Macron ammette la responsabilità della Francia nel genocidio in Ruanda

Ieri il Presidente della Repubblica Francese Emmanuel Macron, durante una visita nella capitale del Ruanda Kigali, ha ammesso la responsabilità della Francia nel genocidio del popolo dei tutsi avvenuto tra il 7 aprile e giugno del 1994. A distanza di 27 anni ed in onore dell’anniversario, il presidente francese ha visitato il Paese centrafricano dopo più di dieci anni dall’ultima visita ufficiale, ai tempi di Sarkozy. Lo sfondo è quello del Kwibuka27, ossia la giornata che (in lingua kinyarwanda) significa “commemorazione“, “resilienza“, “coraggio“.

Parla di responsabilità, il presidente, ma non di un diretto coinvolgimento. Poi specifica che tale responsabilità consiste nell’aver, per troppo tempo, «preferito il silenzio anziché il vaglio della verità». La colpa della Francia sarebbe, dunque, di aver fiancheggiato un regime genocidario pur non essendovi complice. D’altro canto, il Ruanda ha per molto tempo accusato la Francia di aver attivamente partecipato al genocidio e non è tuttavia un segreto che abbia, ai tempi, fornito armi e milizie che si sarebbero successivamente rese partecipi del genocidio.

Le scuse del Presidente, pur andando contro le aspettative di una “piena ammissione di colpa”, hanno tuttavia acceso le speranze di un dialogo tra i due paesi che non si aveva ormai da decenni. Il Presidente del Ruanda Paul Kagame – che, col suo Fronte Patriottico Ruandese, pose fine al genocidio – ha tuttavia ritenuto le parole del presidente Macron «più importanti delle scuse. Sono state la verità».

(fonte: dw.com)

L’importanza di un presidente giovane e la scelta delle parole

Perché è importante che sia stato proprio Macron a compiere l’ammissione di colpa della Francia? E perché si è parlato di “responsabilità” anziché di “diretto coinvolgimento” della Francia?

Nell’analizzare l’accaduto, la professoressa dell’Università di Firenze Mariastella Rognoni, ospite al programma RaiNews24, ha sottolineato la scissione temporale dell’establishment francese di oggi rispetto a quello di ieri.

Macron, spiega, ai tempi aveva solo 17 anni. Non poteva essere in alcun modo coinvolto nei fatti condotti dall’Eliseo. In più, il suo partito non esisteva ancora. Vi è una cesura nei fatti.

Il non aver parlato di un diretto coinvolgimento da parte della Francia significa, di fatto, l’escludere che chi ha agito abbia agito a nome del Paese. Ciò ha un importante rilievo dal punto di vista del diritto internazionale, in cui vige una regola precisa: uno Stato può essere ritenuto responsabile dei fatti commessi dai suoi cittadini se tali fatti si sono verificati sotto un diretto controllo del paese stesso. Controllo che, tuttavia, può manifestarsi nei modi più vari.

I fatti del 1994

Nel 1994, tra le 800mila ed il milione di persone persero la vita a causa di un genocidio che coinvolse le popolazioni interne dello Stato del Ruanda. In particolare venne perseguitata l’etnia dei Tutsi, come risultato di un odio interetnico tra Tutsi e Hutu residuo dell’occupazione belga; la discriminazione si basava su ragioni somatiche. Durante l’occupazione belga (1919-1962) agli Hutu venivano riservate mansioni umili e poco retribuite rispetto al potere attribuito ai Tutsi, causando un risentimento che lacerò inevitabilmente i rapporti tra le popolazioni.

(Memoriale dedicato ad alcune delle vittime del genocidio – fonte: dw.com)

Con la decolonizzazione, gli Hutu – che rappresentavano circa l’80% della popolazione ruandese – strapparono il potere ai Tutsi e nel 1973 l’Hutu Juvénal Habyarimana depose l’allora Presidente del Ruanda dando vita ad una dittatura che proseguì fino al 1994, anno della sua morte e pretesto per lo scoppio del massacro ruandese.

Dal 7 aprile iniziarono ad essere massacrati a colpi di machete i Tutsi e gli Hutu imparentati con questi, proseguendo per circa 100 giorni. Il ruolo della Francia fu importante: Mitterrand, l’allora Presidente della Repubblica, diede il proprio sostegno agli Hutu ed all’eredità di Habyarimana, istigandoli alla rivolta ed offrendo al commando degli Interahamwe un addestramento da parte dei soldati francesi.

Il genocidio dei Tutsi ebbe termine nel luglio 1994 in seguito alla presa di controllo del Fronte Patriottico Ruandese – guidato dall’oggi Presidente Kagame – ed alla sua vittoria sulle forze degli Hutu.

 

Valeria Bonaccorso

La Francia propone la risoluzione del conflitto in Palestina. Preoccupa l’esitazione USA

Il conflitto israeolo-palestinese non accenna a placarsi. Dopo nove giorni di scontri tra l’esercito israeliano e Hamas, il fervore con cui le notizie provenienti dal medioriente sono state recepite dall’opinione pubblica non ha mancato di stimolare le potenze occidentali. Ultima misura, in ordine di tempo, a emergere è stata quella presentata al tavolo delle Nazioni Unite dalla Francia e concordata con Egitto e Giordania. La proposta è arrivata al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e punta a un cessate il fuoco in Palestina.

La risoluzione

Emmanuel Macron, insieme ad Egitto e Giordania, si appella all’Onu per cessare le violenze in Medioriente. Fonte: Huffingpost.

La proposta di tregua giunge in seguito all’ incontro fra il presidente francese Emmanuel Macron, l’egiziano Abdel Fatah Al-Sisi e, collegato in videoconferenza, il re Abdallah II di Giordania. Durante il meeting è emerso che

“i tre Paesi concordano su tre elementi: i lanci di razzi devono cessare, è giunto il momento di un cessate il fuoco e il Consiglio di sicurezza Onu deve prendere in mano la questione“.

L’Eliseo ha inoltre reso noti i motivi dell’accordo con i due paesi arabi: “Sono protagonisti influenti nei luoghi santi per la Giordania e su Gaza per gli egiziani”.

