Barbara Floridia eletta presidente della commissione di Vigilanza Rai

Dopo 6 mesi dall’inizio della legislatura, si è sbloccato il nodo politico relativo alle nomine di vertice per la commissione di Vigilanza Rai. Ad ottenere la maggioranza dei voti è stata Barbara Floridia del M5S (Movimento 5 stelle), superando il competitor di partito Riccardo Ricciardi.

Floridia ha ricevuto 39 preferenze su 42. C’è stata poi una scheda bianca, una nulla ed una per Maria Elena Boschi del Terzo polo. Per la prassi la guida della commissione di Vigilanza va all’opposizione. Dopo l’ottenimento del COPASIR  (organo del Parlamento Italiano, che esercita il controllo parlamentare sull’operato dei servizi segreti italiani) da parte del PD, il M5s ne aveva rivendicato il controllo insieme al Terzo Polo, che fino all’ultimo aveva tentato un colpo di mano per la presidenza.

Le altre cariche di vertice, ovvero le vicepresidenze, sono state affidate a Maria Elena Boschi (Terzo polo) con 19 preferenze e Augusta Montaruli con 16 (Fratelli d’Italia). La quale si era dimessa a febbraio dalla carica di sottosegretaria al ministero dell’Università, dopo la condanna definitiva per peculato per la spesa da consigliera regionale del Piemonte. I segretari sono Stefano Candiani (Lega) e Ouidad Bakkali (PD).

Queste le parole, su Twitter, della neo-vicepresidente Maria Elena Boschi, subito dopo le votazioni:

La commissione di Vigilanza avrà tre donne nei ruoli di vertice. Barbara Floridia sarà la seconda donna a presiedere la commissione bicamerale, dopo Rosa Russa Iervolino che ha occupato la carica dal 1985-1987.

Ma chi è Barbara Floridia?

Barbara Floridia nasce a Messina e cresce nella provincia di Venetico. Si laurea in Lettere moderne (indirizzo storico) presso l’Università degli Studi di Messina nel 2000, divenendo docente di letteratura italiana e latina nello stesso anno. La sua attività politica ha inizio a Venetico, tramite meetup con funzione formativa, informativa e di promozione delle attività del M5s.

La fama arriva con l’opposizione alla riforma della “Buona Scuola” voluta da Matteo Renzi, grazie alla battaglia per il “no” al referendum costituzionale sulla riforma Renzi-Boschi. Alle elezioni amministrative del 2017 si candida come sindaca di Venetico, ma non viene eletta. Per le elezioni politiche del 2018 candidata al Senato, tra le file del M5S per la circoscrizione Sicilia, viene eletta senatrice della Repubblica. Nel Marzo 2021 assume la carica di sottosegretario di stato al Ministero dell’Istruzione, per il governo Draghi. Eletta nuovamente senatrice della Repubblica alle elezioni politiche del 2022, dal 18 ottobre diviene capogruppo al Senato. Ruolo che abbandonerà in seguito all’elezione, come presidente della commissione di Vigilanza Rai.

Ecco le sue prime parole dopo l’elezione:

La Rai è l’industria culturale più importante del Paese ed è dovere di tutti tutelarne sempre l’imparzialità, l’indipendenza e il pluralismo. Si tratta di un patrimonio nazionale enorme, che viene costantemente arricchito dalla professionalità dei suoi dipendenti. E’ importante rafforzare la fiducia, che i cittadini nutrono verso il servizio pubblico.

Anche il presidente del M5s, Giuseppe Conte, si è espresso attraverso un tweet di buon augurio:

In passato l’assenza di membri del Movimento 5 Stelle all’interno del servizio radio-televisivo, ha provocato degli scontri tra il  presidente Conte e l’attuale amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes. L’ex premier aveva annunciato la volontà del M5S di boicottare le trasmissioni Rai. In seguito alla mancata nomina di membri del partito come direttori dei telegiornali e di altri settori giornalistici del servizio pubblico. Quindi quest’elezione è uno step importante!

Giuseppe Calì

 

 

 

 

 

 

 

L’invio delle armi in Ucraina accende una forte tensione nel M5S. Di Maio accusato da una parte del partito

Il Movimento 5 Stelle nelle ultime ore sta respirando aria di crisi: Luigi Di Maio ha scatenato il dissenso del consiglio nazionale del partito con la sua posizione in merito alla questione dell’invio delle armi all’Ucraina.

Scontro tra Di Maio e una parte del M5S di cui Conte si è fatto portavoce (fonte: www.ilmessaggero.it)

La bozza che ha innescato gli scambi di accuse tra i pentastellati

I pentastellati avevano subito il crollo nelle elezioni amministrative svoltesi pochi giorni fa e ora si ritrovano davanti a uno scontro interno. “Non si proceda, stante l’attuale quadro bellico in atto, ad ulteriori invii di armamenti che metterebbero a serio rischio una de-escalation del conflitto pregiudicandone una soluzione diplomatica”: così recita il passaggio principale della bozza stilata dal M5S per il 21 giugno, giornata in cui sono previste le comunicazioni del premier Mario Draghi per il Consiglio europeo del 23-24 giugno.

Il contenuto del testo, da cui si è originato l’acceso dibattito, ha iniziato a circolare, nella mattina di venerdì 18 giugno, tramite alcune agenzie di stampa, quando Di Maio e i viceministri, rispettivamente, dell’Economia, Laura Castelli e, allo Sviluppo Economico, Alessandra Todde si trovavano a Gaeta per presenziare un evento della Confcommercio di Frosinone.

Nella bozza era stata fatta una premessa che si soffermava soprattutto sulla durata ormai consistente del conflitto e sul fatto che questo si stia trasformando in una guerra di logoramento.

