Tindari: tra storia e fede

Su un promontorio costiero a picco sul mare, con ai piedi la riserva naturale orientata dei laghetti di Marinello, dalla storia millenaria, Tindari si pone come unione tra il sacro e il profano, regalando un’esperienza unica e rara.

Andiamo a scoprire Tindari, lasciandoci avvolgere dal mistero che da sempre la caratterizza.

 

Origines

Sin dal nome, Tindari  è avvolta dal fascino e mistero tipico della cultura classica, infatti, si fa derivare direttamente dal mitico re spartano Tindaro. Il nome attuale, risale alle denominazione che già gli storici Strabone e Tolomeo le avevano dato in tempi antichissimi.

La sua fondazione si fa risalire ai tempi del tiranno di Siracusa Dioniso I, nel territorio di Abacaenum (Tripi) che la donò ai mercenari siracusani che avevano combattuto contro i cartaginesi.

Nel corso del tempo, divenne sede privilegiata delle guerre marittime. Nella prima guerra punica, quando sotto il controllo di Gerone II di Siracusa, fu base navale cartaginese, infatti, nelle acque antistanti, la flotta romana guidata dal console Aulo Atilio Calatino, fece fuggire quella cartaginese.

Successivamente, passata in orbita romana, fu base navale di Pompeo e,  presa da Augusto nel 36 a.C., che la trasformò nella Colonia Augusta Tyndaritanorum, una delle cinque della Sicilia, citata da Cicerone come nobilissima civitas.

Ancora oggi è possibile vedere i resti della civiltà ellenico-romana nei resti archeologici del Teatro, dell’isolato romano e della “basilica”, un tempo identificato con un ginnasio che era il propileo di accesso all’agorà.

 

Teatro greco di Tindari.
Fonte: wikipedia.it

 

In fide Domini

Tindari, oltre ad essere stato luogo simbolo della cultura greco-romana della provincia di Messina, è da secoli meta attrattiva del turismo religioso, dovuto alla presenza del famoso Santuario.

Il Santuario

Dal 2018, il santuario viene elevato alla dignità di Basilica Minore per decreto e volere del sommo pontefice Papa Francesco. La chiesa sorge sull’estremità orientale del promontorio, dove sorgeva l’antica acropoli e, dove fino alla costruzione del nuovo santuario, sorgeva l’antica chiesetta tuttora esistente.

All’interno è custodita e venerata la statua della “Madonna Nera”, scolpita in legno di cedro, la cui datazione è imprecisata, ma probabilmente giunta in seguito al fenomeno dell’iconoclastia1.

La Madonna, rappresentata sotto forma di Theotókos Odigitria2 seduta con il bambino Gesù in braccio (posizione della Basilissa). I loro volti molto allungati e le grandi dimensioni dei nasi, sono tipici delle raffigurazioni orientali e africane, rare in quelle occidentali, ci permettono di stabilirne orientativamente la provenienza.

Alla base della statua vi è la scritta ripresa dal Cantico dei Cantici “Nigra sum sed formosa” traducibile in italiano con “bruna ma bella”.

La storia del santuario è molto travagliata. Nel 1544, durante l’assedio turco-ottomano della costa tirrenica siciliana, guidata dall’ammiraglio Khayr al-Din Barbarossa, la chiesa viene distrutta e in seguito ricostruita. È in seguito, grazie alla volontà del vescovo Previtera e, con le donazioni successive della famiglia in seguito alla sua morte, che viene costruito il nuovo santuario, successivamente ampliato dal vescovo Pullano negli anni 70 del ‘900.

Come la Porziuncola di San Francesco a Santa Maria degli Angeli ad Assisi,  così anche a Tindari all’interno delle mura che attorniano il nuovo Santuario, è custodita la chiesetta originale, da cui si vede la sottostante spiaggia di Marinello, luogo della famosa leggenda.

 

Laghetti di Marinello, luogo dove avvenne il miracolo. Fonte: santuariotindari.it

 

La leggenda

La leggenda racconta che un giorno, una donna avendo la figlia gravemente ammalata, si votò alla Madonna per ottenerne la guarigione. Ottenutala, si recò al Tindari per ringraziare la Madonna,  ma vedendola bruna in faccia ne resta delusa ed esclama: “Sono partita da lontano per vedere una più brutta di me”.   E va in cerca della bella Madonnina che le aveva concesso tanta grazia. Nel frattempo la bambina rimasta incustodita, precipita dal colle.

La madre disperata corse ai piedi della bruna madonnina pregando “Se siete voi la miracolosa Vergine che per la prima volta mi avete salvato la figlia, salvatela per la seconda volta”.

Ed ecco che si compie subito il miracolo. La bambina giocava tranquilla su un piccolo arenile formatosi improvvisamente nelle acque sottostanti, quando un marinaio che era accorso per salvarla, la restituisce sana e salva tra le braccia della madre.