L’Egitto ha proposto “attraverso canali privati” un cessate il fuoco tra Israele e Hamas a partire dalle 6 di mattina (ora locale) di giovedì prossimo. Hamas avrebbe risposto favorevolmente mentre Israele, al contrario, non avrebbe manifestato alcun segno di resa.
La notizia, riportata dalla tv israeliana di Canale 12, è stata tuttavia prontamente smentita sul Times of Israel dal membro della leadership di Hamas, Izzat al-Rishq, che ha dichiarato:

“Non è vero ciò che alcuni media nemici hanno riferito, ovvero che Hamas abbia concordato ad un cessate il fuoco per giovedì. Nessun accordo o uno specifico calendario per questo è stato raggiunto” continua poi “Pur sottolineando che gli sforzi e i contatti dei mediatori sono seri e continui, le richieste della nostra gente sono chiare e ben note”.

L’ambiguità della posizione statunitense

La Cina fa sapere che sostiene senz’altro la proposta. Gli Stati Uniti hanno bloccato per otto giorni una dichiarazione sul conflitto e hanno giustificato il loro silenzio attraverso l’ambasciatrice americana Linda Thomas Greenfield: Non siamo stati in silenzio. Il nostro obiettivo è stato e continuerà ad essere quello di un intenso impegno diplomatico per porre fine a questa violenza”. Il presidente Joe Biden “ha espresso il sostegno per un cessate il fuoco”.

L’ambasciatrice americana ribadisce l’impegno nella risoluzione del conflitto ma gli Usa finora hanno bloccato dichiarazioni che secondo Washington potrebbero ostacolare o nuocere alla sua “diplomazia intensa ma discreta”. Fonte: ABC News.

Il sostegno di Biden, tuttavia, giunge dopo ben quattro telefonate al premier israeliano Benjamin Netanyahu nel corso delle quali ha ribadito più volte che Israele abbia il pieno diritto di difendersi contro “gli indiscriminati attacchi di razzi” di Hamas.

Una mossa, quella di Biden, che ha confuso la comunità internazionale e non ha mancato di apparire come un’attività diplomatica molto blanda. Dallo stesso Partito Democratico aumentano gli appelli rivolti al presidente per una presa di posizione più forte e netta per fermare Israele. Malgrado la gravità della situazione pare per il momento che la questione non rientri tra le priorità dell’agenda presidenziale .

La guerra continua

Nonostante gli appelli, aumentano le vittime in rapporto a nuovi attacchi perpetrati questa notte. Secondo quanto riferito dal portavoce dell’esercito israeliano Hidai Zilberman, i caccia dello Stato ebraico hanno sganciato 122 bombe in 25 minuti su circa 40 obiettivi sotterranei. L’attacco ha comportato la distruzione di oltre 12 chilometri di tunnel e numerosi depositi di armi e un centro di comando. Zilberman ha poi dichiarato: “Almeno 10 membri dei gruppi terroristici di Hamas e della Jihad islamica palestinese sono stati uccisi“. Ad essere preso di mira il quartiere Rimal, sobborgo residenziale di Gaza City, dove vivono “molti leader di Hamas”.

Razzi nello scontro tra Gaza e Israele. Fonte: AGI.

Le vittime complessive a Gaza, dall’inizio delle ostilità, sono ora 213, tra cui 61 bambini e 36 donne.
Questa mattina, invece, il lancio di razzi diretti verso un capannone agricolo israeliano, vicino alla linea di demarcazione, ha ucciso due operai thailandesi e ferito altre due persone. Ora il totale delle vittime in Israele è di 12 persone: 10 (tra cui 2 bambini) sotto i razzi e altre 2 per motivi collegati ai lanci.

Alessia Vaccarella

Terrorismo: arrestati in Francia sette ex brigatisti. Altri tre ricercati

Questa mattina (28 aprile) sono state arrestate in Francia sette persone, ex membri delle Brigate Rosse, di cui l’Italia aveva già chiesto l’estradizione. Altri tre soggetti sono in fuga e ricercati. I dieci sono accusati di atti di terrorismo risalenti agli anni ’70 e ’80.

La decisione di procedere all’operazione è stata presa direttamente dal presidente francese Emmanuel Macron ad attuazione della “dottrina Mitterrand” che permette di concedere asilo agli ex brigatisti, tranne ai responsabili di reati di sangue.

Gli ex brigatisti arrestati sono in attesa di essere presentati al giudice per la comunicazione della richiesta di estradizione da parte dell’Italia.

Le brigate rosse

Ombre rosse” è il nome del dossier riguardante gli ex terroristi italiani arrestati questa mattina in Francia. I sette erano membri delle brigate rosse, l’organizzazione terrorista attiva in Italia a cavallo tra gli anni Settanta ed Ottanta, di ispirazione «marxista-leninista» e guevarista, che agiva con la finalità di destabilizzare le istituzioni. Fondate nel 1970, pochi mesi dopo la strage di piazza Fontana, ed originariamente dedite ad azioni dimostrative all’interno di alcune fabbriche.

Non passò poco tempo prima che le loro azioni iniziassero a macchiarsi di maggior violenza ed illegalità: nel 1974 vi fu il rapimento del giudice genovese M. Sossi; nel 1975 venne “gambizzato” l’esponente di Democrazia Cristiana M. De Carolis; nel 1976 furono uccisi a Genova il procuratore generale della Repubblica F. Coco e la sua scorta; nel 1977 vennero colpiti vari giornalisti, tra cui, fatalmente, C. Casalegno.

Le B.R. contrastarono in particolare il progetto di compromesso storico, che alla metà degli anni Settanta aveva aperto un intenso dialogo tra DC e Partito Comunista Italiano e che si concretizzò , il 16 marzo 1978, al clamoroso sequestro del presidente della DC Aldo Moro. La prigionia, durata 55 giorni, si concluse con l’assassinio di Moro, cui seguì dopo circa un anno la crisi della solidarietà nazionale.

(fonte: IlFattoQuotidiano)

La successiva scissione in micro-gruppi non impedì il proseguimento dell’attività criminosa. Nel 1989 si assistette agli ultimi processi ed ultime condanne dei residui brigatisti.

Nel 1999 con l’assassinio del prof. M. D’Antona entravano in scena le nuove B.R. Con l’arresto di Lioce  nel 2003 (esponente di spicco delle N.B.R.), in un convoglio del treno regionale Roma-Firenze, è stato poi possibile individuare e smantellare gran parte dell’organizzazione.