L’Italia, secondo quanto emerso tramite il testo, per i sostenitori della linea contraria all’invio di altre armi, dovrebbe rafforzare la sua azione diplomatica.

Proprio da Gaeta sono state scagliate le prime accuse, la viceministro Castelli è stata la prima ad esporsi sulla pubblicazione della bozza redatta da alcuni membri del partito: «Io di sicuro non voterei una risoluzione, qualora presentata dal mio gruppo, che va fuori dalla collocazione storica dell’Italia».

Castelli è nota per essere vicina a Di Maio, perciò le sue dichiarazioni non potevano che essere di biasimo rispetto alle critiche mosse al ministro degli Esteri, il quale ha, subito dopo, risposto in maniera più netta al contenuto della bozza, generando l’escalation di tensione all’interno del partito:

«C’è una parte del Movimento che ha proposto una bozza di risoluzione che ci disallinea dall’alleanza della Nato e dell’Ue, la Nato è un’alleanza difensiva, se ci disallineiamo dalla Nato mettiamo a repentaglio la sicurezza dell’Italia.».

Di Maio è convinto della sua posizione favorevole all’invio dell’armi, considerandolo un dovere rispetto all’Alleanza Atlantica.

Successivamente, il viceministro Todde, si è, invece, espressa in difesa e a favore della linea ufficiale adottata dal resto del partito anche in relazione allo stesso testo. Con lei d’accordo anche Michele Giubitosa, il quale aveva parlato di “fango sul Movimento 5 Stelle” e “punto di non ritorno”, per poi, nei giorni successivi essere ancora più deciso nelle sue critiche:

«È gravissimo che un ministro degli Esteri, in un periodo di guerra delicato come quello che viviamo, alimenti un clima di incertezza e di allarme intorno alla sicurezza del proprio Paese, accusando con delle palesi falsità la sua stessa comunità politica di attentare alle sue alleanze e credibilità internazionale.».

Così, nella giornata di ieri, ha avuto inizio la resa dei conti tra Giuseppe Conte, postosi a portavoce di tutti coloro che sono contrari alla scelta di Di Maio sulla questione relativa all’Ucraina, e quest’ultimo.

 

La lotta per la leaderhip

Tra Conte e Di Maio, però, lo scontro si era acceso già qualche mese fa, precisamente lo scorso gennaio, durante le votazioni per il presidente della Repubblica. Gli attriti erano stati smorzati solo in virtù delle elezioni amministrative.

Quella di ora è solo una ripresa di dissapori già in atto, che, in realtà, vanno oltre l’attuale decisione in merito alle armi per l’Ucraina: lo scontro è per la leadership nel Movimento.

Per l’ex premier, Di Maio non oserebbe criticare le scelte di Draghi, rinnegando alcuni importanti principi del partito, per tornaconto personale: il ministro degli Esteri vorrebbe assicurarsi la possibilità di un altro mandato, in vista delle prossime elezioni politiche del 2023. A breve, gli iscritti al M5S, verranno consultati per votare sulle regole del partito in merito proprio al doppio mandato. Conte e Beppe Grillo sperano che le regole non cambino. Dunque, i prossimi giorni saranno decisivi per le sorti del partito, non sono escluse scissioni.

«Mi sorprende molto che mentre Draghi è a Kiev, Di Maio tiri fuori beghe interne al M5S. – ha detto Conte – Oggi il nostro ministro degli Esteri ha rischiato di sporcare questo passaggio di Draghi, questa visita così importante, che il M5S ha chiesto a gran voce perché l’Europa deve essere protagonista verso un negoziato di pace. Mi sorprende che il ministro degli esteri tiri fuori beghe che rischiano di indebolire il governo.».

Il no all’invio di nuove armi all’Ucraina è un tema caldo per il Movimento, ormai da mesi. Conte aveva votato a favore all’inizio del conflitto, per iniziare a schierarsi contro solo in un secondo momento, fino a farsi principale portavoce di questa corrente di pensiero nel partito. La maggioranza stava cercando di arrivare a una risoluzione che facesse accordare tutti i pentastellati, venerdì scorso c’era stato un incontro proprio tra gli esponenti che avevano deciso di rinviare il dibattito sulle armi alla giornata di oggi e che avevano fatto sapere di non ci sarebbe stato “un testo separato”, ma poi sono iniziate le accuse reciproche, il giorno dopo, a partire da Gaeta.

 

Di Maio rischia l’espulsione dal partito?

Durante la scorsa notte, si è svolta una riunione notturna dei 14 membri consiglio nazionale del M5S, durata più di quattro ore. Si pensava che l’esito di tale incontro potesse portare all’espulsione di Di Maio dal partito. La questione è stata “congelata”. L’ipotesi, ventilata durante tutta la giornata di ieri, era stata rafforzata dalle parole del vicepresidente del Movimento, Riccardo Ricciardi, che aveva definito il ministro “un corpo estraneo” e che si auspicava dei provvedimenti ai danni di questo. Si pensava persino che Di Maio potesse anche auto-espellersi, vista la rottura che si era verificata. Però, per ora, il Movimento ha scelto di perseguire la stabilità che sembra comunque vacillare.

Uno dei partecipanti alla riunione ha chiarito che con la bozza che aveva riacceso la crisi nel partito non si voleva in alcun modo mettere in discussione la posizione dell’Italia nella linea euroatlantica.

È stato discusso della risoluzione che dovrà essere votata al Senato domani e dopodomani, 21 e 22 giugno: il movimento non sarà di impedimento alla scelta sull’invio delle armi, si cercherà solo di premere per una una de-escalation militare e perché venga mantenuta la centralità del Parlamento.

