Francia, un poliziotto ha ucciso un 17enne. Parigi in rivolta

Nahel era un adolescente che lavorava come pizza-boy e giocava a rugby; frequentava un college vicino alla sua residenza, con l’obiettivo di diventare elettricista.

Non è solo un tema statunitense quello che ha portato migliaia di francesi in piazza per contestare le forze dell’ordine, dopo l’uccisione del 17enne di origini nord-africane Nahel M. La tragedia è avvenuta mercoledì mattina verso le 8 e 15, a Nanterre, un sobborgo ad ovest di Parigi. Il giovane è stato colpito da un proiettile all’altezza del cuore, sparato da un poliziotto di 38 anni, durante un controllo mentre era alla guida.

La prima versione fornita dai poliziotti parla di un colpo partito per legittima difesa, visto che Nahel stava per travolgerli con la Mercedes gialla di cui era alla guida. Questa versione è stata smentita da un video circolato molto in questi giorni, nel quale si vedono i due poliziotti impegnati in una discussione apparentemente animata con il 17enne, (visto che uno dei due gli punta un’arma da fuoco da distanza ravvicinata) e dal quale appare palese che i due non fossero nella traiettoria della macchina.

La contestazione per l’omicidio si è tramutata in violenza, in molte città francesi

Ieri pomeriggio a Nanterre si è svolta una marcia pacifica con a capo la madre di Nahel, con l’obiettivo di ottenere giustizia. Tuttavia, questo episodio ha riportato a galla il difficile e conflittuale rapporto che c’è tra le forze dell’ordine francesi e gli abitanti delle periferie, che si sentono segretati dai prosperi centri urbani del Paese. L’avvocato della madre di Nahel, Yassine Bouzrou, ai microfoni della BBC ha denunciato la presenza di un sistema giudiziario e di una legge che protegge i poliziotti e che crea una cultura di impunità. A proposito di questa legge si è pronunciato il vice segretario generale del sindacato di Unsad-police, Thierry Clair, il quale ha sottolineato che sarà un’indagine a stabilire se l’uso dell’arma da fuoco sia stato legittimo o meno:

In alcuni casi, le forze dell’ordine sono legittimate all’uso delle armi. Una scriminante è il principio di proporzionalità tra il pericolo reale e la reazione delle forze dell’ordine. La fattispecie che ha portato all’incidente, ovvero un fermo di un veicolo con il conducente che si rifiuta di collaborare con gli agenti e che parte con il mezzo, rientrerebbe tra le situazioni in cui l’uso delle armi è legittimo.

Nel frattempo, il poliziotto che ha premuto il grilletto è stato accusato di omicidio volontario e posto in detenzione provvisoria nella capitale. La scorsa notte, molte città francesi sono piombate nel caos con un totale di 667 arresti, 307 dei quali si è verificato nella regione di Parigi, dove è avvenuta la tregedia.

L’Onu: la Francia affronti il razzismo nelle forze dell’ordine

Sulla questione si è pronunciata Ravina Shamdasani, portavoce dell’ufficio dell’alto commissario delle nazioni unite per i diritti umani, che durante la regolare conferenza stampa delle Nazioni Unite a Ginevra ha sottolineato l’importanza di questo momento perchè concede l’opportunità di affrontare seriamente il problema del razzismo e della discriminazione razziale tra le forze dell’ordine. Nel frattempo, il Presidente della Repubblica francese Macron ha affermato di essere pronto ad adottare misure di polizia “senza taboo” per contrastare gli attuali disordini civili.

Giuseppe Calì

Francia, approvata la riforma delle pensioni senza il voto del parlamento

La prima ministra della Francia Elisabeth Borne, dopo aver partecipato alla quarta riunione in 24 ore insieme ai ministri del governo e al Presidente della Repubblica francese Macron, ha comunicato all’assemblea nazionale (la più importante dei due rami del parlamento francese) la volontà di voler usufruire del comma 3 art.49 della Costituzione, per forzare l’approvazione della riforma delle pensioni.

L’articolo permette a chi detiene la carica di primo ministro di far approvare un testo di legge in materia finanziaria o di finanziamento al welfare senza passare da una votazione parlamentare, tramite l’approvazione del Consiglio dei ministri.

Una scelta politica molto rischiosa

Proteste nell’assemblea nazionale. Fonte: Il Post / Thomas Padilla

La proposta di legge era passata senza problemi al Senato, dove il governo può contare su una maggioranza più solida, ma il risultato del voto nell’assemblea nazionale si proiettava come molto incerto. Fondamentale sarebbe stato l’appoggio del partito dei Repubblicani (centro-destra), che negli ultimi giorni non si era pronunciato compattamente e che si sarebbe potuto dividere.

Pochi minuti prima di prendere la decisione, Macron ha tenuto colloqui con importanti figure politiche del Parlamento, ma la situazione prospettatagli non dava nessuna garanzia sull’approvazione. Pare che lo stesso Macron avesse descritto, durante il Consiglio dei ministri, come «troppo importanti» i rischi finanziari ed economici nel caso in cui la legge fosse stata respinta.

Con questa mossa di Realpolitik, il Governo mette la sua esistenza nelle mani del Parlamento; nelle 24 ore successive i deputati possono presentare una mozione di sfiducia, che se dovesse ottenere la maggioranza determinerebbe la caduta del governo e il ritiro della legge. In caso contrario, la legge proseguirebbe il suo iter, passando dal Senato e successivamente dall’Assemblea nazionale, dove il governo applicherebbe di nuovo il meccanismo di cui all’articolo 49 della Costituzione.

Ad oggi, è prevista la presentazione di due mozioni di sfiducia, una proveniente dal Rassemblement National di Marine Le Pen e una da sinistra, dalla France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon; tuttavia, la stampa francese è molto scettica sulla possibilità che si arrivi ad una maggioranza in parlamento, visto che il partito dei Repubblicani (il più importante di centro-destra) ha già annunciato che non voterà le mozioni.

La madre di tutte le riforme

La legge in questione ha causato grandi proteste e scioperi all’interno del Paese sin da fine gennaio, per il punto principale che consiste nell’innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni. L’aumento di 2 anni si verificherebbe progressivamente, con un incremento lavorativo di 3 mesi l’anno fino al 2030. Ad oggi, il sistema pensionistico della Francia è molto vantaggioso e in media permette di andare in pensione a 63 anni, ma a preoccupare il governo è la sua tenuta.

Durante i dibattiti tenuti in Parlamento negli ultimi mesi,  lo spettro della bancarotta del Paese è stato costantemente brandito dall’esecutivo, con il ministro delegato ai Conti pubblici Gabriel Attal che ha garantito l’aumento di 500 miliardi di debito aggiuntivo nel caso in cui la riforma non fosse stata approvata.

L’attuale Presidente della Repubblica Emmanuel Macron ha definito la riforma delle pensioni come «la madre di tutte le riforme» e sta tentando di legare la sua eredità politica all’esito di questa legge. Lo stesso presidente della Repubblica si è definito “riformatore” (Francia come start-up nation) con obiettivo di trasformare la nazione per renderla più anglosassone: al centro il lavoro e la produttività, considerati fondamentali per rendere la Francia competitiva a livello globale.