La dottrina Mittered

Macron ha deciso di “trasmettere alla Procura i 10 nomi sulla base di domande italiane che riguardavano in origine 200 persone”. Nella nota dell’Eliseo si afferma che la decisione di Macron “si colloca strettamente nella logica della dottrina Mitterrand di accordare l’asilo agli ex brigatisti, eccetto ai responsabili di reati di sangue”.

(fonte: DIRE)

La dottrina prende il nome del presidente socialista francese François Mitterrand ed era diretta a non concedere l’estradizione a persone imputate o condannate, in particolare italiani, ricercati per «atti di natura violenta ma d’ispirazione politica», contro qualunque Stato, purché non diretti contro lo Stato francese. Gli autori di tali atti devono però avere rinunciato a ogni forma di violenza politica, concedendo di fatto un diritto d’asilo a ricercati stranieri che in quel periodo si rifugiarono in Francia.

Questa prassi, basata su dichiarazioni orali di Mitterrand, nel caso di rifugiati italiani, era giustificata con una presunta “non conformità” della legislazione italiana agli standard europei, soprattutto per quanto concerneva le leggi speciali, l’uso della carcerazione preventiva e il rapporto con i collaboratori di giustizia.

Fino a questo momento, infatti, la Francia era stata un rifugio sicuro per molti italiani che negli anni di piombo avevano fatto parte di formazioni terroristiche. Tra coloro i quali hanno goduto della “dottrina Mitterand” basti pensare a Cesare Battisti.

L’Eliseo sottolinea anche come gli arresti di oggi siano “il frutto di un importante lavoro preparatorio bilaterale, durato diversi mesi che ha portato a prendere in considerazione i reati più gravi”. Sempre nella nota si legge: “La Francia, anch’essa colpita dal terrorismo, comprende il bisogno assoluto di giustizia delle vittime”. E la consegna alla giustizia degli ex brigatisti è anche “parte dell’urgente necessità di costruire un’Europa della giustizia, in cui la fiducia reciproca deve essere al centro”.

Irene Terrel, storica avvocata degli ex terroristi italiani in Francia, ha denunciato stamattina un “tradimento senza nome da parte della Francia“; ha proseguito “Sono indignata e non ho parole per descrivere questa operazione che assomiglia a una piccola retata”.

Le operazioni di arresto

L’operazione antiterrorismo in Francia è stata condotta dall’Antiterrorismo della polizia nazionale francese (Sdat) in collaborazione con il Servizio di cooperazione internazionale della Criminalpol, con l’Antiterrorismo della Polizia italiana e con l’esperto per la sicurezza della polizia italiana nella capitale francese.

Combo da sinistra in alto: Giorgio Pietrostefani,Marina Petrella e Enzo Calvitti
da sinistra in basso:Roberta Cappelli e Sergio Tornaghi (fonte: Ansa.it)

Dei 7 fermati, quattro hanno una condanna all’ergastolo: Roberta Capelli, Marina Petrella, Sergio Tornaghi – tutti e tre ex appartenenti alle Brigate Rosse – e Narciso Manenti, dei Nuclei Armati contro il Potere territoriali. Per Giovanni Alimonti ed Enzo Calvitti, anche loro delle BR, la pena da scontare è rispettivamente 11 anni, 6 mesi e 9 giorni e 18 anni, 7 mesi e 25 giorni. Mentre, Giorgio Pietrostefani, fondatore della formazione extraparlamentare Lotta Continua è stato condannato a 22 anni come mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi.

I sette entro 48 ore saranno sentiti dalla procura generale della Corte d’appello di Parigi, prima che un giudice stabilisca le misure cautelari (la conferma dell’arresto o il rilascio condizionale) che rimarranno in vigore fino a che non sarà completato l’esame della richiesta di estradizione.

Nel frattempo, ci sono altre tre persone per cui era stata richiesta l’estradizione e che non sono ancora state arrestate: sono Luigi Bergamin (ex membro di Proletari armati per il comunismo), Maurizio Di Marzio (ex brigatista) e Raffaele Ventura (ex esponente delle Formazioni comuniste combattenti).

“Il governo esprime soddisfazione per la decisione della Francia di avviare le procedure giudiziarie, richieste da parte italiana, nei confronti dei responsabili di gravissimi crimini di terrorismo, che hanno lasciato una ferita ancora aperta” afferma il presidente del Consiglio Mario Draghi.  “La memoria di quegli atti barbarici è viva nella coscienza degli italiani. A nome mio e del governo, rinnovo la partecipazione al dolore dei familiari nel ricordo commosso del sacrificio delle vittime” conclude Draghi.

Manuel De Vita

Proteste a Parigi per la legge sul clima, a pochi giorni dall’Ora della Terra

“Macron, ta loi en cartoni, c’est nouvelle jaune” recitava uno degli slogan della manifestazione di ieri a Parigi: “Macron, la tua legge di cartone è una spazzatura gialla”.

Proteste contro modifiche delle proposte per la legge sul clima (fonte: video.virgilio.it)

Parliamo della Loi Climat et Relience, la legge Clima e Resilienza, voluta dal presidente Macron e presentata come una delle iniziative più importanti del suo mandato.

Per la sua formulazione, il presidente aveva istituito, nell’ottobre 2019, una Convenzione di 150 cittadini estratti a sorte, la “Convention Citovenne sur le Climat“.

Un modo per far partire proprio dai cittadini “una rivoluzione” dello stile di vita dei francesi, favorendone uno più sostenibile a livello ambientale. Un esperimento di democrazia partecipativa, pensato in seguito al movimento dei Gilet gialli, che aveva sconvolto la Francia proprio nel 2019.

Macron ha, dunque, affidato agli stessi cittadini il compito di pensare a delle misure per ridurre del 40% le emissioni di gas serra entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990.

 

Il presidente aveva anche assicurato i 150 della Convenzione di portare in Parlamento le proposte senza che queste subissero delle modifiche.

Corteo contro Macron (fonte: la Repubblica)

Per oggi, 29 marzo è stato previsto l’arrivo in Parlamento. Proprio a un giorno dall’appuntamento con l’Assemblea francese, i manifestanti si sono fatti sentire, per quello che è stato giudicato come una sostanziale “edulcorazione” delle proposte.

I cortei che si sono riversati nella capitale hanno, dunque, manifestato per quella che sembra essere una promessa infranta. Secondo gli attivisti, con le modifiche apportate, la nuova legge sul clima non sarebbe utile al raggiungimento degli obiettivi fissati dagli Accordi di Parigi del 2015.