Lo scontro nel Movimento è stato messo in stand-by, ma potrebbe riaccendersi presto e forse per mano dello stesso Beppe Grillo. Nelle scorse ore, il fondatore del partito è ritornato sulla questione della regola dei due mandati, che “previene il rischio di sclerosi del sistema di potere, se non di una sua deriva autoritaria, che è ben maggiore del sacrificio di qualche (vero o sedicente) Grande Uomo”.

 

Rita Bonaccurso

 

 

 

Elezioni Amministrative: trionfo del centrosinistra. Crollano Lega e 5 Stelle mentre cresce Fratelli d’Italia

fonte: mam-e.it

Il 3 e il 4 ottobre si è votato in 1192 comuni italiani per l’elezione dei nuovi sindaci e dei nuovi consigli comunali. 12 milioni gli italiani chiamati al voto e tra le città interessate vi sono state ben sei capoluoghi di regione e tredici di provincia. Particolarmente elevata è l’attenzione su cinque delle principali italiane: Milano, Roma, Torino, Napoli e Bologna. Chiamati alle urne sono stati anche i cittadini calabresi per l’elezione del nuovo presidente regionale successivamente alla fine anticipata della precedente legislatura. La Calabria è stata infatti l’unica regione interessata da un rinnovo dei suoi vertici. Ad un giorno di distanza dalla chiusura dei seggi, è già possibile iniziare un’analisi sui risultati delle urne che nella maggior parte dei casi sembrerebbero confermare i dati degli exit poll di ieri.

Cresce l’astensionismo e la differenza di genere

Prima di soffermarci su qualsiasi ragionamento è giusto sottolineare un dato che fin da subito è parso eloquente. In tutti i comuni interessati si è registrato un drastico calo nell’affluenza alle urne. Al primo turno delle amministrative hanno espresso il proprio voto soltanto il 54,69% degli aventi diritto. Un dato al ribasso di circa sei punti percentuale rispetto alle ultime consultazioni svoltesi nel 2016. In quell’occasione l’affluenza fu del 61,58% nonostante le urne fossero rimaste aperte solamente un giorno.

A differenza delle scorse consultazioni amministrative, inoltre, nessuna donna non è stata eletta e né è andata al ballottaggio in nessuna delle grandi e medie città .

I risultati del primo turno di amministrative 2021, fonte: Il Post

Pesante ridimensionamento del Movimento 5 Stelle

Oltre all’alto astensionismo, l’ ulteriore dato che colpisce è il forte ridimensionamento del MoVimento 5 Stelle. Il movimento di Grillo e Casaleggio infatti perde le due grandi città che governava. A Roma il sindaco uscente Virginia Raggi si piazza al quarto posto, alle spalle di Calenda, dimezzando i voti con cui è riuscita cinque anni fa a superare il primo turno e registrando un generale malcontento nell’amministrazione del Campidoglio. Si ferma al 9% invece la candidata sindaco di Torino Valentina Sganga, sostenuta dal solo M5S nella corsa alla successione a Chiara Appendino. Se a Roma e Torino la sconfitta del M5S è apparsa netta, tale dato trova conferma anche ove i pentastellati correvano all’interno della coalizione di centro sinistra. A Napoli e Bologna il loro supporto è risultato essere praticamente ininfluente per il superamento del primo turno da parte di Gaetano Manfredi e Matteo Lepore, a cui hanno contribuito rispettivamente con il 9,7% e  il 3,3%. Disfatta ancor più netta nel capoluogo lombardo dove hanno raccolto soltanto il 2,7% dei voti e si sono visti superare dal partito “no vax” di Gianluigi Paragone fermatosi al 3%.

Il sindaco uscente di Roma Virginia Raggi, fonte: romalife.it

Risalita del centro sinistra: vittoria già al primo turno a Milano, Napoli e Bologna

A dimostrarsi in buona salute è invece il centro sinistra che vince già al primo turno a Milano e, come detto, a Bologna e Napoli. Beppe Sala, Matteo Lepore e Gaetano Manfredi sono riusciti a superare il 50% delle preferenze ed evitando così un ballottaggio al secondo turno con il diretto concorrente. Dove invece questo accadrà sarà invece a Roma, Torino e Trieste. Roberto Gualtieri ha raccolto il 27% delle preferenze nella capitale e tra due settimane sfiderà in una nuova consultazione il candidato di centrodestra Enrico Michetti, attestatosi invece al 30,2%. Medesima sorte anche per Stefano Lo Russo (Torino) e Francesco Russo (Trieste). Il PD si conferma dunque essere effettivamente l’asse trainante del centrosinistra, capace di essere indipendente dal sostegno dei pentastellati o prima forza quando in coalizione con questi ultimi.

Bappe Sala (PD) confermato sindaco di Milano, fonte: internazionale.it

Centrodestra: crolla la Lega mentre cresce Fratelli d’Italia

Il racconto unanime delle principali testate descrive il partito di Matteo Salvini come il primo sconfitto di queste consultazioni. Il leader leghista ha sostenuto in prima persona la candidatura del primario di pediatria Luca Bernardo, la cui corsa alla carica di sindaco di Milano è risultata essere una delle più deludenti. Nel capoluogo lombardo la Lega non è arrivata nemmeno all’11%, il risultato più basso da dieci anni ad oggi e sicuramente il tonfo più eclatante da quando vi è alla guida l’attuale leader del Carroccio. Salvini rischia di vedere anche la sua leadership messa in discussione. Paolo Damilano, candidato sindaco per il centrodestra a Torino è infatti considerato essere più vicino a Giorgetti, rispetto che all’ex ministro dell’interno.

fonte: fanpage

I risultati migliori della coalizione provengono certamente da Fratelli d’Italia. Non solo a Milano il partito ha raggiunto il 10% ma Enrico Michetti, scelto proprio dalla Meloni, è ancora in lizza per il ballottaggio a Roma, città dove Fratelli d’Italia ha ottenuto tre volte le preferenze dell’amico Matteo. Il primato nella coalizione a Bologna e Triste e sono l’ulteriore testimonianza di un definitivo mutamento degli equilibri nel centrodestra.

