La parola all’ AIFVS : perchè “vittime e imputati” noi non ne vogliamo

Troppo sangue, troppi morti, troppi titoloni sui giornali che non servono a nulla. Le ultime notizie di cronaca portano nuovamente alla luce il problema della sicurezza stradale: problema forse troppe volte sottovalutato dall’atteggiamento ambiguo delle Istituzioni e, ovviamente, dall’incoscienza umana. Di chi sia la colpa a noi poco importa, ma ci siamo chiesti come ci si debba sentire a essere”vittima della strada”, poco tutelato, inadeguatamente risarcito e soprattutto, perennemente incerto sul fatto che la giustizia prima o poi farà il suo corso. Per tentare un analisi, anche in questo momento cosi difficile, abbiamo incontrato la signora Giuseppa Cassaniti Mastrojeni, presidente dall’AIFVS (Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada) che ha accettato di scambiare quattro chiacchiere con noi di UniVersoMe.

1. La vicenda di Lorena ci invita ancora una volta a riflettere su chi come lei è stata vittima dell’incoscienza altrui. Lei che opinione si è fatta?

Mi lasci dire innanzitutto che questi sono comportamenti irresponsabili, tenuti addirittura da un appartenente alle Forze dell’Ordine e che a maggior ragione vanno considerati come gravissimi e inescusabili. Toccherà al magistrato applicare la legge in maniera adeguata, tenendo conto della nuova legge in vigore (Legge 23 Marzo 2016 n. 41), in base alla quale bisognerebbe verificare quanto era il tasso alcolico nel sangue. Per l’AIFVS questo episodio si configura certamente come omicidio stradale: è vero che la ragazza è arrivata in ospedale con lesioni gravissime, ma è anche vero che queste lesioni si sono rivelate irreversibili e hanno portato alla morte. Questa è la realtà, non tergiversiamo con le parole: quel che è successo è un atto criminale, un crimine stradale.

2. L’AIFVS è stata, dalla sua fondazione, un punto di riferimento per tutti coloro che hanno perso qualcuno o sono state vittime della strada. Come giudica l’attività fin qui svolta?

Io sono Socio fondatore e lo sono diventata in conseguenza dell’uccisione di mia figlia Valeria, investita in Via Filippo Bianchi, da una macchina che andava a 130 km/h, in una zona dove il limite è 30. Ancora oggi ritengo che la giustizia non mi abbia tutelato, non abbia tutelato mia figlia e non punito nella maniera più giusta chi l’ha uccisa. In tutti questi anni abbiamo cercato di prevenire incidenti stradali come questi, fornire assistenza legale alle vittime e alle loro famiglie. Nel 1998 io ho fondato il primo Comitato e poi due anni dopo ci siamo costituiti come associazione. Fin dall’inizio quel che è stato presente ai nostri occhi è la sottovalutazione, da parte della giustizia, dell’omicidio stradale. Nel 2001 abbiamo fatto una proposta di legge, per chiedere che l’autore di simili atti, responsabile di quel comportamento che nella maggior parte dei casi ha “sradicato” un diritto appartenente ad altri, sia sanzionato in quanto “comportamento colposo”. Ci siamo però trovati di fronte sempre un atteggiamento molto scialbo da parte delle autorità e di questo mi rammarico molto.

3. Secondo lei lo Stato ha qualcosa da farsi perdonare?

E’ il motivo per il quale ci siamo costituiti come associazione. Lo Stato non è disposto al cambiamento, alla prevenzione, a costruire un serio sistema di sicurezza per gli automobilisti. Si tutelano sempre i poteri dei forti e mai quelli dei deboli: le faccio un esempio: la tendenza per quanto riguarda i risarcimenti in materia di sicurezza stradale è sempre quella di abbassare il livello,per fare anche un favore alle compagnie assicurative, e in questo modo di fatto si distorce l’episodio, lo si trasforma in qualcosa che ha poca importanza. Nessun governo fino a questo momento ha cambiato marcia: da Berlusconi a Renzi non è cambiato assolutamente niente. Se lo Stato non fa nulla dobbiamo pensarci noi, mobilitandoci, incoraggiando proposte e idee per cambiare questa situazione. Lo Stato e le associazioni devono collaborare: ognuno ha una funzione fondamentale nella società, quella di rappresentarla nel modo giusto.

4. E’ utile concentrare l’attenzione sul nuovo reato di “omicidio stradale “ (Articolo 589-bis del Codice Penale). Qual è il suo giudizio come presidente dell’AIFVS?

Dobbiamo aspettare ancora. La legge è stata approvata a Marzo. E’ importante verificare “come” questa legge verrà applicata, le sue definizioni giurisprudenziali insomma. La mia paura è che si vada sempre al ribasso con l’interpretazione. Ci sono valori importanti della quale bisogna sempre tenere conto: il diritto alla vita, alla salute, alla giustizia. I giudici devono seguire questa linea: approcciarsi ad un problema cosi grave non è uno scherzo, è una grossa responsabilità. L’omicidio stradale è un comportamento che integra una grave trasgressione, e come tale va trattata. Cosi la persona che ha commesso questo reato sentirà davvero il peso del suo sbaglio del suo errore. E’ un meccanismo semplice, basta avere il coraggio di attivarlo.

5. Le cito un dato presidente: secondo il Road Safety Performance Index Report in Europa nel 2015 ci sono stati 26.300 decessi a causa di incidenti stradali, + 1,3% rispetto all’anno precedente. Come giudica questo dato?