Ben 149 le proposte che erano state avanzate, tra cui: l’eliminazione graduale entro il 2030 degli sgravi fiscali sul diesel per gli autotrasportatori e l’attuazione di un’ecotassa regionale per i veicoli pesanti; il divieto di pubblicità per le imprese inquinanti e menù vegetariani nelle mense, punto che ha suscitato polemiche con le giunte comunali dei Verdi, motivo per il quale il governo non vuole andare oltre una sperimentazione.

L’attivista Cyril Dion, garante della Convenzione, ha denunciato una presunta interferenza delle lobby industriali che avrebbero giocato un ruolo importante nella modifica delle proposte:

“Non ci sono negoziati possibili con il clima, e una corsa contro il tempo” ha dichiarato.

La co-presidente, l’economista Laurence Tubiana, la quale aveva partecipato ai negoziati per gli Accordi di Parigi, si è unita ai manifestanti del corteo di Montpellier:

“Francesi chiedono di più ai loro deputati e al loro governo – ha detto – Serve una vera legge ambiziosa sul clima la cui componente sociale sia il perno di questa transizione necessaria.”.

Finora sono circa 7mila emendamenti presentati per la formulazione della nuova legge. Tra questi anche misure simbolicamente forti, come l’abolizione dei voli nazionali in caso di tragitti alternativi con il treno lunghi meno di due ore e mezza, ho il divieto di affittare appartamenti senza isolamento termico entro il 2028. A proposito di “efficientamento energetico”, tra le proposte anche quella della completa ristrutturazione di 20 milioni di case, ampiamente ridimensionata.

 

In Parlamento, la maggioranza si è divisa e il cammino si preannuncia tormentato.

 

L’Ora della Terra

Intanto il 27 Marzo, pochi giorni prima delle manifestazioni a Parigi, si è celebrata in tutto il mondo l’Earth hour, l’Ora della Terra, per il tredicesimo anno consecutivo.

La prima iniziativa, realizzata nel 2007, coinvolse la sola città di Sydney.

L’evento è promosso dal Wwf a livello globale, è un simbolo molto potente per la sensibilizzazione alla lotta ai cambiamenti climatici, una delle più grandi piaghe del nostro tempo.

Speak Up For Nature”, “Parla per la Natura” è stato lo slogan di quest’anno.

L’iniziativa prevedeva luci spente dalle 20.30 per un’ora. Ben 192 Paesi hanno aderito, mentre milioni di persone hanno partecipato individualmente, spegnendo le luci nelle proprie case.

Trecento i Comuni italiani che hanno deciso di partecipare. Così, sono rimasti al buio anche il Colosseo, l’Arena di Verona e Palazzo Vecchio a Firenze.

Il Colosseo al buio per l’Ora della Terra (fonte: la Repubblica)

Mattarella, ha conferito all’Earth hour la Medaglia del Presidente della Repubblica. Inoltre, le più importanti istituzioni nazionali, quali il Senato, la Camera dei Deputati e la Presidenza del Consiglio dei Ministri hanno dato il proprio patrocinio all’iniziativa, così come l’Anci – l’Associazione Nazionale Comuni Italiani – grazie alla quale effettivamente l’iniziativa ogni anno ha sempre più risonanza.

La natura non può più attendere, siamo in ritardo. Sarebbero, dunque, senza dubbio condivisibili da chiunque, più sensibili o meno a tali tematiche, le parole del presidente del Wwf Italia, Donatella Bianchi:

“Il Wwf chiede a tutti di “dar voce alla natura”, di pretendere che si dia il giusto valore al nostro capitale naturale che alla base della nostra salute, del nostro benessere, del nostro cibo, della nostra acqua, della nostra aria, in una parola, della nostra vita. Difendere la biodiversità significa difendere il futuro dell’umanità e la qualità della nostra esistenza sul Pianeta. Allora tutti insieme “Speak up for nature” con la consueta ora di buio, che rappresenta la richiesta forte, decisa ed inequivocabile di un futuro diverso. Per tutti noi e per chi verrà dopo di noi”.

 

Rita Bonaccurso

 

L’Europa verso un “lockdown light”: come stanno affrontando questa seconda ondata i principali Paesi UE

Tutta Europa gradualmente sta richiudendosi come a marzo.

L’impennata nel numero dei contagi delle ultime due settimane rischia di vanificare gli sforzi e i sacrifici che i cittadini europei hanno affrontato dall’inizio di quest’anno e il rischio di un secondo lockdown, totale e generalizzato, si fa sempre più incombente. Tale misura, osteggiata dalle opposizioni e mitigata dalle limitazioni degli ultimi dpcm, sembra essere un’extrema ratio a cui il nostro capo dell’esecutivo ancora non vuole ricorrere preferendo aspettare che i risultati delle misure adottate negli scorsi giorni si palesino.

Dove però le misure di prevenzione e sanificazione già precedentemente in vigore non sono riuscite a rallentare la curva dei contagi ecco che l’intensificazione delle misure di restrizione si è resa necessaria. Solo nel vecchio continente le proiezioni del numero dei contagi hanno raggiunto stime viste precedentemente solamente a marzo: in Francia vi sono 1 milione e 279 mila contagi, in Spagna 1 milione e 136 mila, mentre in Italia e Germania sono a 616.595 mila e 479mila casi. Obiettivo dichiarato di questi quattro Paesi è quello di domare la curva ed eventualmente allentare la stretta nel periodo natalizio in modo tale da non rallentare ulteriormente la ricrescita economica.

fonte: il Corriere della Sera

Francia

Mercoledì sera il presidente Macron ha parlato alla nazione spiegando come dinanzi al peggioramento «esponenziale» della pandemia le misure attualmente in vigore, sebbene utili, non siano più sufficienti.