I giovani francesi contro la riforma per preservare il welfare state

Questa visione si scontra con l’importanza quasi identitaria che i francesi danno al welfare state. La società francese dà ontologicamente poco valore alla vita lavorativa. A questa caratteristica si è aggiunto il cambiamento che le nuove generazioni di tutto il mondo stanno portando nel rapporto con il lavoro, che è visto più come un ostacolo al benessere della persona. Giovani che hanno avuto un ruolo molto importante negli scioperi degli ultimi mesi, a sottolineare come lo stato sociale riguardi tutta la popolazione e non sia teatro di scontro generazionale.

Alla necessità di trovare fondi per garantirsi pensioni nel futuro, i giovani francesi propongono come soluzione una più aggressiva tassazione  verso i grandi patrimoni.

Giuseppe Calì

Macron rieletto all’Eliseo: sconfitta nuovamente Marine Le Pen al ballottaggio

Proprio come nel 2017, Emmanuel Macron ha battuto al ballottaggio Marine Le Pen nella corsa per l’Eliseo, tra il plauso dello schieramento contrario alla destra sovranista e dei principali leader alleati occidentali. Rispetto ad allora però lo ha fatto da presidente uscente, in un contesto significativamente differente e dopo una campagna elettorale concretamente iniziata solo dopo il primo turno di due settimane fa. A non essersi ripetuto invece è stato il conclamato trionfo che il leader di En Marche potè allora vantare di avere ottenuto contro l’avversaria, al tempo doppiata nelle preferenze ed ora solamente tenuta ad una debita ma non cospicua distanza (58,5% per Macron e 41,45% per Le Pen).

 

La festa di Macron sotto la Tour Eiffel

“Sono il Presidente di tutti, qui si apre una nuova era”

Ad accompagnare l’annuncio del risultato è stato prima il boato festoso dei sostenitori di Emmanuel Macron e subito dopo l’Inno alla Gioia di Beethoven, sulle cui note il rieletto presidente francese e la moglie Brigitte si sono presentati allo Champ-de-Mars, sotto alla Tour Eiffel. Una scelta, quella del tema musicale, già proposta nel 2017 e che sottolinea il primo punto di contrasto con Marine Le Pen essendo l’inno dell’Europa unita. Presentatosi alla folla ha voluto ringraziare gli elettori ed in particolar modo quelli appartenenti ai diversi schieramenti politici che hanno deciso di puntare su di lui nel corso del secondo turno delle elezioni: “li ringrazio non perché condividono le idee, ma per avere sbarrato la strada all’estrema destra“. “Sarò debitore per questo voto nei prossimi anni e prometto che quelli che seguiranno non saranno il proseguio dei cinque appena conclusi ma una nuova era per tutta la Francia“.

Sostenitori di Macron festeggiano l’esito del ballottaggio, fonte:donnesulweb.it

Toni ovviamente opposti per Marine Le Pen che però, nonostante la delusione, ha etichettato il risultato di domenica come “una forma di speranza”. La seconda sconfitta consecutiva della leader del Rassemblement National è coincisa con il miglior risultato dell’estrema destra francese nella storia della Quinta Repubblica, un dato che certamente avrà un peso specifico di non poco conto nel futuro prossimo della vita politica del paese transalpino.

Una vittoria dell’Europa?

Negli ultimi mesi il presidente francese ha cercato di riempire il vuoto lasciato dall’ex cancelliera tedesca Angela Merkel prendendo le redini delle relazioni internazionali dell’Unione Europea. Proprio per questo una sconfitta di Macron e la conseguente vittoria dell’euroscettica Marine Le Pen avrebbero comportato quasi certamente il punto più basso della storia recente dell’UE e con esso il definitivo declassamento della stessa ad attore di secondo piano sulla scena internazionale. Timori svaniti già con i primi exit poll che hanno evidenziato sin da subito un forte vantaggio del presidente uscente e definitivamente tramontati con la conclusione dello spoglio. Non a caso i principali leader europei, oltre ad essersi complimentati per la vittoria, hanno voluto sottolineare il peso specifico che tale risultato porta con sé. Il primo con cui Macron ha avuto una conversazione telefonica è stato il cancelliere tedesco Olaf Scholz che ha parlato immediatamente di un risultato sinonimo di “un voto di fiducia sull’Europa“, sentimento ripreso anche dal premier spagnolo Pedro Sanchez e da quello portoghese Antonio Costa. Complimenti giunti anche dal Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Quest’ultimo in un tweet ha detto: “In questo periodo tormentato abbiamo bisogno di un’Europa solida e di una Francia impegnata nella maniera più assoluta per una Ue più sovrana e più strategica. Possiamo contare sulla Francia per altri 5 anni”.

 

 

Anche il premier italiano Mario Draghi ha definito la vittoria di Macron come una splendida notizia per tutta l’Europa. “Italia e Francia sono impegnate fianco a fianco, insieme a tutti gli altri partner, per la costruzione di un’Unione Europea più forte, più coesa, più giusta, capace di essere protagonista nel superare le grandi sfide dei nostri tempi, a partire dalla guerra in Ucraina. Al presidente Macron vanno le più sentite congratulazioni del governo italiano e mie personali”. Ad unirsi al coro è stato anche il presidente russo Vladimir Putin, di cui Macron è stato interlocutore privilegiato nel corso delle fasi iniziali della guerra, che ha voluto mandare i propri complimenti: “Vi auguro sinceramente successo nella vostra azione pubblica e anche buona salute e prosperità”.

Una vittoria senza trionfo

Scacciato il rischio dell’estrema destra adesso si deve fare i conti con la realtà dei fatti, una realtà in cui appare chiaro che la Francia non è unita, anzi. Lo stesso Macron nel suo discorso allo Champ-de-Mars ha immediatamente ammesso che “gli anni che verranno non saranno affatto semplici” e che sente il dovere di venire incontro ai sentimenti manifestatisi chiaramente nel corso di queste elezioni. Si è infatti trattato delle elezioni con la più alta percentuale di astensionismo (il 28%) dal 1969, quando gli elettori di sinistra si rifiutarono di presentarsi alle urne in segno di protesta. Un dato frutto della crisi della percezione democratica del sistema e di una sempre più rimarcata frammentazione del panorama politico francese che ha permesso la rielezione di Macron unicamente per impedire la vittoria della Le Pen. Ad oggi accanto allo schieramento del presidente (centro destra) vi sono unicamente i due blocchi di estrema destra (Le Pen) e di estrema sinistra (Mélenchon), uno scenario che, in vista delle elezioni legislative del 12 e 19 giugno, rende concreto il rischio di una cohabitation. Una possibilità che indebolirebbe non poco la posizione della Francia nello scacchiere europeo, essendo che il capo dell’esecutivo sarebbe “ostaggio” di una maggioranza parlamentare di segno diverso dal suo.