Ultima nota di colore da registrare è l’exploit di Forza Italia in Calabria. Il partito di Silvio Berlusconi è cresciuto di ben cinque punti percentuali rispetto alle elezioni dello scorso anno raggiungendo il 17,3% e guidando la coalizione di centrodestra che si conferma alla guida della regione con il nuovo candidato Roberto Occhiuto.

 

Filippo Giletto

 

 

 

 

Nuovi passi per nuova legge sull’eutanasia ma la maggioranza si mostra divisa. Ecco in cosa si articolerà il testo base

È stato compiuto il primo passo a Montecitorio a favore dell’approvazione di un testo base per la legge sul suicido assistito. La nuova norma, però, divide la maggioranza. Nel frattempo l’Associazione Luca Coscioni raccoglie le firme per indire un referendum.

Suicidio assistito –Fonte:ilmanifesto.it

Dopo mesi di stallo, lo scorso 6 luglio la Commissione Giustizia della Camera ha accolto il testo base della nuova legge per l’eutanasia. Nonostante debba essere ancora candelarizzata, la sua accettazione segna un importante passo in avanti volto a smuovere la situazione di incertezza che vigeva fino a poche settimane fa. Le polemiche pronunciate, ricalcano uno scenario molto simile a quello in corso per il ddl Zan.

Il voto dei partiti

Il maggiore assenso è provenuto dal fronte del centro sinistra, primamente dal Movimento 5 Stelle, sostenuto da PD, Liberi e Uguali, Azione e +Europa. Pur trattandosi di un testo base, il provvedimento dovrà passare attraverso le votazioni degli emendamenti sia della commissione che dell’aula. I reazionari che hanno votato contro sono stati Lega e Forza Italia, sostenendo il contesto di sospetti, sgambetti e presunte prevaricazioni.

Muro contro muro su eutanasia: le destre frenano il Parlamento –Fonte:lanotiziagiornale.it

A dare l’annuncio del “via libera” è stato il Presidente della Commissione Affari Costituzionali, Giuseppe Brescia (M5S), esponendo che

“Dopo la sentenza della Corte Costituzionale il Parlamento ha il dovere di intervenire con coraggio, il M5S è in prima linea per una legge di civiltà, attesa da troppi anni. Vedremo se chi oggi ha votato a favore manterrà il suo impegno durante il percorso. Non si può giocare su questi temi.”

La sentenza della Corte costituzionale del 2019

La possibile regolamentazione dell’eutanasia, permetterebbe di risolvere il problema costituzionale. Essa infatti, fino ad oggi è stata acconsentita solo in pochissimi casi. Importantissima fu la sentenza della Corte Costituzionale del 2019, il cui intervento riguardava la morte di Fabiano Antoniani, noto come “DJ Fabo”.

Sentenza Corte Costituzionale –Fonte:associazionelucacascioni.it

Concretamente è stato stabilito che in Italia si può aiutare una persona a morire senza rischiare ripercussioni penali, solo se il soggetto si ritrovi in determinate condizioni irreversibili, se la patologia generi sofferenze fisiche o psicologiche per il paziente intollerabili, se la persona si trova in uno stato in cui è capace di intendere e di volere e se è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. Si definisce così una forma di eutanasia non punibile.

Il contenuto del testo base

Nei mesi precedenti alla sentenza appena detta, il Parlamento ha più volte tentato ad approvare una legge sull’eutanasia ottenendo però scarsi risultati. Il testo base accolto in questa settimana combacia a grandi linee con i parametri richiesti per il suicidio assistito dalla Corte Costituzionale, prevedendo altresì la clausola di una prognosi infausta, ossia di una malattia terminale che esclude la sopravvivenza del soggetto.

Il testo e la proposta di legge –Fonte:corriere.it

Affinchè la pratica per la richiesta del suicidio assistito venga accolta, il documento prevede la creazione di una commissione volta ad esaminare ciascuna richiesta. Attraverso un comunicato il Presidente della commissione Giustizia alla Camera, Mario Perantoni (M5S) fa comprendere come l’esistenza di un ottimo testo, possa realmente chiarificare ogni perplessità e appianare le differenze.

Il ruolo dell’Associazione Luca Coscioni

Associazione Luca Coscioni –Fonte:quotidianosociale.it

L’Associazione Luca Coscioni è un’associazione no profit di promozione sociale nata nel 2002, che rientra in quelle associazioni ed enti per i quali è stata riconosciuta la legittimazione ad agire per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni. Tra le sue priorità vi sono:

  • l’affermazione delle libertà civili e i diritti umani, in particolare quello alla scienza, l’assistenza personale autogestita;
  • l’abbattimento della barriere architettoniche;
  • le scelte di fine vita;
  • la ricerca sugli embrioni;
  • l’accesso alla procreazione medicalmente assistita;
  • la legalizzazione dell’eutanasia;
  • l’accesso ai cannabinoidi medici;
  • il monitoraggio mondiale di leggi e politiche in materia di scienza e auto-determinazione.