Un nuovo lockdown nazionale, della durata di un mese, che partirà oggi e durerà fino a dicembre, si è reso necessario per evitare scenari ben più catastrofici. Le scuole resteranno aperte, mentre le attività universitarie subiranno delle restrizioni. Resteranno aperti uffici pubblici, aziende agricole ed alcune fabbriche ma tutti quelli che potranno rimanere a casa grazie allo smart working dovranno farlo. Si potrà uscire solo per andare al lavoro o fare la spesa, con l’autocertificazione. L’obbligo di mascherina viene esteso anche all’interno della propria abitazione se ci si trova in presenza di familiari. Infine, è disposta la chiusura di tutti i bar e ristoranti così come per i negozi.

fonte: Huffington Post

Germania

Per contrastare la diffusione del virus la cancelliera tedesca Angela Merkel ha disposto, d’accordo con i presidenti dei Land, un “lockdown light“. Dal 2 novembre e per almeno un mese i cinema, i teatri, le palestre e altri luoghi di aggregazione sociale rimarranno chiusi. Bar e ristoranti continueranno a lavorare ma solo per il servizio d’asporto. Rimarranno aperti invece i negozi, che dovranno adottare nuove misure di distanziamento: un cliente ogni 10 metri quadrati. Così come in Francia anche in Germania le scuole resteranno aperte. Nei luoghi pubblici inoltre non potranno incontrarsi più di due nuclei abitativi e riunirsi sarà possibile fino a un massimo di 10 persone.

Spagna

Misure di contenimento sono state adottate anche nel paese iberico ma per il momento soltanto a livello regionale. Il premier Pedro Sanchez ha prolungato lo stato d’emergenza di ulteriori sei mesi consentendo però alle regioni di decidere autonomamente se chiudere i confini. Al momento sono sette le regioni che hanno optato per tale misura. Inoltre è attualmente previsto un coprifuoco nazionale dalle 23 della sera alle 6 della mattina successiva. Limitate le riunioni gli incontri, con al massimo sei persone, a meno che non siano conviventi. A Madrid, per fronteggiare i focolai nelle zone più povere, sono state disposte misure restrittive straordinarie per 850 mila persone per 14 giorni. Non è ancora un nuovo lockdown, ma qualcosa che ci assomiglia. Si potrà uscire di casa solo per lavorare, studiare, fare la spesa, e curare le persone malate. Per le strade e alle fermate dei mezzi pubblici ci saranno controlli da parte delle forze dell’ordine e in caso di violazione verranno erogate multe dai 600 euro in su.

Italia

Nel frattempo anche in Italia, che solo ieri ha sfiorato quota 27 mila nuovi contagi, si comincia a sentire l’eco di nuove restrizioni che non escludono un nuovo lockdown.

Si sta, infatti procedendo verso il temuto “scenario 4” prospettato dall’ISS nel documento del 12 ottobre, ovvero una condizione “Situazione di trasmissibilità non controllata con criticità nella tenuta del sistema sanitario nel breve periodo“, dove l’impennata dell’indice di trasmissibilità (RT) supererebbe le soglie del 1,5% in tutte le regioni, provocando difficoltà nell’individuazione di nuovi casi e il collasso delle strutture sanitarie.

Tutte premesse, dunque, che prevederebbero come unica soluzione la limitazione degli spostamenti attraverso la chiusura del comuni e delle regioni

uno scenario di questo tipo potrebbe portare rapidamente a una numerosità di casi elevata e chiari segnali di sovraccarico dei servizi assistenziali – si legge nel documento – senza la possibilità di tracciare l’origine dei nuovi casi. La crescita del numero di casi potrebbe comportare un sovraccarico dei servizi assistenziali entro 1-1,5 mesi, a meno che l’epidemia non si diffonda prevalentemente tra le classi di età più giovani, come osservato nel periodo luglio-agosto 2020, e si riuscisse a proteggere le categorie più fragili (es. gli anziani). A questo proposito, si rimarca che appare piuttosto improbabile riuscire a proteggere le categorie più fragili in presenza di un’epidemia caratterizzata da questi valori di trasmissibilità.”

Filippo Giletto

 

Migranti ed Ue: Ecco l’accordo dei 28 leader

Dopo 13 ore di negoziazioni estenuanti, alle 4.41 del mattino, il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk annuncia l’intesa dei 28 leader politici europei sulla questione migranti. Il risultato è un accordo redatto in dodici punti, che dovrebbe servire ai paesi membri per gestire le nuove ondate migratorie fino alla definitiva, e ormai ampiamente preannunciata, modifica del Trattato di Dublino.

Tra i primi a esultare per il risultato del summit è stato lo stesso premier italiano Giuseppe Conte in prima linea insieme al presidente francese Macron ed al gruppo di Viségrad (alleanza che comprende Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia), per il sostegno alla distribuzione obbligatoria di tutti i migranti e per una gestione condivisa da parte di tutti i paesi membri degli stessi. Ma si tratta di una euforia che dura poco e che, altrettanto velocemente, mostra quanto questo accordo sia stato, in realtà, deludente proprio per il paese che l’ha maggiormente richiesto, l’Italia appunto. E a mostrare immediatamente il suo velato disappunto è stato proprio il Ministro dell’Interno Matteo Salvini che durante un’intervista a Radio Capital ha affermato “Non mi fido delle parole, vediamo i fatti”. 

Il vertice di Bruxelles si sblocca a notte fonda: accordo di tutti i 28 leader anche sui migranti

Le richieste fatte dal governo italiano erano sintetizzabili nella riapertura dei porti da parte degli altri paesi europei, la ridistribuzione obbligatoria di tutti i migranti richiedenti asilo – politici ed economici – illegali, e il versamento di capitali a favore del Trust Fund Africa, fondo da utilizzare per una serie di progetti Ue sul suolo africano; ma, in realtà, il risultato è stato completamente diverso: la ridistribuzione avverrà su base volontaria da parte dei paesi che intendono farlo e nei numeri da loro scelti; si useranno i centri chiusi, istituiti volontariamente dai paesi ospitanti, come luogo in cui accogliere i migranti per il periodo necessario allo svolgimento delle procedure di riconoscimento degli stessi. In sintesi, una sconfitta netta, anche se sapientemente velata, da parte della delegazione italiana. A questo va aggiunto inoltre il fatto che l’Italia sia obbligata alla costruzione di questi centri (i famosi hotspot molto criticati dallo stesso Salvini in campagna elettorale), in quanto solo i paesi che presenteranno queste strutture sul proprio territorio avranno accesso alla redistribuzione dei richiedenti asilo.

Risultati immagini per merkel migrantiAd uscirne sollevata è, invece, la cancelliera tedesca Angela Merkel che riesce a strappare agli altri leader la negoziazione sugli accordi dei movimenti secondari, ovvero l’obbligo, da parte del paese che ha compiuto la prima registrazione del migrante, di riprendere sul proprio territorio tutti quegli individui fuggiti sul territorio di un altro stato membro. Con questa decisione, infatti, placa la crisi interna al governo tedesco mossa dal Ministro Horst Seehofer del Csu, dando però, anche in questo caso, un duro colpo all’Italia che è uno degli stati interessati maggiormente da questo fenomeno. Le motivazioni di questa scelta sono state ricondotte al rischio di mandare in crisi Schengen.