 

Filippo Giletto

Elezioni in Francia, i risultati del primo turno: Macron e Le Pen al ballottaggio

Il primo turno delle elezioni presidenziali in Francia si è tenuto nella giornata di ieri, domenica 10 aprile, registrando un’affluenza del 74 per cento, il dato più basso dal 2002. La storia si ripete: il presidente uscente Macron è davanti a Marine Le Pen, leader del partito di estrema destra Rassemblement National, ma come avvenne nel 2017  la corsa all’Eliseo si deciderà al ballottaggio di domenica 24 aprile.

“Potete contare su di me per attuare il nostro programma di apertura e di indipendenza francese ed europea””

Macron, acclamato dai suoi militanti alla Porte de Versailles di Parigi, ha lanciato un appello ai connazionali di ogni colore politico affinché sbarrino la strada all’estrema destra. “Vedo una speranza: la speranza di risollevare il Paese” ha invece dichiarato la sfidante Le Pen che ha invitato “tutti coloro che non hanno votato per Macron” a sostenerla in vista del ballottaggio. “In gioco non c’è un semplice voto di circostanza, ma una scelta di società e direi anche di civiltà”.

I risultati del primo turno

Incetta di voti per il presidente uscente Macron che al primo turno registra il al 28,4% delle preferenze, il 4% in più del 2017, tenendo a labile distanza la sfidante Le Pen con il 23,4%. Tuttavia il ballottaggio in programma tra 15 giorni potrebbe riaprire i giochi: se Macron può contare sull’appoggio di buona parte della destra e della sinistra, secondo gli analisti Marine Le Pen convergerà almeno il 7% dei voti in più rispetto a quelli che prese nella sfida di 5 anni fa. Ancora, secondo uno studio Ipsos Sopra Steria, per Le Parisien Macron sarà riconfermato all’Eliseo con il 54% delle intenzioni di voto.

Diversi i risultati per gli altri candidati: Mélenchon con il 21,9%, ha ottenuto un risultato superiore alle aspettative; risultati deludenti per Zemmour con il 7%; il candidato che prima delle elezioni intendeva soppiantare la presidente del “Rassemblement National” come guida dell’estrema destra, ha pagato le sue affermazioni filorusse delle ultime settimane. La candidata dei Repubblicani Valérie Pécresse ottiene il 4,8% delle preferenze, al di sotto della soglia del 5 per cento che dà diritto al rimborso delle spese elettorali da parte dello stato. La candidata del Partito socialista Anne Hidalgo, sindaca di Parigi, ha raggiunto appena l’1,7 per cento. È il peggior risultato della storia di entrambi i partiti.

Gli appelli in vista del ballottaggio

Dopo i primi dati dalle urne, i candidati esclusi dalla corsa per il ballottaggio hanno lanciato i propri appelli. Mélenchon, Hidalgo e Pecresse hanno dichiarato il proprio sostegno al presidente Macron, invitando il popolo a non destinare alcun voto “all’estrema destra di Marine Le Pen” accusata da Pecresse di essere “vicina a Putin”. Al contrario Zemmour, ha invitato il suo elettorato a destinare i voti a Le Pen: “Ho molti disaccordi con Marine Le Pen, ma davanti a lei c’è un uomo che ha fatto entrare milioni di immigrati e che farà di peggio se sarà rieletto. Invito quindi a votare per Le Pen”.

Scontri a Rennes e Lione

Archiviato il primo turno delle elezioni presidenziali francesi, nella notte sono scoppiati disordini a Rennes e Lione. Circa cinquecento persone si sono radunate per le strade di Rennes dopo l’annuncio del risultato elettorale, intonando slogan anticapitalisti e antifascisti e danneggiando gli arredi cittadini. In una piazza del centro è stato poi appiccato un incendio con materiale preso da cantieri edili. A Lione invece un centinaio di persone ha radunato un corteo diretto al municipio distrettuale, vandalizzando una cabina elettorale e una finestra. Per entrambi i disordini è stato necessario l’intervento dei vigili del fuoco e della polizia.

Il ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, ha commentato i disordini attribuendone la responsabilità alla sinistra radicale.

“Quello che dicono le informazioni è che si tratta dell’estrema sinistra, che non confondo con gli amici di Jean-Luc Mélenchon”.

 

Elidia Trifirò

 

 

Russia-Ucraina: la situazione dopo quasi un mese dall’inizio del conflitto

Nella notte tra il 23 ed il 24 Febbraio le forze russe hanno invaso il territorio Ucraino. Un mese di attacchi aerei, bombardamenti e cruenti battaglie che non accennano a placarsi. Continuano ad essere insufficienti gli sforzi da parte di Zelensky (che di recente ha parlato in video-collegamento con Palazzo Chigi) per risolvere per via diplomatica lo scontro. La guerra, inoltre, sta mettendo in dura crisi l’Occidente sia per ciò che concerne l’economia ma anche (e soprattutto) l’equilibrio politico internazionale. L’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno sin da subito condannato l’operato di Putin ma, se da una parte, uno dei personaggi politici europei rilevanti come il Presidente francese Macron continua a cercare un punto d’incontro con Mosca attraverso dei colloqui diretti ad evitare ulteriori danni, d’altra parte il Presidente statunitense Joe Biden continua a rilasciare dichiarazioni e critiche molto dure nei confronti del Presidente russo Vladimir Putin.

L’accusa di Biden

«Putin valuta l’uso di armi chimiche e biologiche»

Queste le parole del Presidente degli Stati Uniti dopo aver aggiunto che in questo momento la Russia si troverebbe «con le spalle al muro». Mosca ha subito smentito queste affermazioni e tramite un comunicato del Ministero degli Esteri ha convocato l’ambasciatore statunitense John Sullivan. La tensione tra le due parti sembra crescere. Peraltro, il portavoce del Cremlino Dmitrj Peskov, di recente intervistato alla CNN, alla domanda su un possibile attacco nucleare da parte della Russia ha risposto:

«Solo in caso di minaccia all’esistenza della Russia stessa»

Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino. Fonte: ansa.it

Nel suo lungo intervento – documentato dalla giornalista Christiane Amanpour – si è potuto capire quanto l’attacco russo sia stato organizzato nei minimi dettagli. Queste le parole di Peskov:

«L’operazione procede secondo i piani»

Per quel che riguarda la durata ha aggiunto:

«Nessuno pensava che un’operazione militare speciale in Ucraina avrebbe richiesto un paio di giorni»

Tali dichiarazioni, così chiare e dirette, lasciano trasparire un’inquietante sicurezza da parte del governo di Vladimir Putin.

Il numero dei soldati russi caduti durante la guerra

Apparsi e poi spariti dopo pochi minuti, il dato che chiariva il numero dei soldati russi deceduti sul campo di battaglia era stato pubblicato su un tabloid pro-Putin. 9861 sembrerebbero essere i morti e 16153 i feriti. Il giornale, dopo aver cancellato la notizia, ha parlato di attacco hacker. Ingenti le perdite per Mosca, che secondo alcune fonti sarebbe sull’orlo di una crisi sanitaria, con la maggior parte dei posti letto occupati dai feriti di guerra. In alcuni ospedali sono stati sospesi i servizi medici essenziali per la popolazione.