La segretaria dell’associazione, Filomena Gallo e il tesoriere Marco Cappato, però hanno criticato il testo base, in quanto esclude di fatto sia i malati di tumore, in quanto nella maggioranza dei casi non sono sottoposti a trattamenti di sostegno vitale, sia perché elude la possibilità dell’eutanasia attiva, cioè il compimento di un “omicidio mirato” a ridurre le sofferenze di un’altra persona. Il medico o un terzo somministra intenzionalmente al paziente un’iniezione che conduce direttamente alla morte.

L’associazione prevede altresì l’indizione di un referendum abrogativo di una parte dell’articolo 579 del codice penale, volto a punire l’assistenza al suicidio. In tal modo si acconsentirebbe anche all’eutanasia attiva, oltre che un ampliamento di applicazione del suicidio assistito. La raccolta firme già avviata resterà attiva fino al 30 settembre, con l’obiettivo di riuscire ad ottenere 500 mila firme da presentare presso la Corte di Cassazione. Se tale pronostico si dovesse realizzare la Corte Costituzionale, in seguito al controllo di legittimità della legge, potrebbe indire il voto entro il 2022.

Giovanna Sgarlata

 

Violenze in carcere, il video del pestaggio dei detenuti. 52 agenti sottoposti a provvedimenti cautelari

E così nel carcere di Santa Maria Capua Vetere si viene picchiati anche per aver chiesto del gel igienizzante: il quotidiano Domani ha divulgato alcuni video delle videocamere di sicurezza risalenti al 6 aprile 2020, giorno in cui si è consumato il massacro nei confronti dei detenuti. La neo-Ministra della Giustizia Marta Cartabia ha immediatamente chiesto maggiori approfondimenti sulla questione, definendola come un «oltraggio alla dignità della persona ed alla divisa».

Un rapporto dell’ottobre 2020 dell’Associazione Antigone, osservatorio che si occupa del rispetto dei diritti e delle garanzie nel sistema penale, ha messo in luce le terribili condizioni a cui sono sottoposti i detenuti dell’istituto: acqua non potabile e torbida, sovraffollamento, condizioni igieniche molto scarse. Secondo il report, ammontano a 204 i casi di autolesionismo identificati nell’anno precedente. Si sottolineava già allora un’indagine della Procura della Repubblica in atto per ipotesi di torture in danno dei detenuti in virtù degli eventi consumatisi nel mese di aprile.

Ricostruzione dei fatti: la protesta dei detenuti e la rappresaglia della polizia

Il report dell’associazione descriveva anche la delicata situazione dell’istituto causata dalla pandemia di COVID-19 e come i detenuti avessero diritto ad una mascherina ogni 15 giorni. Anche le visite di amici e parenti erano state sospese per la medesima ragione. Da qui la protesta dei detenuti della sezione “Nilo” (l’istituto è infatti diviso in sezioni a cui sono attribuiti nomi di fiumi diversi) per ottenere una maggiore tutela sanitaria: più mascherine e più gel igienizzante, specialmente dopo un caso di positività all’interno della struttura. Siamo al 6 aprile e la rivolta termina esattamente com’è iniziata, nel medesimo giorno.

(fonte: avvenire.it)

Ma nel frattempo gli agenti penitenziari si scambiano alcuni messaggi che verranno, poi, prontamente intercettati: «Li abbattiamo come vitelli. Domate il bestiame». Si tratta dell’organizzazione di una rappresaglia travestita da perquisizione, una spedizione punitiva messa in atto da più di 300 agenti, mandati da Antonio Fullone (provveditore delle carceri della Campania) nel carcere di Santa Maria Capua Vetere ove tutti i detenuti della sezione Nilo sono stati sottoposti a pestaggi, costretti a denudarsi, presi a calci e pugni ed abusati coi manganelli. Un ex detenuto disabile ha raccontato di essere stato uno dei primi costretti ad uscire dalla cella per essere malmenati.

Mi hanno distrutto, mentalmente mi hanno ucciso. Volevano farci perdere la dignità ma l’abbiamo mantenuta. Sono loro i malavitosi perché vogliono comandare in carcere. Noi dobbiamo pagare, è giusto, ma non dobbiamo pagare con la nostra vita. Intendo denunciare per ottenere il risarcimento dei danni morali.

Le indagini ed i successivi sviluppi

La Procura di Santa Maria Capua Vetere  ha definito l’avvenimento come un’orribile mattanza, ritenendo false anche le successive accuse degli agenti di polizia di resistenza a pubblico ufficiale mosse contro i detenuti.

Nonostante ciò, gli agenti di polizia coinvolti hanno sempre negato la narrativa, affermando che nessun abuso si sarebbe perpetrato nei confronti dei detenuti nella giornata del 6 aprile 2020. Eppure, in conversazioni intercettate, alcuni di loro scrivevano che «non si è salvato nessuno, abbiamo vinto». Adesso il video in esclusiva pubblicato da Domani e le immagini dei pestaggi non lasciano alcun’ombra di dubbio circa lo svolgersi degli eventi, nonostante le indagini siano ancora in corso e gli imputati siano drasticamente aumentati.

Lunedì sono stati eseguiti 52 provvedimenti cautelari nei confronti della polizia penitenziaria con accuse di vario titolo: torture pluriaggravate, maltrattamenti pluriaggravati, lesioni personali pluriaggravate, falso in atto pubblico aggravato, calunnia, favoreggiamento personale, frode processuale e depistaggio. I carabinieri di Caserta hanno, inoltre, disposto i domiciliari per Gaetano Manganelli, ex comandante del carcere e per Pasquale Colucci, comandante del nucleo traduzioni e piantonamenti. Interdetto dall’incarico il mandante della spedizione Antonio Fullone.

