Dahl, Walt Disney, Lovecraft: le censure ai libri per bambini che fanno discutere

Eliminare parole come “grasso” e “nano” per non offendere nessuno e insegnare ai più piccoli ad essere inclusivi. Così la casa editrice Puffin Books – appartenente al colosso editoriale Penguin Books – ha giustificato la scelta di censurare i libri per bambini dell’autore di fama mondiale Roald Dahl. La decisione fa parte di una rivisitazione più generale delle opere letterarie di cui detiene i diritti, il cui obiettivo sarebbe far sì che i suoi classici «possano essere fruiti ancora oggi da tutti».

I libri di Roald Dahl. Fonte: Agenzia Dire

Si tratterebbe di uno dei primi casi di cancel culture editoriale che provoca immediato allarme: l’iniziativa, infatti, non è piaciuta a molti, e ha portato persino all’intervento del primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak. A parlare per primo è stato venerdì scorso il Telegraph, che nell’inchiesta “The rewriting of Roald Dahl” ha raccolto un centinaio di modifiche mirate a rendere più inclusivi i testi su tematiche come aspetto fisico, etnia e questioni di genere.

L’inclusività che divide

La riscrittura, come spiega il Guardian, comporterà ampi cambiamenti: Augustus Gloop in Charlie e La Fabbrica di cioccolato, ad esempio, sarà descritto come “enorme”, mentre La Miss Trunchbull di Matilde da «femmina formidabile» è ora «donna formidabile»; i piccoli Umpa-Lumpa operai della Fabbrica di cioccolato non saranno più «piccoli uomini» ma «piccole persone».

Un portavoce della Roald Dahl Story Company ha dichiarato a Variety quanto segue:

«Vogliamo assicurarci che le meravigliose storie e i personaggi di Roald Dahl continuino ad essere apprezzati da tutti i bambini di oggi. Quando si ripubblicano libri scritti anni fa, non è insolito rivedere il linguaggio utilizzato insieme all’aggiornamento di altri dettagli, tra cui la copertina e il layout. Il nostro principio guida è stato quello di mantenere le trame, i personaggi e l’irriverenza e lo spirito tagliente del testo originale. Eventuali modifiche apportate sono state piccole e attentamente considerate».

Ma la reazione è stata critica da parte di molte voci importanti che lanciano l’allarme su questioni di libertà di espressione. L’autore Salman Rushdie sul suo account Twitter ha scritto in merito: «Roald Dahl non era un angelo, ma questa è un’assurda censura. Puffin Books e la Dahl estate dovrebbero vergognarsi».
Sulla revisione delle opere di Dahl si è pronunciata anche Suzanne Nossel, Ceo di Pen America (una comunità di oltre 7.000 scrittori che sostengono la libertà di espressione), che ha twittato dicendo di essere «allarmata» dai cambiamenti segnalati e ha avvertito che il potere di riscrivere i libri potrebbe essere abusato.

Varie polemiche da Zio Paperone a Lovecraft

Il politically correct ha investito anche il colosso americano Disney, che nei giorni scorsi ha deciso di non ristampare due particolari storie della saga di Paperon De Paperoni di Don Rosa che includono un particolare personaggio, per via di una nuova policy più attenta all’inclusività:

«Come parte del suo costante impegno per la diversità e l’inclusione, The Walt Disney Company sta rivedendo la propria libreria di storie», si legge nel messaggio inviato a Don Rosa e da lui prontamente ripubblicato sui social.

Gongoro sarebbe infatti una sorta di mostro rappresentato come lo stereotipico uomo nero popolarizzato dal personaggio di Jim Crow, ormai considerato simbolo del razzismo nei confronti delle persone afrodiscendenti. L’autore dell’Oregon lo pensò come un uomo africano in abiti laceri e con tratti caricaturali, ed è possibile che a posizionare le storie fuori dalla nuova policy Disney sia proprio questa rappresentazione.