Immagine dal campo di battaglia. Fonte: lanotiziagiornale.it

Problemi al fronte per i soldati russi

«Tutti abbiamo visto i soldati russi che saccheggiavano i supermercati»

Il portavoce del Pentagono John Kirby descrive così la condizione dei militari russi al fronte. Nelle ultime ore, infatti, si parla di come le «forze di Kiev stiano riguadagnando terreno» e probabilmente ciò è dovuto alle numerose difficoltà logistiche che sta affrontando l’esercito di Mosca, tra cui appunto la reperibilità del cibo.

Mariupol: la distruzione della città

L’elevato numero di combattenti russi deceduti testimonia quanto la voglia di arrendersi da parte dell’Ucraina sia veramente poca, ma soprattutto fa prendere atto di come, in situazioni come questa, sia difficile trovare un vinto o un vincitore ma solamente distruzione e morte su entrambi i fronti. Basti pensare alla città di Mariupol, continuamente presa di mira dall’esercito russo che ha iniziato a bombardarla quasi ininterrottamente. Un comune che – secondo i dati – prima dell’attacco contava ben 480.000 abitanti, adesso – secondo la BBC – vede il numero di persone scendere a circa 300.000. Le condizioni di vita dei cittadini rimasti sono disperate, privati dei beni di prima necessità, costretti a vivere senza acqua corrente né riscaldamento. Mettendo a confronto le immagini risalenti a più di un mese fa – prima dell’inizio del conflitto armato – con quelle attuali si fatica a trovare somiglianze. Il sindaco Vadym Boychenko ha affermato che ormai ben l’80% degli edifici della città sarebbe andato distrutto. In seguito, ha definito la sua città come una «nuova Hiroshima», ennesimo paragone con scenari bellici che credevamo ormai essere di esclusiva pertinenza storica e che invece, purtroppo, non sembrano più lontani nel tempo, bensì quanto mai attuali.

Immagini dal satellite: Mariupol prima e dopo i bombardamenti. Fonte: fanpage.it

Francesco Pullella

 

Crisi Ucraina: continua la tensione nel Donbass. Nella notte, colloquio Macron-Putin

La crisi che oppone il Cremlino all’occidente sembra propendere sempre più verso lo scoppio della guerra. Nonostante gli sforzi diplomatici di Macron nelle vesti di paciere, gli Usa lasciano intendere che l’invasione dell’Ucraina non sia più imminente, ma praticamente già avviata. Tuttavia, una luce fioca alla fine del tunnel lascia aperto lo spiraglio della risoluzione diplomatica della crisi che da settimane tiene il mondo con il fiato sospeso.

Gli sforzi di Macron 

Gli sforzi dell’inquilino dell’Eliseo sembrano generare i primi frutti: dopo due telefonate al presidente Putin, l’ultima nella notte appena trascorsa, quest’ultimo sembra aver accettato di partecipare ad un vertice con Joe Biden. Per il momento, nulla è ancora, però, deciso, i due presidenti hanno “accettato il principio” di incontrarsi in un summit.

Tuttavia, nelle scorse ore, il Cremlino ha definito prematura l’organizzazione di un vertice Biden-Putin sull’Ucraina, pur lasciando aperta la possibilità di un incontro tra i leader qualora lo “riterranno opportuno“. Al momento, vi è chiara comprensione sulla necessità di continuare il “dialogo a livello di ministri”. Macron ha, però, sottolineato che il verticesi potrà tenere solo se la Russia non invaderà l’Ucraina“.

Per la preparazione bisognerà attendere questo giovedì, giorno in cui è in programma l’incontro tra il segretario di Stato degli Stati Uniti, Antony Blinken, e il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov. La priorità per la Francia è ristabilire il cessate il fuoco nell’Ucraina orientale, teatro di un conflitto tra l’esercito ucraino e le milizie filorusse.

“Ogni giorno che passa senza guerra è un giorno guadagnato per la pace”

Civili ucraini durante un addestramento militare in una foresta di Kiev (foto Getty, fonte: fanpage.it)

La tensione nel Donbass 

La situazione nella regione del Donbass, controllata dai separatisti filorussi, “è estremamente tesa” e “non c’è alcun segnale di allentamento di queste tensioni“, ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov.

I separatisti accusano le forze di Kiev di avere ucciso due civili, i primi dalla ripresa dei combattimenti nella regione. I civili, secondo le fonti dei ribelli, sarebbero morti in un bombardamento di artiglieria nel villaggio di Pionerskoye, nell’autoproclamata Repubblica di Lugansk, a sette chilometri dal confine russo.

Civili di Donetsk, nel Donbass, diretti nella regione russa di Rostov

Ogni incidente come questo rischia di portare a “conseguenze irreparabili“, continua il portavoce del Cremlino Peskov. Come riporta Repubblica, continuano le evacuazioni nel Donbass. Al momento, circa 61.000 tra donne, anziani e bambini provenienti dall’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, sono arrivati in treno nella città sud-occidentale di Voronezh, in Russia.

La profezia di Boris Johnson 

Il primo ministro britannico Boris Johnson, al momento al centro del party-gate durante il primo lockdown, come riporta la Bbc, in merito alla crisi Ucraina-Russia si è espresso con una profezia catastrofica:

“Il piano della Russia di invadere l’Ucraina porterebbe al più grande conflitto in Europa dalla seconda guerra mondiale.”

Secondo il primo ministro, le prove suggeriscono che “il piano è già iniziato“, ha dichiarato Johnson ai margini della Conferenza sulla sicurezza a Monaco. Basandosi sui dati fornisti dagli 007 britannici e statunitensi, secondo il Premier inglese, Putin addirittura avrebbe già dato il via libera al piano di invasione dell’Ucraina da mettere in atto a un suo ordine. Sempre secondo Johnson, le truppe russe, oltre a entrare in Ucraina da est, attraverso il Donbass, avrebbero pianificato un’invasione attraverso l’alleata Bielorussia e la parte centrale del Paese, con l’obiettivo di arrivare persino alla capitale Kiev.

La lista

Gli Usa sostengono che la Russia abbia una “lista neracontenente l’elenco di persone da uccidere o deportare in caso di invasione dell’Ucraina. L’agenzia stampa Afp sostiene che gli Stati Uniti siano sinceramente preoccupati della conseguenza catastrofica “per i diritti umani che si verificherebbe in caso di attacco all’Ucraina“. Washington sostiene di avere informazioni affidabili, che indicano che le forze russe stanno stilando liste di ucraini da assassinare o inviare in campi dopo un’occupazione militare, ma il Cremlino tramite il proprio portavoce ha definito l’ accusa “menzogna assoluta“.

 

 

Elidia Trifirò 

Ucraina: NATO e USA stringono ancora, ma i negoziati continuano. La Russia accusa l’Occidente

Lunedì la NATO ha dichiarato di aver stanziato nuove truppe, navi e caccia da combattimento sui territori dell’Europa dell’Est per intensificarne la difesa, mentre gli Stati Uniti – lo afferma il portavoce del Pentagono, John Kirby – hanno messo in stato d’allerta 8,500 soldati in vista di un eventuale attacco russo.