Gaetano Aspa

 

 

Note

  1. Iconoclastia – La dottrina e l’azione di coloro che nell’Impero bizantino, nel sec. 8° e 9°, avversarono il culto religioso e l’uso delle immagini sacre.
  2. Theotókos Odigitria  –  Titolo, «Madre di Dio», rivendicato per la Vergine nel Concilio di Efeso (431).

 

Bibliografia:

La Leggenda è tratta da: https://santuariotindari.it/leggenda/

 

 

“VOS ET IPSAM CIVITATEM BENEDICIMUS”: tra tradizione, religione, storia e curiosità

IMG_3127Giungendo via mare a Messina, la prima cosa che si nota è la stele della Madonna della Lettera; chi si trova in città, volgendo lo sguardo verso il mare, non può che notare la stessa stele: essa è ormai uno dei simboli più apprezzati e fotografati della città peloritana. Situata all’entrata del porto, la stele ha in cima la statua bronzea della Protettrice di Messina, mentre sul basamento si trova la celebre frase “Vos et ipsam civitatem benedicimus”. Non tutti sanno che dietro queste poche parole vi è una storia molto affascinante.

Per raccontarla bisogna tornare indietro al I secolo d.C. e precisamente all’anno 42. Secondo un’antica tradizione, in quell’anno San Paolo, durante il suo viaggio verso Roma, fece una sosta a Messina, dove raccontò della vita e delle opere di Gesù. Fu così che un nutrito gruppo di messinesi si convertì al Cristianesimo e inviò subito dei rappresentanti a visitare i luoghi del Salvatore e a rendere omaggio a Sua Madre, ancora vivente in Terra Santa. L’incontro con Maria avvenne il 3 giugno a Gerusalemme: Ella accolse con piacere i messinesi, felice per la loro conversione e scrisse per l’intera popolazione una lettera in ebraico, arrotolata e legata con una Sua ciocca di capelli (ancora oggi custoditi presso il Duomo di Messina). L’8 settembre i delegati fecero ritorno in città, festanti, con la preziosa missiva.

Proprio alla fine di questa lettera si sarebbe trovata la famosa frase (“Vos et ipsam civitatem benedicimus”) che sancisce la benedizione perpetua di Maria su Messina, nonché il forte legame che da allora unisce la città dello Stretto e Colei che ne è divenuta la Protettrice, con l’appellativo di Madonna della Lettera.

Si dice che la lettera originale sia stata subito nascosta dai messinesi, per tenerla al riparo dalle persecuzioni che in quegli anni colpirono i cristiani. Successivamente, però, andò distrutta, probabilmente in un incendio o in uno dei tanti terremoti che hanno colpito la città. Ciò ovviamente non ha scalfito il culto mariano, che continua ad essere celebrato il 3 giugno con una grande processione.

Negli anni 30, poi, fu costruita, all’ingresso del porto, la stele con la statua in bronzo dorato della Madonna, rivolta verso la città, a protezione della stessa e di chi vi giunge via mare. Il monumento fu inaugurato nel 1934 ed illuminato con un particolare meccanismo: il pontefice Pio XI azionò direttamente da Roma il congegno messo a punto da Guglielmo Marconi, con il quale si accesero le luci che illuminarono la stele, l’iscrizione e l’aureola della Madonna.

Infine, vi è da sapere che il culto della Madonna della Lettera si è diffuso nel tempo in varie zone della Sicilia e della Calabria. In particolare, proprio in una cittadina calabrese, Palmi, tale culto è molto forte, così come forte è il legame con lo stesso culto messinese. Ci è stato tramandato infatti che nel 1575 una terribile pestilenza si abbatté sulla città peloritana; l’epidemia, proveniente da Oriente, dopo la battaglia di Lepanto (1571), fece decine di migliaia di vittime. I palmesi mandarono aiuti (soprattutto generi alimentari) a Messina e accolsero quanti fuggivano da essa. Una volta finita l’emergenza, i messinesi vollero sdebitarsi e inviarono a Palmi uno dei capelli della Vergine. Da quel momento anche nella cittadina calabrese cominciò ad essere venerata Maria con l’appellativo di Madonna della Lettera.

Curioso sapere, poi, che sia a Messina che a Palmi, ad agosto, si tiene la “Vara” (o “Varia” per i palmesi): una festa popolare-religiosa, durante la quale viene portato in processione un maestoso carro raffigurante l’Assunzione in Cielo di Maria. La differenza, però, tra Messina e Palmi non sta solo in quella “i” in più: infatti, a Messina i figuranti sono di cartapesta (fino a metà Ottocento erano bambini, ma si preferì sostituirli con delle statue dopo vari incidenti più o meno gravi); a Palmi, invece, i figuranti (la Madonna, il Padreterno, gli Angeli e gli Apostoli) sono umani. Ad ogni modo questa festa, ogni anno, attrae migliaia di fedeli e non, provenienti da tutta Italia; addirittura la Varia di Palmi nel 2013 è stata inserita nel Patrimonio orale e immateriale dell’umanità dell’UNESCO. Poco male per una festa le cui origini più remote sono rigorosamente made in Messina!

Francesca Giofrè