Il Dipartimento di amministrazione penitenziaria (Dap) ha disposto un’ispezione straordinaria dell’istituto, mentre la ministra Cartabia ha richiesto un incontro con tutti gli 11 provveditori regionali del Dap stesso.

Gli interventi degli esponenti politici

Nonostante la forte posizione di condanna del Ministro della Giustizia e del Gip di Santa Maria Capua Vetere, diversi deputati di Fratelli d’Italia e del Movimento 5 Stelle hanno espresso la propria solidarietà agli agenti imputati, sottoposti a loro avviso ad un’ingiusta gogna mediatica.

(fonte: fanpage.it)

Anche il leader della Lega Matteo Salvini ha espresso vicinanza agli agenti, affermando che il suo partito si schiererà sempre dalla parte delle Forze dell’Ordine.

Giovedì sarò a Santa Maria Capua Vetere per portare la solidarietà, mia e di milioni di italiani, a donne e uomini della Polizia Penitenziaria che lavorano in condizioni difficili e troppo spesso inaccettabili.

Negli ultimi giorni, le Forze dell’Ordine sono state al centro di accesi dibattiti circa il problema dell’abuso di potere ed una notizia del genere non ne rafforza la posizione, trattandosi di avvenimenti verificatisi neanche un anno dopo la sentenza di condanna Cucchi.

Valeria Bonaccorso

La questione dei lavoratori fantasma: Bellanova propone la regolarizzazione del lavoro nei campi durante l’emergenza Covid-19

Negli ultimi giorni l’attenzione da parte dei media è puntata su Teresa Bellanova, Ministra delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. La politica e sindacalista, membro di Italia Viva di cui è anche coordinatrice nazionale, ha di recente riportato al centro del dibattito pubblico il problema della carenza dei braccianti agricoli, discorso sul quale, si pensa, possa prospettarsi un suo abbandono dell’esecutivo e giocarsi di conseguenza la stabilità del governo stesso.

In un periodo di forte crisi del lavoro, dovuto alle misure di lockdown imposte dalla pandemia da Covid-19, le difficoltà, o addirittura l’impossibilità, per le migliaia di lavoratori stranieri regolari, dotati dunque di regolare permesso di soggiorno, di arrivare in Italia dai loro Paesi di provenienza, possono costituire un grave danno per la già provata produzione italiana.

La questione non è nuova e già un mese fa, tra la fine di marzo e l’inizio di aprile, la Coldiretti, la maggiore associazione di rappresentanza e assistenza dell’agricoltura italiana, e l’Istituto Bruno Leoni, uno dei più importanti centri di ricerca economici, oltre che numerosi esponenti del mondo sindacale, uno fra tutti Aboubakar Soumahoro, avevano a più riprese invitato il governo a regolarizzare la posizione delle centinaia di migliaia di immigrati irregolari che, ogni anno, lavorano nei campi italiani.

La problematica però non riguarda solamente il settore dell’agricoltura: settori della nostra economia come quello dell’edilizia o dell’assistenza domestica sono svolti per la maggior parte da individui di nazionalità straniera.

In Italia ci sono più di seicentomila lavoratori “fantasma”, intendendosi come tali tutti quegli individui che prestano la propria attività lavorativa senza però essere di fatto riconosciuti non solo come attivi, ma addirittura come effettivamente esistenti sul nostro territorio. Si tratta dunque di esseri umani impossibilitati ad accedere alle cure sanitarie, non avendone diritto in quanto irregolari, e riceventi retribuzioni ben al di sotto del minimo sindacale. Soggetti abbandonati dallo Stato al giogo di un mercato sommerso al cui interno si muovono interessi e cifre sproporzionate. Fenomeni come quello del caporalato, dello sfruttamento della manodopera a basso prezzo e, letteralmente, la gestione della vita di migliaia di indigenti sono sotto il monopolio delle associazioni mafiose e, in generale, criminali.

Quella dei lavoratori invisibili è una discussione che, all’interno del mercato del lavoro, si ripropone ciclicamente e che è stata in passato già oggetto di più di sette sanatorie che hanno riconosciuto, per motivi di lavoro, il permesso di soggiorno a milioni di individui (basti pensare alla Bossi-Fini del 2002 che interessò mezzo milione di persone).

Le soluzioni prospettate per risolvere la questione sono varie e non tutte però prevedono la regolarizzazione dei lavoratori fantasma. Una delle idee più interessanti è quella portata avanti da alcuni esponenti del Movimento 5 Stelle che hanno ipotizzato la possibilità di destinare alla raccolta di frutta e verdura nei campi, e in generale impiegare in quei settori lavorativi in cui si soffre la mancanza di manodopera, i beneficiari del reddito di cittadinanza. Ad oggi i percettori di questa misura assistenzialistica sono circa due milioni di persone di cui però solo un terzo in età da lavoro, quindi circa settecento mila. La misura del Reddito di Cittadinanza, pensata inizialmente come un’assistenza temporanea ai cittadini in attesa del reinserimento nel mondo del lavoro ha trovato esito positivo, a fine 2019, solo per il 2% degli aventi diritto.

È inopinabile che tale possibilità potrebbe risolvere con un’unica soluzione due questioni estremamente impellenti per un governo di centro-sinistra: la regolarizzazione dei lavoratori nei campi e il reinserimento nel mondo del lavoro dei beneficiari del reddito di cittadinanza, dovendo però necessariamente sorvolare su ulteriori problematiche relative alla libertà di scelta o di aspirazione dei diretti interessati.