Giorni prima, il Presidente Biden aveva disposto il ritiro del personale diplomatico non essenziale dall’ambasciata americana in Ucraina, seguito a ruota da una medesima decisione proveniente dal Regno Unito. La Gran Bretagna sostiene convintamente che la Russia voglia instaurare in Ucraina un presidente filo-russo, nonostante non siano state addotte prove a sostegno dell’accusa.

Tuttavia, anche l’Ucraina ed i rappresentanti UE hanno ritenuto il ritiro del personale diplomatico di USA e UK una mossa avventata e prematura, affermando tra l’altro che «non c’è motivo di drammatizzare la situazione mentre i colloqui con la Russia sono ancora in corso».

Il Cremlino non ha tardato a ribattere, bollando questa ulteriore stretta degli Alleati come «un’isteria dell’Occidente ed una diffusione di bugie». Infatti, Mosca ha più volte smentito di avere intenzioni belligeranti, nonostante la tensione ad Est si sia intensificata a seguito del dispiegamento di 100,000 soldati russi sui confini dell’Ucraina alcuni mesi fa.

Quali sono le reali intenzioni della Russia?

Si tratta della domanda a cui gli analisti provano a rispondere ormai da tempo, ma il comportamento imprevedibile di Mosca rende la questione molto complicata. E tuttavia, atteggiamenti del genere presentano alcuni fondamentali precedenti localizzabili nella regione del Donbass, ove nel 2014 alcuni manifestanti armati si sono impadroniti di alcuni palazzi governativi e definiti dal governo Ucraino come terroristi finanziati da Mosca. Non è nuovo che la Russia intervenga sempre nei disordini sociali dell’Europa orientale e, quasi sempre, a favore delle forze separatiste (come nel caso della Crimea, risalente allo stesso periodo).

(fonte: globalriskinsights.com)

Il perché è variabile: da un lato, garantire un margine di influenza sui paesi ex-sovietici; dall’altro, impedire l’espansione della NATO ad Est. Secondo un articolo di Valigia Blu, la Russia proverebbe un senso di tradimento nei confronti degli Stati Uniti a seguito del mancato rispetto della promessa – risalente alla fine della Guerra Fredda – di non espandere l’influenza della NATO ad Est. I fatti hanno rivelato il contrario: nel ’97 arriva il Vertice di Madrid, ove l’allora presidente Clinton ha invitato vari paesi ex sovietici (tra cui l’Ucraina) ad annettersi al Patto Atlantico.

L’articolo continua nel sostenere la tesi che il Cremlino stia mettendo in atto un esempio di “diplomazia coercitiva“, servendosi della pressione militare per costringere gli Stati Uniti al dialogo. Finora, i tentativi diplomatici tenuti a Ginevra non avrebbero dato risultati concreti per via della difficoltà di incontrare i requisiti minimi proposti da entrambe le fazioni.

  • La Russia spinge per il ritiro della NATO dagli Stati che vi hanno aderito post-’97 (tutti Stati ex sovietici) ed, in generale, dal panorama dell’Europa orientale;
  • la NATO chiede che la Russia ritiri le truppe stanziate dal dicembre scorso al confine con l’Ucraina.

Dai recenti incontri non è emerso che alcuno degli schieramenti intenda accettare le condizioni dell’altro.

La polveriera ucraina

Intanto, i consiglieri politici di Russia, Ucraina, Francia e Germania si incontreranno mercoledì a Parigi per parlare del conflitto in Ucraina orientale che, dal 2014, ha mietuto almeno 15,000 vittime. I negoziati di pace sul Donbass hanno ricevuto ormai da tempo una battuta di arresto, laddove nelle elezioni del 2019 erano state uno dei punti programmatici primari del presidente Zelensky. Lo stesso candidato aveva ricevuto un riscontro positivo da Mosca – prima di cambiare totalmente i piani in seguito ad un calo di consensi e porsi in contrasto con la Russia di Putin, invocando l’entrata dell’Ucraina nel Patto Atlantico.

Nonostante sia ben possibile (ma per niente scontato) che tra le intenzioni russe non ci sia quella di invadere l’Ucraina, rimane di fatto una continua escalation di tensioni tra blocchi (ormai è lecito affermarlo) che potrebbero, in concreto, condurre allo scoppio di un conflitto.

(fonte: ispionline.it)

Se ciò avvenisse, si tratterebbe di uno scenario altamente frammentario, ove è divenuta ormai palese l’esistenza di contrasti interni alla stessa NATO (a seguito delle discusse affermazioni di Biden e Macron) – così come di una divisione interna all’Unione Europea, con la Francia che spinge per un sistema di sicurezza comune, Borrell e Germania che non intendono sporcarsi le mani (principalmente perché la Russia è il primo fornitore energetico del nostro continente) e la presidente Von Der Leyen che ha appena approvato un nuovo pacchetto di aiuti finanziari all’Ucraina da 1,2 miliardi di euro.

Senza dimenticare, poi, il ritardo e l’inefficacia degli interventi sanzionatori della NATO e dell’UE già all’alba dell’annessione russa della Crimea.

Valeria Bonaccorso

 

Vertice tra Blinken e Lavrov. Diplomazia a lavoro per scongiurare nuova invasione in Ucraina.

Il vertice tra il Segretario degli Stati Uniti Antony Blinken e il Ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov ha aperto la stagione del dialogo volta a far fronte alle criticità attorno al possibile attacco di Mosca in Ucraina.

Mappa degli spostamenti delle truppe russe -Fonte:limesonline.com

L’incontro tenutosi a Ginevra venerdì 21 gennaio, ha provato a disinnescare la minaccia di un nuovo conflitto in Ucraina. La discussione è stata “franca e corposa”, con il Paese a stelle e strisce che ha più volte richiesto le prove che scongiurerebbero un devastante conflitto in Europa.

La possibile invasione della Russia

L’ipotesi di una possibile invasione russa si è fatta da diverse settimane sempre più concreta. Ciò a causa del posizionamento di migliaia di soldati russi al confine con l’Ucraina Orientale. L’ammassamento, iniziato lo scorso novembre, è stato definito a più riprese una seria minaccia alla realizzazione del cosiddetto allargamento a est” della NATO, un piano formulato nel luglio ’97 durante il vertice di Madrid.

Il possibile attacco della Russia -Fonte:blogsicilia.it

L’allora Presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, e i rappresentanti dei governi dei sedici membri decisero all’unanimità di invitare ad aderire alla NATO tre Paesi ex satelliti della vecchia Unione Sovietica e tra questi anche l’Ucraina. La decisione nacque per:

  • prevenire eventuali conflitti in Europa, limitando tensioni e focolai;
  • aumentare le truppe NATO di circa 200 mila unità, dando avvio ad un’alleanza più forte che costituirebbe un deterrente in più nei confronti di eventuali volontà di aggressioni armate ai Paesi membri;
  • garantire maggiore democrazia nei nuovi Stati aderenti. L’ingresso alla NATO impedirebbe dunque il ritorno a regimi autoritari e il tramonto del mondo diviso in due blocchi.

