecentoventi metri sopra il livello dell’acqua e per centoventi metri sotto il mare, con ascensori di controllo dal basso verso l’alto. La costruzione richiedeva il lavoro di dodicimila operai e una spesa intorno ai cento miliardi di lire. Furono allora avviati studi geofisici e ambientali con lo scopo di realizzare un collegamento stabile tra la Sicilia e il continente.

L’ingegnere David Steinman – Fonte: Lindahall.org

Il nuovo millennio. La fase berlusconiana e il coinvolgimento della mafia.

Nel 2001, i due principali candidati alla guida del governo, Silvio Berlusconi e Francesco Rutelli, annunciarono il loro sostegno a una possibile costruzione del ponte. Nell’Ottobre del 2005, l’associazione temporanea di impresa Eurolink S.c.p.a vinse la gara d’appalto per la costruzione del ponte. Ma il 4 Novembre dello stesso anno, la DIA (Direzione Investigativa Antimafia) informò il Parlamento italiano del tentativo di Cosa Nostra di interferire sulla realizzazione del ponte. Fu avviata l’inchiesta.

Nel 2007 il secondo governo Prodi avrebbe voluto ritirare l’appalto, ma il Ministro dei trasporti Alessandro Bianchi e il Ministro delle infrastrutture Antonio di Pietro, assieme al centrodestra, si opposero e accorparono la Società “Stretto di Messina” all’Anas. Il motivo risiedeva nella volontà di evitare il pagamento delle penali per la mancata esecuzione dei lavori.

Nel 2008 il quarto governo Berlusconi volle riprendere il progetto. I lavori avrebbero avuto inizio nel 2010, per terminare nel 2016; ma nel 2011 l’Unione Europea non ha incluso il ponte tra le opere destinate ad avere finanziamenti economici.

Nel 2012 è stata completata a Villa San Giovanni la prima opera propedeutica al ponte, che consiste nella variante della linea ferroviaria Cannitello-Villa San Giovanni.

Nel 2013 la Società “Stretto di Messina” è stata liquidata.

Gli sviluppi più recenti hanno condotto -l’anno scorso- alla nascita dell’intergruppo parlamentarePonte sullo Stretto. Rilancio e sviluppo italiano che parte dal Sud“, composto principalmente dalle forze politiche Italia Viva, Forza Italia e Lega.

Un’ipotetica immagine del Ponte sullo Stretto – Fonte: ilsole24ore.com

Farlo o non farlo?

Rimane dunque sempre in discussione il discorso legato alla realizzazione o meno  del ponte.

Tanti affermano che esso sia un progetto futuristico, che si realizzerà. Tanti altri sono scettici sulla sua costruzione. Molti affermano che il Ponte sullo Stretto sia inutile, dato il viavai di navi da Reggio Calabria a Messina.

Il ponte, per ora, resta un mistero.

La domanda che ci siamo posti circa due anni fa è ancora attuale: perché abbiamo paura del Ponte sullo Stretto?

 

Roberto Fortugno

 

Immagine in evidenza

Fonte: ilsole24ore.com

 

 

Sergio Mattarella, il primo Presidente della Repubblica siciliano

Amato dagli italiani per l’autorevolezza di “pater familias” manifestata al potere e il profilo basso tenuto nella guida della sua altissima carica, Sergio Mattarella chiude il settennato che, a dispetto della sua immagine di uomo restio ai conflitti, è stato tra i più complessi della storia repubblicana.

Tra i personaggi pubblici del nostro tempo è forse il più schivo, probabilmente il meno portato a raccontarsi, a farsi pubblicità; l’Anti-Narciso per eccellenza.

Nel corso della sua vita ha maturato un’esperienza straordinaria come servitore delle istituzioni, eppure dell’uomo Mattarella poco si conosce. In questo articolo ripercorriamo i momenti salienti della vita -precedente alla sua prima elezione alla Camera– del primo Presidente della Repubblica siciliano.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – Fonte: varesenews.it

Gli anni della giovinezza e della formazione

Sergio Mattarella nacque a Palermo il 23 luglio 1941, quarto figlio di Bernardo Mattarella, politico democristiano cinque volte ministro tra gli anni Cinquanta e Sessanta, e di Maria Buccellato. Nello scegliere il nome per l’ultimogenito i genitori pensarono, forse profeticamente, a Sergio I, un papa santo del VII secolo nato a Palermo e descritto dalle fonti come “uomo di notevole cultura che aveva percorso tutta la carriera e ricomposto molte controversie e discordie”.

Il piccolo Sergio crebbe in un ambiente familiare profondamente stimolante, immerso fin da subito nella politica grazie alla figura del padre. Proprio a causa dei suoi incarichi di governo, nel 1948 la famiglia si trasferì a Roma, dove i fratelli frequentarono dalla terza elementare alla maturità classica l’istituto religioso S. Leone Magno dei Fratelli Maristi.

Ricordando questo periodo Mattarella dirà:

“La scuola credo mi abbia aiutato a non restare una pietra inerte. Vivere insieme un’esperienza di comunità, di studio, mi ha insegnato a comprendere le esigenze, i problemi, le attese degli altri. Questo mi ha fatto capire che si cresce se si cresce insieme, che si è davvero liberi –liberi dall’ignoranza, liberi dal bisogno, liberi dalla violenza- se liberi sono anche gli altri”.

Nel quinquennio 1960-1964 si consolidarono le radici della formazione professionale e sociale del giovane Sergio che conseguì la laurea in Giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma, con il massimo dei voti e la lode, discutendo una tesi su La funzione dell’indirizzo politico.