Rimane in sospeso però una domanda quasi inevitabile: e gli irregolari? Quale destino spetterebbe a delle persone che già si trovano sul nostro territorio, ma sprovviste di un documento, invisibili alle istituzioni ed esistenti solo per i loro sfruttatori?

Sebbene sia difficile non riconoscere che per un corpo politico, che fonda la sua legittimazione sul consenso popolare, questo sia un periodo storico non congeniale per imbastire o anche solo ipotizzare una discussione costruttiva volta a un progetto di riforma dell’immigrazione o della cittadinanza, il problema non è assolutamente da sottovalutare.

Le vite, i diritti e la dignità delle persone, indipendentemente dalla loro storia o nazionalità, non possono certo essere lasciate nell’oblio, con la speranza che in futuro le emergenze facciano venire i nodi al pettine.

Filippo Giletto

Governo: alleanza giallo-verde e l’Europa mormora

 

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Era l’esito più temuto da Bruxelles quello di un’alleanza M5S e Lega. Le due forze politiche, populiste e antieuropeiste di fondamento, si trovano intorno a un tavolo tecnico a discutere da poco più di un giorno su che forma dare al loro nuovo governo d’intesa. Sarà un contratto di governo da elaborare in poche ore, un pressure test che non lascerà spazio a discussioni ideologiche ma, piuttosto, ad allineamenti di programma.

Non sarà, dunque, solo il tema Europa ad accomunare le due forze, ma – al contario – sembrerebbe proprio un tema da accantonare per il momento. D’altronde, era già successo in campagna elettorale:  Salvini e Di Maio non si erano mai sbilanciati troppo su quelle che sarebbero state le implicazioni pratiche delle loro idee Anti-Europa, al contrario delle “vecchie generazioni” dei movimenti.

Il presidente Mattarella, ha messo in freezer il suo governo neutrale e domenica i due esponenti delle forze vincitrici dovranno riferire l’esito del confronto portando al Quirinale un pre-contratto. Lunedì, se l’intesa avrà fatto passi avanti, potrà partire la procedura per il nuovo governo.

E quello che non si può di certo rischiare è la bocciatura del Capo dello Stato. Pena governi tecnici e/o ritorno alle elezioni.

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In un contesto simile, gli occhi dell’Europa non possono che essere puntati tutti sulle mosse dell’Italia. Soprattutto in giorni in cui i vertici d’Europa si sono riuniti proprio nello stivale italiano, precisamente nel capoluogo fiorentino, in occasione della conferenza “The State of the Union 2018” per parlare di solidarietà.

Durante l’apertura a Palazzo Vecchio del “Festival d’Europa”, Mattarella non ha tardato a lanciare un avvertimento preventivo ai leader in trattativa:

“Pensare in Europa di potercela fare da soli è inganno consapevole delle pubbliche opinioni”.

La nuova alleanza, dunque, dovrà restare nella cornice tradizionale della Costituzione, dell’osservanza dei trattati internazionali e, soprattutto, del rispetto degli impegni europei. Anche il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker non ha tardato durante il convegno a commentare che “Populisti e nazionalisti hanno avuto materia per alimentare loro sentimenti e aumentare distacco dagli altri. Così la solidarietà si sfilaccia “

Reazioni diverse, invece, provengono da oltre la Manica, dove l’ex leader storico del partito indipendentista inglese Nigel Farage fa gli auguri via tweet ai leader. Nell’enfatizzare la sua gioia, Farage si è riferito all’intesa come il suo “sogno” da due mesi a questa parte per dare “uno schiaffo a tutti coloro che governano l’Unione”. “L’Ue si è definitivamente rotta”, afferma.

Un tiro delle somme forse un po’ troppo accelerato dato che per Lega e M5S c’è ancora tanta strada da fare e poco tempo. Intanto non vacilla la positività di Salvini e Di Maio al termine di ogni incontro nel corso delle ultime ore.

Sembra essere già arrivati a una convergenza sui punti flat-tax, conflitto d’interessi, migranti e debito pubblico. L’eventuale contratto di governo, in ogni caso, sarà posto ai voti sulla piattaforma Rousseau, come ha spiegato Davide Casaleggio in una conferenza stampa in Senato.

Intanto, per i due leader resta ancora il nodo più duro da sciogliere: il “terzo premier”. Tra le poche e deboli indiscrezioni a riguardo, spunta il nome di Giampiero Massolo, Presidente di Fincantieri e presidente dell’Istituto di politica internazionale dal 2017.Risultati immagini per giampiero massolo

Un curriculum di assoluta garanzia per il Capo dello Stato, Bruxelles e le cancellerie mondiali e, forse, anche per la delusa Forza Italia che avrebbe con Massolo premier un atteggiamento meno ostile rispetto alla non-fiducia certa annunciata da un Berlusconi amareggiato per l’alleanza giallo-verde.

In ogni caso sembrano aver accettato bene i due leader il proverbio “tra i due litiganti il terzo gode” al di là di chiunque questo terzo sarà. La mira è stata dirottata su un altro obiettivo: non lasciare scampo a esecutivi algidi e mettere in piedi un governo. Diversamente, il ritorno al voto potrebbe essere fatale sulla credibilità e, quindi, sui consensi delle due forze politiche.

Martina Galletta

Elezioni 2018: un altro stallo alla messicana?