L’obiettivo di costruire equilibri nuovi e più duraturi ha destato preoccupazioni per una possibile operazione militare russa volta ad ostacolarlo.

Gli attacchi della Russia contro l’Ucraina

Attacco a Donbass -Fonte:contropiano.org

Gli attacchi da parte di Putin all’Ucraina non sono inaspettati, anzi negli ultimi 15 anni Mosca ha mostrato in diverse occasioni di essere pronta ad usare la forza per garantire la propria influenza sui Paesi vicini. Tra gli avvenimenti più eclatanti:

  • l’intervento della Russia nel 2008 volto a ricacciare le truppe georgiane che invasero l’Ossezia del Sud, regione autonoma del suo territorio che confina a nord con la Russia e che da tempo rivendicava il riconoscimento della sua indipendenza. L’esercito della Federazione Russa rispose con un intervento militare rapidissimo e in una settimana sconfisse le truppe georgiane respingendole fino quasi alle porte della capitale Tbilisi. Gli accordi firmati dopo la fine della battaglia il 15 agosto 2008, impegnavano la Georgia a rinunciare all’uso della forza contro l’Ossezia e l’Abcasia e la Russia a ritirarsi dal territorio georgiano. Subito dopo la firma, questa proclamò unilateralmente una zona cuscinetto attorno alle due repubbliche e il ritiro delle sue truppe non fu mai completato, facendo rimanere i rapporti tra i due Paesi particolarmente tesi;
  • la guerra dell’Ucraina orientale guerra del Donbass, inizialmente indicata come rivolta dell’Ucraina orientale. Conflitto iniziato il 6 aprile 2014 quando alcuni manifestanti armati si sono impadroniti di alcuni palazzi governativi e definiti dal governo Ucraino come terroristi finanziati da Mosca.

L’incontro delle potenze a Ginevra

Nonostante il punto di svolta non sia ancora trovato il filo del dialogo è rimasto aperto. Gli Stati Uniti stanno cercando una soluzione diplomatica sull’Ucraina, affermando una “risposta rapida e forte” nel caso di invasione Russa.

Le posizioni prese dai due governi sono molto distanti e le reciproche proposte risultano irricevibili da ambe due le parti. Se la Russia richiede che la NATO ritiri le proprie truppe da Bulgaria, Romania e dalle altre repubbliche ex sovietiche, gli Stati Uniti chiedono il ritiro delle decine di migliaia di militari russi ammassati al confine orientale ucraino.

L’incontro tra Blinken e Lavrov – Fonte:ilfoglio.it

L’invio di nuovi armamenti in Bielorussia (alleata della Russia) ha visto subito una controffensiva degli Stati Uniti che hanno già autorizzato Paesi come Estonia, Lettonia e Lituania a trasferire i missili anti-aerei Stinger alle forze ucraine. Ciò ha innescato inevitabilmente non solo la consegna di missili anti-carro Javelin dal Regno Unito alla Nazione come deterrente nei confronti della Russia, ma ha richiamato l’attenzione del Presidente francese Emmanuel Macron, il quale ha dichiarato di essere pronto a mandare i suoi soldati in Romania, se la NATO decidesse di rafforzare la sua presenza nel Paese.

Sebbene gli analisti stiano provando a comprendere le possibili future mosse del Cremlino, l’unica certezza consolidata è il terrore della Russia di perdere la propria sicurezza nazionale attraverso l’allargamento ad est della NATO. È quindi sulla fondamentale importanza data all’Ucraina che si imperna l’obiettivo russo. Lo si legge nell’analisi di un articolo pubblicato lo scorso luglio, che rivela proprio la volontà del presidente Putin di ostacolare l’espansione dell’organizzazione per ricreare un’unità tra russi e ucraini.

Le dichiarazioni di Joe Biden e l’intervento di Emmanuel Macron

Durante la conferenza stampa tenutasi mercoledì 20 gennaio alla Casa Bianca, il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden ha candidamente esposto che le posizioni su come agire ad un presunto attacco russo non sono affatto comuni all’interno dell’organizzazione.

La cupa constatazione ha destato dunque preoccupazioni, ponendo l’accento sulle divisioni interne alla NATO e sull’estensione e gravità che potrebbe avere l’intervento militare russo in Ucraina.

Bisognerebbe dunque valutare, nel caso di un attacco limitato, come dover agire senza destare ulteriori scontri interni su “cosa fare e non fare”. A seguito di tali dichiarazioni molti hanno letto tra le righe un “via libera” dato dal Presidente degli Stati Uniti all’aggressione russa.

Ucraina, Biden -Fonte:lastampa.it

A porre rimedio alla pessima uscita di Joe Biden è stato con un discorso di fronte al Parlamento Europeo Emmanuel Macron. Questi sostiene la necessità per l’Europa di costruire un sistema di sicurezza proprio, da condividere successivamente con gli alleati, in modo da garantire una risposta ferma e immediata all’aggressività di Mosca. Una risposta di questo tipo è innegabile che non vi sia mai stata finora e troppo spesso il Cremlino ha agito conscio dell’assenza del rischio di possibili ritorsioni.

 

Giovanna Sgarlata

Roberta Metsola è il nuovo presidente del Parlamento europeo, il primo di nazionalità maltese. Dopo l’elezione, la polemica

La terza donna presidente, nella storia, scelta per la guida del Parlamento Europeo e la prima persona di nazionalità maltese: parliamo di Roberta Metsola, esponente dei Popolari (Ppe), è lei il successore dell’ex presidente europeo David Sassoli, scomparso pochi giorni fa dopo una lunga malattia. Eletta con 113 voti in più rispetto al suo predecessore, per di più nel giorno del suo quarantatreesimo compleanno, il 18 gennaio scorso, risulta essere anche il più giovane presidente donna dell’Assemblea di Strasburgo.

Roberta Metsola è la più giovane tra i presidenti della storia del Parlamento Ue (fonte: leggo.it)

L’elezione a Strasburgo è il coronamento di una carriera brillante

Le altre candidate erano la svedese Alice Kuhnke, per i Verdi, e la spagnola Sira Rego, per La Sinistra, che hanno ottenuto rispettivamente 101 e 57 sì. Ben 458 voti, invece, quelli a favore, su un totale di 617, per l’eurodeputata maltese Metsola. La sua elezione è stata improvvisa e necessaria per la scomparsa di Sassoli. In onore di quest’ultimo ha riservato il suo primo intervento appena dopo l’ottenimento della carica, durante la plenaria del 18 gennaio, pronunciando un discorso di commiato proprio in italiano:

“La prima cosa che vorrei fare, come Presidente, è raccogliere l’eredità che ci ha lasciato David Sassoli. Lui era un combattente per l’Europa. Credeva nel potere dell’Europa. Grazie David! Voglio che le persone recuperino un senso di fede ed entusiasmo nei confronti del nostro progetto. Credo in uno spazio condiviso più giusto, equo e solidale.”.