Comune a tutti i leader che hanno partecipato al summit è invece la volontà di rinforzare la struttura della Guardia Costiera libica, riducendo in questo modo il numero di interventi necessari al salvataggio dei migranti in mare da parte delle autorità portuali dei paesi europei che si affacciano direttamente sul Mediterraneo.Risultati immagini per migranti

“Da oggi l’Italia non è più sola. Da questo Consiglio europeo esce un’Europa più responsabile e più solidale” ha affermato subito dopo l’uscita dal consiglio il premier Conte, ma ciò che si può comprendere da una prima analisi dell’accordo redatto è proprio quanto la situazione non sia cambiata . Si aspetta quindi di capire quando e come verrà modificato il Trattato di Dublino, sperando che la situazione riesca ad essere gestita nel migliore dei modi per evitare ulteriori e ormai, ahi noi, quotidiane morti inutili nel nostro mare.

Giorgio Muzzupappa

 

 

Proteggi le persone e non i confini. In esclusiva Pietro Bartolo

Domenica 10 giugno il governo italiano non ha concesso l’autorizzazione alla nave Aquarius, facente parte della flotta dell’organizzazione non governativa internazionale SOS Méditerranée, di fare ingresso in un porto italiano. Da lì in poi è successo di tutto.

Le 629 persone a bordo dell’Aquarius, soccorse in sei diverse operazioni di salvataggio e trasferimento sotto il coordinamento della Guardia Costiera Italiana, sono state prima rifiutate dall’Italia e poi da Malta, rimanendo per diverse ore a metà strada fra i due paesi. Infine la Spagna si è offerta di accogliere la nave e i migranti nel porto di Valencia.

Il tutto è avvenuto in un clima singolare, in cui il ministro dell’ Interno Salvini ha scavalcato il ministro dei Trasporti ed ha mantenuto una centralità mediatica a discapito di Di Maio e Conte. Una rivendicazione della sovranità nazionale italiana oppure una mossa propagandistica in vista di future elezioni ?

Franza o Spagna purchè se magna diceva lo storico Francesco Guicciardini oltre 4 secoli fa descrivendo l’atteggiamento servile della classe politica italiana del tempo, a disposizione dell’una o dell’altra potenza pur di salvare un minimo di potere entro le mura della propria cittadella. Dopo la decisione presa dal governo spagnolo non tarda ad arrivare una risposta della Francia. Macron: “Dall’Italia cinismo e irresponsabilità”, strappo istituzionale ricucito da una telefonata dello stesso presidente poche ore fa. Insomma un clima concitato, in cui in mezzo a così tanti colpi di scena, c’è una sola certezza: la sofferenza umana.

Le persone a bordo della nave Aquarius sono solo “una goccia nel mare” di questa emergenza migratoria che da anni ormai ha investito l’Europa ed in primis l’Italia. Alcune settimane fa siamo riusciti ad intervistare un grande protagonista di questo fenomeno, il medico responsabile delle prime visite a tutti i migranti che sbarcano a Lampedusa: Pietro Bartolo.

Dott. Bartolo, lei è un medico, un ginecologo, insignito di ben due onorificenze della Repubblica Italiana. Che cosa l’ha spinta a fare il medico?

Ho deciso di studiare Medicina perché da piccolo a Lampedusa non avevamo la possibilità di curarci a pieno, talvolta vedevo persone morire perché non c’era la possibilità di arrivare in un ospedale. Non c’erano mezzi di soccorso adeguati, personale medico sufficiente, c’era un solo dottore che cercava di sopperire a tutte le mancanze. L’ho fatto perché volevo aiutare la mia gente.

Come mai proprio il Ginecologo?

Sempre da bambino mi capitava spesso di vedere delle piccole bare bianche, così chiedevo a mia madre cosa fosse successo e lei mi rispondeva che c’erano state complicanze fatali durante il parto, talvolta anche per la madre. Così decisi che dopo la laurea avrei intrapreso la specializzazione in Ginecologia ed Ostetricia. Invece di rimanere a Catania, dove sicuramente avrei avuto un futuro roseo come quello dei miei colleghi, ho deciso di tornare tra la mia gente per aiutarla.

Nel 2016 “Fuocoammare” vince L’Orso d’oro a Berlino con lei protagonista del documentario. Lo scorso settembre esce il suo libro “Lacrime di sale” che ha vinto il Premio Brancati. Si trova a suo agio nelle vesti di testimone e divulgatore del fenomeno migratorio?

Si, mi trovo bene a fare il divulgatore perché prima di tutto lo vedo come un mio dovere. Penso sia giusto farlo al fine di far cadere tutti quei pregiudizi nei confronti di queste persone. Bisogna sensibilizzare per far capire che siamo tutti uguali. Gli immigrati sono esseri umani esattamente come noi. Da due anni  vado in giro per l’Europa e lo faccio a discapito della mia famiglia, utilizzo le mie giornate libere per portare alla cronaca la mia testimonianza. Lo faccio perché ci credo e perché sono fiducioso che questa storia andrà a finire bene. Deve andare a finire bene.

Perché secondo lei è così difficile accogliere i migranti in Italia e nel resto d’Europa nel modo in cui lo fa Lampedusa?

Perché deve cambiare la società. Bisogna essere più umani e riuscire  a capire che l’altro non è un alieno, non è diverso, non è un mostro ma è una persona che ha avuto la sfortuna di nascere nel posto sbagliato del mondo ed oggi cerca di vivere una vita più dignitosa. A Lampedusa abbiamo un grande murales dove abbiamo scritto “Proteggi le persone e non i confini”.

Lei, invitato dal movimento “Liberi e uguali” ha prima accettato e poi rifiutato la candidatura alle politiche del 2018. Quale sarebbero state le sue richieste in caso di una eventuale elezione?