Io conosco anche il dato italiano: siamo a +1,3%, in linea con la media europea ma comunque preoccupante. Ribadisco il concetto: non c’è un impostazione corretta del problema. Che cosa bisogna fare in questi casi? Bisogna prevenire: noi non vogliamo un incidenti, non vogliamo vittime e imputati. Noi dobbiamo operare secondo l’obiettivo che si è posto il Parlamento Europeo nel 2011: “la visione zero”, la salvaguardia del diritto alla vita, della sicurezza di ogni persona. Ma cosa è prioritario oggi per il nostro governo? Le indicazioni in tal senso dovrebbero provenire dal centro. Senza di esse come si può anche solo concepire un progetto di salvaguardia per la sicurezza stradale? L’obiettivo europeo del resto è semplice: abbassare del 50% gli incidenti stradali entro il 2020. Ma sembra, da questi dati, che stiamo facendo passi indietro.

6. In conclusione c’è un messaggio che possiamo dare agli studenti, un monito dopo quest’ultima tragedia che ha colpito la nostra città?

Bisogna reagire, bisogna mobilitarsi affinchè la morte di Lorena non rimanga un episodio come tanti, come la morte di mia figlia. Si potrebbe pure pensare ad una manifestazione per ricordare questa ragazza. E’ vostro dovere mettervi in gioco e far sentire la vostra voce: non rassegnatevi a lottare per ciò che ritenete giusto. La vostra vita è preziosa come lo era quella di chi è morto sull’asfalto. Quel che mi auguro che proprio da voi parta la voce della giustizia, una giustizia seria e onesta, che valuti gli errori per quel che sono e assicuri la giusta pena a chi , per far valere un suo diritto, lo ha tolto ad un altra persona.

 

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L’eleganza di tacere

Sarà che a volte non ci penso. Anzi, sarà che non ci penso proprio. Sono quei casi della vita in cui ti dici “figurati se può foto-messinasuccedere a me”. Di amici, conoscenti, sulla strada ne ho visti morire un paio, non è un numero o un’esperienza di cui vantarsi, il dolore per carità non può essere relativizzato, ma sicuramente la sofferenza fa riflettere. Ho conosciuto decessi a 16 anni, a 19, a 21 e, adesso, a 23. Lorena probabilmente sabato non aveva chissà quali pensieri. Guidava una panda (diciamocelo Lorena, una frizione peggiore non potrebbe esistere) salendo da una via periferica della città, forse diretta verso la litoranea, per una di quelle sere d’estate collocate nel bel mezzo della sessione d’esami, tra prove date e prove ancora da dare. Quando ha imboccato l’incrocio, passando il punto dell’incidente, lei sicuramente neanche si sarà detta “figurati se può succedere a me”. Ha normalizzato il fatto che fosse tutto ok, che niente potesse ferirla, ma a quanto pare il concetto di normale è, adesso (e questo adesso dura da troppo), ribaltato. Per carità, quando si guida, dice mia nonna, ci vogliono gli occhi dietro, davanti e di lato, ma quando all’una e mezza di un sabato notte attraversi un incrocio deserto rispettando il codice della strada, non ti aspetteresti tutto questo. Normalità, a quanto sembra, è diventata sfrecciare a chilometri oltre il limite della legge in città, fare gare con altre auto, mettere a repentaglio la propria e l’altrui vita, tra l’altro avendo bevuto quel drink o quella birra di troppo che, quando si sta dietro ad un volante, dovrebbe essere solo un miraggio. Lorena era una studentessa dell’università di Messina, non ha mollato subito, ha tenuto duro alcuni giorni ma, alla fine, ci ha lasciati. Chi guidava l’Audi che l’ha travolta speronandola (fattelo dire, una signora macchina ma usata in maniera molto meno signorile) non ha considerato normale andare ad una velocità consentita, non ha considerato normale non bere prima di mettersi sul sedile, non ha considerato normale mandare a cagare (scusatemi, ma consideratelo normale) l’amico che gli avrà proposto “vediamo chi arriva prima”. Ha considerato normale pensare “figurati se può succedere a me”. Per carità, come detto sopra è la frase che gira a tutti in testa quando siamo giovani e ci sentiamo i padroni assoluti del mondo. “Figurati se può succedere a me. Tanto in strada non c’è nessuno”. Oso, anzi, esagero, ma credo che la frase pensata dal guidatore dell’Audi sia stata questa. Credere che in strada non ci sia nessuno è qualcosa di agghiacciante. Lorena non era nessuno, era un sorriso in macchina con le amiche, la radio a tutto volume e la testa già verso il mare, era semplicemente una ragazza che, quel nessun, non se lo meritava assolutamente. I fatti sono chiari: Lorena all’una e mezza del mattino ha imboccato l’incrocio tra torrente trapani e via Garibaldi, venendo travolta dal finanziere che, a folle velocità, ha distrutto la sua auto. I soccorsi immediati, i giorni di agonia ed infine la morte. E’ sbagliato in questi casi santificare, maledire, supporre e parlare. Il dolore merita silenzio. Il dolore merita soprattutto rispetto, quel rispetto che è mancato, che, “andando troppo piano”, si è andato a schiantare contro la vita. Una vita che però, anche se spezzata, aiuterà quella di altre persone, di altri che magari, in situazioni tragiche, avranno bisogno di una mano: gli organi di Lorena, infatti, verranno donati. Anche noi di UniVersoMe ci uniamo al silenzio, pochi pensieri sparsi, questi, che non valgono realmente quanto un cambio effettivo di rotta: dovremmo tutti cominciare a dirci “può accadere anche a me, soprattutto a me, di trovarmi da una o l’altra parte”. La vita non ha una valenza effettiva, allora diamo vita agli attimi non dimenticando che “figurati” e “nessuno” non sono termini comprensibili. A 16, a 19, a 21 ed a 23 anni.

I ragazzi di UniVersoMe