La politica è parte fondamentale dell’intera quotidianità della neopresidente: ironia della sorte, il marito, Ukko Metsola, è anche lui politico, europarlamentare (finlandese), con il quale ha avuto quattro figli. Una carriera, quella di Roberta Metsola, costellata da importanti traguardi, di cui quest’ultimo mandato europeo costituisce un coronamento. Ha mosso i suoi primi passi divenendo membro della formazione giovanile del Partito Nazionalista (Moviment Zgħazagħ Partit Nazzjonalista) e dell’European Democrat Students, per cui è stata anche segretario generale. Un’importante conferma del suo grande talento arrivò già il 12 novembre del 2020, quando, a soli 41 anni, divenne la prima vicepresidente vicaria del Parlamento Europeo.

 

Il discorso da neo presidente

Appena eletta, la Metsola, di fronte all’Assemblea ha tenuto un discorso con il quale ha toccato tematiche attualissime in Europa, come quella dell’antieuropeismo e della disinformazione, combattute tenacemente, come lei stessa ha ricordato, da Sassoli:

“Dobbiamo controbattere la narrativa antieuropeista che si diffonde così rapidamente. – ha dichiarato sempre in italiano – La disinformazione che si è diffusa durante la pandemia ha alimentato il nazionalismo, l’autoritarismo, il protezionismo. Sono illusioni false che non offrono soluzioni, perché l’Europa è esattamente l’opposto di questo.”.

 

(fonte: quifinanza.it)

Poi l’accento su clima e transizione energetica. Ha sottolineato l’importanza del “green deal”, del lottare uniti contro i cambiamenti climatici, anche sostenendo l’economia.

Ha parlato di immigrazione, dicendosi fiduciosa verso l’ipotesi di trovare, all’interno del Parlamento, entro i prossimi due anni e mezzo, un accordo, una maggioranza, trovata in realtà cinque anni fa, ma poi bloccata. Riguardo la proposta di alcuni Paesi membro dell’Ue, che chiedono di finanziare la costruzione di muri ai confini, la Metsola si è dichiarata contraria, pur riconoscendo che alcuni Stati vivono situazioni difficili e che per questo vanno comunque aiutati:

«Per me la protezione della vita viene prima di tutto. Non possiamo avere una politica di migrazione che non dà valore alla vita, ma nemmeno lasciare soli ad affrontare una sfida enorme i Paesi di frontiera. Gli altri Stati non possono abbandonarli, pensando che non sia anche un problema loro. – ha detto – Ci sono molti strumenti, ma non dobbiamo mai dimenticare che si tratta di esseri umani.».

Così, ha parlato anche delle Ong che intervengono nel Mediterraneo per salvare i migranti in pericolo e della necessità di trovare una soluzione al più presto, magari aprendo un dialogo approfondito con i Paesi di partenza, di transito e di arrivo dei flussi di immigrazione, per impedire che le partenze per l’Europa siano viaggi in cui le persone rischino la vita. Non più.

 

La polemica

Subito dopo l’elezione, sono arrivati i primi commenti dal mondo della politica, si è accesa inoltre la polemica, in particolare su certe dichiarazioni della Metsola in merito al diritto all’aborto. Dopo le vicende che hanno scosso l’Europa, in particolare, la Polonia, la presidente sembra voler cambiare linea, più precisamente, farsi portavoce del pensiero della maggioranza del Parlamento europeo, dichiarando che fino ad oggi si era schierata come sostenitrice delle posizioni antiabortiste perché largamente diffuse nel suo Paese, Malta, dove l’aborto è illegale:

«Da eurodeputata maltese, ho difeso una posizione nazionale. Ora che sono presidente del Parlamento europeo non voterò più su questo tema e difenderò all’esterno la posizione dell’istituzione da me guidata.».

Dunque, a Malta, la questione è più intricata di quanto sembri:

«C’è un protocollo – ha rivelato la Metsola – che noi tutti eurodeputati maltesi siamo costretti a seguire. Non bisogna votare provvedimenti che possano portare a un dibattito sull’aborto a Malta. Perché un dibattito su questo tema deve rimanere a livello nazionale. Ma adesso ho una responsabilità e per mantenere l’oggettività non voterò più su questi rapporti e su queste risoluzioni. Voglio difendere l’uguaglianza tra i sessi. E lo farò sempre e ovunque». Queste, dunque, le intenzioni del nuovo presidente.

Il presidente francese Emmanuel Macron, in merito a queste dichiarazioni, durante la plenaria ha suggerito, probabilmente riferendosi direttamente all’appena eletta presidente, di inserire nella Carta dei Diritti fondamentali europea il diritto all’aborto e la protezione ambientale: «A 20 anni dalla proclamazione della Carta, vorrei che fosse aggiornata con un riferimento esplicito all’ambiente e al riconoscimento del diritto all’aborto.».

I due sono stati insieme protagonisti di un’altra polemica, scoppiata in occasione della presentazione del semestre francese di presidenza Ue. Dopo aver letto un discorso durato due minuti e mezzo, il capo dell’Eliseo ha alzato i tacchi e ha abbandonato la sede francese del Parlamento europeo. Presente appunto anche la neo eletta Metsola, che ha seguito Macron. Diversi giornalisti hanno abbandonato in segno di protesta la sala stampa del Parlamento europeo di Strasburgo. La reazione a caldo della Federazione internazionale dei giornalisti è stata:

(fonte: europa.today.it)

“Non puoi dire che ti interessa la libertà dei media e poi non rispondere alle domande dei giornalisti alle conferenze stampa”

Ora tre donne guidano l’Europa

Con la nomina della maltese, sono diventate tre le donne che guidano le principali istituzioni comunitarie: oltre Metsola, Lagarde e Von der Leyen.

(fonte: parismatch.com)

Che sia stata eletta una donna per una carica tanto importante per la vita di milioni di persone, è sicuramente un dato positivo, una voce femminile in più. Però, ogni donna è diversa dalle altre e come ogni persona, indipendentemente dal genere, ha pregi e difetti e opinioni personali anche non rappresentative di tutto una categoria, se di categorie si può parlare.

Il presidente Metsola è una figura complessa come la complessa politica maltese, per la quale è una “nazionalista”, mentre lei si definisce democristiana. La sua ideologia sembra, in effetti, quelle di una persona di sinistra, anche alla luce delle ultime dichiarazioni. Le sue opinioni personali contrarie all’aborto rispecchiano, dunque, una mentalità ancora molto diffusa a Malta, ma l’impegno a rispettare la posizione del Parlamento europeo su ciò, come anche su altri temi, sembra molto concreto.

Almeno per ora, sembra che vi sia la volontà di continuare una missione che anche Sassoli aveva promesso di portare a termine, in nome di un’Europa più proiettata verso libertà, sicurezza e uguaglianza.

 

Rita Bonaccurso

 

In Francia è boom di prenotazioni per il vaccino dopo l’annuncio delle restrizioni per i non vaccinati: quasi un milione in poche ore

In Francia è subito corsa al vaccino: dopo il discorso in diretta tv, a reti unificate di Macron, quasi un milione di persone ha prenotato un appuntamento per vaccinarsi contro il coronavirus, nella notte fra lunedì e martedì.