Disney censura Zio Paperone. Fonte: Ventenni Paperoni

Il dibattito non ha risparmiato neanche uno degli scrittori fantasy più famosi di tutti i tempi, Howard Phillips Lovecraft, il cui lavoro è ovunque e che è stato più volte accusato di essere razzista (inequivocabile e innegabile). Ampie tracce di ciò si possono vedere nei racconti — The Call of Cthulhu è pieno di considerazioni ostili su «sanguemisti» e umani «di specie bassa» — e il suo epistolario ci consegna molte invettive contro «gli italiani del Sud brachicefali & gli ebrei russi e polacchi mezzi mongoloidi coi musi da ratti & tutta quella feccia maledetta» e altre descrizioni del genere.

Con un’influenza culturale satura come quella di Lovecraft, l’unica soluzione è quella di diffondere la consapevolezza dell’eredità dell’autore insieme all’opera stessa. In altre parole, l’alternativa è educare su ciò che è esistito già per creare qualcosa di nuovo, passando al setaccio sia ciò che si ama da ciò che è oramai obsoleto, che tutti quegli elementi rimandanti invece ad un’universalità dei temi.

La cancel culture deve far riflettere

Il problema di quanto descritto finora è legato al rischio di confondere l’arte, il contesto storico e le peculiarità di un autore con la tutela delle sensibilità contemporanee. Ma il vero pericolo di manomettere l’integrità di un’opera letteraria è forse quello di alimentare un clima di dubbi e incertezze; perché se è vero che oggi siamo capaci di cambiare le opere del passato censurandole e descrivendole in altro modo, cosa impedirà in un futuro prossimo di farlo in altri contesti?
È forse questa la via del ritorno al pensiero unico tanto temuto ai tempi delle dittature novecentesche? Come ci insegna la teoria politologica del ferro di cavallo le due estremità non sono gli opposti, ma si avvicinano quasi a toccarsi.

Fonte: iodonna.it

Ad ogni modo bisogna fare i conti anche con l’altro piatto della bilancia, possibilmente ritenuto responsabile di contenere eccessivo buonismo: da genitori molto spesso ci si ritrova a leggere storie e a modificarne delle parti perché ci si rende conto che, essendo state scritte in altri momenti storici, tendono ad esprimere visioni della società non più condivise e che pertanto non si vuole trasmettere ai propri figli. Si pensi ad esempio al ruolo stereotipato della donna nelle fiabe che hanno accompagnato l’infanzia di quasi ogni bambino e bambina; è indiscutibilmente responsabilità dell’adulto evitare – attraverso una buona dose di consapevolezza – che i più piccoli subiscano certi imprinting. Da non sottovalutare poi la rilevanza della lingua come potente strumento di cambiamento sociale, in grado di vincere stereotipi e pregiudizi che distorcono e alterano la realtà.

Ciononostante, la questione che anima il dibattito rimane perché si continua a modificare pezzi scritti in altre epoche per adattarli ai nostri tempi, e comprensibilmente non tutti son d’accordo. Ma la domanda da porsi è principalmente una: meglio che un’opera sia modificata in modo da rimanere sostanzialmente la stessa ed immortale ma adattata alla nuova forma che vogliamo imprimere alla società o che per non fare un torto ai testi, frutto di persone di altre epoche, in generale ne aboliamo la fruizione, smettendo di stamparli e lasciando che il tempo li cancelli, così come si farà con le storie di Zio Paperone? La risposta più saggia da dare è che non esistono soluzioni univoche alle controverse questioni etiche, così che si deve accettare la convivenza di opinioni diverse e persino opposte, dalle quali comunque emergerà un’azione collettiva.

Gaia Cautela

Del Toro’s Cabinet of curiosities: un’occasione sprecata

“Cabinet of curiosities” raccoglie parecchi talenti mal gestiti dalla produzione. Il prodotto finale risulta essere alquanto scadente. Voto UVM: 1/5

 

La serie antologica di Del Toro uscita su Netflix il 25 Ottobre offre allo spettatore un Horror, che cerca di svecchiare storie classiche, tra le quali si trovano molti adattamenti da famosi racconti di fantascienza. Non riesce però a nostro avviso a soddisfare nemmeno parzialmente le aspettative, create nel pubblico dal nome di Del Toro già regista di ”Il labirinto del fauno”, ”La forma dell’acqua” e del recente ”Nightmare Alley” (da noi già recensito).