Con la sensibilizzazione possiamo diffondere il messaggio, ma è la politica che fa cambiare veramente le cose. Una scienza sublime quando è al servizio del popolo e non rivolta verso i propri interessi privati (la poltrona).  Sicuramente avrei chiesto l’abolizione del decreto Minniti-Orlando e della legge Bossi-Fini. Noi in quanto popolo emigrato sappiamo cosa significa essere migranti, spero quindi che questo sentimento di solidarietà e di accoglienza cresca nel nostro paese. Comunque va detto che noi siamo più bravi di altre nazioni che non fanno onore a questa Unione Europea che ha basato la fondazione su valori fondamentali quali l’accoglienza, la solidarietà, la libera circolazione ed il rispetto dei diritti umani. Oggi rimane solo un’Europa economica e manca invece l’Europa sociale.

In questi anni ha visto cose orribili che l’hanno colpita nel profondo ed oggi le danno gli incubi la notte. Ha visitato e curato, con un normalissimo stipendio, più di 300000 migranti da quando è iniziato il fenomeno migratorio. Chi glielo fa fare? È un senso di dovere professionale, oppure una volontà personale?

Mai avrei pensato di dover affrontare un fenomeno migratorio di questa portata. L’ho fatto fin dal primo momento, insieme ai miei collaboratori e insieme a tutta Lampedusa. Mi sono occupato a pieno di queste persone perché li considero come i miei lampedusani. Lo faccio perché fa parte del mio carattere, perché mi fa sentire un uomo libero…mi fa sentire un vero uomo. È giusto farlo ed è una mia responsabilità ed un mio dovere, ma dovrebbe essere dovere di tutti gli uomini aiutare chi ha bisogno. Credo fermamente che questi siano i valori fondamentali che danno un senso alla nostra vita.

Avendo intervistato il Dott. Bartolo prima dell’insediamento del nuovo governo, non abbiamo potuto rivolgergli domande sulle politiche dell’accoglienza previste nel contratto di governo. Bartolo ha però rilasciato una dichiarazione tramite Adnkronos sulla vicenda Aquarius.

Il braccio di ferro “lo facciano con l’Unione Europea, non sulle pelle di 600 povere persone, tra cui molti bambini e molte donne […]. Stiamo vedendo cose che non hanno né testa né coda, spero e mi auguro che il nuovo governo faccia qualcosa di positivo. Il premier Conte è bene che faccia il premier senza farsi influenzare da nessuno e che possa intraprendere una strada diversa”.

Alessio Gugliotta

 

Governo si, Governo no. Si attende la decisione di Mattarella

Salvini: “Se salta tutto, ci sarà una frattura tra gli italiani e i palazzi”

E dopo soli 83 giorni dalle elezioni del 4 marzo, nel perfetto stile italiano – caciarone e raffazzonato -, sembra esserci una rischiarita nel fosco panorama post-elettorale del nostro Bel Paese. Questo non significa che la questione della formazione del governo si sia finalmente esaurita, anzi; ma almeno, nelle prossime ore, riusciremo a capire cosa ne sarà dei risultati prodotti dalle urne qualche mese fa: nascerà un governo “socio-securitario” giallo-verde, con Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, o si ritornerà a votare anzitempo.Risultati immagini per governo

Infatti, il 23 maggio, dopo un intenso incontro con il Presidente della Repubblica, viene affidato l’incarico di formare un nuovo governo ad uno dei candidati ministri – pubblica amministrazione – 5stelle proposti da Di Maio a fine febbraio, l’avvocato e professore di Diritto Privato Giuseppe Conte. Figura di spicco del panorama accademico italiano, fine giurista dal ricco curriculum maturato grazie alle numerose esperienze vissute nei prestigiosi college di mezzo mondo. Ma è proprio ciò che sembra essere il suo punto di forza –il curriculum, appunto – che diventa lo strumento migliore per muovere le critiche verso il candidato di M5S e Lega. Molte sembrano essere infatti le incongruenze, tra cui, quella che suscita più scalpore, è sicuramente quella relativa al periodo di formazione nella famosa New York University, dove Conte affermava di aver passato “almeno un mese, ogni estate dal 2008 al 2012” a perfezionare ed aggiornare i suoi studi; affermazione che però non trova sostegno dalle parole degli stessi rappresentanti dell’Università che ammettono di non ritrovare nessuna persona rispondente quel nome tra gli elenchi in loro possesso. Ed a questo caso si ricollegano tante altre imperfezioni che hanno destato particolari dubbi sulla reale veridicità del documento di presentazione del neo incaricato.

Il boom mediatico che si genera da queste rivelazioni , non sembra però intaccare più di tanto la figura di Conte e l’immagine del Movimento, che continua a farsi vanto della sua professionalità e, sulla base dell’accordo di governo stipulato con la Lega, continua a lavorare sulla squadra di ministri da presentare a Mattarella.

E sono proprio i ministri il nodo cruciale di tutta la questione, in particolare, quello dell’economia, pedina fondamentale nello scacchiere giallo-verde per gestire i rapporti con l’Europa e le decisioni, tanto criticate da Salvini e compagni,  dei suoi dirigenti. Il nome scelto per ricoprire questa carica è quello di Paolo Savona, economista dal passato in Banca d’Italia, professore nelle più importanti Università del paese ( è anche uno dei rifondatori della ex Università Pro Deo, oggi LUISS Guido Carli), già ministro dell’industria, commercio ed artigianato durante il governo Ciampi  93-94. Fortemente sostenuto dalla Lega (soprattutto) e dal M5S, che si ritrovano nelle sue posizioni antieuropeiste e che lo vedono come unico possibile interlocutore con l’Europa e la Germania. Ma dal Quirinale non sembra arrivare la stessa aria, con un Mattarella non completamente convinto della figura proposta per un ruolo tanto importante, proprio in relazione a quelle che potrebbero essere le sue decisioni nei confronti delle autorità di Bruxelles. A questo si aggiunge, inoltre, un’altra problematica legata alla figura di Savona che ne compromette ancora di più la posizione, ovvero un’indagine alla quale è sottoposto dalla Procura di Cagliari con l’accusa di concorso in usura, relativa al periodo che va da novembre 2008 a ottobre 2010, quando era presidente e legale rappresentante di Unicredit.Risultati immagini per paolo savona

Sulla questione Salvini si dice inamovibile ed afferma:

Avere all’economia qualcuno che garantisca l’interesse nazionale, se serve andando a ridiscutere vincoli europei che hanno fatto male al nostro paese, è qualcosa che serve all’Italia […] speriamo quindi che non ci siano altri ostacoli. O si parte o non tratto più”

Saranno quindi ore decisive per il futuro del nostro Paese e dell’Europa unita che, dopo i recenti fatti della Brexit, non vede di buon occhio la possibilità di un ridimensionamento dei rapporti con l’Italia. Nonostante ciò il presidente francese Macron, dopo una chiamata fatta nelle scorse ore a Conte, ha formulato i suoi migliori auspici per il potenziale nuovo Governo, creando ancora un’altra spaccatura nel contesto europeo.