Fonte: Il Messaggero

Nel messaggio di lunedì sera, rivolto alla nazione, il presidente francese ha infatti annunciato nuove restrizioni ai movimenti che riguarderanno soprattutto le persone non vaccinate, estendendo, a partire dal 21 luglio il green pass per accedere a luoghi pubblici, come ristoranti, centri commerciali, caffè e trasporti, e introducendo l’obbligo vaccinale per il personale sanitario. La decisione della Francia ha fatto nascere un dibattito sul tema in diversi Paesi, tra cui l’Italia e la Germania.

Green Pass e obbligo vaccinale

Da mercoledì 21 luglio, l’ingresso in diversi luoghi pubblici e privati come bar, musei, ristoranti e centri commerciali, sarà consentito esclusivamente a coloro che possiedono un certificato ‘’COVID-19’’, vale a dire a tutte quelle persone che saranno completamente vaccinate o risultate negative al virus tramite tampone antigenico o molecolare.
Macron ha spiegato che le misure restrittive si sono rese necessarie in seguito alla progressiva diffusione della variante Delta nel Paese:

“Al momento in cui vi parlo”, c’è una “forte ripresa” dell’epidemia legata al coronavirus che riguarda “tutte le nostre regioni”, ha spiegato il capo dell’Eliseo nel tanto atteso annuncio nazionale. ‘’Quando la scienza ci offre i mezzi per proteggerci, dobbiamo usarli con fiducia nella ragione e nel progresso’’, ha continuato, ‘’dobbiamo muoverci verso la vaccinazione di tutti i francesi, perché è l’unico modo per tornare alla vita normale’’.

Il discorso di Macron in diretta. Fonte: ANSA.it

La linea della Francia risulta essere molto chiara anche in merito al personale sanitario: il ministro della Salute francese, Olivier Véran, ha spiegato che chi non si sarà completamente vaccinato entro il 15 settembre non potrà più lavorare né verrà pagato. “Non è un ricatto”, ma una misura necessaria per evitare di “chiudere il Paese”, ha detto il ministro a Bfm-Tv.

La Francia è scettica sulle vaccinazioni

Nonostante l’indiscusso pericolo della sua contagiosità, la variante Delta non è l’unica ragione che motiverebbe la mossa di Macron, dal momento che quest’ultima ben si coniugherebbe con il basso tasso di persone vaccinate, inferiore a molti altri Paesi. La Francia sarebbe infatti considerata uno dei Paesi più scettici al mondo circa l’efficacia dei vaccini.

Una stima del ministero della Salute citata dal quotidiano francese Le Monde indica che al momento sono stati completamente vaccinati 27,3 milioni di francesi, quindi circa il 40% della popolazione complessiva; mentre il 53% ha ricevuto una singola dose del vaccino.
Dati decisamente migliori rispetto a quelli francesi sono riscontrabili in Germania, Spagna, Belgio ed anche in Italia, dove ad essere state completamente vaccinate sono il 45,01% delle persone e circa il 60% ad aver ricevuto almeno una dose.

Il boom di prenotazioni su Doctolib

Nonostante il forte scetticismo, il cosiddetto ‘’effetto Macron’’ ha sortito gli effetti sperati: dopo l’annuncio del presidente sono state registrate circa 20mila prenotazioni al minuto, tanto che Doctolib, la principale piattaforma per la prenotazione degli appuntamenti in autonomia, è andata ad un certo punto offline.

È stato il giorno in cui la Francia ha toccato il record assoluto di richieste di vaccinazioni dall’inizio della campagna, con un totale di 926 mila persone che si sono prenotate in quelle ore per il vaccino anti-Covid, di cui il 65% sotto i 35 anni, giovani che hanno positivamente accolto l’appello presidenziale con il timore di essere tagliati fuori dalla vita sociale.

La curva delle prenotazioni dei vaccini in Francia. Fonte: Huffpost

Secondo il capo di Doctolib, il numero di appuntamenti presi l’altro ieri sono:

“il doppio della giornata record dell′11 maggio e 5 volte in più rispetto a lunedì scorso. Abbiamo registrato sette milioni di connessioni in qualche minuto durante il discorso del presidente”. Il trend “proseguito durante la notte e che continua stamani. Ci sono ancora 100.000 appuntamenti disponibili questa mattina, in particolare, in alcuni grandi centri” della Francia. Per lui, “si crescerà presto a quattro, cinque milioni di iniezioni a settimana”. “In media – ha concluso – ci sono undici giorni tra la prenotazione e l’appuntamento, in questo modo, i francesi che hanno preso appuntamento ieri saranno integralmente vaccinati entro metà agosto o fine agosto”.

Le posizioni di Ue e Germania

Anche l’Ue è intervenuta sul tema obbligo vaccinale, la quale ha ribadito tramite portavoce:

le campagne vaccinali sono competenze nazionali, quindi se siano obbligatorie o meno è una decisione che spetta agli Stati membri”, ricordando in ogni caso l’importanza della vaccinazione come “via d’uscita dalla pandemia” e l’obiettivo dell’immunizzazione del “70% degli adulti”.

Per quel che riguarda invece la Germania, la cancelliera Angela Merkel ha ribadito di non stare programmando la resa obbligatoria della vaccinazione anti-Covid:

Non abbiamo intenzione di procedere sulla strada proposta dalla Francia. Abbiamo detto che non ci sarà un obbligo di vaccino”. La cancelliera ha poi però sottolineato che esiste la possibilità che vi siano nuove mutazioni anche più pericolose, ”già contro la variante Delta l’efficacia dei vaccini è un po’ più bassa”. Bisogna ”continuare a osservare la situazione” anche a livello globale – ha concluso- ricordando che ”finora le varianti sono arrivate in Germania da altri Paesi del mondo”.

Il ”modello Macron”: si accende il dibattito anche in Italia

Le strette francesi contro la variante hanno fatto accendere un dibattito tra favorevoli e contrari anche in Italia. Il modello Macron piace al commissario straordinario per l’emergenza coronavirus, generale Francesco Paolo Figliuolo, mentre incontra la forte opposizione del leader leghista Matteo Salvini.

Concordo con Macron sul fatto che la vaccinazione è una delle chiavi per il ritorno alla normalità. Per convincere gli ultimi irriducibili utilizzare il green pass per questo tipo di eventi potrebbe essere una buona soluzione. Potrebbe essere anche una spinta per la vaccinazione”, ha spiegato Figliuolo lunedì al Tg2 Post su RaiDue.

Il generale Figliuolo. Fonte: YouTG.NET

Continua poi dicendo:

“Dobbiamo raggiungere l’80% della popolazione vaccinata per la fine di settembre”, sottolineando “una serie di iniziative, pensiamo alle notte magiche, agli open day, open night, per avere vaccino senza prenotazioni”. “Siamo a 58 milioni di inoculazioni, intorno al 45% della popolazione – ha evidenziato – lo ritengo un dato importante, chiaramente non basta. Dobbiamo intercettare i cosiddetti indecisi, a livello europeo li chiamano esitanti“.

Gaia Cautela