Il giovane Sergio Mattarella con il padre Bernardo – Fonte: rainews.it

L’incontro con Marisa Chiazzese

All’inizio del 1958 a Palermo, il sedicenne Sergio conobbe Marisa Chiazzese, la sorella tredicenne di Irma, fidanzata di Piersanti, e figlia di Lauro Chiazzese, ex rettore dell’Università di Palermo e docente di Diritto Romano.

I due si fidanzarono nel 1964 e l’anno dopo Sergio tornò a vivere in Sicilia per starle vicino.

Il 21 marzo 1966, giorno dell’equinozio di primavera, si sposarono nella chiesa barocca di S. Caterina di Palermo. Dal matrimonio nacquero tre figli: Laura, Bernardo Giorgio e Francesco.

Di personalità mite, analitica, riservata, Marisa non ha mai avuto l’attenzione mediatica di cui, troppo spesso, godono le compagne o i compagni dei Capi di Stato, in quanto il primo marzo 2012, tre anni prima dell’inizio del mandato del marito come Presidente della Repubblica, è venuta a mancare a Castellammare del Golfo.

Il profondo attaccamento di Sergio Mattarella alla moglie è testimoniato dall’assidua presenza con cui l’ha affiancata nell’affrontare il calvario della malattia che l’ha portata via.

Nel 2015 il presidente la ricordò in un discorso al Quirinale in occasione della Giornata internazionale della ricerca sul cancro:

“Per seguire la persona a me più cara al mondo, ho trascorso a più riprese numerose settimane in ospedali oncologici. Sarebbe auspicabile che ogni tanto le persone in buona salute trascorressero qualche giorno in visita negli ospedali, perché il contatto con la sofferenza aiuterebbe chiunque a dare a ogni cosa il giusto posto nella vita”.

Sergio Mattarella e la moglie Marisa Chiazzese – Fonte: urbanpost.it

Il ritorno a Palermo e la carriera accademica

Una volta rientrato a Palermo si unì a un gruppo di giovani studiosi che seguivano il giurista Pietro Virga, professore di diritto costituzionale e poi amministrativo presso l’Istituto di Diritto Pubblico dell’Università.

Nel 1965 intraprese la carriera accademica come assistente di diritto costituzionale. Nel 1969 divenne professore incaricato di diritto parlamentare presso la facoltà di Scienze politiche, dedicandosi all’insegnamento fino al 1983, quando si mise in aspettativa per le elezioni alla Camera.

L’attività scientifica e le pubblicazioni di questo periodo riguardarono in prevalenza argomenti di diritto costituzionale: intervento della Regione siciliana nell’economia, attività ispettiva del Parlamento, procedimento legislativo, bicameralismo, indennità di espropriazione. L’attività accademica lo portò a svolgere relazioni e interventi in convegni di studi giuridici e a tenere lezioni in corsi di master e specializzazione in varie università.

Di quello che considerava il suo “vero lavoro” sentì sempre la mancanza:

“Quando mi chiamano a partecipare a dibattiti accademici vado molto volentieri, perché i giovani che guardano alle cose con un’altra ottica mi costringono a riflettere”.

Il professore Sergio Mattarella durante un esame – Fonte: castelvetranoselinunte.it

La morte del fratello Piersanti e l’impegno politico

L’avvenimento che determinò l’allontanamento dall’attività accademica fu la morte del fratello, avvenuta il 6 gennaio 1980. Piersanti Mattarella aveva seguito le orme del padre, passando dalle file della Democrazia Cristiana al consiglio comunale della città di Palermo, fino ad essere eletto, nel 1978, Presidente della Regione Sicilia.

Il giorno dell’Epifania Piersanti si recò a messa con la famiglia senza scorta, non utilizzata nelle uscite private. Improvvisamente un giovane a volto scoperto si avvicinò al suo finestrino e colpì il presidente con una prima raffica di colpi, ferendo anche la moglie Irma. Durante la sparatoria il revolver si inceppò e il killer si diresse con calma verso una 127 bianca, per farsi consegnare dal complice un secondo revolver con cui tornò a colpire Mattarella dal finestrino posteriore.

Fu il nipote Bernardo ad avvertire dell’accaduto Sergio Mattarella, immortalato al suo arrivo nel celebre scatto di Letizia Battaglia, che lo ritrae chino sul corpo del fratello nell’attesa dei soccorsi. Piersanti Mattarella morì sette minuti dopo l’arrivo in ospedale.

Inizialmente considerato un attentato terroristico, il delitto fu indicato dal collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta come delitto di mafia.

La morte del fratello sconvolse profondamente Sergio Mattarella, che raccolse l’eredità politica e “il patrimonio di energie” del fratello, aumentando progressivamente il proprio impegno politico e dando inizio a una lunga e illustre carriera che lo vide ricoprire le più importanti cariche politiche e istituzionali (Vice-Presidente del Consiglio, più volte deputato e ministro, membro della Corte costituzionale), dedicando particolare attenzione alla lotta contro la mafia e il rispetto della legalità.

Sergio con in braccio il fratello Piersanti Mattarella dopo l’attentato – ©Letizia Battaglia, Palermo 1980

 

Santa Talia

Fonti: 

Angelo Gallippi – Sergio Mattarella, 40 anni di storia italiana, Paesi Edizioni, 2022

https://www.quirinale.it/page/biografia

https://www.treccani.it/enciclopedia/sergio-mattarella

https://biografieonline.it/biografia-sergio-mattarella

https://www.ilpost.it/2022/01/16/sergio-mattarella-fine-mandato/

Immagine in evidenza:

Il Presidente Sergio Mattarella alla cerimonia della deposizione di una corona d’alloro sulla Tomba del Milite Ignoto, nella ricorrenza del 75° anniversario della Liberazione, Roma 2020 – Fonte: quirinale.it