Se vi è mai capitato di vedere quel capolavoro assoluto del cinema italiano e internazionale che è “Il buono, il brutto e il cattivo” di Sergio Leone, sicuramente ricorderete benissimo la magnifica scena della resa dei conti finale. Nello spazio centrale di un cimitero che somiglia quasi a una arena di gladiatori, si fronteggiano i tre personaggi principali, appunto, il Buono, il Brutto, e il Cattivo. In palio c’è un grande tesoro ed ognuno di loro sa di non potersi fidare dell’altro. É un teso gioco di sguardi in cui i tre personaggi si tengono di mira, in attesa di capire chi sparerà per primo, e a chi, mentre in sottofondo le note di Morricone incalzano e la cinepresa indugia sui primissimi piani degli occhi, delle mani che fremono sfiorando le fondine delle pistole.

É quello che in gergo cinematografico si chiama “Mexican standoff”, stallo alla messicana: tre uomini armati che si tengono di mira l’un l’altro, senza sapere di chi fidarsi o meno, senza poter capire chi sparerà per primo.

Ok, questa non è la rubrica Recensioni; ma la sensazione di trovarsi al centro di uno stallo alla messicana è fortissima.

I giochi elettorali si sono conclusi e ci consegnano dei risultati tutt’altro che netti e definiti. Abbandonato ormai il bipolarismo che lungo tutti gli anni 2000 aveva caratterizzato inequivocabilmente il dibattito politico italiano, gli esiti delle elezioni vedono a fronteggiarsi, ancora una volta, proprio come nel “triello” di leoniana memoria, tre grandi avversari: la coalizione di centrodestra, il Movimento 5 Stelle e la coalizione di centrosinistra. E, se è vero che il verdetto elettorale ci consente comunque di decretare dei vincitori e degli sconfitti, è anche vero che comunque, tutte le forze in gioco sono ben lontane da quella tanto agognata maggioranza parlamentare, quei famosi 315 seggi alla Camera, che rappresentano il cutoff fondamentale per la formazione di un governo stabile.

La coalizione di centro destra, con le sue due anime, quella leghista e quella berlusconiana, si attesta al 37% alla Camera e al Senato: un soffio da quel 40% che gli consentirebbe una maggioranza stabile. È senza dubbio una vittoria: lo sa bene Matteo Salvini, leader della Lega, che è riuscito in pochi anni a trasformare il suo partito da partitello indipendentista padano a primo partito della destra nazionale. Ma non basta a riposarsi sugli allori, e se da un lato è proprio Salvini a proporsi come leader di un esecutivo di centro-destra, dall’altro non sono comunque pochi i seggi che mancano alla coalizione per poter garantire stabilità al proprio governo.

Il Movimento 5 Stelle, benché presente sulla scena politica ormai da tempo, continua a rappresentare una grande incognita. Fino ad adesso ha basato gran parte del suo successo sul suo proporsi come “eterna opposizione”, canalizzando il dissenso di una ampia fascia di cittadini che non si riconoscono più nella classe politica dei grandi partiti. Le loro prese di posizione sui temi caldi del dibattito politico, molte delle quali ampiamente discusse e stigmatizzate in campagna elettorale (immigrazione, euro, vaccini) sono state finora sempre delle scelte poco nette, dai margini sfumati, sia dal punto di vista dell’elettorato, che dell’intero gruppo politico. Il loro risultato, intorno al 32%, è senza dubbio un exploit: sono il primo partito d’Italia. Ma continuano a non avere le carte in regola per governare, tanto più se si tiene conto del loro autoimposto diktat “niente alleanze politiche, solo alleanze programmatiche”.

Con chi potrebbero essere queste alleanze programmatiche? Forse con la Lega, con la quale in effetti potrebbero trovarsi diversi punti in comune. Sarebbe senza dubbio l’incubo delle sinistre, fedeli alla tesi della “deriva populista” che hanno cavalcato a lungo (e a dirla tutta senza troppo successo) in campagna elettorale. Ma se da un lato questa ipotesi pare essere stata scartata dallo stesso Salvini, dall’altro potrebbe essere una scelta rischiosa in termini di credibilità, se consideriamo che la cassaforte dei voti del Movimento in Italia pare essere proprio il Sud Italia, dove molti elettori non hanno certo dimenticato le origini dichiaratamente anti-meridionaliste della Lega.

C’è poi la coalizione di centro sinistra, chiaramente a trazione PD (come confermano i risultati da prefisso telefonico ottenuti dalle varie liste civetta, +Europa, Lorenzin ecc). Il totale è circa il 23%: si tratta chiaramente di una disfatta che dovrebbe essere, sportivamente, ammessa e corredata da una sana autocritica da parte della dirigenza PD. Ma anche qui, l’ultima parola è tutt’altro che detta: se i 5 Stelle sono chiaramente il primo partito d’Italia, con il loro 19% il PD è il secondo, e vale la pena ricordare che, preso singolarmente, ha ottenuto più voti tanto della Lega (17%) quanto di FI (14%). Ha dunque ancora molto da dire, e gli esiti del futuro governo potrebbero in gran parte dipendere da una sua presa di posizione. Ma a favore di chi? Forse dei 5 Stelle, ma le differenze di intenti sono state fin da principio chiarissime in campagna elettorale. Oppure della coalizione di centro destra; ma attenzione, perché una ennesima maggioranza di “larghe intese” potrebbe rappresentare il definitivo colpo di grazia alla credibilità del PD e la chiave per una futura vittoria ancora più schiacciante del Movimento.

Staremo dunque a vedere, nei prossimi giorni, chi farà la prima mossa e come, a cominciare dalle elezioni dei presidenti della Camera e del Senato. Nel frattempo, continuiamo a seguire col fiato sospeso la danza macabra di questo stallo alla messicana; con la consapevolezza che stavolta, al centro dell’arena, col rischio di prendersi i proiettili da tutti, potrebbe esserci la volontà degli elettori. 

Gianpaolo  Basile