Si tratta a nostro avviso di un prodotto molto raffazzonato, vittima, come molte altre produzioni, della sindrome di Netflix: produrre produrre produrre a scapito della rifinitura… ma andiamo nel dettaglio!

Tentacoli e membra

Il contenuto chiave della serie è quello horrorifico: creature tentacolari, demoniache e bestiali, alcune riuscite meglio di altre, altre che invece ci hanno sorpreso solo per la loro povera messa in scena.

L’effettistica è sicuramente il tratto distintivo della produzione e sebbene l’impegno nel portare sullo schermo qualcosa che sorprenda lo spettatore ci sia stato, il risultato finale è alla meglio banale se non a tratti ridicolo: mettere i pantaloni di carne ai mostri o usare dei pupazzoni inermi non ci è sembrata una buona mossa insomma.

Dal trailer di “Cabinet of curiosities”. Fonte: Netflix

Ci sentiamo di dire che nonostante i creatori dell’effettistica avessero buone idee, forse queste non si sono davvero realizzate. Crediamo che parte di ciò sia dovuto alla cattiva gestione del budget da parte della produzione. È evidente (e lo continueremo a dire!) che la produzione di questa serie sia mal gestita e non mostri coesione tra sceneggiatura, regia, prove attoriali e grandi nomi presenti nel cast.

Sceneggiatori intelligenti che non si applicano: dov’è del Toro?

Trattandosi di un’antologia, le storie sono collegate tra loro dalla tematica “horror”, ma anche dall’insensatezza della trama e del comportamento della maggior parte dei personaggi. Plot twist casuali e situazioni al limite (se non oltre) del ridicolo ci hanno fatto – quasi – perdere la voglia di continuare la visione.

A volte si scade nel più becero politically correct, giustificando le azioni di protagonisti squilibrati, instabili e dannosi verso il prossimo. Spesso i protagonisti stessi ci vengono presentati come soggetti dalla mente instabile, ma il fatto che ogni personaggio riesca ad avere le stesse visioni di bestie e demoni, non rende davvero l’aspetto ansiogeno tipico dell’horror.

Insomma non riesce nemmeno a mirare minimamente gli obiettivi per i quali Del Toro ha assunto questo incarico e per il quale era diventato famoso. La sua presenza infatti non è pervenuta!

Performance caotiche e attori sbandati

Le performance attoriali e la regia vengono, anche queste come detto, minate da una produzione sconclusionata: le idee non sono state ben delineate dai vari registi e questo ha comportato delle prove attoriali caricaturali e “fumettistiche”. Smorfie e monoespressività si ripresentano in tutti gli episodi in maniera omogenea.  Sembra che tutto sia ricaduto addosso ad attori e registi dall’alto, tramite direttive che hanno imposto, grossolanamente, storie che, nonostante le idee, ripropongono una visione vuota e ritrita del genere.

Molte inquadrature rimangono ad un livello amatoriale e spesso molte scene presentano incongruenze grafiche molto pesanti che distolgono l’attenzione e suscitano ilarità – dove si dovrebbe invece provare inquietudine.

Dal trailer di “Cabinet of curiosities”. Fonte: Netflix

Raccogliamo i pezzi

Concludiamo allora dicendo che: la qualità complessiva è mediocre e spesso scende anche al di sotto della stessa mediocrità.

Non ci sentiamo di dare che pochi elogi a questa antologia e tra questi elenchiamo il design dei mostri e l’incipit di ogni puntata che mostra un’ispirazione assente nello sviluppo della storia. Di episodi dignitosi ce ne sono davvero pochi e anche quelli rimangono impressi per pochi dettagli scenici. Il salvabile non giustifica la visione e non ci sentiamo di consigliarla al pubblico verso cui è stata indirizzata. Quel pubblico era stato infatti chiamato alla visione per due motivi: da un lato il nome di Del Toro, non pervenuto all’interno degli episodi, e dall’altro quello di Lovecraft.

Usare il suo nome per farsi campagna pubblicitaria ingannevole mettendo solo i titoli dei suoi racconti senza adattare una virgola dei suoi testi non ci è sembrata una tattica onesta. Anzi proprio per le attese che questo nome ci suggeriva, siamo stati molto più annoiati e delusi dalla visione.

Salvatore Donato, Matteo Mangano