La palla passa dunque nelle mani del Presidente Mattarella che dovrà dare l’ultima parola sulle proposte di M5S e Lega, consegnando il governo al presidente in pectore Giuseppe Conte, o ribaltando completamente la situazione riportando, quasi sicuramente, gli italiani alle urne.Risultati immagini per mattarella

E in mezzo a questo panorama ancora molto incerto, una cosa rimane – ahi noi! – estremamente chiara:

L’Italia è, e sempre resterà, il Paese dei Balocchi.

Giorgio Muzzupappa

Questo pazzo, pazzo mondo…

Qualche giorno fa, nel pieno dello scalpore mediatico per le presidenziali francesi, un caro amico, al corrente del mio interesse verso tutto ciò che riguarda mente, cervello e dintorni, mi ha segnalato un video, presente su YouTube, in cui amenamente si argomenta di come il neoeletto Macron sia in realtà un pazzo pericoloso: “lo dice uno psichiatra” afferma perentoriamente il titolo stesso del video (ah, il fascino sempreverde dell'”ipse dixit”!).

Il bello è che è tutto vero: o almeno, è vero che lo dice uno psichiatra (di cui non voglio fare il nome), che durante il video argomenta di come vere o presunte violenze sessuali in età giovanile possano avere reso instabile la mente del povero presidente neoeletto. Non ritengo opportuno pronunciarmi sulla validità di questa “diagnosi” per tutta una serie di motivi: intanto perché non sono psichiatra; e secondariamente perché, anche in psichiatria, le diagnosi, quelle vere, si fanno col paziente davanti e non “per interposta persona”, affidandosi a notizie di dubbia provenienza.

Ma è in particolare su questo che il video in questione mi ha fatto riflettere: sul modo in cui, ancora oggi, dare del pazzo a qualcuno, o meglio, affermare che soffre di un qualsiasi tipo di problemi mentali, possa trasformarsi in una pericolosa arma politica volta a screditarne l’immagine. Non è del resto la prima volta che i nostri media ci deliziano con notizie del genere; anzi, pare che ogni volta che succeda qualcosa di politicamente rilevante ci sia sempre qualcuno pronto a dare del pazzo, o del mentalmente instabile, o dello psicopatico, a qualcun altro. Spesso, purtroppo, appoggiandosi alle parole (a volte fraintese o decontestualizzate, ma purtroppo non sempre) di qualche addetto ai lavori, compiacente o meno. Ricordo che qualche mese fa girarono per un po’ sulla rete le dichiarazioni di un noto psichiatra (neanche di lui faccio il nome), indubbiamente ironiche, ma neanche troppo, che arrivavano addirittura a dire che l’Italia intera è un paese di pazzi.

Trovo che ci sia qualcosa (mi si perdoni il termine) di malato, dietro questa tendenza. O meglio, che tradisca un problema di fondo purtroppo terribilmente attuale e che ormai siamo abituati a dare per scontato. Ovviamente si tratta di un understatement, di qualcosa di non scritto: ma dietro questo modo di atteggiarsi, dietro il fatto che notizie del genere trovino una discreta risonanza nei mezzi di comunicazione, e che ci sia gente che trova interesse a diffonderle, c’è la concezione radicata che essere “pazzi”, soffrire di malattie mentali, sia qualcosa di cui bisogni vergognarsi.

Lo stesso termine “pazzo”, che i profani considerano sinonimo di “paziente psichiatrico”, si porta ancora dietro una fortissima valenza dispregiativa; quando in realtà sarebbe doveroso ricordare che, almeno stando all’accezione comune, le due categorie raramente coincidono. Nella mentalità comune, il termine “pazzo” evoca ancora il tizio seminudo che corre per strada urlando, parla da solo,  si crede Napoleone o Gesù Cristo, ha atteggiamenti bizzarri, magari ha allucinazioni o altre dispercezioni; inteso in questo senso, quello che la gente comune chiama pazzo coincide molto grossolanamente con quello che gli psichiatri indicano come paziente psicotico, che comunque rappresenta solo una piccolissima parte delle tantissime manifestazioni cliniche di cui si occupa la psichiatria (e che tra l’altro è una condizione da cui, seppur limitatamente, grazie ai progressi della medicina, oggi si può persino guarire). In senso lato, poi, quella del “pazzo” diventa una categoria ancora più ampia e abusata; è pazzo il “diverso”, colui che non è “normale”. Il punto è che dallo psichiatra va anche chi soffre di depressione, disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo e tanti altri, pazienti che, se doveste incontrare per strada, vi apparirebbero come persone assolutamente “normali” e che ogni giorno lottano contro la loro malattia, un po’ come chi soffre di diabete mellito o chi ha un tumore maligno. Ecco, provate a dare loro dei pazzi…

Mi si dirà: ma perché tutta questa polemica? Che cosa cambia a te se la gente continua a usare questi termini e a ignorare quello che c’è dietro?

A me, personalmente niente. Ma a chi queste condizioni le vive sulla propria pelle, moltissimo. Perché se è vero che tanta gente va dallo psichiatra a farsi curare per queste malattie, ce ne sono anche tantissimi che ne soffrono ma dallo psichiatra non ci vanno: perché non riescono ad accettarlo. Perché hanno paura che li si consideri dei “pazzi”. Perché i loro genitori, la loro famiglia, i loro amici, li dissuadono: “ma no, non c’è bisogno che tu vada dallo psichiatra, non sei pazzo, è solo un brutto momento, passerà”. Capita così che tantissimi pazienti che, nelle opportune condizioni, avrebbero potuto beneficiare di un trattamento precoce, finiscano poi con l’essere riconosciuti come tali, e trattati, solo quando ormai è troppo tardi e c’è poco da fare. E intanto, intorno a noi, si continua impunemente ad alimentare quello che gli specialisti del settore chiamano lo “stigma”, il pregiudizio, la discriminazione. Con buona pace di chi soffre…

Gianpaolo Basile